APPENDICE - Escursione al
Vulture
di Guelfo Cavanna - A.N.E. Firenze
Nella
sera di Mercoledì 7 luglio 1880, lasciata Napoli, vedemmo alle 6 del
giorno susseguente le spaziose vie della Foggia moderna, e dopo poche
ore la piccola stazione di Candela, piena dei bagagli da noi
direttamente spediti colà.
Qui comincia veramente la nostra escursione. Sotto il sole ardente della
Capitanata, accomodati alla meglio entro il gran carrozzone della Posta,
dalle 11 antimeridiane in poi, per lunghe ore vedemmo spiegarsi innanzi
a noi basse colline argillose ed estesi piani deserti, riarsi, dove solo
il cerulescente Cardopatium corymbosum Pers. e poche altre carduacee
dalle foglie spinose e robuste, abitate da migliaia di Xerophila,
sfidavano il sole.
Di tratto in tratto, per le molte sinuosità della strada condotta ora pel
dorso o per fianchi d'una collina, ora per vallecole o per burroni poco
profondi, si mostrava timidamente qualche altra pianta, si alzavano
basse boscaglie ed un soffio di aria fresca veniva a ravvicinarsi.
Il ponte di Annibale o di Santa Venere, sull'Ofanto che sebbene a
quest'altezza non sia troppo profondo, in certe stagioni è assai
pericoloso, segna dalla parte di Nord-Ovest, il confine tra la
Capitanata e la Basilicata, ed al di là di esso apresi la veduta
stupenda del Vulture.
"Questo monte sorge isolato nel mezzo di un vasto altipiano ondulato,
costituito in gran parte dalle sue dejezioni e che ne presenta una media
elevazione di 500 a 600 metri sul livello del mare. Si solleva una base
larga circa 20 chilometri, e si restringe in alto a soli 2 chilometri,
quanta è la distanza dal picco di S. Michele a quello verso tramontana.
La cresta è poi suddivisa in sette vertici, dei quali uno più elevato a
destra è Monte Vulture (1329 m.) detto pure Pizzuto di Melfi; indi
seguono dei coni più bassi, che offrono un varco più agevole all'interno
del cratere, e poi l'ultimo picco a sinistra denominato Monte S. Michele
alto 1263 m. sul mare. Il dosso del monte è tutto rivestito da una
lussureggiante vegetazione di querce e faggi. Solo il Pizzuto di Melfi
torreggia brullo, roccioso, nerastro su tutto il recinto. Una serie di
valli radiali e di speroni collinari, di gole e di burroni si distende
fino alle falde del monte nella direzione di Atella, e di Rionero, di
Melfi, rigirando tutto intorno il gruppo vulcanico".
Alle 6 pomeridiane eravamo all'ombra dello storico campanile di Melfi, e
poco dopo, impazienti, intorno alla piccola città, presso il vecchio
Castello.
Le ricerche riuscirono pressocché infruttuose: i terreni percorsi erano
spogliati e come bruciati; a qualcuno di noi parve la campagna
zoologico-botanica si aprisse sotto cattivi auspici, ma il malumore
presto si dileguò. In una stanzetta piccola ma abbastanza pulita
aspettammo il sole di venerdì, e prima ancora che fosse tutto
all'orizzonte, coll'aiuto di una guida prendemmo da settentrione ad
ascendere il facile Vulture.
Risoluti a salire poi da Rionero, non sapevamo bene se avremmo avuto agio
di visitare le cime più settentrionali, e qualcuna almeno la si volle
raggiungere in questa prima escursione. La breve gita fu un poco calda
ma piacevole e fruttuosa, specialmente intorno alle fontane dette dei
Giumentari e dei Piloni.
Reduci alle 3 pomeridiane, alle 7 i numerosi campanelli dei nostri cavalli
suonavano per la bella via che toccando successivamente, dal Nord a Sud,
Rapolla e il greco Barile, giunge a Rionero in Vulture e di là continua
per Potenza.
Due giorni furono spesi nelle ricche ed amene campagne di Rionero che
producono ottimi vini. Nella mattina del 12 un po' troppo tardi, per un
largo tratturo, rimontati lentamente verso N-N-O, girato a mezzogiorno
il cono principale del Vulture, lasciammo il tratturo stesso al Varco
delle Neviere, dove trovasi una miserabile capanna da carbonai. Il
sentiero che conduce alla vetta si stacca da quel punto, attraversa una
fascia arborea discontinua di piccole quercie e si perde nelle alte erbe
del cono, che è coronato dal segnale geodetico.
