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Ceneri di Civiltà Contadina in Basilicata
GIUSEPPE NICOLA MOLFESE

SVAGHI E DIVERTIMENTI

Coincide con il periodo di carnevale la candelora. Tutte le funzioni religiose della candelora si effettuavano in Mauro, un rione periferico di Sant'Arcangelo.
In uno spiazzo poco discosto dalla cappella e nei pressi della diruta Chiesa di S. Maria degli Angeli i giovani e i non giovani si dedicavano al gioco delle "stacce". I singoli giocatori o la squadra vincente impiegavano la vincita per l'acquisto di vini e cibi vari.

Stacce

Il gioco delle stacce - molto usato dai ragazzi - è così determinato: vi è un piccolo "pisulo" cioè una pietra a forma di parallelepipedo sulla cui pietra viene appoggiata la posta in moneta metallica di ogni giocatore. Ogni giocatore ha in mano una pietra rotonda e piatta chiamata "staccia". Dalla lontananza di circa dieci metri ogni giocatore lancia la staccia e, se colpisce "il pisulo", i soldi metallici sistemati sopra naturalmente cadono. Se cadono molto vicino alla staccia rispetto al "pisulo" il giocatore si può appropriare delle somme da lui vinte. Il secondo giocatore lancia la staccia, poi il terzo e così di seguito sino a quando la posta è stata vinta da tutti. Se nessuno riesce a vincere perché nella caduta i soldi sono rimasti più vicino al "pisulo" la staccia si getta nuovamente a turno ripetendo il gioco.

