IL SENSO DI UN RITORNO
Il Giubileo, per chi ne veda solo
gli aspetti eclatanti (le solenni liturgie, le imponenti adunate,
ogni volta un evento mediatico di straordinario richiamo) colpisce
l'immaginazione collettiva come una grande festa di piazza. In
effetti lo è, ma tra i momenti forti della celebrazione e quelli
intimi della religiosità individuale corre un filo di alta tensione
che non si può immaginare in corto circuito, pena il venir meno
della ragione dell'apparato; che comunque soddisfa un bisogno di
esternazione e visibilità di quanto avviiene dentro.
Splendidi segnali vengono lanciati "urbi et otbi". L'apertura della
Porta Santa (con quel Papa "immortalmente stanco" inginocchiato come
sulla soglia dell'eternità). Il
meaculpa sul luogo della memoria dell'olocausto degli ebrei,
quasi un pezzo di tragedia greca per intensità drammatica. Il
censimento apoteosi dei nuovi martiri del XX secolo, una nube di
testimoni" sterminata: quasi un ritorno della Chiesa delle origini.
E molto altro ancora, giorno dopo giorno. Sembra che il vecchio uomo
di spettacolo che fu Wojtyla assesti di volta in volta un efficace
colpo di teatro" al servizio del suo ministero. Tutto questo è
l'epifania del giubileo.
Sotto di essa corre una trama invisibile che è la sua anima vera. E
non trovo di meglio, per indicarla, che la parabola del figliuol
prodigo con il suo intimo dolore e la gioia del ritorno, e la festa
nella casa paterna per il grande evento.
A che scopo una mostra d'arte in questo grandioso contesto? Non
sfuggono ai mezzi di informazione certi segnali che indicano un
ritorno degli artisti alla Chiesa. Una divaricazione, se non una
separazione, dopo Michelangelo e Raffaello c'era stata. Molti
avevano abbandonato la casa paterna ricca di ogni ben di Dio (la
Sistina, le Stanze) ed erano andati lontano a dissipare le
proprie sostanze ("la parte che mi tocca", la loro autonomia) in
bagordi e capricci alla ricerca di nuovi linguaggi, nuove certezze,
nuovi simboli. Poi venne la sazietà dello sciupio, la lacerazione
(un Cristo di Rouault), la disperazione (Munch).
Insomma, la parabola dell'arte moderna con la sua immensa ricchezza
e il suo profondo travaglio. Giovanni Paolo II ha la mano facile nel
chiamare gli artisti; prospetta loro un tema che gli è caro:
costruire Cristo nel loro cuore. Il riavvicinamento è sempre
possibile; religione ed arte sono creature dello stesso padre e
parlano la stessa lingua: ispirazione, creazione.
Andare "oltre la porta" può significare trascendenza nel senso
proprio della fede ma vi sono tante vie, anche perfettamente laiche,
per cogliere significati e valori che sono "di là". La mostra rende
conto delle scelte individuali secondo i principi, le tecniche, i
gusti dei singoli artisti. Una varietà di esiti che documenta la
situazione della produzione artistica del momento in Basilicata,
anche se mancano all'appello alcune figure. Sarà in ogni caso una
buona occasione per far conoscere in Italia e all'estero, dove la
mostra si sposterà, il nostro patrimonio vivente di creatività.
Bernardo Panella
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