PINO GENTILE
 - La Città delle scale
 

- Capitolo VI -


Palazzi e Monumenti

I PALAZZI
 


Palazzo di Città

 

Situato sull’ antica Piazza del Sedile (la denominazione deriva perché sede del Seggio municipale), oggi Piazza Matteotti, si presenta con un prospetto elegante, semplice e decoroso. L’antica sede si fa risalire all’epoca aragonese o angioina. Ripetutamente restaurato e trasformato a causa dei terremoti del 1826, 1857, 1930, 1980, adibito a diversi usi pubblici, oggi si presenta con l’aspetto dei primi anni del 1900 ed è destinato a sede Municipale (restaurato causa terremoto dell’ 800).

 

 

 

 

Palazzo Marsico

 

E costituito da un piano seminterrato e da uno rialzato. Il prospetto frontale è in conci di pietra con sei paraste in mattoni che dividono la facciata in cinque comparti. Nel comparto centrale è presente un portale in pietra chiara con un semplice arco a tutto sesto compreso fra due lesene. Al piano rialzato sono presenti finestre al di sotto delle quali vi sono soglie in pietra sostenute da due mensole. Il palazzo è attualmente abitato dalla famiglia Marsico.

Comune di Potenza - Assessorato alla Cultura - Itinerario Storico di Potenza - Ideazione e distribuzione, Agenzia Vacanze Lucane di Pucciariello Rocco - Potenza, 2002

 

 

 

 

Palazzo del Governo

 

Sulla facciata si osservano quattro ordini di finestre e due coppie di colonne che racchiudono il grande portone d’ingresso e, al di sopra di questo, vi è la balconata del salone di rappresentanza. Nella porzione più alta dell’edificio è presente il grande orologio, le cui lancette si fermarono alle ore 19,34 il giorno del terremoto avvenuto il 23 novembre 1980. Attualmente il Palazzo è sede del Presidente dell’Arnministrazione Provinciale.

 Comune di Potenza - Assessorato alla Cultura - Itinerario Storico di Potenza - Ideazione e distribuzione, Agenzia Vacanze Lucane di Pucciariello Rocco - Potenza, 2002

 

 

 

 

Palazzo Loffredo

 

Risalente al XVII secolo, costruito da Carlo Loffredo. Fino al 1748 fu abitato dal Viceré Nicolò Enrico Loffredo per volere di Carlo VI Imperatore. L’ultimo dei Loffredo fu Gerardo Loffredo il quale morì nel 1801. Sul prospetto frontale si osserva un portale con archivolto in pietra grigia con decorazioni catalano-durazzesche. Nella parte superiore, è visibile un loggiato di sei finestroni. Dopo il terremoto del 1980 ha subito lavori di restauro.

 Comune di Potenza - Assessorato alla Cultura - Itinerario Storico di Potenza - Ideazione e distribuzione, Agenzia Vacanze Lucane di Pucciariello Rocco - Potenza, 2002

 

 

 

 

 Convitto Nazionale “Salvator Rosa”

 

Il Convitto Nazionale di Potenza con annesso Liceo-Ginnasio “Salvator Rosa”, scrive il Rettore Bg. Guarnot, fu istituito da Ferdinando I di Borbone con Reale Rescritto del 22 luglio 1818, traslocandovi il Collegio di Basilicata, esistente in Avigliano.

 

La Reale concessione fu subordinata alla condizione che il comune avesse concesso un locale capace di contenere convenevolmente tutti gli alunni interni ed esterni che avessero frequentato il nuovo Collegio. E, con instrumento del 13 novembre 1821, redatto dai notai Gaetano Grippo e Nicola Maria Ricciuti, il Comune acquistò il Palazzo ex-baronale dei Conti Loffredo, mediante permuta dei fondi rustici comunali Li Foi e Cerreta.

 

La consegna del locale, restaurato a spese dell’Amministrazione Comunale, fu fatta al Rettore sig. Domenico Antonio Passarella il 10 marzo 1825, nel quale anno furono aperte le scuole con un personale insegnante quasi tutto locale e con 18 convittori.