Presso la cima ebbi la fortuna di predare una giovane vipera e vidi con
dispiacere sfuggirmi un altro ofidio, ed una lucertola, molto
probabilmente la comune variabilissima Podarcis muralis, alla quale
inutilmente detti la caccia.
Sotto le pietre anche prima di giungere alla vetta trovai comunissime le
coccinelle che al segnale erano raccolte in numero enorme, parte morte,
apparentemente dall'anno prima, parte vive ed accoccolate l'una sopra
l'altra nel solito modo: non ne mancavano sulle piante; ma delle
coccinelle e delle loro agglomerazioni avrò occasione di trattare in
altra occasione.
Dopo aver allegramente divorato un pezzo di pane e bevuto alla felicità
del fertile paese che si stendeva ai nostri piedi, staccato, per la
Collezione del Club Alpino (Sede di Firenze), un pezzo della trachite
che costituisce la vetta, osservata la temperatura che risultò alle 8
1/2 antimeridiane di 21 c° al Nord ed all'ombra e di 39 c° al Sud ed al
Sole, con rapidi salti percorremmo i non molti metri che ci separavano
dalla capanna dei carbonai. Da questo punto, ancor più rapidamente, per
certe scorciatoie, sulla cenere vulcanica che pareva eruttata di jeri,
della quale ritrovammo poi tutte coperte le nostre carni, giungemmo alla
Fontana dei Piloni, estremo limite raggiunto nella escursione fatta da
Melfi.
Colà all'ombra dei faggi (il termometro al sole segnava 45 c°), un po'
incomodati dall'acre odore delle carboniere, si die' l'assalto alle
provvisioni che in breve tempo furono consumate.
La fontana che prende il nome dai piloni (vasche parallelepipede nelle
quali si raccoglie l'acqua) è fresca e perenne; all'intorno cresce una
rigogliosa vegetazione e sopra alcune piante, feci delle importanti
catture entomologiche.
Dalla fontana sempre discendendo (per 700 m. circa), dapprima pel bosco
poi per campi coltivati a patate, che nella cenere vulcanica mescolata
all'bumus danno ottimo prodotto, salutata l'alta roccia della Pietra
urlante, o della Scimmia, che si erge sulla destra, ecco apparire
l'antica Abbazia di S. Michele, o di Monticchio, appoggiata alle
trachiti che formano il Pizzuto di S. Michele, che in ordine di altezza
è la seconda cima del Vulture (1263 m.), ricoperta fin presso alla
sommità da faggi secolari.
Il convento è un grande ed antico fabbricato irregolare, addossato alla
base del Pizzuto di S. Michele, sostenuto all'innanzi da potenti sproni
in muratura, protetto superiormente dagli scoscendimenti o dalle frane
per mezzo di grandi muraglioni. Sovrastano a picco rocce pittoresche ed
aspre; ai suoi piedi si stendono due laghetti.
Oggi il convento è abitato soltanto da poche guardie forestali, quasi
tutte native del piccolo paese di Barile e di stirpe albanese. Il capo
delle guardie, già avvisato, ci accolse cordialmente.
L'Abbazia fu nostro quartiere generale per tre notti. Durante il giorno
percorrevamo i laghi ed i loro dintorni; alla sera, dopo il pranzo,
preparato alla meglio dalle nostre stesse mani, godevamo la romantica
posizione della nostra dimora. Quando si udiva il lontano piccolo
latrato delle volpi e l'ululone rompeva il silenzio col suo canto
squillante, i lunghi e tetri corridoi, le celle deserte, le loggie
illuminate dalla luna che si specchiava sulla queta superficie dei laghi
e rosseggiando scendeva all'orizzonte, la chiesa incastrata
nell'edifizio, coi suoi santi avvolti nella penombra, il suo Cristo
agonizzante, ci ispiravano indefinibili sentimenti di dolce mestizia.
Allora le antiche volte rimbombavano cupamente ai nostri passi, od
echeggiavano per le note dei nostri canti e pel suono di una vecchia
chitarra strimpellata da una delle guardie, che con essa accompagnava
canzoni nate in Albania parecchi secoli fà.
