Capitolo VI
PICERNO E L'UNITA' D'ITALIA
Molto vivi furono i contrasti tra i sostenitori del Governo borbonico e
quelli dell'Unificazione al Regno d'Italia. Le famiglie benestanti erano
radicalmente borboniche e difficilmente avrebbero accettato un mutamento
che potesse in qualche modo danneggiare la loro condizione di
privilegiati: per difendere i propri interessi fomentavano il
proliferare dei briganti, fornendo loro munizioni e viveri.
I briganti avevano già da tempo creato gravi condizioni di disagio tra la
popolazione agricola che svolgeva il proprio lavoro in un clima di
terrore ed era costretta a recarsi ai campi, armata di "mazza e
piroccola". La zona del Marmo ne era considerata il covo essendovi stati
avvistati, ripetutamente numerosi gruppi di gente armata, sicchè già nel
1817 era stato proposto di disboscarne buona parte. Ci vollero però
alcuni anni prima che tale proposta avesse attuazione, poichè si temeva
che il disboscamento causasse "penuria di combustibile ai Comuni
circonvicini" (160) e solo nel 1822 si provvide ad un parziale
disboscamento della zona.
Tale provvedimento non aveva estirpato il male; anzi nel periodo che
precedette l'Unità d'Italia, e precisamente tra il 1848 e il 1860, i
benestanti, per proteggersi contro le trasformazioni che il cammino
verso l'Unità stava portando, avevano rafforzato il brigantaggio. Nè i
contadini picernesi si azzardavano a fare vendette dei danni arrecati
dalle bande brigantesche, temendo il peggio, e precisamente che
venissero bruciate le messi quando queste erano pronte per il raccolto.
Sopratutto il commercio di grano e vino con Ruoti era gravemente
danneggiato; e si giunse ad un grado di paura tale che, qualunque
forestiero, che attraversava il territorio picernese, era guardato con
sospetto. Le condizioni di vita in cui versava la popolazione erano
dolorosissime: uomini, donne, bambini erano costretti a vivere e a
dormire in un unico ambiente, insieme alle bestie, compagne delle loro
fatiche, mentre sotto il lurido giaciglio, spesso unico per tutti,
trovavano posto legna, fascine, damigiane e provviste indispensabili
alla vita quotidiana. Il cibo era scarso, e perfino il pane,
confezionato prevalentemente con farina di granoturco, di vecce, di
orzo, di legumi e biade varie, scarseggiava. Molto diffuse erano le
focacce di granoni, dette "furcuat'"; la polenta della stessa farina
costituiva il piatto principale del pranzo quotidiano (161).
Numerosi erano i pezzenti che andavano di casa in casa a pitoccare un
tozzo di pane che dividevano poi con la numerosa prole, vittima puranche
delle più diffuse malattie dell'infanzia. A tal proposito si riporta lo
stralcio della lettera del 21 settembre 1846 dell'Intendente di
Basilicata diretta al Sindaco ed ai Capi Urbani di Picerno (162).
"Signori. Nella fausta ricorrenza della venuta di S. Maestà il Re, nostro
Signore, che tra breve onorerà la sua Real presenza, la nostra Provincia
in occasione dei soliti esercizi istruttori delle Reali Truppe, io
reputo conveniente di doversi impedire, che cenciosi, accattoni e
pitoccanti si affollassero in questo capoluogo, dove non solo non vi
sarebbe luogo da poterli dare ricetto, ma non farebbero altro che
cagionare confusione Non intendo affatto di evitare a chicchessia il
venire ad umiliare delle suppliche all'Augusto Sovrano, ma desidero
vivamente di evitare unione di gente pitoccante che potrebbe cagionare
disgusto tra la pubblica gioia in sì lieta ricorrenza. Elleno quindi
dovrebbero far opera che siffatta classe fosse occupata in qualche
pubblico lavoro. Non può mancare qualche accomodo di strada interna o
esterna oppure di qualche altra opera pubblica dove tenerla impiegata e
in ultimo per i storpi, vecchi, ed invalidi; ecc. ecc. anche qualche
discreto soccorso pei fondi di beneficanza, ed in mancanza di questi
sulle imprevedute del Comune. In questo modo si provvederebbe utilmente
alla loro assistenza, e si può conseguire di non farli qui accedere
senz'ombra di impedimento qualunque. "Son sicuro che si impegneranno ad
assecondare le mie premure". La povera gente portava ai piedi
"zambitti", o scarponi fatti con un sol pezzo di cuoio ordinario o
cotica del proprio maiale allacciato ai piedi per mezzo di funicelle,
"curgiol'", confezionate dagli stessi pastori con peli di capra, mentre
le donne facevano grande uso di zoccoli di legno; le calze erano
sostituite da "pezze" che avvolgevano le gambe ed erano tenute strette
dagli stessi lacci che fermavano "li zambitti o scarponi". "Porzoni"
confezionati dagli stessi pastori con pelli di pecore o di capre, con o
senza maniche erano riparo al pastore e al contadino in genere durante
il giorno, e guanciale e materasso durante la notte, mentre il capo
veniva ricoperto da un cappuccio o da un turbante, raramente da un
cappello, che era riservato per i giorni di festa solenne e per il
giorno delle nozze. Gli uomini usavano portare mantelli a ruota di panno
casareccio generalmente del colore naturale della lana delle proprie
pecore. A rendere più dura la vita contribuivano i raccolti scarsi e le
imposizioni di tasse molto gravose. Per la riscossione spesso il Governo
si serviva di messi, detti comunemente "piantoni". Questi rimanevano in
casa del contribuente dal quale pretendevano vitto ed alloggio fino a
quando non avessero riscosso il tributo secondo i termini di legge.
Diffusi erano i "censi" che gravavano su vari appezzamenti di terreni e
che il lavoratore dei campi doveva pagare alla chiesa, allo Stato, ai
feudatari, ai quali spesso venivano anche concessi beni in natura e
prestazioni di manodopera gratuita. Per affrancarsi dal censo il
contadino era costretto a sottoporsi a sacrifici inauditi. La mancanza
di acqua potabile nelle misere e sconnesse catapecchie causava una larga
diffusione delle malattie e l'inesistenza di servizi igienici, pubblici
e privati, ne aggravava la situazione.
L'analfabetismo non rendeva possibile un risveglio della popolazione ed
un'apertura consapevole verso nuovi ideali politici e nazionali.
Se i benestanti sostenevano il governo borbonico per conservare una
condizione di privilegio, i contadini e la parte lavorativa del paese si
mostravano incerti di fronte alle trasformazioni che stavano avvenendo,
poichè, abituati alle sofferenze ed alle privazioni, temevano, nel
mutamento del governo, un ulteriore aggravarsi della loro triste
situazione. I giovani erano i più aperti certamente alle speranze, che
sopratutto la spedizione garibaldina aveva fatto nascere in tutta
l'Italia Meridionale e, quando giunse notizia che Potenza stava per
essere liberata dal governo borbonico, le indecisioni e i timori
lasciarono il posto all'entusiasmo ed al coraggio. Una notizia che è
entrata nella storia di Picerno, ma che non ha conferma in alcun
documento scritto che io sia riuscito a reperire, riguarda un breve
soggiorno in questo paese di Garibaldi. Egli giunto qui sotto le spoglie
di un venditore di ortaggi, avrebbe trovato ospitalità in un'abitazione
oggi adibita a "bar" e precisamente quello di Felice Capece in piazza
Plebiscito. La sua presenza avrebbe contribuito a rendere favorevoli
molti picernesi all'Unificazione al Regno d'Italia. E, come da altri
Comuni lucani, un drappello di uomini, guidati da Nicola Giustiniano
Capece, mosse da Picerno alla volta di Potenza per offrire il proprio
contributo all'Unità d'Italia. Era la sera del 18 agosto del 1860.
a) Plebiscito (163)
Il 21 ottobre dello stesso anno, indetto a Picerno il Plebiscito
attraverso il quale le popolazioni meridionali dovevano liberamente
dichiarare se volevano "L'Italia una e indivisibile con Vittorio
Emmanuele" Re Costituzionale", si tornò ai tentennamenti ed ai timori.
La maggior parte dei sacerdoti osteggiava il governo borbonico ed
auspicava il governo di Garibaldi.