 

Le condizioni morali ed economiche del Convitto, dal 1825 al 1848, furono varie; ma nel 1849 divennero tristissime per l’arresto del Rettore Francesco Coronati, condannato a 19 anni di ferri per amore alla patria comune.

 

Ferdinando II, con decreto firmato a Caserta, il 20 giugno 1850, dispose che il Real Collegio di Potenza, che era rimasto in vero abbandono dopo il 1848, fosse affidato ai Gesuiti, per ogni parte del Regno prevalenti e trionfanti. Ma, scoppiata la rivoluzione del 1860, i Padri Gesuiti furono mandati via e il governo dittatoriale, proclamata l’Unità d'Itialia con Vittorio Emanuele II, fece riaprire le scuole, auspice il nome di “Salvator Rosa”. Il Convitto invece non poté essere impiantato prima del 1864 per una vertenza sorta tra il Comune di Potenza e l'Amministrazione Provinciale intorno alle riparazioni occorrenti all’edificio; vertenza annosa che ebbe la sua definitiva risoluzione nel 1869, quando, nella tornata del 27 settembre, a relazione del Consigliere Lauria, fu deliberato doversi ritenere di proprietà della Provincia il locale del Collegio e del Liceo-Ginnasio “Salvator Rosa”.

 

Fin da quando il locale passò alla Provincia, i vari Presidenti della Deputazione Provinciale attesero con intelletto d’amore a migliorarne le condizioni in relazione al nuovo ordinamento, e provvidero, dalle spese ordinarie di manutenzione e restauro, a quelle di ampliamento dell’edificio giudicate necessarie.

Infatti, dopo il Rettore Masci Ligi, l'avv. Generoso Canora, Consigliere d’Amministrazione incaricato di reggere il Rettorato, fece costruire dall’Amministratore Provinciale, la cucina e la sala di ricevimento.

 

Nel 1899 il Censore, prof. Virginio Rusca, con le funzioni di Rettore, ottenne con le sue premure dal Presidente della Deputazione Provinciale, il Comm. Avv. Vincenzo Lichinchi, che si prendesse in seria considerazione la ristrettezza dei locali, tenuto conto delle esigenze dei tempi e dell’accresciuto numero degli alunni, per cui furono decretati gli ampliamenti intrapresi e continuati con non minore affetto dall’attuale Presidente della Deputazione, il Comm. Avv. Michele Bonifacio.

 

"Il Lucano" pel centenario del Capoluogo - Tipografia Editrice Garramone e Marchesiello - Potenza ,1907

 

 

 

 

Palazzo Castellucci

 

Palazzo Castellucci

Nel primo ventennio del 1900, l’urbanizzazione della città di Potenza era povera di strutture. Al di fuori dei campanili di alcune chiese, il Vescovado, Palazzo del Conte Loffredo, il Castello dei Guevara, il Palazzo Navarro (poi demolito per far posto all’immobile tutt’oggi destinato alla Banca d’ Italia), il palazzo Iorio (oggi palazzo Bonifacio) il resto dei fabbricati era costituito da umili case prive di pretese architettoniche, fatta eccezione in prossimità di Porta S. Giovanni, dove si faceva notare il Palazzo Castellucci. Il palazzo, che presentò in due bellissime fotografie, in una visto nell’intera facciata, nell’altra nel particolare del portone con il balcone sovrastante dalla bella ringhiera in ferro battuto, e che, purtroppo, esiste solo nelle immagini e nella memoria di alcuni perché da tempo fatto scomparire e sostituito da un palazzone moderno e dalle moderne vetrine, faceva bella mostra di sé nella piazzetta Rocco Brienza, a cui dava prestigio e austerità.

Il "mercatino" in Piazza Castellucci

Anzi, dava anche il nome. Il palazzo, infatti, era della famiglia Castellucci, a mio ricordo storico, forse, l'unica famiglia che potesse vantare una nobile origine e, perciò, il larghetto era indicato e conosciuto come “Largo Castellucci”.

