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LA SARTASCINA

FRANCESCO GALASSO
 

Anche se impegnato con una paziente difficile avvertii chiaramente che, nella sala di attesa, vi fosse una discussione molto vivace.
Ad un certo punto ebbi l'impressione che addirittura degenerasse tanto che fui costretto ad uscire dall'ambulatorio per rendermi conto e, possibilmente, calmare le acque agitate.
Aviglianesi e Potentini si contendevano il loro medico, direi, molto cavallerescamente, anche se a voce alta e con qualche parola grossa.
Cari e buoni amici ...
avevano tutti ragione.
Sono nato ad Avigliano e da padre aviglianese e ne sono non solo orgoglioso ma mi sento amorevolmente avvinto a quella "TERRA" che, in una fredda casa, sul finire di un gelido mese di gennaio, mi vide nascere, in compagnia di una sorellina, in povertà e tra le ansie di mia madre superiori di gran lunga ai suoi stessi dolori.
Erano le ansie per il marito impegnato in una delle tante guerre che l'umanità combatte da secoli per il piacere di pochi ed il dolore di molti.
Sono cresciuto a Potenza e potentina è la mia infanzia, la mia giovinezza, la mia vita di uomo, di cittadino, di professionista, potentini sono i miei stenti, i miei sacrifici, le mie gioie, i miei dolori, potentini sono i miei figli ed è logico, quindi, il mio attaccamento a questa città, che rappresenta il mio mondo.
Potenza ed Avigliano sono, dunque, la mia madreterra e i Potentini e gli Aviglianesi sono i miei fratelli-concittadini e come ho dedicato ad essi la mia vita umana e professionale così dedico ad essi questa raccolta di versi in vernacolo che, vorrei, fossero considerati un mio tributo di amore e di affetto.

 

IN DIFESA DEI DIALETTI

Se la mia vita professionale mi porta ogni giorno a preoccuparmi ed a lottare contro le continue minacce all'organismo umano, la mia vita culturale, spirituale e sentimentale mi spinge a preoccuparmi ed a lottare in difesa delle lingue moribonde: i "DIALETTI".
Una lingua che muore è più di un uomo che muore, è la morte di un mondo allo stesso livello della morte di una intera specie animale o vegetale.
Nel passato è, purtroppo, avvenuto che lingue imperialistiche, il greco, il latino, l'arabo hanno soffocato e distrutto grandi culture di altissima civiltà; avviene oggi la stessa cosa per opera delle
lingue, cosiddette ufficiali, e del loro apparato burocratico, scolastico ed accademico.
Non credo che il bilinguismo sia una lotta di lingue, né una concorrenza oppure un mero confronto di vocaboli e di grammatiche che si infastidiscono e si contrastano in una guerra, senza esclusioni di colpi, ma, credo piuttosto, che il rapporto tra due lingue deve essere una emulazione, una spiegazione, una comprensione, un'integrazione vicendevole perché non è vero che il dialetto sia il male e l'errore e la lingua ufficiale sia il bene ed il giusto.
Per il linguista, poi, per il glottologo non dovrebbero esistere lingue inferiori e superiori, lingue ufficiali e dialetti perché ogni lingua è portatrice di indiscutibili, indispensabili, innegabili ed insostituibili valori culturali ed umani; ogni lingua esprime un modo di pensare, afferma un aspetto dell'individuo-umanità, dell'uomo-spirito.
La morte, quindi, di una qualsiasi lingua è la morte di una cultura e di un popolo e la morte dei dialetti è la morte di elevati fenomeni culturali e spirituali che ai dialetti, alle lingue popolari e locali, sono indissolubilmente legati.
Mi si scusi l'ardimento: affossare un dialetto è come chiudere l'anima in una cassa da morto!
Non era forse un dialetto, la lingua, cioè, del basso popolo, "l'Aramaico", la dolce lingua di Gesù, che creò una vasta e consistente letteratura?
Non era forse un dialetto, "l'Ionico", la lingua greca di Omero, che dette ai Greci il capolavoro della loro stirpe?
Ed allora parliamo il più possibile la lingua dei nostri avi, parliamo nella nostra lingua locale, leggiamola, scriviamola in prosa o in versi, avviciniamola alla lingua ufficiale in un matrimonio d'amore per non dimenticarla e per tramandarla.
Se muore un dialetto muore il fertile "humus" di una cultura multiforme, affascinante e meravigliosa che va dagli scongiuri alle formule guaritorie, dalle preghiere ai canti locali, dalle leggende alle superstizioni, dai soprannomi, mirabili esempi di sintesi psicologica, di caratterologia e tipologia popolare, alle metafore, alle similitudini, ai proverbi, agli indovinelli, alle favole.
Muore l'humus che ha saputo dare alla cultura Modesto della Porta, Goldoni, Verga, Trilussa, di Giacomo, e tanti altri come i nostri D'Anzi, Albano, Viola, Viggiano, Rosa, don Marco Sabia ecc., sicuramente non meno grandi anche se vergognosamente ignorati.