Patrun e sott

Molti, specialmente gli adulti, prediligono giocare a "patrun e sott" - padrone e sotto. Questo gioco-competizione è comune in ogni festa e in ogni riunione con amici. Come si gioca a "patrun e sott"? Si fa il tocco, ognuno indica con le dita della mano un numero, successivamente si sommano i numeri indicati dalla mano di ciascun componente ottenendo un totale. La persona che ha contato e sommato i numeri inizia nuovamente a contare da sè sino a raggiungere il totale ottenuto nella conta precedente e la conta si ferma su di un giocatore. Questo giocatore deve fare "la legge", cioè deve indicare le norme da dover osservare nel successivo gioco sia per quanto riguarda la nomina ed alcune prerogative del "padrone" e del "sotto" e di altri giocatori che prendono il nome di "femmina prena" - femmina pregna - "vota cerviello" - persona con il cervello instabile - "u canonico" - il canonico -, ecc. sia per stabilire con estrema esattezza chi deve bere, osservando determinate condizioni.
Alcune condizioni per i personaggi testè accennati sono già determinate dalla tradizione.
Riviene fatto il "tocco" e, seguendo le regole indicate dal precedente giocatore, viene nominato prima il padrone e poi il sotto o prima "la femmina prena" e poi gli altri. Stabilite le singole attribuzioni il padrone riempie tanti bicchieri di vino quanti sono i giocatori. II padrone ha la facoltà sempre di bere uno o più bicchieri di vino, volendo anche tutti. Questo, però, non lo fa perché si rovina la reputazione verso gli amici rimasti senza bere e il desiderio di amichevole rappresaglia può durare anche mezzo secolo.
Anche se ho deliberatamente evitato di citare aneddoti o riferirmi a persone determinate non posso tacere questo episodio.
Nel 1919/1920 un mio paesano, subito dopo la guerra, parti per l'America. Lasciò in paese gli amici con cui aveva giocato a "patrun e sott" portando con sè i ricordi, la nostalgia e la speranza di un ritorno. Nel 1968 ritornò dall'America per sistemare alcuni suoi interessi, per visitare i parenti e gli amici del suo paese. In una di queste sere, in una conversazione tra amici si giocò a "padrone e sotto". Nel corso della serata riuscì ad essere padrone per alcune volte. Nessuna delle volte che usci padrone fece bere il suo più caro amico rimasto in paese; "lo fece olmo" (1). Ricordò che nell'inverno del 1918 in una tale cantina durante un ventunora fu portato ad "olmo" dal suo amico. Amici in tutto ma nemici a "patrun e sott". Il "padrone" durante il gioco non può distribuire neppure un bicchiere senza il consenso del "sotto", il quale sempre o quasi sempre ha il diritto di vietare che uno beva. Quest'ultimo mira a farsi lasciare "libero" di poter far bere prima i suoi amici e poi eventualmente gli amici del "padrone".
Questo che è detto molto brevemente dà adito a lunghissime discussioni, sempre interessanti, che il "sotto" fa al "padrone" e viceversa.
Nel caso del gioco se il padrone ha "un olmo" (si intende per "olmo" la persona che, o il padrone o il sotto, hanno deciso di non far bere nel giro in cui loro sono officiati dal caso per tale potere), fa di tutto pur di non far bere il suo "olmo" e, se è anche "olmo" del sotto, non ci sono discussioni.
Le discussioni ci sono allorquando uno dei due vuole far bere un alleato. Si giunge talvolta ad una transazione, cioè il padrone lascia libero il sotto di far bere chi vuole stabilendo l'esclusione di Tizio e Caio suoi "olmi".
Chi propone è il "padrone", il "sotto" può acconsentire o meno a far bere le persone proposte dal padrone; pur di non far bere il suo o i suoi "olmi" beve i bicchieri rimasti in discussione.
Abbiamo accennato che i protagonisti del gioco sono il vino, il padrone e il sotto mentre il resto è un coro le cui prime voci sono: la "femmina prena", la quale nel corso del gioco può assaggiare il vino - anche se "olmo" - quando vuole indipendentemente dalle volontà del padrone e del sotto. Questo giocatore si chiama così in relazione a quella pia abitudine di non negare mai niente ad una donna incinta che esprime un desiderio.
Vi è poi il "vota cerviello", il quale può prendere il bicchiere, se gli è stato deliberato di comune accordo tra "patrun e sott", assaggiare il vino e passarlo ad uno suo amico anche se chiaramente sia "olmo" del padrone e del sotto.
Il "canonico" può chiedere di bere in qualsiasi momento ma dopo che la persona, a cui è stato assegnato il bicchiere, ha iniziato a bere. Il canonico deve dire subito "dico messa", la persona che sta bevendo deve o dovrebbe subito fermarsi.
Accade che il giocatore a cui è toccato di bere, per evitare che la "femmina prena" o il "canonico" portino via il suo bicchiere, lo tracanni di colpo ed in fretta con una celerità da far meraviglia. Terminati i bicchieri il gioco ricomincia, con una nuova legge, con un nuovo padrone, ecc., sino a che qualcuno (o tutti) non diventi "attufato" cioè annebbiato dal vino (2).
Tra una giocata e l'altra il vino viene accompagnato da biscotti croccanti fatti a forma di "otto" molto panciuto di un sapore squisito. Questi biscotti, prima immersi in acqua bollente, fatti asciugare e poi messi nel forno, conservano un profumo dato dai semi di finocchio e dalla farina di grano trattata in un certo modo.
Il gioco è una palestra di oratoria, dove, con il pretesto di convincere l'avversario, si sconfina talvolta in fatti ed episodi che confondono il gioco e talvolta creano discussioni che terminano all'alba. Le tesi vengono difese con acume giuridico con l'impeto di un'arringa. A volte si sentono sottilissime ed acute argomentazioni tendenti a dimostrare il dovere del padrone o del sotto, a far bere "l'olmo" o il diritto dell'olmo a bere. Tutta la conversazione è un dialogo quasi sempre divertente e piacevole.