E' rimasta viva nella memoria dei picernesi l'azione svolta in questa
occasione dal sacerdote D. Stefano D'Antonio nella zona denominata
"Bassa la terra", dove attualmente risiedono i suoi lontani eredi.
Egli, instancabilmente, andava di vicolo in vicolo, di uscio in uscio, a
sollecitare la partecipazione al Plebiscito. D. Felice Marcantonio, dopo
la celebrazione della Messa era solito sostare coi fedeli davanti alla
chiesa della Pietà per discutere, raccogliere confidenze e fugare dubbi
tra la moltitudine ivi radunata. Egli, durante il processo intentato
contro coloro che si erano rifiutati di esprimere il proprio voto,
interrogato sulle disposizioni d'animo dei picernesi, così depose:
"Questi popolani, quantunque buoni ed arrendevoli all'attuale
ordinamento politico, trovansi compresi da timore sulle false voci che
si sono fatte correre di essere Napoli gremita di Tedeschi, accresciute
le imposizioni, e che i proprietari, senza la protezione del governo, si
studiavano di far giungere il grano fino a sei ducati" ed ancora che
"non avendo fede nei proprietari temono che volessero, col pretesto
della politica, sopraffarli e indurli alla miseria" ed inoltre che "i
popolani non hanno fiducia nelle persone che chiedono il voto che
senz'altro lo mettono a loro profitto specialmente perché la votazione
non è stata fatta in luogo pubblico (164).
Il sacerdote Marcantonio ed altri, nonostante la sfiducia del popolo,
continuavano a fare opera di persuasione in favore del plebiscito, ma il
popolo non era propenso a seguire i loro consigli, anche perchè temevano
rappresaglie da parte di gente armata che perlustrava continuamente il
territorio picernese e quello di tutta la Basilicata.
Felice Riviello di Giuseppe, sessantenne, proprietario, interrogato
deponeva che "sarebbero andati invece a S. Rocco o al Paschiere dove se
l'avrebbe veduto anche con gli altri ivi si fossero portati inermi"
(165).
Francesco Marchetti depose che le voci riguardanti le votazioni erano
discordanti e molti dicevano "di non votare nè per l'uno e nè per
l'altro, ma per S. Rocco".
Nelle indecisioni e nei contrasti il popolo trovava sollievo nella
preghiera che quotidianamente rivolgeva a Dio, portandosi nella chiesa
di S. Rocco. Qui impetrava la pace e la fine delle perplessità e delle
sofferenze.
Si riportano i documenti relativi alle votazioni ed alle operazioni di
scrutinio.
I°
Lettera diretta al Governatore della Basilicata.
"L'anno milleottocentosessanta, il giorno ventuno in Picerno, nella Casa
Municipale, alle ore sette antimeridiane.
Noi Sindaco, Decurioni e Capitano della Guardia Nazionale del suddetto
Municipio, in esecuzione del Decreto Prodittoriale dell' 8 e 13 corrente
mese, per la convocazione del Popolo onde accettare o rigettare il
Plebiscito per la formazione d'Italia una ed indivisibile sotto lo
scettro di Vittorio Emmanuele Re Costituzionale e suoi legittimi
discendenti, ci siamo riuniti nella Casa Municipale ed abbiamo proceduto
a quanto segue: 1) Abbiamo messo sopra una tavola grande tre urne, in
una delle quali si sono posti i bollettini col "SI'", in un'altra quelli
col "NO", e un'altra vuota in mezzo. 2) Abbiamo invitati i cittadini
all'istante a Comizi a dare il loro voto con prendere quel bollettino
che loro piaceva e buttarlo nell'urna vuota, e ciascuno ha dato libero e
spontaneo il suo voto. 3) Finalmente terminate le operazioni abbiamo
suggellata la cassettina la quale è rimasta nello Archivio della
Cancelleria di questo Municipio essendosi dal Sindaco conservato il
sigillo.
Fatto e chiuso il presente verbale oggi suddetto giorno alle ore
ventiquattro". (Seguono le firme).
II°
"Vittorio Emmanuele Re d'Italia - Giuseppe Garibaldi dittatore delle Due
Sicilie.
L'anno 1860 il giorno 23 ottobre in Potenza.
Recatisi innanzi a noi Governatore della Provincia di Basilicata, e
Presidente della Gran Corte Criminale della Provincia medesima i signori
Luigi Gavino e Nicola Capece, nella qualità il primo di Sindaco e
l'altro di Comandante la Guardia Nazionale del Comune di Picerno ci han
presentato un'urna di legno ben chiusa con fermature di fettucce bianche
aderenti al legno mercè soggelli e cera rossa, portanti la scritta "Il
Sindaco di Picerno". Sul coperchio dell'urna è scritto a penna
"Municipio di Picerno": 1860.
I suddetti componenti ci han dichiarato che l'urna esibita contiene i
polizzini dei voti raccolti nel mentovato Comune per la votazione del
Plebiscito: "Il popolo vuole l'Italia una ed indivisibile con Vittorio
Emmanuele, Re Costituzionale, e suoi legittimi discendenti". E noi dando
ai medesimi atto della presentazione dell'urna, abbiamo in loro presenza
depositato la stessa nella stanza destinata alla custodia di tutte le
simili urne che ci pervengono dalle Giunte Comunali. Ne abbiamo fatto
quindi redigere il presente verbale in due originali, consegnandone uno
a comparenti per depositarlo nell'archivio del proprio Municipio, e
ritenendo l'altro presso di noi, dopo di essere stati ambidue da noi e
dai comparenti sottoscritti. Il Sindaco - Il Governatore Il Capitano
della Guardia Nazionale - Il Presidente della Gran Corte
Costituzionale".
III°
"L'anno 1860 il giorno 29 ottobre in Potenza.
Noi Giovanni Gemelli Governatore della Provincia, Michelangelo De Cesare,
giudice della Gran Corte Criminale della Provincia medesima (si omettono
i nomi degli altri membri della Giunta).
Riuniti nella sala delle udienze del Tribunale Civile in virtù
dell'articolo 5° del decreto dell'8 del circolante mese onde procedere
in seduta permanente allo scrutinio dei voti raccolti dalle Giunte
Municipali nella Provincia per le votazioni del Plebiscito: Il popolo
vuole l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emmanuele Re
Costituzionale e i suoi legittimi discendenti " abbiamo proceduto a tale
disimpegno nel seguente modo": (se ne omette la minuta descrizione).
Letti i verbali di ciascuna Giunta Comunale, "si è proceduto all'apertura
delle urne, l'una dopo l'altra, progressivamente, e fatto lo scrutinio
con tutta scrupolosità ed esattezza per ciascun Municipio ". Totale
votanti: 98.312; Voti affermativi: 98.202. Voti negativi: 110.
In conseguenza di che il Plebiscito per l'Italia una e indivisibile con
Vittorio Emmanuele Re Costituzionale e i suoi legittimi discendenti è
stato con plauso generale affermato e proclamato in questa Provincia di
Basilicata colla maggioranza di voti 98202 affermativi contro 110
negativi. Di tutto ciò si è fatto redigere il presente verbale, che è
stato chiuso oggi sopradetto giorno, mese ed anno e redatto in duplice
spedizione sottoscritto da tutti i componenti della Giunta".
Nel Mandamento di Picerno si ebbero questi risultati:
Votanti n. 845
Voti affermativi . . n. 843
Voti negativi n. 2
b) Azioni brigantesche all'indomani della proclamazione della Unità
d'Italia.
Le speranze che l'unificazione potesse finalmente dare sollievo alle gravi
condizioni in cui il Governo borbonico e il brigantaggio avevano
condotto l'economia picernese, andarono presto deluse. Infatti il
brigantaggio, nonostante i frequenti e tempestivi interventi delle
Guardie Nazionali, continuò ad essere una piaga dolorosa. Di tanto in
tanto gruppi di gente armata compariva nel territorio di Picerno
infestando le contrade del Marmo, di Serralta, di Acqua Fetente, di
Acqua delle Forre, di Monti Li Foj, e di Pantone di Vosa, commettendo
estorsioni ai danni di gente tranquilla ed inerme. Non poche ne furono
le vittime. Il ventiseienne poeta Achille Motta (166) ebbe maciullato
dai briganti (167) il padiglione dell'orecchio destro, ebbe danneggiato
gravemente il viso e infine venne lasciato in pericolo di vita dietro la
Cappella del Pantano (168).