Un Largo sempre frequentato ed affollato sia perché punto di passaggio quasi obbligato per gli studenti dell’Istituto Magistrale e del Ginnasio - Liceo, sia per quelli che venivano dal Rione Santa Maria ed erano diretti a Piazza Sedile, sia per le nostre mamme perché nel Largo vi erano le bancarelle con qualche utile mercanzia ma, innanzitutto, vi era il forno a legna e la simpatica ed instancabile Arcangiolina, la “furnara”, con cui, almeno una volta alla settimana, bisognava mettersi d’accordo per il pane e ad Arcangiolina bisognava dire il numero delle “scanare”, le panelle, e se si preferiva al primo, al secondo o al terzo forno, le tre infornate di ogni giorno.

 

 

 

 

Quando il pane si faceva in casa

 

E, si, perché, allora, il pane si faceva in casa e ogni famiglia provvedeva per il proprio conto e, in base al numero delle bocche, si faceva una tavola o “Ha scanatora” o mezza tavola, tenendo presente che su ogni tavola si mettevano sette o otto “scanare”, che erano delle vere e proprie macine di mulino. Ma, tanto, il pane si consumava perché era l’elemento essenziale e, talvolta, anche il solo ma si mangiava lo stesso anche quando era “seriticce”, forse, era più gustoso.

In genere, quando si faceva il pane, si pigliava un pezzo di pasta, si schiacciava con il palmo della mano, si faceva un buco al centro e si cuoceva “alla vampa”, era “lu ruccule”. Talvolta, veniva condito con l'origano, la “cirasedda” ed anche con l'aglio triturato per renderlo più saporito. In genere, si mangiava caldo e fumante, appena uscito dal forno, talvolta, non arrivava nemmeno a casa e quando arrivava veniva innaffiato con lunghe bevute di “sottapera”, direttamente dalla fiasca e a garganella.

 

Certamente, più squisito, ma non per tutte le tasche, era “lu ruccule ‘chiene”, cioè pieno di formaggio e di toppe di salsiccia ma ottimo era anche “lu ruccule cu li frittele”, immancabile quando si uccideva il maiale e si preparava la sugna.4

 

Francesca Galasso - “Potenza nei ricordi e nelle immagini”- Arti Grafiche Boccia s.r.l. Fuorni - Salerno -Settembre, 1984

 

 

 

 

Palazzo Biscotti

 

Palazzo Biscotti
in Via Pretoria, 288

Il toponimo deriva dal nome della famiglia, una delle più importanti della città di Potenza, che possiede una casa “palazziata” d’angolo col vicolo, con ingresso principale su via Pretoria. Diversi matrimoni dei componenti della famiglia testimoniano l’affermazione economico-sociale dei Biscotti nell’ambito della borghesia cittadina: nel secolo XVII, Scipione Biscotto sposa Camilla Marone, Alex Biscotto si unisce a Catharina de Jasone e Camillo Biscotti sposa Beatrix Stella. All’inizio del 700 e, successivamente, il magnifico Antonio Biscotti, sposato a Benedetta Campanella, censito per la suddetta casa “palazziata, risulta grande affittatore di terre delle chiese potentine” e Commissario Arredatore del Tabacco della città. Nel secolo scorso dai registri parrocchiali si annotano altri matrimoni delle donne della famiglia: Teresa con Domenico Bagnulo, Alessandra con Gerardo Luciano e Maria Vincenza Biscotti sposata a Gaetano Cavallo.

 

Nel catasto del 1813 la famiglia è censita per i seguenti beni: 235 tomoli di terreno, il palazzo di famiglia in via Pretoria, quindici case, un sottano, una cantina, un forno da pane e metà della fornace in società con Gaetana Falcinelli. Il vicolo alla metà del secolo scorso, è anche, denominato “del forno di Biscotti”, per l'acquisizione da parte della famiglia del vecchio forno già appartenuto alla famiglia Rendina e da questa trasferito al Convento di San Francesco e poi al Capitolo di San Gerardo.

