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Albano di Luc.


 

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PARTE III

Albano di Lucania ed il suo folklore

Descrizione dei cittadini

I cittadini di Albano di Lucania, volendoli classificare secondo la teoria del prof. Giacinto VIOLA, si può, in linea di definirli dei "normotipo, normosplancnici, ipostenici " (statura e corporatura normali con tono muscolare al di

 sotto del normale, cioè alquanto rilasciato). Pochi sono da considerarsi dei « longitipo, normasplancnici, normostenici » (alti con corporatura e portamento normale. Non vi sono, invece, casi di vero e proprio nanismo o gigantismo.

Sono quasi tutti, bruni con occhi neri o castani dallo sguardo mite, che lascia intravedere una certa astuzia e diffidenza istintiva.

Anche se non particolarmente belli sono abbastanza piacenti, di aspetto.

Si direbbe che non hanno nulla degli orientali e tanto meno dei nordici, perciò si ritiene facciano parte in fondo della antica razza italica rimasta pura grazie al secolare isolamento.

 

Linguaggio e grado di cultura

Il linguaggio dei cittadini di Albano è un semplice dialetto. In esso, ancora oggi, si riscontrano i seguenti vocaboli che trovano origine nel greco antico:

—                 Attàne, padre;

—                 Caccavo, laveggio;

—                 Calanca, frana;

—                 Calandra, l’allodola;

—                 ‘Ngegnare, indossare per la prima volta un vestito;

—                 Isci, per dire al mulo, asino o cavallo di fermarsi;

—                 Matréa, madrigna;

—                 Salma, quantità di legna o altro che può portare sul basto un animale da soma;

—                 Troccola, strumento che rende un ingrato stridere mediante una unguetta di legno che scatta e sbatte su una rotella dentata mossa da un manubrio: si usa durante la settimana Santa al posto delle campane;

—                 Zito, sposo. (1)

E’ probabile che né siano stati usati altri man mano trasformati ed infine scomparsi con le vecchie generazioni. Inoltre, si riscontra qualche parola latina o derivata, da essa, quali; "fa valent’" (da valens), per dire fai alla svelta e "crai" (da cras), domani. Infine vi è qualche vocabolo derivante forse dal francese, quale: "pitit" (da pétit), piccolo e , "lit'" (da lit), letto. Non si riscontrano, invece, vocaboli di origine Albanese. (2)

Questo dialetto è usato nei rapporti familiari, personali ed anche sociali. Nei rapporti scolastici e professionali viene usato l'italiano, di cui si ha una sufficiente conoscenza.

La conoscenza della lingua italiana da parte di questi cittadini è dovuta alla paziente ed altruistica opera svolta per anni dagli insegnanti delle scuole elementari, delle scuole medie e del Centro di Cultura Popolare. Quest’ultimo ha particolarmente contribuito ad elevare culturalmente le classi più anziane, fra le quali, fino a non molti anni fa, vi era un’alta percentuale di analfabeti, mentre oggi sono pochissimi coloro che non sanno leggere e scrivere e che non si interessino di problemi sociali e di carattere locale e nazionale.

 

Le nascite

Ogni anno 1’indice delle nascite è molto alto, specie nella classe meno abbiente.. E’ un fenomeno antico da cui si deduce che questi cittadini, nonostante il progresso, non si preoccupano di evitare, mediante una onesta educazione sessuale, di mettere al mondo tanti figli, ai quali offrono poi una vita misera sia sotto l’aspetto materiale che morale.

Le nascite avvengono ancora in casa. Solo nei casi in cui il medico lo ordina, a denti stretti, le partorienti vanno in ospedale ed a malincuore, perché la parola "ospedale" la ritengono sia di cattivo augurio. Perciò alle moderne attrezzature ospedaliere preferiscono il letto, le sedie o qualche scanno di casa.

Non è vero che si partorisce in aperta campagna, come si dice. Qualche caso del genere si è verificato nel lontano passato, come oggi può verificarsi ovunque, ma non è da attribuirlo alla mancanza di pudore di questi cittadini, bensì alla loro particolare ignoranza delle regole igieniche. Infatti a quel tempo (risale a 40-50 anni fa), vi erano donne che stavano per divenire madri ed ignoravano ogni cosa su come e quando sarebbe avvenuto l’evento, per cui, fino all’ ultimo giorno, si recavano e lavorare nei campi.

Ai neonati è ancora quasi d’obbligo imporre il nome dei parenti, dei nonni in particolare, e magari a più di uno. Pertanto capita spesso che in una famiglia vi siano più figli che anagraficamente portano lo stesso nome, anche se, in pratica, vengono chiamati con nome diverso. Da questo fatto può dedursi quanto sia ancora grande l’amore ed il rispetto che questi cittadini hanno per i loro genitori.

