Vicoli e Strade
“Vèrra fra Portasaveza e Castiedd”’
Nunn era ne vagliò, né giuvenotte,
se po’ dì ca era vagliungiedde,
doppe la vèrra quindici-diciotto,
quann’ se cumbattìa a lu Castiedde.
La vèrra fatta tra li putenzese
De Santeluca e Portasaveze,
vèrra cu cannone a scatta botte
fatte da mannagge e chi t’è muorte.
‘Na vèrra fatta solo pè pazzià;
‘ndurciare, spent’allucch’, chiant’ e rise,
‘na vèrra ca fernìa all’anzacrese,
d’accuscì, cumm’era accumenzà.
Lu cunt’è, però, ca pure tanne,
come succere da chè monn’ è monne,
accumenzarne a metterse li ranne,
cu la scusa ca vienne pè scarà
e la vèrra accumenzave a stravià.
Deventava, po’,semp’ chiù vera,
pè la raggione, semp, de la fera
ca a Portasaveza nun’ s’avia fa
e la vulienn’, invece, a Santeluca.
Diventava ‘na vèrra p’interesse
E p’li dritte s’sfrecavene li fesse.
Allora noi, li chiù vagliungiedde,
dasciarm’ Portasavez’ e Castiedde,
turnamm’ a giuà a scische e chiummarole,
pecchè n’amezziarme, da sta scola,
pè la ngannaturizia de sta terra,
manch’ pè pazzìà se fa la vèrra. |
Mario Albano ("La
bèrtela") - Tipografia Rocco Olita - Potenza - 22 Dicembre, 1955
Il “reticolo viario” della città di Potenza,
illustra, in maniera sintetica, frammenti di vita, che testimoniano il
costume degli anni del XIX secolo, attraverso la ricostruzione di slarghi,
di vicoli, di chiese, di conventi, di botteghe.
Nel corso degli anni la civica amministrazione
di Potenza ha previsto abolizioni allargamenti e regolarizzazione dei
vicoli, in testa quelle adottate il 13 marzo 1928 - La "nuova
toponomastica di Potenza" risale al 1985.
I Vicoli una “sfida” per i prossimi anni
I vicoli non rappresentano certamente un
elemento architettonico da valorizzare, ma un “canale" per una sfida da
affrontare nei prossimi anni. I vicoli di Potenza, nella loro peculiarità,
determinano un ambiente e servono, se non sempre, come documento che
testimoniava la presenza storica dell’uomo.
Purtroppo, queste significative testimonianze,
non fanno leva nella sensibilità generale e, di conseguenza, non
contribuiscono a valorizzare appieno via Pretoria (realtà dove si
“incrociano” gran parte dei vicoli, che pure ha attratto l’attenzione di
illustri uomini di cultura. Un passo del letterato Guido Piovenna recita
infatti “Potenza, città montana con aria fine e ventosa, la cui parte
interna è espressione di grazia testimoniata da stupende chiese, ha la
deliziosa via Pretoria, stretta, ma assolutamente accattivante, con le
viuzze disposte in modo da tagliare il vento".
I vicoli potrebbero essere, dunque una
opportunità da valorizzare, dando sbocco alla formazione di linee itineranti
turistiche, dove i fattori collaterali come il folklore, la gastronomia e
l’artigianato, opportunamente inseriti determinerebbero maggiore interesse,
oltre che la possibilità di un rilancio economico per tutto il settore;
specifiche iniziative potrebbero adottarsi inoltre per l’artigianato
artistico, inteso come attività produttiva di servizi e che, pertanto, può
assumere un ruolo trainante per vivacizzare la vita nei vicoli ma anche e
soprattutto, per dare spinta alla crescita sociale ed economica della realtà
cittadina, in primo luogo quella del Centro Storico.
