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Avigliano

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Tra una ricetta e l'altra

 

Francesco Galasso
 

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Quelle montagne senza vita
sanno di notti dure
e di giorni oscuri e tremendi
sotto il sole che brucia
o la neve che incanta
o la bufera che distrugge.
Sanno di paura e di miseria
sanno del tuo dramma di sempre
delle notti illune
e di quelle lunari
degli albeggianti chiarori
e dei tramonti di fuoco
sanno tutto di te
Vecchia Lucania!

Sanno dei silenzi di paura
degli alberi non più molti
a manciate sui ripidi pendii
o su piccole zone pianeggianti
sanno delle teste di piccoli fiori
adorati e calpestati
rovesciate sul loro unico stelo
per l'avverso destino di sempre
in un deserto di memorie
che ti appartiene
Vecchia Lucania!

Sanno di santi e profeti
di giuristi e medici
di saggi insigni
di politici e politicanti
che lavorarono in un popolo di sabbia
per volontà di un caparbio destino
che volle i suoi idoli di polvere
in un mare di secoli di polvere.

Sanno delle stanche pecore
che tremanti sulle malferme gambe
si trascinano apatiche
lungo i margini insicuri
di un apatico corso d'acqua
guidate da un pastore
che non zufola e non fischietta
dalle gote affossate e dagli occhi spenti
che attende inerme il suo destino
che è il tuo destino
Vecchia Lucania!

Sanno di asini magri e spelacchiati
con in groppa un cumulo di miseria
con alla coda aggrappati
ombre di lavoratori senza speranza
semiaddormentati da un atavico fatalismo
che è il tuo fatalismo
Vecchia Lucania!

Sanno di donne pallide e smunte
semplici espressioni di quattro ossa
in quattro stracci
istupidite da fanatismi e superstizioni
ombre di vite già vissute
quadri di pianti soffocati
insegne di notti senz'alba
di amore mai profumato
trascinanti maternità ripetute
in un'insensibilità di spirito e materia
senza sapore e senza odore
lacerate dalla fatica
dai pianti dei figli senza cura
dai pigolii dei pulcini
in un'unica stanza
in cui è musica il crepitio
della legna che arde nel camino
è luce la fiamma
è vita il fumo che appesta
e che mozza il respiro
in un mondo di eterna malattia
che è la tua malattia
Vecchia Lucania!

Sanno di ruderi arroccati
come nidi di aquile
dove è vita il lugubre rintocco della campana
e poi è morte
è morte perché la bottega è chiusa
è morte perché il padre impigrisce
con le mosche al sole
ed il figlio è nell'inferno del Nord
a pagare col sangue il suo esilio.

Sanno di città orgogliose
che giacciono nell'oggi
di vita fittizia ed ipocrita
dove ombre si agitano si pestano e calpestano
in una lotta inutile
per un domani che non esiste
che non è mai esistito
e tu puoi testimoniarlo
Vecchia Terra di Lucania!

Sanno che sei Lucania e solo Lucania
vecchia antica e nuova
recente e passata
dove i fiumi non hanno più né inizio e né fine
né alimento per il loro corso
dove non vi sono più lacrime
perché non passan che morti
da secoli!

Sanno che son morti
di malaria di guerra di fame
e che non hanno né tombe né altari
perché son morti diversi dagli altri morti
come diversa dagli altri
sei tu
Vecchia Lucania!

Sanno che non fu Cristo a fermarsi alle tue porte
perché non era il Cristo dei poveri
era il Cristo dei ricchi
dei falsi profeti e dei sociologi da strapazzo
che si schernisce di te
vecchia terra di miseria e povertà
perché il Cristo dei giusti e dei derelitti
è in te da sempre
a mescolare con il tuo sangue il suo sangue
con il suo martirio il tuo martirio
martirio dei secoli e per i secoli
Vecchia cara Lucania!

 

 Lucania  -  (lettura di M. Ascoli)

 

 

 

 

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