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Giuseppina Caivano Bianchini
- PICERNO
 

Capitolo I
PICERNO DAI NORMANNI AGLI SPAGNOLI

Ignorata dai compilatori della Enciclopedia Italiana, di Picerno ha scritto soltanto nella prima metà dell'Ottocento Tommaso Cappiello in una inedita e lacunosa storia municipale che non ci consente di ricostruire le origini e le vicende di questa cittadina lucana che ha scritto pagine di profondo eroismo alla fine del XVIII secolo. 
Sorta, secondo una antica tradizione, quando gli abitanti di Acerrona, sfuggiti ai soldati di Annibale, si rifugiarono sulla collina dove sorse il castrum Pizeni, di questo centro abitato si hanno notizie certe soltanto nell'età normanna quando signori di Picerno erano Pocomato, cui successe Gaundino de Glosa, e Amor (98). Costoro costruirono la prima rocca fortificata che Federico II completò ed ingrandì per rinchiudervi alcuni prigionieri lombardi che vennero affidati a Ruggiero Turtumano, signore di Gloriosa, di Picerno e di Platano (99). Feudo di Rinaldo d'Aquino nel 1267, assegnato poi da Carlo d'Angiò ad Eustasio de Juvenicio e nel 1270 a Taxino de Jovine (100), "Picirnum" contava nel 1277 circa 400 abitanti e, tassato per 98 fuochi, corrispondeva alla Corona 24 once e 15 tari d'oro (101).
Non è possibile seguire la successione feudale fino al 1301, epoca in cui Picirnum è feudo di Giovanni Pipino conte di Potenza e poi dei Sanseverino di Tricarico che, nel 1337, lo vendettero a Filippo de Sus (102). Sottratto ai fautori di Renato d'Angiò da Alfonso d'Aragona nel 1456, secondo i dati forniti dal Giustiniani, Picerno era feudo di Petricone Caracciolo, cui successe nel 1485 il figlio Giacomo (103). Passato successivamente agli Spinelli di Scalea e da questi ai Muscettola, la Terra di Picerno fu poi fendo dei Pignatelli di Marsiconuovo ai quali rimase sino all'eversione della feudalità. 
Durante la dominazione spagnola, nell'età austriaca e poi durante il regno di Carlo di Borbone, Picerno visse una vita grama senza distinguersi tra le altre cittadine lucane. Retta da un Sindaco e da cinque Eletti che l'amministravano sotto il controllo del governatore baronale, nella prima metà del XVI secolo Picerno accolse una comunità di Padri Minori Cappuccini nel cui Convento fu efficiente un fiorente Studio di teologia che ebbe, tra i suoi maestri, Remigio di Pescopagano, Stefano da Muro, Fabiano da Vietri di Potenza e Bonaventura da Picerno (104). Tra gli alunni più noti, questo Studio annoverò nella seconda metà del Cinquecento Carlo Tirone da noi già ricordato. Dopo aver appreso le prime nozioni di filosofia e di diritto nello Studio dei Padri Cappuccini del suo paese, il Tirone si trasferì a Napoli dove si addottorò in utroque jure. Avvocato a Napoli e poi Uditore presso la Regia Udienza Provinciale di Chieti, nel novembre del 1600 rientrò a Napoli per ricoprire il posto di Giudice nella Vicaria Criminale. Nominato Consigliere di Santa Chiara il 15 febbraio del 1605, morì a Napoli il 10 maggio del 1609 lasciando inediti i suoi "Consilia" che ne avevano accresciuto la fama di giureconsulto e di magistrato (105). 
A metà del XVII secolo anche la Basilicata, come tutte le regioni del Mezzogiorno d'Italia, reagisce al malgoverno spagnolo e le ripercussioni di questa reazione si ebbero anche a Picerno. 
I moti scoppiati a Napoli nel luglio del 1647 e che sono noti come la "rivolta di Masaniello" ebbero notevole ripercussione anche in Basilicata dove essi assunsero decisamente carattere antispagnolo e, soprattutto, antifeudale (106). Dei molti comuni che insorsero alcuni riuscirono a travolgere la tracotanza baronale, altri caddero sotto la repressione spagnola che spense nel sangue molti dei capi popolari lucani (107). Anche in Basilicata la rivolta fu condotta da elementi borghesi e molti di essi si trasformarono in banditi disperdendosi nelle campagne per sfuggire alla cattura e qui la rivoluzione - afferma Rosario Villari - ebbe carattere principalmente di "lotta contro i poteri amministrativi e politici del baronaggio" e non di lotta contro le usurpazioni di "terre pubbliche" e lotta di contadini contro i proprietari di terra borghesi e feudali. La lotta fu aperta, serrata, dura contro i baroni, i quali, anche dopo la repressione della rivolta del 1647, forti del loro potere politico ed economico, continuarono ad esercitare violenze ai danni delle popolazioni lucane. 
Quali fossero le condizioni cui le nostre popolazioni reagivano contro i loro baroni, si deduce in un anonimo "Memoriale" del tempo. 
"Il sangue dei poveri - si legge in questo anonimo Memoriale del tempo inviato da una Università del Mezzogiorno al vicerè di Napoli - grida al cospetto d'Iddio e dell'E. V. ed esclama et si protesta provvedimento del loro sangue che si vede caso di pietà dicendo che li Signori Baronali restituiscano tutti li foresti et pascoli che hanno pigliato dalli poveri Università et Vassalli, li quali se li appropriano sotto titoli di donativi et con li loro modi et potentia hanno spogliato li poveri vassalli di tutti li loro pascoli et in ciò non si eccettua nessun Signore Baronali perché quasi, tutti se li appropriano come sitibondi del sangue dei poveri. 
"Tutti li populi in ciò gridano - continua l'anonimo -, et conforme fu l'ordine di V. E. che vengano per giustizia . . . quasi tutti veniriano a supplicare ma timino la morte, che li bisogneria perire a quel che venesse. Supplicavano li poveri Vassalli che li Signori Baroni non possano far composti et transizioni et proventi perché il sangue dei poveri Vassalli grida che detti Signori Baroni con li loro tormenti carcerazioni, lunghi carceri inumani et potenti transigino et compostano per ogni minima colpa et difetto desiderosi nel sangue del povero a loro posta con li offiziali fatti da essi a loro volontà che il mondo pare che andasse presto ad essere giudicato da quel grande Iddio; adomandano li poveri Vassalli et sangue di poveri che li transitioni et proventi per le colpi et difetti intrassero alla reggia Corte, perché intrando alla reggia Corte et andando alla reggia Corte come che sono offitiali liberi et non vi è la potenza Baronale il povero vassallo si po' difendere et esclamare et po' vedere sua ragione del castigo debito, et ponderato, et non essere assorbito dalla potenza di Signori baroni con li quali il povero Vassallo non po' litigare nè appellare che il bisogneria perire" (108). 
E' alla luce del mutamento dei tempi, al perdurare della residuata aristocrazia medioevale e feudale, nonché dei documenti del tempo che il lettore potrà esprimere il proprio giudizio sereno e cosciente sull'importanza delle lotte alle volte atrocissime e fratricide antifeudali e antibaronali svoltesi nel secolo XVIII anche a Picerno. 
Era cessato, già nella seconda metà del secolo XVII il vassallaggio connesso alle servitù personali e le popolazioni miravano accanitamente a delimitare se non a distruggere quel potere derivante da una società feudale e medioevale in estinzione. Nella recrudescenza di ciò che i baroni ritenevano un proprio " diritto legalizzato " fino a questo momento per la loro condizione privilegiata dall'essere Baroni e feudatari, si levarono forti ed insistenti voci di protesta da tutti i comuni della Basilicata come Brienza, Atena, Montescaglioso, Muro Lucano ecc. Ascoltiamo quella di Picerno attraverso un documento dell'Università di questa cittadina del 1696 il quale, oltre a manifestare il proprio disappunto circa il comportamento del feudatario Spinelli della Scalea denunciandone le malefatte, ne riporta anche la punizione che il parlamento, presieduto dal governatore regio dell'Università voleva fossegli inflitta dal vicerè: "per havere da tanti assassini, forasciti, inquisiti, forgiudicati e citati a forgiudica et altre genti di mala vita ... fatto ammazzare, arrapare, sfrisare, mazziare, spogliare, dare sfratti a sessanta fuochi in circa delli migliori, con fare fare molti insulti, violenze, matrimoni forzosi, devastazione de seminati, dissertazione de vigne, violazione di immunità ecclesiastica, nuove tasse, nuovi catasti, nuove pedaggi, taglie, et insuffribili estursioni, et delitti atrocissimi". "Che si restringhi, aggiunge il documento, esso don Fabrizio in un castello da dove non possa fuggirsene in Roma, o altrove dopo fatti altri homicidij". 
Sicchè - scrive il Cappiello - nel 1799 Picerno, esaltato a reazione antibaronale attirò su di esso la guerra e li guasti e sue funeste conseguenze, dopo parecchi anni non erano dimenticate . . . piccoli bricconi ancora si segnalavano su quelle tracce, e non eravi armonia e piena quiete" (109). 