Le melodie più tenere dei nostri maestri, sebbene malamente strapazzate da
uno di noi, ritraevano dal luogo e dall'ora un incanto soave, e gli
stessi capricci del sentimento modulati alla meglio dalla voce erano
ascoltati con piacere e non senza commozione.
Più tardi ci accoglievano certi sacconi ripieni di paglia, sui quali
eravamo richiamati alle dure realtà della vita da piccoli esseri che
esercitavano sugli intrusi antichi diritti naturali: sonnecchiando come
si poteva aspettavamo l'alba, che conveniva proprio chiamare
pietosissima.
Dall'Abbazia, oltreché alle immediate vicinanze dei laghi ed ai laghi
stessi, le nostre ricerche furono rivolte anche un poco più lontano. Di
buon mattino, nel giorno susseguente a quello del nostro arrivo, seduto
sopra il basto di un buon muletto, rifeci la via del Vulture e ritornai
sulla vetta. Ero rimasto poco contento delle raccolte fatte lassù e
speravo aumentarle, come infatti avvenne, nonostante un fortissimo
levante che non lasciava piena libertà di manovra.
La vegetazione era rigogliosa. I verbasci dalle lunghe spighe di fiori
gialli, le fèrule dal vasto ombrello, ed alcuni cardi, si alzavano sulla
minuta ed elegante popolazione dei Dianthus, delle Silene, dei
Gladiolus.
Mostravano al sole i loro colori, assieme alle splendide Chrysis, alle
Psammophila e ad altri Imenotteri, parecchi Lepidotteri, Pieris, Colias,
Melithaea, Argynnis, Satyrus, un Adela ed una Grapholita forse nuove pel
mezzogiorno d'Italia, che tutti disturbati dal vento cercavano smarriti
un riparo.
Numerose forficule stavano in aguato sugli steli, mentre saltavano sui
piedi, che si muovevano a stento tra l'erbe folte ed intrecciate. Sotto
le pietre correva il Cryptops sylvaticus, nuovo per la fauna d'Italia, e
tra le moltissime specie di Artropodi raccolte mi limiterò a far
menzione di due nuovi Opilionidi.
I compagni, dal canto loro, ascesero il 14 il Pizzuto di S. Michele,
coperto di immensi faggi secolari. Solo il piccolo cocuzzolo è nudo e
colà Biondi trovò le solite miriadi di coccinelle, per la maggior parte
viventi, e tranne pochissime tutte ammucchiate sotto le pietre. Ritrovò
anche altri artropodi e molti ragni. Il malacologo trovò dei rari
esemplari di una Vitrina e dell'Helix pygmaca e proprio sulla vetta il
Buliminus tridens (l'etologo altoatesino Federico Hartig, nel 1963, vi
scoprì la farfalla notturna, detta Brahmea; n.d.A).
Dirò qualcosa dei Laghi, senza preoccuparmi di quanto ne fu scritto prima
da antichi e recenti osservatori, che il farlo mi condurrebbe a trattare
argomenti estranei allo scopo che mi sono proposto con questa semplice
narrativa della nostra escursione. Rinviando il lettore alla
bibliografia indicata nelle note, dirò quasi esclusivamente delle
osservazioni che ho potuto fare coi pochi mezzi dei quali disponevo.
I Laghi sono posizionati ad Ovest del Pizzuto di S. Michele, a Sud Ovest
della cima principale del Vulture ed occupano il fondo di quello che,
nell'opinione del De Giorgi, è il secondo cratere dell'antico vulcano.
Quello più prossimo al monte è più piccolo e di forma più irregolare
dell'altro, che mostrasi quasi ellittico, col maggior diametro diretto
da N. a S. ed un'area m. 800; mentre il secondo ha 600 metri di
diametro. Sono tra loro separati da una lingua di terra, coltivata per
la maggior parte a grano, granoturco e patate, sopra la quale si trovano
i ruderi di un'antica chiesa, coperti d'ellera e di sterpi.
La navigazione sui laghi si compie con delle imbarcazioni primitive,
tronchi d'albero scavati, dette piloni, mossi da un remo corto detto
pala, che il rematore immerge alternativamente a destra ed a sinistra di
quella specie di piroga, che mi rammentava le analoghe imbarcazioni
sulle quali un anno prima avevo percorso il Lago del Matese in Terra di
Lavoro.
