Nel 1926 nacque Lillino. Non importa dove, tanto, siamo sempre in
Lucania. Si sparse subito la notizia che era nato un maschio a Don
Gerardo Leo, soprannominato il "banchiere", il quale coronava così i
suoi precedenti successi con questo evento che, oltre ad essere lieto,
era anche un prestigio di famiglia per la continuità del cognome ed una
garanzia per le sue ricchezze e proprietà. Insomma era nato l'erede. Don
Gerardo infatti, tornato da New York un anno prima, stracarico di
dollari, orgoglioso e vanitoso qual era, fece l'ingresso nella cittadina
con una moderna FIAT-519-S-Mod. 1923 e fu accolto ed applaudito dai
pochi amici che lo attendevano nella piazza antistante la Chiesa. Il
silenzio che cadde su questo avvenimento vanaglorioso, fu presto rotto
da un altro veramente importante: la nascita del primogenito Donato Leo,
chiamato subito Lillino per la sua bellezza e vivacità. Seguirono molti
giorni di festeggiamenti tra Battesimo, pranzi, ricevimenti ed altre
pazzie che s'inventarono i coniugi Leo. La giovane signora Donna
Carmelina e le tante cameriere non vivevano che per Lillino, da tutti
considerato il beniamino della fortuna. Don Gerardo che stava lavorando
per mettere sù una Banca, era in stretto contatto epistolare con gli
amici di New York ai quali, esternando la sua gioia, faceva capire che
più felice di così non si poteva essere. Dopo qualche tempo però, la
robusta nutrice del bimbo, venuta dalle campagne circostanti, era
preoccupata quando metteva a nudo il piccolo per le dovute pulizie. Un
giorno, facendosi coraggio, disse a Donna Carmelina che il piccolo aveva
le spalle che non le piacevano. "Che cosa vuoi dire" disse Donna
Carmelina, "lo volevi ancora più bello?" Per un attimo le due giovani
donne della stessa età, piene di vita e di salute, guardandosi in
faccia, risero con la certezza di chi non ha ancora conosciuto malanni
di qualsiasi genere. Ma quando misero il bimbo con la pancia in giù,
notarono una decisa curvatura sulle rosee spallucce che ormai non
lasciava nessun dubbio. Una gobba. Oggi piccola, domani chi lo sa! Si
spensero i sorrisi per tanta ingrata sorpresa, man mano che i giorni
passavano, una triste decantazione si portava al fondo della coppa tutte
le gioie e le faville vissute fino a poco tempo prima. Tutta la casa
"Leo" era informata fino ai minimi particolari e alle tante donne che
erano in casa, tra nutrici e cameriere, sembrava un sogno la baldoria
delle feste trascorse, per cui taciturne si aggiravano per la casa,
attente solo ai servizi da compiere. Non si vociava più, né si cantava,
né si facevano le strane pazzie per le quali non bastava lo spazio dalla
casa fino al giardino a correre ed a gridare scambiandosi il bambino e
ad imbronciarsi fino alle lacrime da parte di chi lo teneva meno in
braccio. Ora tutto era finito, uno strano silenzio s'era impadronito
della casa, dove tutto era in ordine con quei mobili stile inglese e le
specchiere luminose, con quel celeste della stanza del piccolo che non
convinceva più nessuno. Don Gerardo, sempre occupato, ma felice, non
s'era accorto ancora di nulla, nessuno aveva ardito parlargli, neanche
la moglie. Ma uno strano atteggiamento della nutrice che tendeva ad
evitare lo sguardo del padrone, mise in allarme Don Gerardo il quale,
incontrando la nutrice nel corridoio senza quel sorriso campagnolo
aperto e sincero, le disse: "che c'è, le tue splendide tettone non hanno
più latte?... o ti senti dimagrita... forse la tua padrona non ti fa
mangiare bene?..." Non avendo avuto nessuna risposta dalla nutrice, si
recò subito dalla moglie. "Cosa c'è", le disse senza preamboli, "il
bimbo sta male?"
Neanche Donna Carmela rispose al marito il quale, continuando ad insistere
con altre domande, ebbe come risposta dalla moglie un singhiozzo
soffocato che implicitamente ammetteva l'esistenza di qualcosa di grave.