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98 Cfr. T. PEDIO, "Feudi e feudatari di Basilicata nell'età normanna", Matera, Montemurro, 1967. 

99 Cfr. T. PEDIO, "Per la storia della Basilicata nella seconda metà del XIII secolo", Matera, Montemurro, 1967, p. 4.

100 Cfr. T. PEDIO, "Per la storia del Mezzogiorno d'Italia nell'età medievale Note ed appunti", Matera, Montemurro, 1968, pp. 137, 141. 

101 Cfr. T. PEDIO, "Per la storia della Basilicata nella seconda metà del XIII secolo", cit., p. 46 e, dello stesso a., "Per la storia del Mezzogiorno d'Italia nell'età medievale", cit., p. 154. 

102 Cfr. G. GATTINI, "Delle armi de' Comuni della Provincia di Basilicata Matera, 1910, p. 61.

103 L. GIUSTINIANI, "Dizionario geografico" cit., tomo VII, p. 180.

104 Sulla fondazione e sull'attività del Convento dei PP. Cappuccini di Picerno cfr. T. PEDIO, "Diocesi e comunità monastiche della Basilicata", Matera Montemurro, 1968 e poi nelle note dello stesso a. in G. FORTUNATO, "Badie feudi e baroni della Valle di Vitalba", Manduria, Lacaita, 1968 vol. III, pp. 71, 78, 84. 

105 In proposito cfr. L. A. MURATORI, "Raccolta delle Vite e famiglie degli uomini illustri del Regno di Napoli per il governo civile", Milano, presso Marco Sessa, 1755, pp. 77 s.. 

106 Sui cosidetti "moti di Masaniello" e sulle ripercussioni che ebbero nelle province del Mezzogiorno d'Italia è una ricca bibliografia contemporanea. In proposito cfr. T. PEDIO, "Storia della storiografia del Regno di Napoli nei secoli XVI e XVII - Note ed appunti", Edizioni Frama's, 1973, pp. 129 ss. .

107 R. VILLARI, "Mezzogiorno e contadini nell'età moderna", Bari, Laterza, 1961, pp. 118 SS. 

108 In R VILLART, "Mezzogiorno e contadini" cit., pp. 134 s. .

109 T. CAPPIELLO: "Storia di Picerno" cit. .

 

 

 

 

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agg. al 30/08/2004

 


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