I venti impetuosi sollevano onde alte due palmi, ma il pilone può essere
messo in pericolo solo dalle improvvise folate. È prudenziale il non
stivarsi in troppi entro quei tronchi scavati, che un brusco movimento
mal calcolato può capovolgere. Dei piloni ve ne erano tre sul Lago
grande; sull'altro eravene uno solo, troppo piccolo per contenere un
uomo adulto, ed infracidito tanto che la navigazione era poco sicura
anche dei due piccoli pescatori albanesi, de' quali parlerò tra poco,
che erano costretti a cessare di tratto in tratto dal remare per gettar
fuori l'acqua entrata dalle falle.
Il lago piccolo è più profondo di quello grande; in ciò tutti gli
osservatori e le genti del luogo sono concordi; non ho potuto prendere
misure. Quanto al lago grande lo scandaglio immerso prima nel luogo che
mi fu indicato come più profondo, poi in altri, segnò misure molto
inferiori a quelle di Palmieri e Scacchi (anno 1851), e per conseguenza
ancor più lontano da quelle dell'abate Tata (1777).
Ebbi nel lago grande appena 9 metri e 50, mentre Scacchi e Palmieri lo
trovarono di 16 ed il Tata di 39,50. Sembrerebbe che i laghi venissero
rapidamente colmandosi per le ghiaje e la terra trascinatevi entro dalle
acque. Occorrono però altre osservazioni perché gli osservatori sono
tutt'altro che d'accordo; un interrimento tanto rapido di bacini ancora
da monti boscosi e di non considerevole elevazione, quale lascerebbero
supporre le differenze tra le cifre di Tata, Palmieri-Scacchi e le mie,
mi pare difficile a spiegarsi. Anche la temperatura dell'acqua
differisce nei due laghi. Il più grande infatti è ritenuto come un
emissario dell'altro, col quale comunica sotterraneamente, ed allo
scoperto per mezzo di un canale che attraversa la lingua di terra che
separa i due bacini; dalle fatte osservazioni risulta che la temperatura
delle sue acque rimane di poco inferiore a quella dell'ambiente. Nel
lago piccolo invece sembra rimanere costantemente ai 10 od 11 C. Dal
fondo di quest'ultimo sgorgano acque che alimentano entrambi, e che
devono provenire per la massima parte dal Pizzuto di S. Michele.
Le acque del lago orientale, che a detta dei piccoli pescatori ha il fondo
nudo, non ricoperto da vegetazione come ho verificato nell'occidentale,
raccolte alla profondità di 30 a 40 palmi hanno sapore stittico
sensibilissimo, che le guide qualificavano solfigno, e che a me parve
ferruginoso. La bottiglia che conteneva l'acqua destinata all'analisi,
arrivò a Firenze rotta; nulla dunque posso aggiungere in proposito. Del
resto il Sig. Pallottino di Rionero mi assicurò che altri erasi già
occupato di questo fenomeno.
Le rive dei laghi non sono molto estese, che i bacini si fanno bentosto
più o meno profondi. Il livello dell'acqua non sembra essere molto
variabile: si hanno però notizie di grandi alterazioni avvenute in
epoche storiche e riferite da Paulino Tortorella, alterazioni che
potrebbero forse essere addotte come prova della recente cessazione
delle forze vulcaniche nel distretto.
Dal mezzo della curva occidentale del Lago grande esce un emissario, il
Corso dei Laghi, che pel Varco della Creta, attraversato il bosco di
Monticchio, sbocca nell'Ofanto quasi rimpetto al bosco di Pietra Palomba
ed alla confluenza del Laosento, all'Isca dei Cappuccini, per la destra
del fiume.
I pesci che vivono nei laghi sono tinche i cui giovani sono chiamati
cacciuottoli; una specie di Leuciscus Vulturius detto sardella e
l'Anguilla.
La pesca per un tenue canone annuo è conceduta ad un pescatore di Barile,
che abita con due suoi nipoti una miserabilissima capanna situata tra i
due bacini. Durante il nostro soggiorno all'Abbazia, il pescatore non
trovavasi sul luogo; v'erano però i due fanciulli dai grandi occhi,
sorridenti sempre e pieni di vita e di intelligenza. Affidati a loro
percorremmo più volte il Lago grande: la ingenua franchezza, le risposte
giudiziose, la conoscenza che avevano dei laghetti, ci inspirarono per
quei fanciulli una viva simpatia, che manifestammo in quel modo che per
noi si poteva, compensandoli cioè largamente delle fatiche con amore
sostenute in pro nostro.