Il tocco

Tra gli altri giochi vi è "u tuocch": la morra che si adatta anche bene a selezionare i leaders del gioco a "patrun e sott". La posta in palio è quasi sempre il vino e forse, qualche rara volta, il denaro. I giocatori pongono tutte le doti di furbizia, astuzia e abilità nello sconfiggere l'avversario. I giocatori sono due per ogni partita e stanno quasi sempre in piedi, ognuno di fronte all'altro guardandosi fisso negli occhi. Il gioco procede senza bisogno di arbitro in quanto, con uno sguardo d'intesa dei contendenti, è dato il via. Si stende la mano destra con uno, due, tre, quattro, cinque dita distese e contemporaneamente si dice un numero sino a dieci: vince chi ha indovinato la somma delle dita mostrate da entrambi i giocatori.
Naturalmente il gioco della morra non è un gioco indigeno. Pare che sia antichissimo: in una recente spedizione un gruppo di egittologi ha potuto riconoscere su una pittura, grazie alla buona conservazione del reperto, due giocatori di morra.
Il gioco quindi è vecchio di oltre 2000 anni. Tra i romani il gioco era indicato con la parola "micatio" (dal latino "micare digitis" - segnare con le dita -). Se ne occupò Cicerone che ci si accanì contro un certo Apronio, prefetto di Roma, passato alla storia non per il "tocco", ma per la "pesa"; cioè quando vi fosse stata incertezza tra la quantità di merce venduta ed il suo peso, allora si sarebbe dovuto legalmente ricorrere alla "micatio" per risolvere la controversia.
Vi sono altri giochi a cui si dedicano gli adulti, ma sono tanto comuni che non riteniamo dover in questa sede parlarne. È opportuno però accennare dei giochi infantili e degli adolescenti.
I fanciulli quando non giocano fanno "mali servizii", diavolerie o cose mal fatte. Una cosa che ricordo con disappunto di aver fatto più volte anch'io è quella di catturare i piccoli dai nidi, in primavera. Il desiderio di salire sugli alberi e catturare gli uccelli appena nati era invincibile. Alla masseria Monte Cellese non so quanti cardellini io abbia catturato. Oggi con vivo rammarico ricordo, fra l'altro, quelle malefatte comuni a tutti i miei coetanei.

Il Ventunora

Da tempo immemorabile i "galantuomini" del paese usavano fare il "ventunora". Questa usanza che più opportunamente definirei una abitudine rituale quotidiana ha continuato ad esistere sino alla fine della seconda guerra mondiale.
Negli ultimi anni aderivano pochissime persone, sporadicamente ed occasionalmente, facendo venir meno quella propria caratteristica rituale .quotidiana.
Il "ventunora" coincideva con tre ore prima delle ventiquattrore; l'ora quest'ultima in cui le campane annunciavano l'Angelus. L'incontro tra i "galantuomini", o tra chi possedeva un certo censo, avveniva tre ore prima ,che imbrunisse (3).
La riunione avveniva nella cantina privata, a turno, dei singoli partecipanti, i quali per essere "galantuomini" dovevano possedere almeno una casa, una cantina ed una vigna. Detta cantina non era un enopolio, era scavata nell'argilla mista ad arena e sovente coperta da volta a mattoni "lamia". E' appena il caso di accennare che il sottosuolo su cui poggia Sant'Arcangelo è internamente scavato ad uso cantine.
Non mi dilungo nel descrivere una cantina che era simile a quelle tutt'ora esistenti.
In quelle cantine avveniva la riunione di diversi gruppi dove, a seconda le diverse usanze dei partecipanti, il proprietario offriva il vino e talvolta anche il cibo. Quest'ultimo era costituito, secondo il censo e secondo le capacità e le attitudini culinarie della moglie del simposiarca, da cibi prelibati per palati aristocratici o da normali pietanze.
Le uniche donne ammesse alla riunione erano coloro che portavano nelle sporte i cibi; dopo averli deposti, lasciavano in tutta fretta la cantina.
Durante il "ventunora" si mangiava, si beveva, si commentavano i fatti locali, soprattutto si facevano tanti pettegolezzi, si discuteva a volte con molta dottrina di vari argomenti o di varia cultura. Dobbiamo riconoscere che molti (non tutti) avevano eccelse qualità intellettive, una facondia ed una conoscenza profonda e chiara dei vari problemi trattati (4).
Generalmente la conversazione era contenuta nei limiti della buona creanza e raramente si verificavano eccessi; ove mai questi si fossero verificati, ognuno aveva premura di salvaguardare il decoro della comitiva. Il vero "galantuomo" rispettava il protocollo del ventunora; si adoperava non solo di apparire ma soprattutto di essere ospite degno della comitiva.
Si giocava a "patrun e sott", gioco già descritto, e raramente accadeva che dal ventunora si uscisse ubriachi.
Vi era una prassi per cui durante il gioco, salvo che la fortuna non l'avesse favorito nel diventare "padrone", tutti i componenti della comitiva miravano a non far bere il padrone della grotta.
Il ventunora terminava dopo che era suonato l'Angelus.