La ricerca dei briganti 169 fu attiva e portò a degli eccessi, di cui si
può considerare un esempio il caso del diciottenne Nicola La Torre da
Picerno.
Questi, il 13 agosto del 1861, sorpreso in compagnia di briganti, venne
segnalato alle autorità ed arrestato nonostante avesse dichiarato di
essere diretto dal Sindaco per costituirsi, venne trascinato nella
masseria di Mancini e seviziato per tutta la notte: gli furono strappate
le unghie dei piedi e la mattina seguente fu fucilato presso il
Paschiere.
Era in vigore un bando del Sindaco Gaimari che prevedeva la fucilazione di
chiunque fosse stato visto in compagnia di briganti; ogni assembramento
di cinque persone veniva considerato associazione a delinquere e reato
contro la pubblica tranquillità; ma, per chi spontaneamente si fosse
costituito dinanzi al Sindaco, ne era previsto il perdono.
Numerosi furono i processi contro coloro che tentavano con ogni mezzo di
capovolgere il governo di Vittorio Emmanuele II instruiti spesso anche
in base di semplici sospetti.
Ne è esempio il caso di Nicola Cerbasi di Rosa da Picerno ventisettenne
calzolaio. Questi fu denunziato il 29 agosto del 1861 per aver preso
parte "ad associazioni in numero maggiore di cinque ad oggetto di
delinquere contro le persone e la proprietà, commettendo con ciò reato
contro la pubblica (tranquillità) in tenimento di Picerno" 170 e
arrestato anche perché sospettato di aver preso parte a-l sacco di
Baragiano "nei dì 26 e 27 luglio ultimo" insieme ai briganti, ai quali
avrebbe anche fornito notizie valide per le loro azioni ai danni delle
popolazioni di Picerno, di Baragiano e della Basilicata in genere.
Il Cerbasi, perquisito dal Sindaco, venne trovato in possesso del
formaggio avuto in cambio, come d'uso allora, del lavoro prestato in
quei giorni presso i compaesani Tommaso Carella "Bombalò" e Felice
Marrese, cadde ogni sospetto e fu lasciato libero, il 1° settembre dello
stesso anno.
Risalgono a tale periodo e l'uccisione di Nicola Labriola e l'incendio
della masseria di Emmanuele De Meo.
Con lettere minatorie di cui si riporta un esempio, venivano tentate
estorsioni di denaro. Eccone copia conforme:
"Al Signor . . . il Signor D. Pietro preandovi per mezzo del vostro colono
e di mandarmi la somma di ducati trecento - 300. Si no altrimenti
strovimo tutte le pecore alle Foj. Sono io qui sottoscritto Saverio
Cerbasi.
Gridando sempre " Viva Francesco Secondo ' e fatimi la risposta e vi prego
di farmi subito la risposta".
I briganti, che in seguito continuarono ad operare nelle diverse zone di
Picerno, erano decisi a non lasciare "nè beni, nè anima viva a Picerno"
e spesso vennero a colluttazione con la Guardia Nazionale e con i
carabinieri.
Tale triste situazione durò fino al 1870 circa. Testimonianze relative
vengono tratte da documenti giacenti presso l'Archivio di Stato di
Potenza. Molte le depredazioni avvenute sul Marmo. Viandanti che
attraversavano la zona per motivi di commercio venivano seviziati e
spogliati di tutto. I briganti si impossessavano generalmente di pezzi
di gran valore, e di antico conio, nonché di ingenti somme di denaro in
moneta di bronzo e di argento; tesori, che essi stessi abbandonavano nei
boschi.
Notizie più particolareggiate riguardo ai tre viandanti Pasquale Marottoli
di Agostino da Buccino, Giuseppe Visto da Pignola e Alfonso Bofano di
Francesco da Polla, sono tratte dal "Procedimento penale contro ignoti
armati di fucili e pistole imputati di associazione armata ad oggetto di
delinquenza" (171). Questo reato avvenne nel tenimento di Picerno il 15
marzo del 1868, e venne denunciato dagli stessi malcapitati. Si
riportano integralmente le rispettive deposizioni.
Il 15 marzo Pasquale Marottoli di Agostino di 28 anni da Buccino deponeva:
"Ieri mattina . . . mi recai in Vietri di Potenza ed ebbi occasione di
riunirmi con altri due viandanti con tale Alfonso di Polla ed un altro
individuo di Pignola entrambi trainanti. Poichè tutti dovevamo venire a
Potenza. Siamo usciti in compagnia dal ripetuto Comune di Vietri. Giunti
al pendio della contrada Marmo e precisamente alla distanza di un tiro
di fucile dal Casino siamo stati aggrediti da sei malfattori armati i
quali a viva forza ci hanno rubato il denaro che portavamo, spiegandomi
meglio sul proposito debbo dire che ai miei compagni di viaggio è stata
tolta una somma di denaro che essi medesimi potranno precisare ed a me
la somma di ventisette o ventotto lire che portavo sciolto nella tasca e
quasi tutti in argento, tranne due o tre lire in moneta di bronzo, un
cilindro a doppia cassa di argento cisellato, cioè un frascheggio sulla
cassa che covriva il quadrante, e con una piastra in quella opposta
attaccata ad una catena di acciaio fermata da piccoli anelli, ed un
portafoglio di suola con entro la carta di passaggio, il congedo
ottenuto per il servizio militare, da me prestato e parecchie fatture di
debito a me rilasciate da naturali di Cancellara, Tolve, S. Chirico,
Pietragalla, i quali nel ricevere da me la rame promettevano farmi i
pagamenti nel prossimo mese di agosto. Non ricordo i nomi dei debitori,
ma posso accertare che le fatture suddette in complesso dettavano poi la
somma di trecento lire, che lo dovrò perdere per non aver segnato sul
registro i nomi dei ridetti debitori.
Non voglio indicare per nome gli autori dell'aggressione, poichè mi sono
ignoti secondo ho detto sopra e molto meno posso dare esatti connotati
di essi, poichè mi hanno obbligato di rimanere con la faccia a terra.
Posso solamente dire che la persona la quale si è avvicinata a me per
saccheggiarmi era un giovane al di sotto di anni trenta, di statura
giusta, grassotto, con barba rasa, vestito da contadino, cioè con
calzoni corti e giacca di panno ordinario casareccio, di color caffè, un
cappello ordinario e schiacciato, e poichè mi è sembrato molto accorto e
pronto nel parlare, debbo supporre che abbia fatto il militare. Gli
altri malfattori per quanto ho potuto scorgere al primo loro apparire,
vestivano parimenti da contadini con mantelli ed armati tutti di fucili
e pistole, tranne uno che faceva uso di una grossa mazza, ed il modo di
vestire mi è sembrato uniforme al costume di Balvano, aggiungendo ancora
che balvanese ho giudicato dal dialetto il giovane che lasciando dietro
gli altri, si è avvicinato a me per depredarmi. Il fatto da me narrato è
avvenuto verso le ore tredici e mezza e non posso indicare testimoni
perché dalle campagne si ritirano i contadini nei giorni festivi. Non
posso neppure indicare testimoni dell'esistenza del denaro e portafoglio
che conservava in tasca poichè sono fatti di famiglia che io non credeva
necessario fare e sentire a terze persone. Posso solamente assicurare
che l'orologio, cioè un cilindro ad otto pietre mi venne venduto
dall'orefice Rizzo di Potenza" Firmato Marottoli e il Pretore D.
Pietro.
Alfonso Bofano di Francesco Paolo di anni trenta, nato e domiciliato a
Polla, trainante proprietario, illetterato denunciava: "Eravamo giunti
nelle campagne di Picerno e precisamente al pendio del Marmo, cioè poco
dopo il Casino (...) (172), quando mi è accorso di vedere a poca
distanza due persone di faccia a terra e tre armati che loro stavano
d'intorno, tre altri parimenti armati che avevano occupato un'altura per
difendersi le spalle dei loro compagni. Io non ho esitato a sospettare
che tutte le persone armate erano malfattori e che le persone che
stavano di faccia a terra erano viandanti capitati nelle loro mani, che
anzi ho prontamente sospettato che uno dei due aggrediti era un
trainante di Pignola con altro suo conterraneo i quali ci precedevano
nel cammino e si erano uniti con noi nella sera precedente in Vietri.