 

Antonio Motta - Vincenzo Perretti Potenza - Toponomastica“ Ottocentesca - Edi.zioni Ermes - Finiguerra Arti Grafiche - Lavello (Potenza) - Dicembre,, 1994

 

 

 

 

Giovanni Russo e il palazzo Biscotti

 

Nel Palazzo “Biscotti”, situato al numero civico 288 di Via Pretoria, oggi in completo abbandono, abitava il giornalista Giovanni Russo.

 

“Abitavo con la mia famiglia a Palazzo “Biscotti”, (scrive Russo al direttore della Biblioteca Nazionale Maurizio Restivo in occasione della mostra di Michelino Pergola), Palazzo che rischia di andare in rovina e che è, invece, una testimonianza della vecchia Potenza, che non dovrebbe essere lasciata decadere. Nel portone di quel Palazzo giocavamo a pallone o nei vicoli ci rincorrevamo a briganti e carabinieri. Il Palazzo era proprio di fronte alla salita (Vico Andrea Serrao, Vescovo di Potenza dal 1783) che portava al Liceo “Orazio Fiacco”, dove ho compiuto i miei studi”. La testimonianza di Giovanni Russo contiene, altresì, elementi di costume, della memoria storica della nostra città, che meritano attenzione. “Quando si faceva “filone”, ricorda Giovanni Russo, si andava giù a Betlemme sulle rive del Basento o all’Epitaffio, vicino alla villa di S. Maria. La Potenza della mia infanzia e della mia adolescenza fu poi ben presto stravolta dalla speculazione edilizia dei palazzi moderni aggrovigliati in gironi quasi danteschi”.

 

“Allora, aggiunge Russo, numerose famiglie vivevano in sotterranei bui e antigienici, i sottani (oggi fortunatamente ristrutturati), ma se si prescinde dalle abitazioni malsane nei vicoli, tenute del resto il più possibile pulite, Potenza era accogliente e raccolta come una conchiglia in cui viveva l’anima di una città. Da allora ad oggi, ne è passata di acqua sotto i ponti. Molte cose sono cambiate. Il tessuto urbano di Potenza è ora caratterizzato da quartieri periferici in espansione intorno ad un nucleo storico a mezza costa. Ho temuto, sottolinea Giovanni Russo, che il volto di Potenza sarebbe stato cancellato per sempre dopo il terribile sisma del 23 novembre ‘80.

 

Invece la ricostruzione è stata capace di restituire Via Pretoria, i palazzi che la fiancheggiano e l'antico centro storico a cui in realtà si restringeva, quand’ero ragazzo, la vita cittadina, con amorosa fedeltà. Queste immagini si ritrovano nei bei quadri di Michelino Pergola di cui la mostra, organizzata dalla Biblioteca Nazionale e denominata “Potenza scomparsa” ha rappresento una testimonianza irripetibile.”

 

 

 

 

Palazzo Bonifacio

 

Palazzo Bonifacio sottoposto a vincolo monumentale dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici della Basilicata (foto del 1930)

In via Pretoria n. 342, nelle immediate vicinanze della Torre Guevara, esiste una pregevole testimonianza storica della città di Potenza. Si tratta del Palazzo Bonifacio, struttura sottoposta a vincolo monumentale dalla Soprintendenza ai Beni Culturali della Basilicata (legge 1/6/1939 n°1089), precedentemente appartenuto alla famiglia Iorio Amati Cantorio, che, come ci riferisce il giovane avvocato Domenico Bonifacio, venne acquistato dal suo bisnonno, avvocato Michele Bonifacio, trasferitosi da Genzano di Lucania a Potenza, il quale ha ricoperto la carica di Presidente della Deputazione Provinciale ed ha contribuito all’organizzazione della visita in Lucania del Presidente del Consiglio Zanardelli che risale al settembre 1902.

 

Del Palazzo Bonifacio ci sono stralci di pagine riportate da Raffaele Riviello nel suo libro “Cronaca potentina” riferite ai moti insurrezionali del 1799 che riportano episodi inquietanti registratisi in quell’epoca.