Il tempo libero trascorso in piazza

Sino alla seconda guerra mondiale non vi era alcun divertimento se non quelli indigeni che altrove descriveremo e che nelle diverse circostanze e occasioni dell'anno costituivano divertimenti per i bambini, gli adolescenti, gli adulti o vecchi. Per le donne il divertimento più frequente, più gradito, più ameno, era quello di chiacchierare d'estate davanti all'uscio di casa e d'inverno davanti al focolare; per gli uomini in piazza, seduti o appoggiati alla ringhiera, parlare degli altri: degli amici si esaltavano le virtù, l'operato; dei nemici non si diceva altro che male, anche se non del tutto meritato.
Non era del tutto raro il caso che si arrivasse ad inventare o a riferire fatti o episodi dove non c'era il benché minimo fondamento di verità. L'esigenza di avere materia di conversazione portava a creare con la fantasia fatti, episodi, aneddoti a volte del tutto inventati, o, se in parte veri, ingranditi dalla fantasia popolare.
Non di rado mi è capitato di dover smentire delle calunnie, delle maldicenze rivolte a persone ineccepibili sotto ogni profilo e soprattutto non vere.
Specialmente in estate gruppi di persone, ancora oggi, sino a qualche ora prima dell'alba, discutono mai parlando di se stessi, ma degli altri.

 

NOTE

1) Dal greco ollumi - perdere, arrecare danno.
2) Dal greco tufw - mando fumo. Attufare significa anche aggiustare il fuoco in modo da evitare il fumo o evitare che si spenga se è appena acceso.
3) Nell'antico uso italiano (di cui si trovano larghe tracce nella letteratura nostra e straniera) le 24 ore si contavano a partire dal tramonto del sole, o, più precisamente, all'Ave Maria della sera che, tutt'ora, viene annunciata con il suono delle campane mezz'ora dopo il tramonto, seguendo regole fisse e viene detto che sono le ventiquattrore.
4) A tal proposito mi piace ricordare che molti Santarcangiolesi della diaspora hanno detenuto posti di rilievo e di alta responsabilità in Italia e nel mondo e sono stati, quasi sempre, insieme ad altri, dei "principi" del ventunora.

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TRASTULLI E GIOCHI INFANTILI

I giochi infantili sono numerosi e trovano la loro origine in usi antichissimi, in credenze o avvenimenti e consuetudini, molte delle quali scomparse, trasformate o, nella sostanza, dimenticate.
A volte la radice del gioco non può trovare una spiegazione. Ma una componente sta nella punizione che viene inflitta al giocatore meno abile. Questa componente, comune peraltro in tutti i giochi, è accompagnata da un altro elemento: il canto di strofette e canzoncine.
Nei confronti dei bambini si era creata anche un'antichissima arte popolare (testimonianza sono gli oggetti rinvenuti nelle tombe dei bambini dei secoli passati e trovati negli scavi); infatti i "cretari" fabbricavano numerosi ninnoli (fischietti, "pupicielli", attrezzi agricoli, salvadanai) destinati ai bambini.
Questo artigianato popolare nella mia zona è ormai quasi scomparso; altrove è rimasto qualche superstite.
Vogliamo soffermarci a descrivere brevemente quei giochi semplici, fatti all'aria aperta, senza giocattoli, che attestano l'esuberanza propria dei fanciulli.
I genitori, al levarsi del sole, si avviano in campagna e portano con loro i figli se non sono ancora in età scolastica; diversamente i ragazzi, se d'inverno, attendono l'ora di andare a scuola vicino al fuoco facendo la "fella" - colazione. Entrano in classe, ascoltano la lezione, una volta mista di nozioni e percosse, e all'uscita tornano a casa. Aprono la credenza, prendono il pane e, se vi è, il companatico e mangiano per la strada in compagnia di altri ragazzi.
Per la strada organizzano giochi, canti e divertimenti vari.

"A cavaliere"

Si fa la conta tra i partecipanti che devono essere di numero pari e non più di otto. Si conta il "tocco" - lo stesso di quello del padrone e sotto - il quale assegna chi deve sistemarsi primo con le braccia e la testa appoggiata ad un muro presentando la schiena a forma di cavallo, dietro al primo si sistema il secondo poi il terzo ed il quarto, in modo che gli altri compagni vi possano saltare sopra. Questi ultimi prendono la corsa, vi saltano e stanno a cavallo sino a quando quelli di sotto non danno il segno di scendere. I ragazzi sistemati sopra dovranno, in questo caso, saltare nuovamente. Se invece quelli sistemati sopra dovessero perdere l'equilibrio e cadere o sbagliare il salto e, dopo avere saltato, cadono, debbono mettersi sotto e permettere che gli altri vi saltino sopra, sostituendosi nei diversi ruoli. Una squadra mentre salta dice "cavaliere", quelli di sotto rispondono "piccilandiere". Generalmente a decidere se continuare il gioco o cambiarlo sono quelli che debbono saltare sopra.