Cercava di scansare il pericolo col ritornare indietro ma i tre
malfattori che occupavano l'altura hanno spiegato le loro armi contro di
me e del sopradetto calderaro obbligandomi di stendermi a terra con la
faccia in giù e due di essi rovistandomi nella tasca e nel panciotto mi
hanno tolto carlini dieci in bronzo e sei piastre in argento, cioè pezzi
di carlini dodici dell'antico conio, e poichè io aveva negato di
possedere somme di denaro, mi ho ricevuto due schiaffi da uno dei due.
Non contenti della surriferita somma, i tre malfattori hanno sospettato
che io doveva possedere altra più vistosa, poichè portavo i traini
vuoti, e perciò si accingevano a forzare le cassette dei suddetti carri
quando io ho creduto opportuno di consegnare la chiave per evitare una
rottura; e così essi si sono impossessati di ducati quaranta in bronzo e
ducati duecentododici in argento, che formava il mio capitale per
l'acquisto del grano che doveva formare il carico dei traini che
conducevo. Dopo di essersi impossessati del denaro mi hanno tolto dalla
gola un fazzoletto di seta con fascia verde, e dalle orecchie un paio di
pendenti di oro dalla forma di paniere, ed entrambi questi oggetti
avevano il valore di lire otto e centesimi 50, sicchè calcolando tutto
il danno da me sofferto si ha la somma di lire 1114 e centesimi 35. Non
posso indicare i testimoni dell'esistenza del denaro perché nel partire
dal mio paese non ho creduto farlo vedere a persone estranee poichè è
nostro sistema di caricare con riservatezza onde non esporci ai pericoli
del furto. Dopo la mia aggressione e quella degli altri due individui
che io vidi faccia a terra, i malfattori al numero di sei si sono uniti
ed hanno presa la strada che conduce a Balvano e a Baragiano. Io non ho
conosciuto veruno ed essi, perché erano soggetti da me mai visti
precedentemente, e non sarei al caso di riconoscerli poichè il timore ha
impedito qualsiasi attenzione nelle persone di quei malfattori.
Probabilmente potrei riconoscere uno di essi che vestiva con pantaloni
bigio avente una striscia rossa, come quelli della Guardia Nazionale e
un berretto alla milizia cittadina. Aveva un piccolo mustacchio steso,
era di giusta statura ed andava armato di fucile e pistole. Tutti gli
altri vestivano da contadini, e secondo il costume di questi paesi in
vicinanza della stradale e cioè con calzoni corti, mantelli ordinari di
color caffè e cappelli conico e tutti armati di fucili e pistole".
Giuseppe Visto di Gerardo di 27 anni nato e domiciliato a Pignola,
trainante, ammogliato con prole, denunziava: "Giunto alla contrada
Marmo, e propriamente un tre e più di palla al di qua del cosidetto
Casino, agro di Picerno, sono stato aggredito da tre individui
sconosciuti, armati di fucile e mi hanno imposto di prostrarmi bocconi a
terra. In quello istante ho veduto che altri tre individui erano fermati
sopra un vicino rialto pure armati di fucile che avevano spianato contro
di me. Appena messomi colla faccia in terra, uno dei primi tre ha
diligentemente ravvisato sulla persona, e mi ha rubato due biglietti di
Banca, uno di lire cinque ed un altro di lire due, tre piastre di
argento di carlini dodici l'una e sette od otto carlini in bronzo in
circa L. 24,65, nonché una pistola di misura, una fascia che mi cingeva
la vita, un fazzoletto di cotone e due sacchi orlati di panno nero, con
delle funi ed altri oggetti dentro; e da ultimo un coltello a pungitoio
con forchetta, ed un portafoglio con entro le dette carte monete ed
altri conteggi. Non ho fatto attenzione a marcare la foggia degli abiti
di che quei malfattori erano vestiti, quello però che ha rovistato su di
me portava un cappello di panno monacale, ed un cappello basso. Tutti
poi erano nello insieme vestiti alla contadina. Per quanto ne penso e
dal dialetto che parlavano quei malfattori mi conviene concludere che
erano di Balvano e S. Gregorio. Questo mio sospetto è avvalorato dalla
foggia di vestire e dalle considerazioni che solamente persone de' paesi
posti in vicinanza della stradale potevano aggredirci, stante la
mancanza di bande armate nei dintorni di Picerno. Non posso indicare
testimoni della esistenza degli oggetti a me rubati perché furono
acquistati in Napoli per ragione del commercio che esercito ed ignoro il
nome dei mercanti dai quali feci acquisto. Però il mio conterraneo Luigi
Pietrafesa il quale viaggiava con me potrà parlare non solo della
esistenza degli oggetti ma sibbene dello involamento, giacchè nulla
portava seco. Rivedendoli difficilmente sarei al caso di riconoscerli
perché ebbero premura di sottrarsi alla mia vista col farmi mettere di
faccia a terra. Probabilmente conosceva quello che mi ha saccheggiato ed
avrà i connotati da altri. Le monete delle quali ho parlato sono quelle
correnti del Regno, tranne le tre piastre che avevano l'effigie dei
passati Borboni. Niuna delle dette monete aveva segno visibile da
potersi distinguere dalle altre in caso di smarrimento. La campagna era
spopolata poichè giorno festivo e per tale ragione non posso indicare
testimoni".
L'industria armentizia, l'agricoltura e il piccolo commercio, non
trovarono, anche dopo il 1870, condizioni favorevoli per svilupparsi.
Molti fattori concorsero a creare, tra la popolazione picernese, una
condizione tutt'altro che sostenibile: l'isolamento politico, economico,
culturale e commerciale a causa di una insufficiente estensione della
rete viaria, completamente assente in vari punti del territorio, fu
molto dannoso per Picerno, in cui nuove e più esose tasse anche non
equamente distribuite, gravavano sulle popolazioni, specie quelle
agricole costrette a ricavare di che vivere da una natura;ingrata
irrimediabilmente danneggiata dall'irrazionale disboscamento inconsulto.
Sicché le forze di lavoro si diressero allora verso le Americhe,
ingigantendo il fenomeno della deprecata emigrazione, non certo molto
benefica per Picerno. Questa cittadina, privata di braccia valide e
capaci, assistette inerte ad un deplorevole depauperamento demografico
delle proprie campagne, con il conseguente deprezzamento della proprietà
fondiaria. Gli emigrati, raggiunto un certo grado di ricchezza
contribuirono, con i loro sudati risparmi che mandavano in Italia, a
migliorare lentamente, in un certo senso, le miserrime condizioni
economiche dei congiunti lasciati in Picerno, mentre nutrivano in cuore
l'ansia di vedere un giorno non lontano ricostituite le proprie famiglie
in un ambiente veramente rinato e progredito.
La rinascita economica, sociale e culturale di questa cittadina comunque
non fu rapida ed armonica.
c) Picerno scissa in partiti politici.
In Picerno, dopo l'Unificazione d'Italia, si costituirono due grossi
partiti: quello detto di "sopra" rappresentato da Caivano, Tarulli e
Capece e quello detto di "sotto" capeggiato da Capasso, Molinari e
Salma. Essi, fino all'avvento del Fascismo, sempre in contesa tra loro,
si alternavano nell'amministrazione di Picerno con discutibile vantaggio
per la popolazione la quale, credette, in sulle prime, con la
costituzione delle giunte locali, di risollevarsi dalle tristissime
condizioni economiche, sociali e morali in cui da tempo versava. Ma
sperò invano.