L’ ingratitudine verso Napoleone e Murat
Quando si attraversano i vicoli della nostra
città, si va certamente alla ricerca di testimonianze e dei resti del
passato, che ci ricordano personaggi umili ed illustri che hanno contribuito
a fare la nostra storia. In questo contesto c’è però un paradosso, che non è
sfuggito agli studiosi potentini Antonio Motta e Vincenzo Perretti Nel libro
"Potenza -Toponomastica Ottocentesca" si legge che "Il paradosso che
si evidenzia quando si scorre l’elenco delle vie cittadine è quello di
notare che nessuna strada o piazza è dedicata a Giuseppe Napoleone o a
Gioacchino Murat, che; assegnando a questo insediamento demico la "novella
funzione", lo trassero dal ruolo di "paese" e lo elevarono al ruolo di
"capitale" della provincia di Basilicata.
"Un paradosso, per gli artefici della "città
futura" che non può essere giustificato con una dimenticanza della borghesia
ottocentescca: è la scelta della mentalità che permane, anche quando le
trasformazioni urbane, le ristrutturazioni postunitarie e soprattutto i
risanamenti che questo secolo e del secolo dopoguerra, hanno moltiplicato,
spesso travolto, il reticolo viario".
Portasalza
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Portasalza in una immagine
dei primi anni del '900. Costituiva l'unica via di accesso alla città
con la sua famosa Porta abbattuta nel 1818 per decisione del Decurionato
(Sindaco) |
La città si presentava sotto forma allungata, senza
divisioni sezionali in quartieri, sestieri e doni, all’infuori delle due
lunghe zone sul versante meridionale e su quello boreale; era sorta come
“città murata”; vi si accedeva per quattro porte: San Gerardo, San Giovanni,
San Luca, Portasalza. Portasalza fu abbattuta nel 1818: la decisione fu
presa dal Decurionato (Sindaco) il 2 ottobre 1817 “per ornamento e larghezza
di via Pretoria”, che costituiva l’unica via di accesso alla città. Fu uno
dei primi prezzi pagati da Potenza alla “espansione edilizia”, quando
spontaneamente si realizzò quello che venne poi definito “borgo di
Portasalza”, ma era appena un prolungamento dell’abitato.
Di Portasalza non esistono descrizioni.
Secondo Raffaele Riviello, aveva un ponte levatoio
ed una casa sovrastante. Era antichissima, come conferma la descrizione di
una lapide attribuita all’epoca di Augusto, che venne “discoverta nella
demolizione di un muro praticato presso l'arco dell’antica Portasalza”,
descritta da Giulio Cesare Battista.
“La bertèla”
Nelle poesie di Mario Albano lo spirito del
vecchio nucleo paesano
Nel 1912, il dr. Michele Marino, professionista di
rara cultura che agli impegni dell’arte medica nobilmente esercitata ed alle
cure della civica amministrazione univa un fervido amore per gli studi
umanistici, raccolse, per le edizioni di Marchesiello e Garramone, alcune
poesie dialettali di Raffaele Danzi, molte delle quali erano state già
pubblicate nel 1879, per i tipi Santanello.
Nella presentazione del volumetto, il dr. Marino
osservava, tra l’altro, che i versi del Danzi, riproducendo con efficacia ed
esattezza lo stato dello spirito pubblico a Potenza nei primi tempi
dell’Unità, non meritavano di andare perduti, come documento di cronaca
cittadina e di tenue psicologia paesana, anche a non voler tener conto del
loro valore artistico, peraltro non trascurabile.
Tale presentazione può costituire, a mio avviso, la
base per un giudizio sul quaderno di Mario Albano che, a distanza di più di
un cinquantennio, riallacciandosi all’opera del Danzi e dell’altro poeta
potentino Vincenzo Verrastro, continua oggi la tradizione della nostra
poesia dialettale, con vivaci composizioni che sono, anch’esse, un pò il
contrappunto, sommesso, ma preciso, agli avvenimenti cittadini. Le poesie
della “Bertela”, con maggiore impegno artistico di quelle di Danzi e di
Verrastro, hanno il grande merito di richiamare, in una città che ha visto
alterarsi sempre più la fisionomia e lo spirito del vecchio nucleo paesano,
ambiente ed aspetti dimenticati, se non del tutto perduti, e di mettere in
evidenza, inalterate e nitide, le caratteristiche degli autentici potentini,
e cioè l’arguzia bonaria e sentenziosa, l’attenzione vigile ed un pò
sorniona, la generosità aperta e la profonda civiltà, che si manifesta in
ogni circostanza della vita pubblica e privata.