"Zumpa sella"

Un gioco simile a quello descritto è il gioco "zumpa sella", salta sella. Si fa la conta - "il tocco" - alcuni si mettono sotto, cioè poggiano le mani sulle rispettive ginocchia disponendo il corpo ad arco. Un ragazzo prende la corsa e divaricando le gambe salta appoggiando le mani sulle spalle di quelli che stanno sotto, saltando dice "cavaliere" , chi sta sotto risponde "piccilandiere".

"U picca"

Viene segnato in terra con il gesso o con il carbone un cerchio di dimensioni varie. Un ragazzo tiene in mano un pezzo di legno "a mazza", si libera, rilancia nell'aria un altro pezzo di legno molto più piccolo "u picca" che, con una certa abilità, viene colpito dalla mazza e lanciato ad una certa distanza. Un altro ragazzo va a raccogliere "u picca" e lo getta cercando di farlo cadere nel cerchio già segnato a terra. Se "u picca" va entro il confine del cerchio il rapporto si inverte cioè chi tiene la mazza dovrà andare a prendere "u picca".

"A cape de morte"

Nel periodo estivo quando le zucche stanno per maturare si porta. dalla campagna una zucca, si tolgono dall'interno i semi, si fanno due fori a forma di occhi, un naso ed una bocca, si mette nell'interno una candela facendo sembrare, a chi vede da lontano, un teschio luminoso. I bambini di nascosto assistono alla scena che qualcuno fa, o spaventandosi veramente o fingendo di spaventarsi.

"U struòmmele" (1)

È una trottola dal cui apice parte un filo arrotolato su tutta la superficie laterale. Tirando con abilità e violenza viene impressa una velocità notevole. Il giocatore deve saper trasferire la trottola dalla terra sul palmo della mano senza farne arrestare il movimento rotatorio e, quando sono più ragazzi a giocare, quel giocatore deve mirare, con la sua trottola, a far arrestare il movimento delle altre. Se il colpo non riesce, tira un altro e così via.

"Alle mennole di pernicocche" (2)

D'estate, quando i ragazzi mangiano le albicocche, "pernicocche", il nocciolo (noccioli piccoli si chiamano semplicemente "nuzzuli", quelli grandi "crisommole" (3)) non viene buttato; ricordo di aver posseduta una cassa piena che mio padre provvide a fare buttare giacché alcune possono contenere un certo veleno. Come si sviluppa questo gioco: I ragazzi mettono a terra una dotazione di 10, 20 etc. noccioli di albicocche. Si butta il tocco, chi deve iniziare la partita deve gettare in aria un nocciolo di albicocca e prima che il nocciolo cada, deve essere abile a prenderne uno da terra, tenerlo nel palmo e far cadere quello buttato in aria nel palmo. Se l'operazione riesce perfettamente, l'altro giocatore è tenuto a dare, come prezzo della vittoria, un nocciolo. Se sbaglia perde il nocciolo ed il gioco passa all'altro concorrente; con questi noccioli i ragazzi, per divertimento, facevano una specie di marmellata.

Girotondo

È noto e vi sono tante strofette per esempio: "centocinquanta la gallina canta" etc. "Son venuti gli ambasciatori..." di cui non ricordo il testo per intero.

"U sc-cupettuole"

Come è noto il sambuco è formato da una parte legnosa e nell'interno vi è una parte di midollo. Il sambuco tagliato per circa 15 cm. viene usato come una specie di stantuffo che viene introdotto nella parte concava vuotata del midollo. La parte vuotata è detta "cacone" (4). Vengono fatte alcune palline di stoppa e saliva che il ragazzo mastica per un po' di tempo. Introduce prima una e poi un'altra di queste palline. Tra una pallina e l'altra s'incapsula una certa quantità di aria. Facendo una violenta pressione sulla prima pallina sistemata a contatto con stantuffo, quella sottostante viene espulsa facendo un certo rumore.

Il cerchio

È noto il gioco. Interessante è la sistemazione del gancio di ferro, per farlo ruotare, formato da diverse curve.