Per lungo tempo rimasero insoluti problemi inerenti alla sanità, alla
viabilità, all'igiene ed alla coltura, problemi questi collegati
generalmente a quello economico. Nè riuscirono nel loro avvicendarsi
sindaci e commissari prefettizi in seguito a contenere l'emigrazione
che, fin dalla fine del 1800 ed oltre, aveva causato la disertazione
dalla terra danneggiando l'economia agricola. Per fronteggiare tale
difficile situazione del Comune e bloccarne l'emigrazione (173), nel
1886 il Consiglio deliberò, sapientemente quanto segue:
"Nell'attuale crisi agraria, - cosi da un documento del 24 ottobre 1886,
giacente presso l'Archivio di Stato di Potenza, - che su larga base ha
colpito questo paese per effetto di una emigrazione senza limiti,
occorre che sia dato novello indirizzo all'agricoltura in questo Comune,
se si vuole scomparire il pericolo di vedere un giorno tutto questo
tenimento abbandonato al pascolo e che perciò sarebbe necessario
l'impianto di un orto agrario nel quale trovassero posto esperimenti con
diversi metodi di coltura razionale ed a tale bisogno si presta
meravigliosamente il seminatorio pertinente questa Congregazione di
carità nei pressi dell'abitato alla Contrada Via Piana e raggiunge tale
scopo se il Consiglio delibera di prendere in enfiteusi perpetua sia la
casa come il seminatorio agricolo" (174).
A nulla valsero le decisioni del Consiglio Comunale: il flusso migratorio
ebbe il suo normale svolgimento se non proprio un incremento spaventoso.
Alcune amministrazioni purtroppo, furono caratterizzate da soprusi,
disordini, licenziamenti sconsiderati 175 del personale alle dipendenze
del Comune, aprendo così le porte alla sfiducia ed a delle vendette
personali. E' troppo lontana per Picerno l'alba di un sospirato giorno
radioso!: questa cittadina che si trova nella completa impossibilità di
sanare il deficit pubblico, continua a vivere una magra vita fatta di
stenti e di miseria!
Le esigue entrate che derivavano sia dalle riscossioni del fido sul
bestiame tenuto al pascolo nel demanio pubblico (176) sia dalle tasse
imposte sui cani di lusso e da caccia (177), sia dalle penalità inflitte
ai contravventori sia dal periodico taglio di boschi (178) sia dalla
vendita della neve (179), erano insufiicienti a coprire le spese
ordinarie del Comune ed a soddisfare le esigenze dei propri pochissimi
dipendenti. Si verificarono ritardi nell'invio di stipendi ai pochissimi
insegnanti elementari comunali i quali, alcune volte, sopportando dei
veri sacrifici, si offrivano spontaneamente ad anticipare, per conto del
Comune, canoni dei fitti scaduti ai proprietari dei locali scolastici
disseminati qua e là in abitazioni private (180).
Tristissime le condizioni di Antonio Cerbasi, "Pedone di posta" che si
vede privato del proprio posto di lavoro, dopo due anni di servizio
malamente retribuito (28 carlini al mese). Erano rimaste inascoltate le
sue richieste di un aumento delle proprie competenze. Egli, per il
disimpegno del suo servizio postale, era costretto a recarsi alla
Taverna, luogo di stazionamento della vettura postale, due volte al
giorno. Il cammino di quattro miglia veniva effettuato il più delle
volte in compagnia di gente armata e di fiducia, specie quando gli
venivano affidate grosse somme di denaro. Di frequente, specie quando
doveva ritirare pacchi in arrivo con "l'ordinario" da Napoli, vi
pernottava. Erano a suo carico sia le spese di pernottamento e sia
quelle per gli accompagnatori.
La lettura di un manoscritto reperito presso l'archivio di casa Caivano
consentirà al lettore di farne le debite considerazioni: "Le condizioni
finanziarie di questo Comune, come V. S. Ill.ma ben conosce, sono
purtroppo deplorevoli, e lorquando una economia, senza discapito del
pubblico bene, possa farsi, io non esito a rivolgerne preghiera alla S.
V. tanto tenera dell'interesse dei Comuni. Ora in riscontro
all'autorevole nota a margine segnata, mi permetto fare rimarcare: 1) In
questo Comune sonvi già due maestre Femminili e tre maschili. 2) Se
questo paese figura nel censimento per una popolazione di 4401, pure
debbe in effetti poi considerarsi inferiore ai 3000 abitanti per la
sempre crescente spaventevole emigrazione. 3) Le alunne della defunta
Maestra Gaimari erano appena nel numero di sei, già affidate alla
Insegnante Martin. 4) All'epoca in cui si è giunti la nuova Insegnante
non compirebbe che un paio di mesi di scuola, essendo prossime le
vacanze il chè senza lavoro e senza utilità del Comune e delle alunne
verrebbe a percepire lo stipendio delle vacanze.
Per tali considerazioni mi permetterei pregare V. S. Ill.ma volersi
degnare dispensare per questi pochi mesi il Comune dall'obbligo della
nomina di una terza maestra il che cagionerebbe una spesa di ben 600
lire, potendosi provvedere al principio dell'anno scolastico.
Mi auguro vedere accolte le mie preghiere restando in attesa di ulteriori
disposizioni".
Il deficit testè denunciato doveva essere senza dubbio legato oltre che ai
motivi anzi esposti, anche alla necessità ed ai momenti contingenti in
cui spesso si veniva a trovare il Comune. Frequentemente infatti del
denaro disponibile doveva farsi uso diverso da quello previsto dal
bilancio annuale. Così - ad esempio - uno storno alle spese pubbliche fu
indispensabile in occasione della chiusura del Convento. Il Comune,
secondo l'art. 28 del decreto Luogotenenziale, del 17 febbraio 1861,
dovette dare un suo aiuto economico ai frati obbligati a lasciare il
Convento dei Cappuccini.
Fu lunga l'attesa per vedere realizzato l'ampliamento della illuminazione
pubblica a gas, opera che si compì soltanto nel 1909. Il numero dei
fanali fu raddoppiato e da 21 passarono a 42 (181). I fanali dovevano
rimanere accesi soltanto per quattro ore ordinariamente solo nelle sere
non illuminate dalla luna e straordinariamente - dice un documento del
1909 consultato presso l'Archivio di Potenza -, ogni qualvolta sarà
riconosciuto opportuno dal "Sindaco". Due appena erano gli incaricati al
servizio di accensione dei fanali. Inoltre molto denaro veniva assorbito
dall'assistenza sanitaria ai bisognosi ai quali spesso si accordavano
sovvenzioni straordinarie e, spiacevole a dirsi, si provvedeva loro
anche di casse funebri (182).
Epidemie, malattie dell'infanzia quali la scarlattina, il morbillo,
conseguenze queste di una condizione di vita in ambiente malsano (fogne
scoperte, scoli di latrine dovunque), richiesero un ulteriore intervento
della pubblica assistenza in modo che, e le riparazioni di strade (183)
e i lavori di sistemazione del cimitero, dovettero essere rinviati
ulteriormente.
Comunque, grazie alla solerzia di alcuni amministratori, vennero intanto
realizzate delle opere di pubblica utilità quanto mai indispensabili:
furono infatti disciplinate le acque dell'Ontrato (184), ne fu
ricostruito il ponte che innalzato nel 1878, era crollato a causa del
terreno franoso, fu inoltre, d'accordo con le autorità ecclesiastiche,
riattato il campanile della chiesa madre, acquistato e messo in opera
l'orologio da torre; furono costruite le mura di cinta del Cimitero
nonché un casone, tre vasche-abbeveratoio al bosco Monti Li Foj. Fu
anche definita la vertenza con la ditta Storti riguardante la
costruzione del Cimitero, comportante la restituzione della cauzione
versata a suo tempo, fu dissodata una zona del Bosco del Principe di
Moliterno (185) e, infine, fu acquistato, da Agata Mancini fu Paolo e
Giulia Caivano fu Gerardo per la somma già accantonata dal citato
Commissario Vincenzo Villamena, l'attuale Casa Comunale (186) mediante
l'opera attiva del podestà Gerardo Caivano coadiuvato dal funzionante
segretario Vincenzo Caivano, nel 1925. Nello stesso periodo si amplia la
rete elettrica per l'illuminazione pubblica e privata nonché si provvede
all'erogazione dell'acqua potabile per il centro abitato (187).
Intanto il Comune di Picerno tentava il recupero di terreni usurpati da
privati verso la fine dell'800 per la poco efficiente sorveglianza delle
autorità competenti (188), Ma il tentativo non fu coronato da molto
successo giacchè, come si rileva dalla relazione del signor Michele
Laurita presentata al Prefetto il 2 febbraio 1913: "Le terre reintegrate
rappresentano ben poca cosa in confronto ad altre larghe ed importanti
usurpazioni sfuggite alla verifica molto sommaria eseguita nel 1899,
giacchè non trascurabili estensioni, poste tra le zone ritenute usurpate
e di cui fu disposta la reintegra e il restante demanio libero, sono
possedute pacificamente da maggiorenti del paese".