Si pesca colle nasse, qui dette morticelli, ed anche all'amo, col quale
prendonsi pesci più grossi. Il prodotto, che conservasi nelle acque del
bacino occidentale entro recipienti di zinco bucherellati, più
abbondante nel Lago grande, di pesci di maggior volume nel piccolo, vien
venduto con tenue guadagno a Barile, a Rionero ed in altri vicini paesi.
Aggiungerò che mentre le sardelle e le tinche si pescano tutto l'anno, le
anguille si trovano soltanto nei mesi di maggio e di giugno; i pescatori
ci dissero che negli altri mesi si trattengono invisibili nel più
profondo delle acque. Questo asserto merita di essere meglio esaminato.
Gracidano nelle acque miriadi di ranocchie, spesso la superficie nei
piccoli seni s'increspa per le spire veloci della natrice. Vi sono anche
delle salamandre acquaiole ma non mi fu possibile averne, ed ignoro a
quale specie appartengano. I pescatori ne trovano prese nelle nasse, ma
di rado. Sono abbastanza comuni le lontre, e nella notte si ode talora
il rumore che fanno guazzando nelle acque, presso le rive, in traccia di
preda. La fauna invertebrata è ben altrimenti ricca. Sugli steli umidi
delle tife, delle canne, delle Iris, vivono parecchie specie di
Molluschi ed a centinaia brulicano le larve dei Libellulidi che rotto
poi l'ignobile involucro solcano l'aria coi loro corpicini snelli, le
loro ali iridescenti. In una grossa specie, raccolta di pieno
mezzogiorno in mezzo al Lago grande, mentre volava instancabile, l'amico
Prof. Stefanelli ha riconosciuto l'Anax formosus V. d. Lind.; altre
specie, delle quali si potevano raccogliere la sera, immobili sulle
piante, migliaia d'individui, vennero determinate dallo Stefanelli.
Ma non farò qui una lunga lista delle catture fatte, che sono indicate al
loro posto nei cataloghi ai quali questa narrativa serve di prefazione.
I Laghi sono cinti ad oriente dal Pizzuto, come dissi: di là, girando
verso nord fino a ritornare alla montagna nominata, dalla Serra Faraona
e dai territori di Capo di Volpe coltivati, e dalla Mancusa dei Faggi,
luogo boscoso appunto coperto da faggi mescolati ad altre essenze: oltre
alle piante acquatiche, scendono alle rive, parlo del lago piccolo,
alcuni castagni e nocciuoli che nascondono sotto le loro folte ombre
piccoli seni ove l'acqua si impaluda cupamente verdastra sopra una melma
puzzolente, attorno a tronchi d'alberi marcescenti, e ricoperta qua e là
dalle foglie delle Ninfee e dei Potamogeton.
Dai canneti dove albergano gli aironi che fanno udire spesso il loro grido
rauco e monotono, dai seni ingombri di detriti vegetali in
decomposizione, dalle rive dove crescono luride gigantesche cicute ed
ortiche, s'alza nel mattino una nebbia grave e pesante. Sebbene i Laghi
si trovino a 652 m. sul livello del mare, per un certo periodo i loro
dintorni sono infetti dalla malaria. V'è pericolo di prendere le febbri
miasmatiche nel breve tempo che corre tra gli ultimi di luglio ed i
primi dell'agosto ed il settembre; alle prime pioggie autunnali il
pericolo si dilegua. Ora i guardiani che abitano l'Abbazia si sono
acclimati; ma tutti, quali più quali meno, hanno pagato il loro tributo
al clima.
Presso al Convento si trovano due fontane; una più abbondante, ma che
fornisce acqua né molto fresca né molto buona, l'altra, assai migliore
ma scarsa, che accenna a disseccarsi.
Ma il vero bosco di Monticchio, con le sue ombre foltissime, le sue forre
impenetrabili era ancora un mito per noi, che desideravamo vedere anche
i famosi Bagni di Padula o di Rionero. Prima di tornare a Rionero fu
deciso profittare di un gentile invito del Sig. Avv. Tini, un bravo
lombardo lanciato con la sua famiglia nel mezzo ad un bosco della
Basilicata.