Presentare una raccolta di poesie dialettali, nell'antica parlata aviglianese ed in quella potentina, senza brevi notizie storico-geografiche delle due città, sarebbe stato, a mio giudizio, come presentare una figura d'uomo senza testa.
Non sono uno storico e tantomeno un ricercatore e, certamente, non porto ai lettori ed agli amici della "Mia terra" nulla di nuovo o di eccezionale ma ripeto alla meglio ed assai sinteticamente
un po' di quello che altri pazientemente e sapientemente hanno ricercato ed ancor più brillantemente hanno saputo portare a nostra conoscenza.
E' anche questo un segno di affetto filiale a Potenza e ad Avigliano ma vorrei fosse anche un omaggio devoto a quanti, superando difficoltà tecniche ed ambientali, con spirito certosino e con
grandi sacrifici personali, si sono adoperati con ogni mezzo per inquadrare nella giusta luce, storicamente e geograficamente, sia Potenza che Avigliano.
 

Potentia fu fondata da un gruppo di Picentini o Piceni.
Essi, espulsi dalla loro terra, per essersi ribellati a Roma (207 a. C.) , furono costretti ad emigrare nelle campagne fra Salerno ed il Silaro, a destra del quale fondarono Picentia.
Si diressero in seguito in Lucania e si stabilirono nella valle del Casuento (Basento), alle origini del fiume, dove fondarono Potentia, che fu città di non trascurabile importanza durante la dominazione romana tanto che divenne prima prefet-tura e poi municipium.
La città era nel fondo valle a destra del fiume. Si spostò, in seguito, verso la collina, forse per i gravi danni subiti dal terremoto del 1273, ma è pensabile anche per le più favorevoli condizioni di stabilità geologica, per la difesa da attacchi nemici, per la salubrità dell'aria e molto, forse, influì la presenza sul colle di una falda freatica tra gli strati marnosi-argillosi impermeabili che consentì l'approvvigionarsi agevole di un'ottima acqua.
La città è situata su di un colle allungato, delimitato dai valloni di Verderuolo e di Betlemme e che culmina con due poggi: Montereale a sud-ovest e il poggio orientale (lungo 800 m. e largo da 60 a 200 m.) sul quale si distende la città. I due poggi sono collegati con un viadotto.
Quando le condizioni ambientali avverse cessarono (malaria, insicurezza, scarsezza d'acqua) il vantaggio della posizione cacuminale venne a mancare per cui si verificò una tendenza opposta a quella che aveva portato in alto la formazione dell'abitato e la città si estese prima al Rione S. Maria e poi cominciò a scendere verso la valle del Basento, dove fu la Potentia del tempo romano, dopo aver collegato, con una serie di nuove costruzioni il Rione Crispi al vecchio borgo S. Rocco, e a Chianchetta, ma a ingigantire lo stesso Rione S. Maria, già collegato a S. Rocco con costruzioni lungo il viale Ciccotti e Via Mazzini e con il sorgere di grossi rioni nuovi come Verderuolo e C. E. P.
Da un lato e dall'altro con il progredire delle propaggini la vecchia città si accinge a catturare le gemmazioni ferroviarie, includenti le due stazioni di Potenza Inferiore e quelle di Potenza Superiore con gli edifici connessi.
Dopo la battaglia di Canne, Potenza fu ferocemente devastata perché si era ribellata a Roma. Nel 402 d. C. fu invasa dai Goti di Alarico e in seguito annessa dai Longobardi al Ducato di Benevento.
Pure i tentativi di ribellione a Federico II° e a Carlo I° d'Angiò furono duramente repressi.