Con la prima guerra mondiale questo paese subì una nuova crisi agraria e
commerciale per la mancata presenza di giovani che, numerosissimi, erano
stati richiamati alle armi. Dannosissimo fu per la popolazione di
Picerno il lento disbrigo delle pratiche degli uffici per l'assenza dei
pubblici impiegati in gran parte arruolati.
Tra i gravi disordini che seguirono nel periodo del dopo guerra, gli ex
combattenti si organizzarono ed, in seguito all'affermarsi, a Picerno,
del fascismo, nacquero le organizzazioni fasciste, sotto la guida
dell'assistente alle ferrovie dello Stato Vincenzo Borriello.
Non pochi si arruolarono, in seguito, come volontari nelle Camicie Nere, e
sopratutto giovani capifamiglia parteciparono alle varie campagne di
guerra fiduciosi di trovare in tal modo, una soluzione valida ai loro
problemi economici anche allora molto gravi.
d) Picerno alla caduta del fascismo.
Alla caduta del fascismo non si verificarono a Picerno nè schiamazzi nè
azioni di vendette, nè violenze pubbliche o private: tutto sembrava
previsto, ineluttabile!
A Picerno, dove manca un Comitato di Liberazione Nazionale e non esistono
partiti politici, col ritorno alla auspicata libertà, nella
realizzazione dei principi democratici, gli amministratori del
dopoguerra, su cui gravita tutto il peso delle conseguenze di una guerra
perduta, si avvalgono della collaborazione offerta loro dalla "Consulta
Comunale del Popolo". Questa, costituita nel 1945 su proposta del
Sindaco Antonio Tomasillo per una più larga partecipazione del popolo
all'amministrazione della cosa pubblica, formata da 32 cittadini
picernesi scelti tra le varie categorie sociali: 1. Comm. Mons Umberto
Lazzari fu Alessandro; 2. Guglielmo dott. Caivano; 3. Nicola Massari; 4.
Rocco Salvia fu Francesco; 5. Capece Felice fu Nicola; 6. Domenico
Pellegrino fu Francesco; 7. Donato Lettieri di Giovanni; 8. Antonio
Russo fu Tommaso; 9. Vincenzo De Angelis di Emilio; 10. Vincenzo Parisi
fu Giuseppe; 11. Donato Tomasillo fu Pasquale; 12. Giuseppe Marcantonio
fu Nicola; 13. Antonio Russillo fu Pietro; 14. Pietro Russillo fu
Francesco; 15. Rocco Russo fu Nicola; 16. Rocco Curcio di Antonio; 17.
Gerardo Curcio fu Francesco; 18. Giuseppe Marsico fu Felice; 19.
Giuseppe Cappiello fu Felice; 20. Gerardo Faraone fu Nicola; 21 Nicola
Marcantonio di Alessandro; 22. Ubaldo Croce fu Giuseppe; 23. Rocco
Marino fu Felice; 24. Felice Casale fu Gerardo; 25. Rocco Buono fu
Francescantonio; 26. Francesco Mauro fu Giuseppe; 27. Cosimo Marcantonio
fu Antonio; 28. Saverio Caivano fu Giuseppe; 29. Gerardo Iasparra di
Antonio; 30. Donato Iasparra di Gerardo; 31 Gerardo Moscarelli fu
Antonio; 32. Rocco Russo fu Feliciantonio, vuole rappresentare la "voce
del popolo" in seno alla Amministrazione.
Assistenza in genere ai bisognosi (circa 800 gli iscritti nella lista dei
poveri), disoccupazione, sistemazione di strade, protezione del
patrimonio boschivo, costruzione di fognature, revisione del quadro
organico degli impiegati del Comune ed altro, sono i problemi tra i più
urgenti che si affrontano.
Reperire denaro ad ogni costo diventa una necessità. Si operano quindi
tagli di boschi, si ritoccano le tasse, se ne applicano di nuove con
grave malcontento della popolazione così tristemente provata ed infine
si va lentamente verso una certa costruzione. Si assicura innanzitutto
al popolo, come nel passato, l'assistenza sanitaria, quella materna e
quella pediatrica e, negli incarichi di Ufficiale Sanitario e Medico
Condotto si avvicendano i medici dott. Giacomo Molinari, Libero dott.
Cornacchione e Teodoro dott. Settanni. Si concedono ettari 20 di terreno
della contrada Li Foy ai coltivatori diretti meno abbienti, si ripara
qualche tratto di strada cittadina, si istituisce un servizio
automobilistico Potenza-Picerno-Lagonegro e infine si istituisce la
Scuola di Avviamento professionale, su richiesta del popolo.
Si istituisce il mercato mensile per il commercio paesano di animali
bovini, caprini, suini e vari; nasce la prima scuola materna a cura
dell'Ente Pugliese di Cultura Popolare, si dà inizio alla costruzione di
Edifici scolastici nelle zone rurali; opera in Picerno, infine l'U.N.L.
a cura dell'insegnante Raffaele Scafati.
Durante la Costituente Picerno "fa voti al Governo democratico
repubblicano che, qualora l'Ente Regione debba avere vita nel nuovo
ordinamento costituzionale dello Stato, la Lucania venga riconosciuta
come Regione autonoma entro quei limiti e le sue tradizioni le
consentono, ad esprimere parere sfavorevole all'accoglimento da parte
del popolo, dell'ordine del giorno presentato da un gruppo di deputati
salernitani per la costituzione della Regione Salernitana-Irpina-Lucana
con capoluogo Salerno".
Picerno aderisce infine prontamente alla patriottica iniziativa affinché
le "fosse Ardeatine a Roma divengano Monumento Nazionale del II
Risorgimento Nazionale" (189).
Intanto, delle forze politiche "per la maggioranza liberali e per la
minoranza di colore incerto che rappresenta - così dalla lettera del
Tenente dei Carabinieri Reali di Picerno al Prefetto in data 3-7-1914 -
la lega operaia costituita e diretta dal partito socialista" (190) parte
si schierò con la democrazia cristiana e parte si raccolse intorno al
cosidetto "Blocco" che si presentò alle due prime elezioni
amministrative sotto il simbolo e con la denominazione "Spiga di Grano".
Sicchè le vecchie correnti già citate: partito di "sopra" e partito di
"sotto", costituitisi all'indomani dell'Unità d'Italia e,
alternativamente rimasti al potere politico-amministrativo di questa
cittadina fino al 1922, riprendono vita. Luoghi di incontri, di
discussioni, di accordi, di discriminazioni e decisioni, divengono
alcune abitazioni private tra cui quelle di Salvia, Barbarito, Caivano,
Figliola, Tarulli e Capece, mentre idee talvolta le più contrastanti,
diffuse dalla stampa, raggiungono i casolari più lontani. La popolazione
si entusiasma e, presa coscienza di poter disporre finalmente della
propria libertà, soffocata fino dal 1922, orbita animatamente sia
intorno alle famiglie Barbarito, Salvia e Figliola ed altre (partito di
"sotto"), che capeggiano il movimento di ispirazione nittiano, ed a
Nitti (191) Reale, Petraccone di Muro Lucano e Pignatari di Potenza
fanno capo, e sia intorno alle famiglie Caivano, Tarulli e Capece ed
altre (partito di "sopra") che si ispirano a De Gasperi. Una insanabile
spaccatura tra la cittadinanza picernese è inevitabile.
Lungo e travaglioso è il periodo preelettorale, attivissima la propaganda
suffragata dalla presenza a Picerno di degne personalità. L'inserimento
della donna nella politica fa si che le cose di Picerno assumino un
aspetto più eclatante e rumoroso. Per l'allettante miraggio della
libertà e dell'autogoverno, nel 1946 sembra ripetersi in questa
cittadina, anche se sotto altra forma, l'eroismo incruento sì, ma
eroismo, del 1799.