"Zirr - zirr"

È fatto di latta a forma di cerchio con due fori al centro attraverso i quali passa uno spago. Il cerchio di latta viene posto al centro dello spago e lo spago viene attorcigliato. Allentandolo e tirando, la forza d'inerzia fa girare, con un moto continuo, il cerchio di latta.

La freccia

Personalmente ricordo quante volte sono andato da Peppiniello, il decano e maestro degli autisti del mio paese, per chiedere dei ritagli di camere d'aria per fare la fionda formata, come è noto, da una forcella di legno, da un elastico e da un pezzo di cuoio. Ricordo i miei compagni abilissimi nel riuscire a colpire gli uccelli, nel riuscire a fare entrare la pietra in un foro di piccole dimensioni. Senza dubbio è un gioco pericolosissimo in quanto la pietra che viene lanciata assume una velocità notevole e, se colpisce un organo vitale, può procurare anche danni irreparabili.

CANTI DEI BAMBINI

I bambini specialmente d'estate, fino a tardi stanno per strada. Quando vedono la luna cantano una filastrocca:

"O luna luna nova
non t'agge viste ancore
e mo che t'agge viste
salutami a Gese Criste
A Gese Criste agge salutate
saluteme 'a Madonna dà Pietate".

"O luna, luna nuova
non ti ho vista ancora
e ora che ti ho vista
salutami Gesù Cristo
Gesù Cristo ho salutato
salutami la Madonna della Pietà".

Quando i ragazzi vedono una stella cadente pronunciano:

"Stella mia stella mia
fammi tu 'a fortuna mija"

e seguono con lo sguardo la stella formulando un desiderio.

Un'altra canzone, molto diffusa, è la seguente che viene di solito detta vicino al fuoco insieme alle "cuse - cuselle" (cose, coselle).

"Ij sacce 'na canzone de galle e de cappone
'u cappone jè a quatte piede
e chiamame lu chianchiere
lu chianchiere jè ggiunte fore
e chiamame a don Necola
don Necola jè ggiunte a Ila Messa
e chiamame la patessa
la patessa jè 'ndu liette
pe 'nu pare de surge 'n biette
'u guaglione 'nda la nache
pe 'nu pare da surge 'n cape
e ze monache 'ndu cascione
tuppe tuppe a llu cuzzerone".

"Io so una canzone di gallo e di cappone
il cappone ha quattro piedi
e chiamiamo il macellaio.
Il macellaio è andato in campagna
e chiamiamo don Nicola
don Nicola è andato a Messa
e chiamiamo la badessa
la badessa è a letto
con un paio di topi sul petto.
L'infante è nella culla
con un paio di topi in testa
e il monaco è nascosto in una grande cassa
tup tup a lu "cuzzerone".

Il bambino quando si taglia i capelli a zero (quando si rapa) si dice che si è fatto il "cuzzerone".
Prima di accarezzare strofinando il palmo della mano sulla testa del bambino si recita la canzone. Alla fine della canzone si strofina il palmo della mano.
Per acquietare i bambini che piangono si canta la filastrocca pizzicando leggermente i dorsi delle mani tese in avanti:

" Pingula pingula mio Martino
sende 'n'addore da petrisine
vai a cavalla a Ila riggina
'a riggina jè ggiunte 'nda Spagna
ad accatta' le castagne
castagne e castagnole
'ndu cappielle da mensegnore
mensegnore de Tursi
tene o pile sotte 'a vorse
mensegnore ave 'nu cane
ca mozzicave li cristiane
mozzicava le donne bella
jèsce fore cà si' 'u cchiù belle".

" Pungolo pungolo o mio Martino
sento un odore di prezzemolo
vai a cavallo alla regina
la regina è andata in Spagna
a comprare le castagne
castagne e castagnole
li ha riposti nel cappello di Monsignore
Monsignore di Tursi
ha i peli sotto le ascelle
Monsignore ha un cane
che mordeva i cristiani
mordeva le donne belle
vieni tu che sei il più bello".

Quando si appresta il temporale il bambino fa delle invocazioni affinché non piova e non si bagnino i suoi genitori i quali si sono recati in campagna e, rivolgendosi dalla parte da cui sta venendo il temporale, i bambini, segnandosi la fronte con il segno della Croce, recitano la seguente strofetta:

"Chiove chiove chiove
mamma mia jè ggiunte fore
jè ggiunte senza scialle
Madonna mia non fa' chiove
(oppure)
Madonna mia tiene l'acque".