 

Il   matrimonio

Ancora oggi, la gran parte dei giovani d’Albano giunge al matrimonio consigliata da familiari. Essa assolve a questo precetto con tutto l’entusiasmo ed adopera ogni, altro accorgimento e cura necessari a creare una nuova e buona famiglia. Il matrimonio, quindi, è ritenuto tuttora in un atto decisivo della vita e quasi una consacrazione della santità della vita, della prosperità, della bellezza. Il giovane è molto orgoglioso di condurre all’altare prima e poi per le vie del paese la sua sposa vestita di bianco accompagnati da un lungo corteo di parenti ed amici. La donna è altrettanto fiera di poter dare, con questo simbolo di castità, una grande soddisfazione a Dio, ai parenti ed ai paesani tutti. Quest’impegno di purezza i giovani lo assumono sin da quando si esprimono reciprocamente, per la prima volta, il sentimento di simpatia, anche se ciò, a volte, avviene in povere ed assurde circostanze in cui il fatto, col codice penale alla mano, potrebbe sembrare un tentato reato contro la libertà sessuale. Ciò dimostra in quale alta considerazione è tenuto il significato della "verginità", nonostante che la evoluzione dei costumi, in altri luoghi, abbia distrutto questa e ben altre virtù. La verginità è considerata come una dote d’onore che si tramanda da madre in figlia quasi come un onorato biglietto da visita col quale le giovani possono presentarsi a testa alta innanzi alla società.

Accade raramente che due fidanzati "scappino di casa", come si dice. In questi casi essi vengono odiati da parenti ed amici e per molto tempo. Tale fatto, considerato molto grave, prima che alle autorità delegate ad unire i due giovani in matrimonio, quali il Sindaco ed il Prete, di solito, viene riferito al comandante della locale stazione dei carabinieri. Colui che lo va a riferire normalmente incomincia col dire: « Curnandà, chidd’ duie si 1’sò màgnat’ i vierm’ » (comandà, quei due se li sono.mangiati i vermi), per dire che hanno consumato il matrimonio anzitempo! A questo punto, il comandante della stazione deve mettere da parte i codici ed ogni altra disposizione di legge, ed operare col cuore ed il buon senso, facendo da padre, da intermediario e quant’altro occorra per far si che i giovani si sposino e torni la pace nelle rispettive famiglie, offese ed ostinate nella loro avversione reciproca.

 

Il   lutto

In occasione della morte di congiunti, gli usi di questa popolazione sono un po’ comuni a quelli di tutta 1’Italia meridionale. Il defunto, per il tempo in cui è tenuto in casa, viene vegliato alternativamente da gruppi di parenti più prossimi. Questi, di tanto in tanto, si alternano individualmente a piangerlo, specie al sopraggiungere di altri parenti od amici. Piangendo, spesso, esaltano le virtù del povero defunto che aveva in vita. A volte, con la stessa lamentosa cantilena, approfittano per rimproverare indirettamente di qualche fatto passato qualcuno degli astanti, cosa , che non sarebbero capaci di fare in altre circostanze.

Poi il defunto viene portato in Chiesa a spalle e nella forma più modesta, anche se si tratta di una personalità importante o di un benestante. Qui si celebra il rito funebre che può essere di prima, di seconda e di terza classe a seconda la disponibilità di mezzi dei congiunti. Quindi si addobba la Chiesa, si celebra la Messa, si suonano le campane. Quest’ultime poi vengono messe come ad una prova di resistenza, per il continuo suonare, specie quando il rito è di prima classe, da cui si deduce che il defunto. era persona importante o benestante.

Dopo i funerali, i familiari ricevono in casa le condoglianze da parte di parenti ed amici. Inoltre, ricevono «u cunzl'» (pranzo di conforto offerto quasi sempre dagli amici più stretti). Detto pranzo, di solito, è completo ed abbastanza sostanzioso; in passato, invece, era limitato ad un brodino vegetale.

I congiunti del defunto indossano subito la veste di lutto. Le donne usano gli abiti completamente neri, gli uomini solo la cravatta ed una striscia nera sul bavaro e, qualche volta, anche sulla manica della giacca. Questo segno di lutto è portato con molta serietà e per tre anni per i genitori, la moglie o il marito, poco meno per i fratelli e sorelle. Una volta per la moglie o il marito si portava sei anni. Inoltre, il marito non si radeva per un mese la barba; la moglie per otto giorni portava i capelli sciolti e per sei mesi non cambiava la camicetta bianca che usava indossare sotto il costume tradizionale!

 

Partecipazione alla vita pubblica

Eccetto gli scarsi intellettuali, la quasi totalità di questa popolazione partecipa alla vita pubblica molto poco e quasi indirettamente.