 

“Riuscito il fatale tranello, i mozzi cadaveri furono trascinati ed esposti nella Neviera di Iorio, vicino all’Ospedale S. Carlo; e dopo di essersene fatta barbara mostra al popolo per qualche giorno, si portarono a seppellire presso il muro del Monastero di Santa Maria del Sepolcro, perché non era usanza in quel tempo di darsi sepoltura in Chiesa a chi moriva ucciso e senza i conforti della religione.

Il Generale Manhès abitava nella casa di Iorio. Narrasi che nel ritirarsi una sera un pò tardi, avesse urtato in una delle scale sporgenti, che si vedevano allora di tratto in tratto lungo la via S. Luca, per cui irritato ordinò che fossero subito demolite, per la qual cosa si disse poi che, a ricordo del fatto, si fosse chiamata Strada Manhès quella via.

L’aneddoto è vero, ma già il Decurionato aveva nel gennaio 1809 provveduto pel piano e la selciatura delle strade, ed ordinato il lavoro dal Portone di S. Luca sino al larghetto di S. Carlo”.

 

 

 

 

Le caratteristiche della struttura

 

Palazzo Bonifacio puntellato dopo il sisma del 23 novembre 1980

Ma quali sono le caratteristiche del Palazzo Bonifacio?

Ce lo spiega l’architetto Mariachiara Pozzana della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici della Basilicata.

 

“Palazzo Bonifacio, affacciato su largo S. Carlo si staccava fino a pochi anni fa nel tessuto edilizio minore, che lo circondava prima delle demolizioni, le ultime recentissime, risalenti al 1973.

L’edificio conserva ancora la tipologia del palazzo seicentesco, contraddistinto dalla mole imponente e severa, con le pareti segnate da poche aperture e chiusa in sé, attorno alla piccola corte quasi come una fortezza. Il palazzo risale nell’impianto probabilmente agli inizi del 700, ma vi si leggono diverse fasi storiche, legate al variare dell’uso abitativo. Il progetto è contraddistinto, da un imponente cornicione con mensole in pietra, terminato da un frontone in pietra e mattoni, e da unì notevole portale sempre in pietra formato da grossi conci alternati: un concio lavorato a una bugna liscia e un concio a due bugne. Tale portone fu a suo tempo vincolato dalla Soprintendenza di Bari.

 

Le altre aperture sono disposte simmetricamente all’asse del portone balcone sovrastante e sono costituite da semplici finestre con mostre in pietra e aperture ovali con cornici a mattoni o in pietra.

 

Al pianterreno due portaletti, con arco a tutto sesto e con un mascheroncino in chiave, danno accesso ai locali di servizio. Il cortile in cui si affacciano tre finestre con balcone è lastricato, e reca ancora parte dell’arredo originale: tre anelli infissi nella parete che venivano utilizzati per fermare gli animali (uno di questi è infisso in un notevole mascherone in pietra). Si notano ancora, sotto l'intonaco delle pareti opposte all’ingresso, lateralmente alle finestre, quattro feritoie archibugiere di circa 30 cm. testimoni storici dell’uso del palazzo­fortino. L’ ingresso nel cortile è coperto da un arco policentrico sotto il quale si affacciano due porte con arco a tutto sesto e cornice modellata semplicemente che conducono a due scale simmetriche coperte con volta a botte di accesso al primo piano.

 

Sul pianerottolo destro di arrivo, si apre un bel portale architravato: il piano nobile è costituito da una serie di stanze articolate su un salone centrale, in cui sono ben visibili una serie di interventi dell’inizio del secolo attuati per migliorare le condizioni di abitabilità dell’edificio (termosifoni in ghisa, pavimenti in piastrelle di cemento colorato liberty, un lucernaio a vetrate colorate). Una scala di servizio porta al piano ammezzato e alla soffitta.

 

Strutturalmente l'edificio è costituito da pareti portanti in muratura e solai in legno, e si può ritenere che questo fosse la semplice struttura originaria. L’edificio conserva quindi ancora quasi inalterate le sue caratteristiche storiche, le quali aumentano notevolmente di importanza relativamente al fatto che costituiscono praticamente un insieme nel tessuto edilizio di Potenza, città che ha subito sventramenti pesanti e modificazioni integrali del centro storico”.

 

 

 

 

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