Insorse ancora nel 1799 nella rivoluzione in cui si mise in bella evidenza il vescovo Giovanni Andrea Serrao, che cadde vittima della reazione borbonica.
Certamente memorabile e valida fu l'insurrezione del 18 agosto 1860 allorché Potenza, prima fra le città del Mezzogiorno, proclamò l'annessione al Regno d'Italia.
Nel 1277 la popolazione di Potenza era di circa 2600 abitanti e nel 1320 di 3100; tra il 1648 e il 1699 la popolazione sarebbe scesa dai 7000 ai 5000 abitanti per la peste del 1656 ma riprese subito a salire fino ai 20.000 del 1881. L'emigrazione ne ridusse il numero fino alla prima guerra mondiale ma riprese subito dopo a salire fino ai 50.000 circa di oggi.
Potenza fu antichissima sede vescovile e conta alcune chiese interessanti anche sotto il profilo artistico.
La Cattedrale, dedicata al Santo Protettore S. Gerardo, eretta nel 1200, ampliata nel 1250, fu riedificata tra il 1783 e il 1799, per iniziativa del vescovo Serrao, da Antonio Magri, allievo del Vanvitelli; fu ancora riparata e restaurata dopo la seconda guerra mondiale.
La Chiesa di S. Francesco, nei pressi della piazza intitolata all'insigne filosofo ed economista Mario Pagano, da Brienza, morto sul patibolo durante la rivoluzione del 1799, è del 1274. Vi si ammira sulla facciata del tempio un portale durazzesco e una porta in legno del '400, intagliata a motivi goticizzanti e una porta presso l'abside con putti e fregi.
Nell'interno, a una navata, è conservato un sepolcro pregevole in marmo di stile rinascimentale e due tavole raffiguranti l'Adorazione del Bambino e Santi e la Madonna col Bambino (eseguiti tra il XVI° e il XVIII° secolo).
La Chiesa di S. Michele Arcangelo, di stile rornanico, è dell'XI°-XII° secolo, attribuita dal Berteaux all'architetto maestro Sarolo di Muro Lucano, nella quale si conserva il quadro dell'Annunciazione (1606) di Giovanni De Gregorio, detto il Pietrafesa, da Satriano di Lucania.
Del secolo XIII° sono le chiese della Trinità e quella di Santa Maria del Sepolcro, dove si trova una tela di Luca Giordano, « Il passaggio del Mar Rosso » ed un politico scomposto attribuito ad Antonio Solario, detto lo Zingaro.
L'arteria principale della città, resta sempre la via Pretoria, che continua la tradizione di luogo di ritrovo e di passeggio della popolazione, nonostante vi siano altre vie ed altre piazze ben più ariose, specialmente nei rioni.
Di molto interesse è il Museo Archeologico, nel quale sono raccolte testimonianze preziose delle più antiche civiltà, dall'era paleolitica a quella neolitica, dall'età del bronzo e del ferro a quella dei tempi storici, raccolte che provengono da Metaponto, Venosa, Matera, Garaguso, Lavello, Vaglio, Pietragalla e Potenza stessa.
Fra gli uomini illustri è doveroso ricordare: Francesco Stabile Senior, medico del '600 e autore di un trattato sulla peste; Francesco Stabile Junior, nato a Miglionico e morto a Potenza nel 1861, insigne musicista, che compose fra l'altro due opere liriche « La Palmira » e « Braccio da Montone »; al suo nome è intitolato il teatro cittadino, opera dall'architetto Giuseppe Pisanti di Ruoti, oggi abbandonato alla polvere ed ai topi, ma che noi ci auguriamo di vedere, al più presto, restaurato e ripristinato alla sua antica funzione.
Antonio Busciolano, autore della statua di S. Gerardo; Custodita nel tempietto di piazza Sedile.
Ascanio Branca, economista, uomo politico e più volte ministro, autore dell'opera « Le credit e la Banque Internationale », pubblicata a Parigi nel 1867.

