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BELLEZZA NOSTRA
a cura di Piero Frullini

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LE NOZZE E LA FAMIGLIA
 

Rebecca e la nonna Mariannina siedono una di fronte all’altra. Tra loro, il tavolino basso di palissandro intarsiato su cui poggiano luccicando gli oggetti d’argento.

E una grande fotografia, che riporta a tempi lontani. Rebecca insiste:

“Racconta nonnina!”

Dalla penombra del crepuscolo, dopo un silenzio attento, giunge la voce flebile:

“Le favole non si dovrebbero raccontare, ma solo viverle e poi tenersele dentro...

“Eri così felice coi figli, i nipoti e gli amici, per la festa delle vostre nozze d’oro!”

La nonna si sveglia dal torpore dei ricordi.

“Lo sono sempre stata, da allora.” La ragazza capisce che un tempo lunghissimo si snoda nel cammino della memoria, partendo da lontano.

“Quel giorno a Palazzo nevicava...” Intorno, nell’aria della sala, tutto diventa bianco, come in quel quattordici dicembre del quarantasette al paese nativo. E nel bianco si muovono le parole diventate improvvisamente più decise.

“Ho aspettato quel giorno per molto tempo. Quel giorno e Peppino. Lui si era dichiarato soltanto un anno prima, ma io sapevo che aveva avuto in mente solo me. Lo sapevo da quando mi aveva scelto, senza dir niente neppure a sua madre, dieci anni prima. Avevo appena sedici anni quando mi aveva guardato con gli occhi che parlavano. Io avevo capito che voleva seguirmi nel crescere mentre lui avrebbe preparato tutto per la nostra vita.

“Allora veniva spesso alla bottega di mio padre, con la scusa di far mettere un ferro nuovo a uno dei cavalli della masseria. Se c’ero anch’io, ci guardavamo a lungo senza parlare, perché in silenzio si capiva meglio quello che volevamo sapere. Poi tuo nonno Peppino partì per Roma, partì per la guerra, tornò dalla prigionia. Io aspettavo cucendo vestiti da sposa per altre ragazze del paese. Ma aspettando pensavo al mio vestito per il giorno delle nozze.

“Un certo giorno mi fece sapere che era venuto il momento di raccontare a tutti che l’attesa era finita. Ora lui aveva fretta. Voleva persino sposarmi per procura”.

Rebecca osservava il viso della nonna trasformato dal piacere del sorriso nato spontaneo dal racconto.

“Ma io avevo bisogno di verificare che l’uomo che avevo immaginato, sognando per tanto tempo, non avrebbe distrutto la sua figura nata dentro di me. Così lo costrinsi a corteggiarmi da vicino, perché volevo scoprire com’era fatto dentro.

Mariannina ricordava a Rebecca i viaggi del nonno da Roma a Palazzo, una volta al mese, sui treni scassati che portavano dalla capitale al sud più profondo.

“Tuo nonno avrebbe preferito fare i viaggi in motocicletta, spericolato come diventava appena vi saliva sopra. Ne avrei avuto la prova più tardi quando mi portava dietro sul sellino e correva da matto, mentre a me venivano i brividi...”.

Mariannina raccontava poi a Rebecca della cura discreta del fratello Nicola che, per qualche mese, aveva fatto il gendarme, attento alla correttezza che Peppino doveva tenere nel rapporto tra i due fidanzati. Poi, tranquillizzato, il fratello aveva mollato la vigilanza.

“Quando ci siamo sposati nevicava...”

La memoria si allenta, gli occhi diventano lucidi, le mani cominciano a tremare; e Rebecca le stringe con affetto perché la memoria non faccia male al cuore della nonna.

Nel quarantotto, fresco di nozze, Peppino Fradusco andò ad abitare in una casa presa in affitto a via Prenestina in prossimità di via Alberto da Giussano, quasi accanto al saponificio. Una casa piccola di poca spesa, dove la moglie Mariannina mise alla prova le sue doti di buon gusto nell’arredarla con cose di costo contenuto ma funzionali.

In quell’appartamento nacquero i primi figli: Antonio nel cinquanta, Lucia nel cinquantatre e nel cinquantasei Roberto.

La casa Peppino Fradusco l’adoperava per tempi sempre più ridotti; ma le ore che ci passava erano vere soste in famiglia, che lo ricaricavano.

Quando si avvicinò il tempo nel quale i figli avrebbero dovuto cominciare l’impegno della scuola, la lungimiranza di Peppino ebbe il peso che doveva avere nei confronti delle esigenze personali.

Il Prenestino aveva la caratteristiche del quartiere popolato e popolare: poteva offrire quel che poteva una periferia raffazzonata, stretto fra la zona di Portonaccio, le casupole del Borghetto e il caos della Borgata Gordiani.

Per i figli Peppino esigeva qualcosa di cui lui non aveva potuto godere... un’educazione scolastica adeguata, che li preparasse a un futuro meno avventuroso del suo, una crescita in ambienti meno squilibrati di quelli che un quartiere in fermento irregolare poteva offrire, contatti con realtà meno provvisorie e con valori più sperimentati.

Per le decisioni che riguardavano la vita protetta della famiglia l’ultima parola spettava a Mariannina. La quale possedeva la dote rara di saper preparare poco a poco, e influenzare senza costrizioni, le decisione del marito. Il quale riteneva di aver preso lui certe iniziative e non si accorgeva che le sue convinzioni in materia di economia domestica nascevano dall’opera assidua della moglie, diplomatica e discreta.

Così, con riflessione e in pieno accordo, la famiglia si trasferì nella zona di piazza Bologna, a via Grossi Gondi: avvenne quando il figlio Roberto aveva appena un mese.

Il primogenito Tonino, a ottobre del cinquantasei, poté cominciare la sua avventura di scolaro nel quartiere Nomentano, dove le strutture scolastiche avevano ormai tradizioni collaudate di buon funzionamento in un ambiente educativo e culturale definito e stabile.

 

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