Il risultato delle elezioni favorevole alla "Spiga", determina un clima
insostenibile; la gioia dei vincenti è al colmo, incontenibile il
tripudio e, contro i democristiani prudentemente e cautamente chiusi
nelle rispettive abitazioni, si scaglia feroce e delirante la folla con
motti, sberleffi, grida, prepotenze e piccole vendette e Picerno vive
ore, giorni, e notti, perché nasconderlo? di inenarrabili episodi di
eccessi di euforia e di frenetico entusiasmo.
La volontà ferma di rinnovamento di questo popolo non si tradisce e al
Referendum Monarchia - Repubblica, Picerno raccoglie la maggioranza dei
voti in favore della Repubblica.
Non meno facile la preparazione alle elezioni successive e, alla
competizione elettorale del 1950, lo "Scudo Crociato" è assente; la
"Spiga", raccogliendo i frutti sperati, di nuovo è al potere. Ma nello
stesso momento, i versi "La Spiga con la "Croce" è andata al Cimitero"
cantati sul motivo di "Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti",
preludendo ad una prossima scissione delle due forze politiche D.C. e
"Spiga", salutano l'insediarsi della nuova amministrazione.
In seguito lo "Scudo Crociato", in opposizione alle liste "Il Comune al
Popolo e MSI + Partito Monarchico" vince le elezioni del 1956
laboriosamente e capillarmente preparate dai vari partiti e si cantano,
sul motivo di "Vento portami via con te", i versi pacati, spontanei e
dignitosi:
Da cantarsi sul motivo di Vento
Niente schiamazzi,
come quella sera,
Spiga d'aprile, di primavera,
che già cantasti la terza vittoria,
senza pensar piuttosto, che la gloria
è capricciosa un pò come la luna
coi quarti d'ora di celebrità.
Spiga, Spiga
mietuta innanzi il dì,
ricordati che il mondo è fatto a scala
e chi è disceso prima dopo sale.
Questa è la vita vera,
queste son le elezion:
Soffi, Soffì e giochi d'illusion !
Fu sordo, certo, il vostro campanaro,
Spigolatori, spigolatori,
oppur non volle come gli elettori,
dirvi ben chiaro che gli sfruttatori,
dopo un anno. . . due e poco più. . .
sono costretti con la testa in giù.
Spiga, Spiga, Spiga
perdesti le elezion
facesti voli con la fantasia
e sei caduta come le bugie.
Fidasti nel proverbio,
senza pensare che,
credimi, credimi
c'è un due senza tre...
E' un gran dolore,
per la giunta intera,
perdere il voto a... primavera...
povere vacche che dalla marina
ritorneranno presto alla collina,
è sol per loro . . . che noi ci doliamo,
gli aumenti - fida chi li pagherà ?
Spiga, Spiga
SPIGA spigolator,
passa la giovinezza per la via,
c'è tanto sole e tutto è in allegria.
La primavera è in fior,
maggio è sui prati già,
Godi, godi,
Godi e non ti arrabiar.
In seguito si è andato alle urne con più senso di responsabilità, con più
coscienza, indipendentemente al sussistere dei seri motivi di disappunto
tra i vari partiti in competizione. Si trascrivono i documenti relativi
alle elezioni amministrative dal 1946 al 1975:
Anno 1946: liste presentate: "Spiga" e "Scudo Crociato"; lista vincente:
"Spiga"; voti ottenuti 1386; Sindaco: Dott. Francesco Figliola.
Anno 1952: liste presentate: "Spiga" e "Fiamma"; lista vincente: "Spiga";
voti ottenuti: 1677; Sindaco: Rocco Barbarito.
Anno 1956: liste presentate: "Il Comune al Popolo e MSI + partito
Monarchico" e "Scudo Crociato"; lista vincente: "Scudo Crociato"; voti
ottenuti: 1201; Sindaco: Gustavo Caivano.
Anno 1960 liste presentate: "Spiga" e "Scudo Crociato"; lista vincente:
"Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1942; Sindaco: Gustavo Caivano.
Anno 1964: liste presentate: "PCI" e "Scudo Crociato"; lista vincente:
"Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1439; Sindaco: Gustavo Caivano.
Anno 1970: liste presentate: "PSI", "PCI" e "Scudo Crociato"; voti
ottenuti: 1459; Sindaco: Gustavo Caivano.
Anno 1975: liste presentate: "MSI", "Torre (PCI + PST)" e "Scudo
Crociato"; lista vincente: "Scudo Crociato"; voti ottenuti: 1410;
Sindaco: Gustavo Caivano (192).
In base alle ultime elezioni amministrative a sistema maggioritario, dopo
due quinquennii a sistema proporzionale, Picerno attualmente è governata
da una giunta democristiana.
lll
160 Arch. di Stato di Potenza; Atti e Processi di valore storico.
161 Molto scarso il pane di grano riservato solo ai malati. I maccheroni
venivano confezionati in casa quali "laan'", "strasc'nar'", "fusidd'",
"r'cchi'tell'", ecc. raramente si acquistava la pasta fornita dal
laboratorio molto modesto ubicato verso Bassa la terra.
162 Arch. di Stato: Da Atti e Processi di valore storico 1783 e s. cart.
73 fasc. 5 Documenti relativi al passaggio di Truppe Reali nel
Territorio della Provincia.
163 Arch. di Stato: Fondo di Prefettura Plebiscito.
164 Arch. di Stato di Potenza; Fondo Plebiscito Cart. 2 fasc. 6-12.
165 Ibidem.
166 Achille Motta, picernese d'adozione poeta e Cancelliere di Pretura in
Mignano Napoli.
167 Si ritenevano briganti gli evasori dal servizio militare.
168 Achille Motta nel 1864 scrisse questa poesia dal titolo molto
significativo: Sonetto contro il Borbone riparato a Roma dove di
concerto col Papa, ci fomentò la piaga del brigantaggio.
Trema Borbon
già nel gran libro è scritto
l'alto decreto: più regnar non lice!
Diva legge lo scettro a te disdice:
Lascia Roma, Fellon, l'ha il ciel prescritto
La tua superbia al Nume giusto e invitto
Umilia: non tentarne l'ira ultrice!!!
Va ramingo pel mondo ed infelice !
Tradisti Italia! E' questo il tuo delitto!
Dell'Aquila grifagna ai feri artigli
Quasi l'intera Italia è ormai ritolta;
Quale dunque tua speme, a che t'appigli?
A rinnovar degli avi, alla tua volta,
Gli empi proponimenti e i rei consigli?
Ah! per Dio no 'l sperar, la speme è tolta!
169 Arch. di Stato. Atti e Processi di valore storico Cart. 245, fasc.
12-13.
170 Arch. di Stato di Potenza Atti e Processi di valore storico.
171 Idem
172 Nel testo poco chiaro.
173 Anche se di Picerno non sono in grado di fornire esatti dati numerici
riguardanti la emigrazione locale di questa epoca, perché mi è stato
impossibile reperirne, tuttavia ritengo utile per il lettore riportare
quanto riferisce il Racioppi in "Storia dei popoli della Lucania e della
Basilicata" nella nota a pag. 230 del secondo volume, onde esso possa
farsi un'idea pressocchè precisa dei motivi della inferiorità sociale
che ha colpito a lungo termine la nostra regione: "Dalla relazione
presentata alla Camera dei Deputati il 3 maggio 1888 dall'On. Rocco pel
progetto di legge sull'emigrazione: ·"Dalla sola Basilicata partirono
nel 1886, 10.642 emigrati, nel 1887 12.128. La popolazione di questa
provincia non arriva a 525.000 anime. L'émigrazione rappresenta dunque
in questa disgraziata provincia non soltanto il 2,94 per mille media
dell'emigrazione italiana, ma il 23 per mille. L'Irlanda non superò in
questo decennio il 17. E l'eccesso delle nascite sulle morti oltrepassa
di poco in questo paese il 5, come in Irlanda che è il 5,45. Abbiamo
dunque in questa Irlanda d'Italia una diminuizione annua progressiva che
è già arrivata al 23 per mille".
Le cause che diedero luogo al flusso migratorio non indifferente a Picerno
stesso sono da ricercarsi nella grande difficoltà a condurre avanti la
vita in una epoca in cui condizioni atmosferiche, mentalità politiche
correnti, imposizioni di tasse pesanti e sproporzionate, ne condizionava
il progresso e lo sviluppo di una vita civile. Da Arch. di Stato di
Potenza.