Veduta panoramica di Potenza (foto Bucci)

 

 

Il primo ricordo di Avigliano, secondo il Racioppi, si trova in un documento greco del 1127.
E' probabile, però, a giudizio di altri storici, che l'origine della città risalga ad epoca ben più antica come potrebbe indicare la derivazione del suo nome da un gentilizio romano "Avillius o Avi-
lius".
Avigliano è situata su di una collina pliocenica e vi si giunge, dopo aver percorsi 14 Km. della statale n° 7, da Potenza, abbandonando la strada nazionale e dirottando a destra.
La parte più antica dell'abitato sorse sulla sommità mentre lo sviluppo successivo avvenne sulle pendici occidentali per distendersi fino al breve piano suborizzontale sottostante.
In epoca recente sono sorti moderni palazzi al rione S. Lucia fino alla stazione ferroviaria della Calabro-Lucana ed alla villa Comunale, con il monumento ai gloriosi caduti Aviglianesi.
II centro, comunque, resta sempre, per i rapporti umani, sociali ed economici, la « chiazza » nella quale si erge il monumento al più grande aviglianese di tutti i tempi: EMANUELE GIANTURCO.
Sia per la sua ubicazione e sia pure per la struttura geologica del terreno, Avigliano fu terribilmente devastata dal terremoto del 1851. A causa delle piogge abbondanti subì frane terribili, che la dissestarono ripetutamente.
In Avigliano si trovano la « Chiesa Collegiata », eretta nel 1583, devastata dal terremoto e ricostruita nel 1854; la chiesa dei « Riformati » che presenta una bella faccia secentesca; la chiesa di « Santa Chiara », con due altari ed un quadro assai pregevole di Francesco Giordano, che raffigura la Santa.
Nemmeno Avigliano fu risparmiata dalla vicenda del brigantaggio, di cui tanto si è scritto e si scrive con considerazioni e valutazioni diverse, ed aviglianese fu il famigerato brigante Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco Nanco.
Durante il Medio Evo Avigliano fu feudo di diversi signori ed in ultimo dei Doria, principi di Melfi.
Molti gli uomini illustri, a cui Avigliano dette i natali, fra essi si ricordano: i fratelli patrioti Michele e Girolamo Vaccaro, caduti nell'assedio di Picerno, l'eroica cittadina che si oppose alle bande del Cardinale Ruffo (10-5-1799); il sacerdote Nicola Palomba, commissario della Repubblica Parteneopea, che con dignità e fermezza affrontò il patibolo (1799); l'arcivescovo Luigi Filippi, filosolo-letterato nonchè matematico e fisico insigne;
Emanuele Gianturco, definito giustamente « l'uomo dalle molte anime » perché fu musicista, giurista, insegnante, avvocato, uomo politico e legislatore. Fu il fondatore del diritto civile in Italia, ministro più volte (Pubblica Istruzione, Grazia e Giustizia, Lavori Pubblici ;
i fratelli Nicola e Leonardo Coviello, insigni maestri di diritto civile;
Nicola De Carlo, avvocato e notaio, poeta estemporaneo assai apprezzato;
Antonio Labella, dalla grande cultura giuridica ed umanistica, oratore forbito e piacevole, poeta di grande levatura.

Veduta panoramica di Avigliano (foto Bucci)

 

 

 

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