Il 15, nella mattina assai per tempo, per una viottola che può
considerarsi parallela al Corso dei Laghi, attraversammo buon tratto del
celebre bosco. Giunti al Varco della Creta, nel qual punto il terreno
vulcanico lascia il posto ai terreni di sedimento, ed affiorano marmi
bianchi, prendemmo verso Sud per salire il colle incoronato dalle rovine
dell'antico Castello di Monticchio. Tra quelle pietre coperti di dumi e
di muschi, il morale del malacologo, un po' depresso per la scarsità
delle raccolte, si rialzò rapidamente e la sua gioia raggiunse un alto
diapason; cercando per entro alle rovine vennero alla luce Clausilie,
Hyalinie, Campylaee, ed altre specie di gasteropodi, che si godevano il
fresco profondamente sepolti nel terriccio protetto dalle pietre e dalla
folta vegetazione. Rifatta la via, mentre il botanico raccoglieva,
raggiunto il Varco della Creta ed attraversato il Corso dei laghi,
sempre pel bosco fummo ai Bagni.
Bagni rinomati, noti ai Romani che vi avevano edificato uno stabilimento;
notissimi anche ed adoperati nell'Evo Medio, come risulta da antichi
scrittori; illustrati poi di recente, tra gli altri dal sig. Pallottino,
di Rionero, che in una nota ne ha tracciato la storia, la composizione e
la efficacia.
L'avv. Tini, volle farci assaggiare tutte quelle acque. Sono ferruginose
od acidule ed acidule-ferruginose; la loro temperatura varia da 19 a 21
1/2, secondo Pallottino. Non ne mancano di ricchissime di sali ch'io
trovai ad una temperatura assai più bassa della minima indicata
dall'egregio chimico di Rionero. Sebbene la società anonima per la
vendita dei Beni Demaniali abbia costruito alcuni edifizi in legno e
fatte molte migliorie, tuttavia sono da compiangersi gli ammalati
costretti ad abitare in casotti mal custoditi o mal riparati. Il luogo
merita un miglior avvenire, ed a questo dovrebbe pensare il florido
paese di Rionero, che ha mostrato d'avere iniziativa ed energia non
comune.
Ospiti al Casone, poco lungi dai Bagni, dalla famiglia del sig. Tini,
resistemmo, a malavoglia, all'invito fattoci di prendere parte ad una
caccia al Cinghiale ed al Capriolo, ed alle 5 pomeridiane eravamo di
ritorno ai Laghi. Di là, girato il monte a Sud, percorremmo a passo di
carica il tratto dallo sbocco di Valle Grande a Rionero, sopra una
strada che spesso varca, con piccoli ponti di travi e di fascine,
burroni ed enormi fessure che rendono tanto accidentati quei terreni.
Monticchio appartiene oggi (1880 n.d.A.) alla Società Anonima per la
vendita dei Beni Demaniali: venduto ad una delle tante Società che
pullularono ad un tratto come funghi nel nostro paese, e che per la
maggior parte fallirono, tornò ad essa per inadempimento d'obblighi da
parte del compratore.
L'essenza forestale più abbondante in Monticchio, l'unica che abbia
importanza economica è il cerro; non mancano castagni, aceri, ma il loro
numero non è molto rilevante.
Il giorno susseguente fu destinato al "riposo". Accomodare le raccolte,
mettere al corrente i giornali e la corrispondenza, rifare casse e
bauli... ecco il riposo. In tutte queste faccende, testa, braccia, gambe
non ebbero tregua un momento, e fu giustificato il sospiro di
soddisfazione che si dette tutti tre quando, alle 10 pomeridiane, ci
trovammo, nel fondo di un carrozzone blindato che forse rammenta i tempi
dello sventurato Murat, trascinati sulla via di Potenza.
Quella carrozza-mausoleo si arrestò un momento in Atella per prendervi la
posta: della città dove nacque l'antica farsa nulla posso dire; bujo
pesto per quelle strette vie, silenziose e deserte. L'unico essere umano
sveglio a quell'ora tarda era un vecchio lurido che, sbucato con un
lumicino agonizzante dal fondo di una tana, porse brontolando le lettere
al conduttore e sparve subito nel suo antro, mentre i cavalli
riprendevano la loro corsa ........
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