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Le opere artigianali del
maestro Gerardo Messina sono ancora oggi visibili sui balconi di
Potenza, ornate da ringhiere di ferro battuto dove sono evidenti le
iniziali del Maestro |
Il linguaggio di Albano, pur adattandosi alle nuove
inflessioni del dialetto, quale si è venuto via via modificando, e pur
abbandonando forme e vocaboli forse oggi addirittura incomprensibili, ne
conserva sempre la struttura e le cadenze peculiari, insieme alle più
schiette e spontanee espressioni. Motivo ricorrente nella “Bertela”, è là
stupita e diffidente ammirazione del contadino nei confronti dei più
accessibili ed immediati aspetti del progresso, ma non è preso a pretesto di
facile ironia, bensì serve in un certo modo a puntualizzare un mondo
immobile e mitico, forse arretrato, e non per sua colpa, ed a sottolinearne
il contrasto con una affrettata evoluzione, di cui si giovano soltanto
determinati ceti.
Altro tema frequente, è il disagio delle classi più
provate dalla guerra e dall’inflazione. Le poesie più efficaci mi sembrano,
però, quelle che si ispirano con affettuosa e spontanea partecipazione agli
aspetti tipici della vita di Potenza, e cosi “Via Pretoria” e, sopratutto,
“Cuntana D’Aprile”, con le sue immagini veramente belle, nelle quali risalta
più che altrove, l'impegno artistico cui innanzi accennavo.
Notevole, anche «Nu spunsalizie» per un senso
coloristico e picaresco dell’ambiente; che affida la sua evidenza grottesca
ai nomi dei personaggi In conclusione, la “Bertela” pur non proponendosi,
come avverte l’autore, difficili mete, si inserisce degnamente nel filone
della nostra poesia dialettale, che non va trascurata o sottovalutata, ma
deve essere intesa ed apprezzata nel suo giusto valore di genuina
espressione dell’anima e della cultura popolare.
Giulio Stolfi
Mario Albano - la
“Bertela” Poesie potentine - Presentazione di Giulio Stolfi, disegni
di Gerardo Corrado - Tipografia Olita -
Potenza - 22 dicembre, 1955
“Nu spunzalizie”
Data sera da Petteledda
foze fatta na festescedda
pecchè foze lu spunzalizie
de Plescia cu Gìaccanedda
fò une de li mieglie matrimonie,
Treccule e Pulescia forne testemonie,
fascè lu cumpare de’ la niedda
lu frà de Michele Savaniedde,
la funziona fò fatta a meraviglia
e ngasa loro da Lu prevere de Coglia,
dolce buccunott’ e struferariedd’
li fascè la Ditta Paccatedda.
Passarene li taralle e lu vermutt’
ailùteme passarene li cumbiett’
One fò la musica de tutt’ li manere
Lu basse lu sunava nu scarpare
gnera lu rammofel’ e l’urganett’
e Mangusiedd’ sunava lu fischett’,
Però la musica fascia venì la smania,
pecchè la cumandava mast’ Canie
allora noie fascerme na quatriglia
ca la vuleze cumandà Mandiglia.
Teccavadde, Scorza a Puparule,
peffà na cosa nuova e primarula,
fascerne li ballette
cumandare da Fischette
Nsomnia nusceze na cosa bona
pecchè veneme pure assai persone
Questi forne: La signora Treccule,
Settemigliere, Spatacclìia e Puparule,
Trentacarrini, Zipupe, la Dupenara,
Cuieross’, Brachetta, la Puregghiara,
Rascacasce, Tremeniedde, Teccavadde,
Caadiette, Culucusciure, e Cascavadde.
Mario Albano
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Mario Albano - la
“Bertela” Poesie potentine - Presentazione di Giulio Stolfi, disegni
di Gerardo Corrado - Tipografia Olita -
Potenza - 22 dicembre, 1955
Potenza e la proverbiale "aria fine"
“Potenza città montana con aria fine e ventosa, la
cui parte interna è espressione di grazia, testimoniata da stupende chiese,
ha la deliziosa via Pretoria, stretta ma assolutamente accattivante, con le
viuzze disposte in modo da tagliare il vento”.