"Piove piove piove
mamma mia è andata in campagna
è andata senza scialle
Madonna mia non far piovere
(oppure)
Madonna mia trattieni l'acqua".

Vi è anche un'altra versione di questa strofetta:

"Chiove chiove chiove
tattaranne jè ggiunte fore
s'è scurdate lu cappielle
passe acqua e malitiembe".

"Piove piove piove
il nonno è andato in campagna
si è dimenticato il cappello
smetta di piovere ed il cattivo tempo".

Vi è credenza che il futuro stato dei denti sia connesso con la seconda dentizione. Allorquando cade un dente il bambino deve nascondere il dente in un buco e mentre lo si nasconde si devono pronunciare le seguenti parole (5):

"Mure vecchie mure nuove
tie' 'u vecchie
e damme 'u nuove
forte come 'nu chiuove
e janghe come 'na scorza d'ove".

"Muro vecchio e muro nuovo
tieni il vecchio e dammi il nuovo
chè sia forte come un chiodo
e bianco come un guscio d'uovo".

Un'altra famosa strofetta è quella che viene detta:

"Pisa pisa lu sale
pisa pisa lu murtale
s'è spusato lu spiziale
lu spiziale
s'è pigghiate 'na pupa de pezza
che quanne cammina tutta si spezza
ca si spezza a lla cintura
a ddo' stringe 'u maccature".

"Pesta pesta il sale
pesta pesta il mortaio
s'è sposato il farmacista
Il farmacista
si è sposato una pupa di pezza
che quando cammina tutta si spezza (è leziosa)
che si spezza al punto della vita (ancheggia)
dove si tiene legato il fazzoletto".

La strofetta che stiamo per dire è generalmente detta dagli adulti, però anche i ragazzi spesse volte la recitano:

"Caro cumbare
facimma lu 'mmite
tu pigghie la carne
ij pigghie lu spite
tu pigghie lu vine
cà 'u mije jè a ll'acite
tu pigghie lu pane
cà 'u mije jè mucate
tu pigghie la grutte
cà mije jè sciugghiate
tu pigghie a megghierete
cà mije jè malate
caro cumbare
facimme lu 'mmite".

"Caro compare
facciamo l'invito
tu pigli la carne
io piglio lo spiedo
tu pigli il vino
che il mio è aceto
tu pigli il pane
che il mio è ammuffito
tu pigli la cantina
che la mia è crollata
tu metterai a disposizione tua moglie
che la mia è malata
solo così potremo
fare l'invito".

Le bambine appena adolescenti pronunciano una strofetta mediante la quale cercano di invocare la Madonna in occasione della festa dell'Annunziata e dell'8 settembre, festa di Orsoleo (6), e dicono:

"Madonna mia Annunziata
se quest'anno sono ancora vacandia
l'anno che vene voglie esse maritata".

"Madonna mia Annunziata
se quest'anno sono ancora signorina
fa che l'anno venturo sia sposata".

Altra preghiera è la seguente:

"Madonna mia du Ritu (forse di Loreto o del Rito)
manname 'nu buone marite
mannemele janghe e russe
de bona salute e culurite".

"Madonna mia del Rito
mandami un buon marito
mandamelo bianco e rosso
di buona salute e colorito".

Inoltre il giorno di S. Antonio Abate le giovanette si raccomandano a S. Antonio al quale si rivolgono con queste parole:

"S. Antonio mio benigno
avvocato di stu regno
tanto brutta non ci songo
e lu zite non nu tengo".

"S. Antonio mio benigno
avvocato di questo regno
non sono tanto brutta
ma non ho il fidanzato".

 

NOTE

1) Dal greco stromboz = trottola.
2) Dal greco kokkoz = cocola, nocciolo, forse preceduta ernoz - germoglio, pollone, rampollo.
3) Dal greco kreissvn = più grande, più potente, prevalente.
4) Dal greco caskw (cainw) = molto aperto, spalancato.
5) Si noti che il dente vecchio non si butta, ma si nasconde nel foro d'un muro, perché è caro, riservato, essendo un ossicino umano.
6) La cappella dell'Annunziata è diruta; si trovava a S. Antonio Abate vicino alle case popolari. Il monumento rappresentato dal Convento di Orsoleo (rimonta al 1474) sta andando in rovina e, purtroppo, nessuno vi pone rimedio.

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