"Allora?" puntualizzò Don Gerardo. Nello stesso tempo la moglie tolse la
camiciola al bambino, mostrando le spalle nude del piccolo al marito
dicendogli: "allora... ecco cosa c'è." In un attimo Don Gerardo
nell'ammirare le carni rosee del bambino, notò quell'anomalia che aveva
turbato le donne e tutta la famiglia. Anche lui rimase turbato, assai
turbato. In silenzio si allontanò dalla moglie e per molte ore rimase
solo nel suo studiolo dove forse pianse, forse imprecò contro qualcuno
pensando infine ad una beffa del destino. In casa Leo passarono
definitivamente le feste, passò la gioia e quella sorta di felicità che
non sembrava di questa Terra e la triste notizia, piccante per gli
invidiosi, non tardò ad infiltrarsi in tutte le case della cittadina.
Dopo un determinato periodo di pettegolezzi e di commenti, la maggior
parte inutili, della cosa non se ne parlò più, ma nella mente di tutti
Lillino fu subito considerato un sicuro emarginato. Ma tale, Lillino,
non si sentiva proprio poiché dalle fasce del neonato alla sua
fanciullezza, ignaro di quanto avveniva intorno a lui, levava
inconsciamente un suo intimo canto di gioia alla vita, in una parola:
era felice.
Non certo per merito dei genitori e questo è più che scontato, dei parenti
o delle cameriere, ma dei piccoli amici della prima infanzia i quali gli
sorridevano, innocenti, giocando e rincorrendosi nel grande giardino di
casa Leo. Questi bambini erano i figli dei vicini e di qualche domestica
di famiglia e talvolta non mancava che qualcuna di queste mamme
sgridasse il suo piccolo perché... "Perché mamma non posso giocare con
Lillino?"
"Perché Lillino ha un rospo sulla spalla e se quello salta viene sulla
tua". Ma ciò non distoglieva per nulla i bimbi dal giocare con Lillino
che continuava a godere la sua innocente felicità. Ma crescendo i
piccoli amici capirono che il rospo paventato dalle mamme altro non era
che una gobba sulla spalla di Lillino. Il quale, per nulla turbato,
ripeteva agli amici le stesse nuove ingiurie che essi gli rivolgevano:
"Lillino, lo sai che hai la gobba?" "Ma anche tu ce l'hai, soltanto che
ti è impossibile vederla, perciò voltati e la vedrai anche tu". E mentre
quelli si voltavano innocentemente per vedersi la gobba, lui rideva e
rideva mettendo in imbarazzo tutti quanti. Ma questi giochi, queste
divertenti schermaglie non erano per nulla condivise neanche dai suoi
stessi genitori i quali, in segreto, maturavano l'insano programma di
far dimenticare a tutti che i coniugi Leo avessero un figlio e per di
più, un figlio gobbo. I suddetti, quindi, vivevano per quello che diceva
e pensava la gente, per cui il loro amore per Lillino consisteva solo
nel vestirlo e nel nutrirlo, ma senza carezze, senza baci.
L'amore e l'affetto da dare a chi si ama e da non subordinare a speciali
doti o difetti fisici, non hanno né epoche e né luoghi speciali su cui
esternarli. Ma questo, Don Gerardo il banchiere con tutti i suoi soldi
assieme alle sue inutili esperienze, non l'aveva capito e come lui Donna
Carmela, di famiglia blasonata ed amici del Re. Per queste cose appunto
essi vivevano. Infatti la vita affettiva del signor Leo subisce un
taglio netto nei riguardi del figlio, quando scopre che questi ha la
gobba e la stessa cosa dicasi per la moglie. Ed assieme ad essi, persone
di famiglia, cameriere ed inservienti compresi, come in una intesa
malvagia tramano una congiura sotterranea contro Lillino. E la gente
comune del paese o cittadina che fosse? No ai monti Taigeti, sì
all'emarginazione degli zoppi, dei malformati, ciechi e dementi il cui
apparire in pubblico è un'onta, un calo di prestigio... ma santo Cielo,
nei riguardi di chi?... Ma della facciata, della maledetta facciata da
salvare. Infatti era un'onta per il "banchiere" che faceva la spola tra
il suo paese e New York, farsi vedere col figlio che aveva la gobba. Era
una vergogna per Donna Carmela, una bella donna, accompagnare a
passeggio il piccolo gobbetto. O forse mi sbaglio? Sì, mi sbaglio e
allora, supponendo che detti genitori avessero veramente amato Lillino,
non potevano più salvare il loro prestigio agli occhi della gente della
quale tutti, oltre Don Gerardo e signora, erano ancora succubi ad
eccezione di pochissimi. Quali potevano essere, quindi, i commenti di
questa che con tacita intesa condannava all'emarginazione i malformati?