Guido Piovenna
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La suggestiva copertina del libro di
poesie di Mario Albano |
“Via Pretoria”
Gn’è tanta ggente disce ca si brutta
forse pecché si vecchia, dongh’ e stretta,
sta ggente nun lu sà, o lu fa apposta,
ca tu si pure ‘mpò la storia nosta.
Si tu la storia de ogne Putenzese,
de queddu ‘rricche o senza nu turnese.
Tu ca 'ne vire, ‘mbracce a la cummara,
de gi a lu battezze appena nare,
ne vire, pò ‘chiù tarde, gì alla scola
e chiù rann’ cementenn’ la figliola,
ne vire, doppe, zite pe’ sta strara
cu 'na sposa ricca o sfasulara.
Ne vire, tu, perciò da vuagliungiedd’
fine a quanne te dasciamm’ a lu Castiedde.
N'hai vist’ d’alluccà pe’ quest’ e quedde,
n'hai vist’ cagnà coppel’ e cappiedde,
ma tu però de noi nun te lamente,
sai, c’alla fine, simme brava ‘ggente.
Nun vulesséme verè li cose storte,
vulessème n'Italia ranna e forte,
e basta lu penziere ca nyacchippa,
ma si sentemme avvacantà la trippa,
fenemme po’ cu di, rotta pe’ rotta,
salvammene almene la pagnotta.
Perciò quedd’ ca vire nun t’emporta
pecchè, tu varde, ma 'rrest’ semp’ storta.
Fors’è vere si 'na brutta strara
ma pe’ li Putenzese tu sì cara.
Mario Albano
Mario Albano - la
“Bertela” Poesie potentine - Presentazione di Giulio Stolfi, disegni
di Gerardo Corrado - Tipografia Olita -
Potenza - 22 dicembre, 1955
“Cuntana D’Aprile”
Cuntana D’Aprile, è la seconda raccolta di poesie
di Mario Albano, scritte in dialetto potentino. La prima, fu pubblicata nel
1955, in semplice ma decorosa veste tipografica, con la presentazione del
poeta Giulio Stolfi e disegni del pittore Gerardo Corrado.
L’autore, timido per costituzione, di carattere
molto riservato, usciva, così, allo scoperto senza pretese e senza illusioni
e con il solo intento di donare, con la complicità dei suoi versi
dialettali, attraverso il ricordo di uomini, costumanze e tradizioni, quanto
aveva nel suo cuore di affetto e di amore alla città di Potenza e di
trasmettere ai potentini i suoi sentimenti perché amassero ancora e sempre
di più la loro città e il suo passato. Contrariamente alle aspettative, ma,
a mio giudizio, con pieno merito La “bértela” ebbe accoglienza non solo
favorevole ma plebiscitariamente entusiastica fra potentini e non, fra
vecchi e giovani, talché le copie andarono, letteralmente, a ruba e in molto
breve tempo. Forse, una seconda edizione con maggiore numero di copie non
sarebbe stata sprecata ma il poeta non sfuggi alle vicissitudini della vita
e fu costretto, suo malgrado, a mancare all’appuntamento e a tradire le
attese. Mario Albano, nato a Potenza e che, per quasi una vita, si era
dedicato anima e corpo, fra illusioni, delusioni, amarezze speranze, alla
sua città, in età matura fu costretto a trasferirsi a Roma, dove continua a
lavorare e a produrre e dove ha continuato, magari struggendosi, a pensare a
Potenza, ai potentini dei suoi ricordi, a parlarne a se stesso, a scrivere,
a comporre i suoi versi.