174 Congregazione di Carità da Arch. di Stato di Potenza Fondo Culto Cart.
234. Questa Congregazione al 1° settembre del 1911 possedeva i seguenti
beni di cui godeva piena proprietà: a) Casa palazziata alla via Palmieri
di otto vani al primo piano e di un vano al piano superiore; b) Rendita
in L. 22,50 annuale su un capitale di L. 600,00 circa; c) Rendita
annuale di L. 33,75 su un capitale di L. 900,00 circa; d) Rendita
annuale di L. 15,00 su un capitale di L. 400,00 circa; e) Censi, canoni
e capitoli ecc. provenienti dalle cosidette Cappelle del Gesù, di S.
Leonardo, del SS.mo Sacramento, del Rosario, del Crocifisso, del
Salvatore, di S. Donato, di S. Antonio e Legato Tarollo con una rendita
annuale di L. 3122,20. Con un capitale approssimativo di 62,444,00; f)
Armadi in legno del valore di L. 70,00, tavolo in legno noce ad uso
scrivania dal valore di L. 15,00; n. 6 sedie comuni dal valore di L.
5,00; g) Industria armentizia dal canone anuo di L. 17,93 su un capitale
di L. 358,60; h) pigioni delle scuole dovute dal Comune per gli anni
1905 al 1910 in L. 300,00; i) Canone dovuto dal Comune di un fabbricato
alla via Garibaldi per gli anni 1903; 1905; 1906; 1907 in L. 68,00. Per
l'amministrazione di tali beni venivano eletti due amministratori ogni
due anni. Detto Ente · fu spogliato dei suoi beni dal Credito Agrario
che nel 1906 si impossessò di questo Monte Frumentario ricco di oltre
1000,00 tomoli di grano di esclusiva proprietà di questa Congregazione".
Il Sindaco Nicola Caivano viene autorizzato a trattare con la
Congregazione di Carità ed a stipulare il contratto di enfiteusi
perpetua per il canone annuo non superiore a L. 100,00. Era segretario
Vincenzo De Meo, ed Onofrio Scappaturo, Giovanni Figliola, Rocco Felice
Di Pasqua ed Alessandro Lazzari erano in quell'anno i componenti della
Congregazione. La casa sarebbe stata utilizzata per ospitare la scuola
elementare. Questo Comune difetta di aule scolastiche di sua proprietà
Arch. di Stato di Potenza: Fondo culto e di Prefettura.
176 Venne licenziato, senza provati motivi; l'accendiluci Antonio
Fortunato che era da più anni in servizio col misero compenso di appena
sette lire mensili con l'obbligo di accendere i lumi delle vie, della
piazza e quello di custodire gli alberi che ornavano la strada dalla
stazione al centro abitato. Da Arch. di Stato Anni 1883-1887.
176 Nella seduta del 7 dicembre 1895 tenutasi nella Casa Comunale, su
delibera del Consiglio, si stabilirono sia le condizioni per l'affitto
delle Difese Comunali dal lo gennaio 1896 al 31 dicembre 1838 e sia
quelle riguardanti il bestiame tenuto al pascolo da privati, così come
segue:
I capi di bestiame non dovevano superare il numero di trecento unità; il
contratto era della durata di tre anni e il relativo canone di fitto
doveva essere corrisposto al Comune ratealmente. All'affituario era
severamente proibito raccogliere frasche, recidere rami, abbattere
alberi mentre vi era fatto obbligo di provvedere a proprie spese a
riparare siepi ed a farne di nuove. L'aggiudicazione doveva farsi
all'asta pubblica col sistema della candela: somma iniziale L. 500,00.
Per non più di 80 capi ovini appartenenti ad un solo stesso
proprietario, tenuti al pascolo, nel 1911 il Comune percepiva L. 311,00
annue. Da Arch. di Stato di Potenza Cart. 77.
177 Il regolamento contenuto in 16 articoli viene approvato dal Consiglio
Comunale del 18 settembre 1910. La tassa era di L. 1,00 a capo. Il cane
randagio sprovvisto di museruola veniva preso e venduto. Chi intendeva
riavere il cane doveva rimborsare al Comune tutte le spese sostenute per
il mantenimento della bestia oltre alla multa.
178 Per ventimila lire nell'anno 1897 si martellano e si vedono piante di
cerri, di faggio.
179 A Picerno manca la neve per la popolazione e, nella seduta del 12
ottobre si decide che il Rizzo provveda a ritirarla da altri paesi.
Bisogna intanto espurgare il fosso della neve. Arch. di Stato di Potenza
Cart. 1165 (Telegramma originale reperito presso la biblioteca Caivano).
180 Arch. di Stato di Potenza Cart. 1266 Fondo di Prefettura. Lettera
dell'Insegnante Alessandro Lazzari al Prefetto per sollecitare il
pagamento di mensilità arretrate ai colleghi e rimborsare mensilità
anticipate. Lettera della insegnante Amalia Martin diretta al Sindaco
per ottenere il rimborso di L. 50,00 versate a D. Gennaro Gavino fu
Luigi per fitto locali ad uso scolastico (16-10-1866).
181 Arch. di Stato Cart. 233; I lumi furono acquistati dal brigante
Domenico Chiarolanza in Napoli, Marsico Nicola costruttore.
182 Sovvenzione di L. 30,00 alla signora Carmina Carella ved. Bruno per
venire incontro ai bisogni della famiglia numerosa. Arch. di Stato di
Potenza - Fondo di Prefettura Cart. 1259. Delibera del 22 novembre 1884:
storno ai fondi di L. 19,00 per costruzioni di casse mortuarie ai
poveri. Cfr. delibera del 12 luglio 1883.
183 Sistemazione della via Garibaldi e del tratto di strada che dalla
chiesa madre va fino alla casa di Romeo. Nel 1907 il Consiglio Comunale
chiede al Governo del Re la costruzione della strada comunale
Picerno-Baragiano.
184 Arch. di Stato di Potenza: Fondo di Prefettura cart. 1358. I lavori
sull'Ontrato furono progettati dall'ingegnere del Genio Civile ed
eseguiti in economia dalla ditta Somma per L. 3.000,00. Cfr. delibera
consiliare dello ottobre 1895.
185 La zona indicata col numero 3175 di mappa sez. E di ettari 56
confinante con De Dovitiis e Calenda, da staccarsi da tutta l'estensione
del bosco di ettari 180, sarà destinata ad impianti di oliveti e
frutteti. Il Principe di Moliterno è rappresentato in questa occasione
da Giuseppe Pagliuca di Muro Lucano. Da Arch. di Stato di Potenza. Cart.
1258 Fondo di Prefettura.
186 Arch. di Stato di Potenza: Fondo di Prefettura cart. 233. In
precedenza la Casa Comunale era stata alloggiata in locali di fortuna,
spesso in più stabili separati anche molto indecenti e inadatti allo
scopo.
187 Fino a questa data la provvista di acqua veniva fatta mediante l'uso
di barili trasportati in testa dalle donne o a torso d'asino attingendo
a fontane o sorgenti delle campagne. Nel 1927 gli utenti dell'acqua
potabile proveniente dall'acquedotto pubblico erano 46: oggi essi non si
contano più. Il canone era vario e quello più alto era di L. 100, annue.
188 E' del 1886 un documento reperito presso l'Archivio di Stato di
Potenza Cart. 1272 riguardante la citazione contro gli usurpatori di
terreni agrari: presso la Casa Comunale esiste un ruolo detto "usurpato"
e riguarda l'elenco dei cittadini soggetti a versare il censo in misura
varia che grava sul terreno usurpato e non reintegrato.
189 Cfr. Registri degli atti dei consigli comunali. Arch. Comunale di
Picerno (1816-1976).
190 Ibidem.
191 Nitti, al suo rientro in Italia, volle visitare la Lucania e salutare
gli amici. Passò per il bivio e qui vennero ad incontrarlo alcuni
picernesi guidati da quelli che sostenevano le sue idee politiche. La
popolazione lo accolse festosamente e alla Casa Comunale fu offerto un
ricevimento in suo onore. Non meno entusiasticamente e calorosamente fu
in seguito l'accoglienza di Reale, Petraccone, Pignatari da parte di
quelli che caldeggiavano la lista "Spiga di grano".
192 Arch. Comunale di Picerno.
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