Bravi i coniugi Leo che con coraggio accudiscono ed aiutano a vivere il
loro sfortunato figlioletto? Penso proprio no, poiché questo pensiero
avrebbe messo in fuga tanti satanelli con tutte le loro perfide
tentazioni, ma sapendo che questi piccoli innominabili nel Mondo la
fanno da padroni, ecco i probabili e degradanti commenti che la gente
poteva fare: "Ho visto Donna Carmela col figlio gobbo che andavano a
passeggio... che peccato, ha perduto tutta la sua bellezza, era così
triste che non mi ha guardato neanche in faccia". Due: "l'altro giorno
ho visto Don Gerardo col piccolo gobbetto che sorrideva felice, mentre
lui aveva perduto tutta l'aria baldanzosa d'un tempo". Tre: "ho saputo
che Don Gerardo parte per sempre dall'Italia, ma per forza, con quel
figlio così, non se la sente più di farsi vedere in giro". Quattro,
cinque e via di seguito sempre lo stesso leitmotiv. L'idea, quindi, che
i coniugi Leo affrontassero con coraggio questo stato di cose, quello di
doversi sentire vicini al loro figliolo che, tra l'altro non si sentiva
per nulla infelice, era molto lontano dalla realtà. Infatti, per
l'ambizione di voler essere primi in tutto e conservare integro (secondo
loro) il loro prestigio, per il desiderio di sentirsi liberi
psicologicamente e continuare così a sorridere alla vita, non volevano
essere oggetto di simili compianti della gente, per cui avevano
condannato ad una morte peggiore della stessa, l'innocente Lillino col
privarlo di un abbraccio o dello slancio di un abbandono o di trattarlo
almeno come le loro serve o i camerieri della loro casa. E tutti quelli
che gli stavano intorno? Tutti quelli che fino a pochi anni prima si
contendevano il corpicciolo di Lillino onde coprirlo di ogni tenerezza?
Questa gente e tutti quelli che erano vicini al piccolo, certamente più
stupidi che buoni, non immaginavano minimamente quanto grande potesse
essere per una creatura l'infelicità nel sentirsi emarginata. È proprio
vero che per i malvagi in ogni tempo, l'amore vero è un sentimento
d'altri tempi. Solo lo scherno era di casa per Lillino, accompagnato da
un occulto e sadico piacere da parte di tutti nel vederlo muovere
guardingo i suoi occhietti mobili e intelligenti e vederlo soffrire...
tanto, era un gobbo, e come tale, un deficiente che non capiva niente.
In fondo, pensava la gente, non lo amano neanche il padre e la madre,
quindi... In questo modo i genitori di Lillino pensavano di aver
esorcizzato la paura di essere creduti infelici dalla gente, per cui il
signor Leo andava e tornava dall'America con disinvoltura, mentre la
moglie faceva e riceveva visite dalle signore per bene. Talvolta dava
ricevimenti importanti, quasi ufficiali, con feste da ballo in piena
regola, durante le quali Lillino usciva furtivamente dalla sua stanza
per nascondersi dietro le tendine dei balconi onde godersi la festa e
sentire la musica che gli piaceva tanto. Ma non appena gli occhi vigili
delle cameriere lo scoprivano, erano subito là a prelevarlo, anche con
violenza, se necessario e portarlo di peso nella sua elegante stanzetta
celeste. In fondo erano questi gli ordini di Donna Carmela. Chiaramente,
se Lillino fosse apparso improvvisamente in mezzo al salone da ballo,
avrebbe suscitato uno scandalo per tutte quelle persone "per bene" che,
senz'altro sarebbero rimaste sconcertate nel vedere un bambino con la
gobba in quella "importante" circostanza. E poi, chi avrebbe pensato fra
gli invitati venuti da Salerno, da Napoli e da Roma che quel bambino
poteva essere il figlio del prestigioso "banchiere" Don Gerardo Leo?