Sono versi semplici, alla buona, magari non
rifiniti secondo regole, forme, “ismi”, ma efficaci, di una chiarezza ed
immediatezza espressiva impressionante e tale da rendere la lettura anche
visione degli uomini, degli avvenimenti, delle usanze, degli atteggiamenti
fisici e psicologici di un certo tipo di umanità, delle cose tradizionali,
di cui i versi si occupano. Sono, insomma, versi che raccontano ma dal vivo,
sono versi che fanno sentire e vedere. Naturalmente non potevano essere
scritti che in dialetto, che, di per sé, è serbatoio prezioso di tradizioni,
deposito autentico di cultura e che custodisce una notevole quantità di
testimonianze remote, e non soltanto linguistiche, che costituiscono una
parte essenziale della nostra storia.
Cuntana D’Aprile riproponendoci una parte delle
vecchie poesie insieme alle nuove, nella continuazione di un discorso, che,
cominciato tanti anni or sono, non si è mai interrotto, non solo accontenta
i delusi e amareggiati che non ebbero la fortuna di avere “La bértela” con
un libro, che è insieme dedizione del vecchio e edizione del nuovo, ma sarà
l'oggetto prezioso anche per gli altri, per coloro che conoscevano il poeta
e aspettavano con fiducia.
Certo, il libro è un atto di devozione filiale, e
non poteva essere diversamente, alla città di Potenza, ma è insieme anche un
atto di fede e di speranza; per i vecchi potentini sarà la gioia di
rivivere, nostalgicamente, il vissuto, per i giovani una visione del passato
nelle sue giuste proporzioni e dimensioni; per il dialetto una iniezione di
fiducia.
Cuntana D’Aprile è quanto ha saputo e sa esprimere
Mario Albano, che è uomo di sani principi morali, di notevole intelligenza,
dalla fantasia pronta e originale, dalla genialità varia e vivace, di
indiscussa serietà nel lavoro e nella vita, rispettoso delle amicizie,
tenace nel suo amore verso la città, la terra, dove è nato e cresciuto e non
solo fisicamente. Questo suo amore è sostanziato di preoccupato interesse
per le sorti della sua Potenza, dei suoi cittadini, e tale da farne la sua
sorte ma, innanzitutto, il suo tormento.
Sono ormai tanti gli anni di vita vissuti lontano
da Potenza, ma Mario Albano non ha dimenticato la “cuntana”, la “chiazza”,
“lu muraglione”, la “via Pretoria”, la sfilata dei turchi, la gente, tanta
gente e non ha dimenticato perché ovunque e in ogni cosa si rivede e si
ritrova, bambino, ragazzo, adulto.
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Perciò, quando torna, non riesce a contenere la sua
commozione che placa, scrivendo versi, dopo aver ricevuto nuovi stimoli e
nuove emozioni. E sono versi caldi, intrisi di nostalgia, senza retorica e
senza mitizzazioni e che mettono in luce la sua grande sensibilità poetica
in un dialetto, non dimenticato, che anzi, ha rapinato nella sua
originalità, ha completato nella forza dell’espressione e nella grandezza e
immediatezza dei concetti e delle descrizioni, con ritmi semplici e toni
alla buona. E il suo segreto è proprio questo suo parlare alla buona il
linguaggio di tutti e di tutti i giorni, con i modi di dire e le immagini
abituali della gente comune e, così, le sue poesie assumono il gusto del
buon pane casareccio. Così Mario Albano sa essere 1’interprete del vero
popolo potentino, sincero, a volte con un velo di tristezza, a volte
satirico e picaresco, perché quel popolo così è, così vuole essere anche se
da sempre è consapevole che il pane quotidiano è fatto di privazioni e di
rinunzie, e che il “diritto” è solo una parola, e la sua forza è la fede
negli ideali. Non faccio classificazioni o distinzioni fra le poesie della
raccolta in primo luogo perché non mi pare vi sia la “migliore” e la
“peggiore” e in secondo luogo per non offendere l'intelligenza e la
sensibilità dei lettori; posso affermare, senza tema di essere smentito, che
“Cuntana D’Aprile” si inserisce degnamente nel filone della poesia
dialettale, entrando dalla porta principale, per forma e contenuti,
espressione genuina della cultura e dell’animo popolare.
Francesco Galasso
Mario Albano - “Cuntana
D'Aprile” - Stamperia Santa Lucia - Roma - Design, Mario dell'Arco
- Genzano di Roma - Estate, 1984
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