Perciò, guai a farlo sapere e se, malauguratamente fosse successo una
cosa del genere, sarebbe naufragata la bella serata di ricevimento con
tutta la sua orchestrina coi suoi valzer di Strauss e col moderno
Fox-Trot di recente importato dall'America dal brillante Don Gerardo,
provetto ballerino che si vantava di imitare bene il "Passo della volpe"
che in inglese suona Fox-Trot. Piangendo, quindi, Lillino sentiva la
musica dalla sua stanza celeste, guardato a vista da una cameriera la
quale sarebbe tornata a pascolare le capre o a mangiar pane di granone
se Lillino avesse di nuovo eluso la sua vigilanza. Quale grande peccato
non aver capito il pensiero del gobbetto che con disinvoltura usciva con
i compagni dai quali, pur sentendosi talvolta schernito, era ugualmente
allegro? Anzi, prendendo viva parte ai giochi, li faceva persino ridere.
Chissà come avrebbe divertito i signori blasonati (forse con le medaglie
al petto) venuti dalla Capitale se avesse avuto la libertà di farlo ed
anche se lo avessero deriso per la gobba, maggiormente sarebbe stato
felice sicuro di far felice gli altri. Ecco il pensiero di Lillino. Ma,
punto e daccapo... e il prestigio di Don Gerardo?... e di Donna Carmela?
E tutta quell'inutile gente fatta di nobili e di altolocati, servi
compresi, non sarebbe rimasta paralizzata ad un simile spettacolo?
Oppure avrebbero detto, chiaramente all'unisono: "evviva, in questa
grande serata da ballo i gentili coniugi Leo hanno chiamato anche un
piccolo buffone per farci divertire". Ecco le facciate da salvare che
s'incontrano (nell'ipocrisia), quella dei coniugi Leo e quella degli
invitati speciali e della gente... nessuna delle due avrebbe capito
Lillino. Il quale, mentre continuava ad essere sorvegliato nella sua
stanzetta, piangeva e pensava alle prime volte quando cominciava ad
accorgersi di non avere dagli altri un minimo di calore, ma di venire da
tutti brutalmente isolato. Ma non era quella dannata malformazione a
farlo soffrire, bensì quel sentirsi bersaglio di sguardi perennemente
ammiccanti, per quei falsi risolini ipocriti che si spegnevano quando
lui guardava in faccia i derisori. La sua intelligenza veniva stimolata
dalla falsità dei suddetti e dietro i finti sorrisi capiva cosa
pensavano di lui: sei ricco, ma sei gobbo, hai bei capelli, ma ti
servono per coprire la tua imperfezione... e poi, non ti vogliono bene
neanche tuo padre e tua madre".
E nessuno, mai nessuno disposto a sorpassare questo ostacolo, nessuno a
notare che Lillino non era il solito gobbo basso e deforme, ma che era
persino simpatico quando sorrideva o quando i suoi occhietti neri
lampeggiavano alla vista di una bella ragazza. Maledetta mitomania che
deifica il corpo, ignorando che è un effimero scrigno che racchiude una
perla da custodire. E intanto dalle edicole di tutto il Mondo, dai
chioschi carichi di riviste colorate, come alberi carichi di frutti
avvelenati, giunge un solo grande messaggio all'Umanità fatto di sole
tre parole: giovane, bello, efficiente. Forse le parole di sempre, le
stesse dei compagni di Lillino, della gente, dei coniugi Leo. E allora
che dire a questo punto dell'innocente gobbo? Il quale pur non essendo
felice per i riflessi negativi degli altri era tuttavia sereno e questa
serenità, che nessuno poteva togliergli la voleva trasmettere anche agli
altri? Ma gli altri, questi illustri anonimi non l'accettarono mai. E il
Sole, "LO MINISTRO MAGGIOR DELLA NATURA", col quale Lillino parlava nei
tramonti, confidandogli i suoi segreti e tutto se stesso, che ne pensava
della sua gobba? Ma il Sole, testimone delle "SCIAGURE UMANE" ed unico
conforto di Lillino, non s'era accorto della sua gobba.
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