In campo economico manca di quell’ iniziativa privata che potrebbe far migliorare le condizioni economiche dei singoli e della collettività. Ciò perché essi non intendono rischiare i loro beni, che, quasi legati ad una antica tradizione, conservano gelosamente per tramandarli ai discendenti. Pertanto i risparmi preferiscono. conservarli sui libretti postali, dopo essersi assicurati da persone di fiducia, che non possono perdersi, altrimenti li conservano in casa. Quindi gli abitanti di Albano, a tutt’oggi, non hanno neppure tentato di mettere su qualche piccola industria, magari a carattere artigianale, qualche cooperativa agricola o qualcos’altro del genere. Si accontentano di vivere come le vecchie generazioni e si giustificano dicendo che questa è una zona poco adatta a certe iniziative. Tuttavia attendono rassegnati da anni che una qualsiasi iniziativa venga presa dal Governo e da altri Enti pubblici.

Manca, altresì, di ogni istituzione a carattere sociale. Infatti, ad eccezione dell’Associazione Cattolica, frequentata da donne, bambini e pochi giovani, non esistono circoli ove gli altri cittadini possono incontrarsi e scambiare le loro idee sui fatti del giorno e sui vari problemi della vita quotidiana del paese. Questi ultimi, di solito, li risolvono chiedendo consigli alle poche persone che per essi rappresentano l’Autorità, quali il Sindaco, il Prete, i Carabinieri o qualche, esponente politico di un partito qualsiasi, purché ritengano faccia al loro caso. Dopo che hanno ricevuto il richiesto consiglio, a causa della loro antica diffidenza, lo commentano e più di una volta fra amici e, il più delle volte, lo mettono da parte anche se sia stato dato con equilibrio o disinteresse.

Alla vita politica i cittadini Albanesi partecipano molto passivamente, sebbene, durante la campagna elettorale, accorrono in massa ad ascoltare gli oratori politici nei comizi. In effetti, si direbbe che non hanno ancora maturato una vera e propria coscienza politica. Votare per l’uno o l’altro partito è quasi la stessa cosa, purché chi lo rappresenti sia, secondo loro, una persona onesta, buona, capace di risolvere le loro situazioni ed i loro problemi. Quindi non sì interessano molto della politica nazionale e tanto meno di quella internazionale. Pertanto l’esito delle varie competizioni elettorali presenta sempre delle strane sorprese.

 

L’emigrazione

Causa la scarsa fertilità del terreno, le inclemenze atmosferiche, l’assoluta mancanza di industrie locali e di altre fonti di guadagno questi cittadini sono stati costretti a condurre un tenore di vita povero e modesto. Da quando è stato possibile emigrare all’estero la quasi totalità degli elementi giovani sono emigrati in Germania, Francia, Svizzera, Australia ed Inghilterra. Inoltre, intere famiglie di contadini si sono trasferiti nel Nord Italia, ove, pur continuando a lavorare la terra, hanno potuto migliorare le loro condizioni economiche e sociali. Si, perché qui, come un po’ in tutto il meridione, non si è ancora creato un vero punto d’incontro fra la classe contadina e le altre classi sociali. Quindi questa gente va via in silenzio, consapevole dei disagi e dei rischi a cui va incontro. Tuttavia, va ugualmente come avesse l’ultima carta da giocare e, per fortuna, tutto è loro andato e va ancora bene, anche perché è gente che lavora seriamente, pazientemente, non ha vizi, si accontenta e risparmia. Infatti, dopo un po’ di anni di lavori all’estero o in altre regioni d’Italia, molti si son costruita qui una casa propria ed alquanto moderna, dando così un nuovo volto al paese ed a sé stessi. Questi lavoratori ritornano di tanto in tanto, qualcuno per sempre, con ben altre cognizioni.

Insomma pare che incomincino a comprendere che questa povera vita sulla terra si vive una volta sola e perciò va bene spesa.

Qualcuno, sempre con i proventi del lavoro all’estero, ha acquistato qualche mezzo meccanico agricolo, col quale conta di sfruttare meglio questi terreni e rendere meno duro il lavoro dei campi.. Così, a poco a poco, vanno scomparendo le vecchie "vetture" (asini e muli); le stalle si trasformano in tanti garage.

Anche il linguaggio di questi lavoratori si va trasformando: quando tornano, oltre che alle famose sigarette estere, fanno sfoggio del loro strano tedesco o francese ed ancor più strano italiano dall’accento settentrionale.

Intanto, a causa dell’emigrazione, in paese, oltre agli "aristocratici" benestanti, gli intellettuali, pochi artigiani, donne, vecchi e bambini, rimangono coloro che sono fisicamente impediti a lavorare e quei "soliti" che non hanno voglia di impegnarsi o di lavorare. Questi ultimi non fanno che attendere da anni il "Destino" che trovi loro una buona sistemazione.

 

Vita quotidiana in paese

Quando i primi bagliori dell’alba appaiono all’orizzonte dietro i monti, il dolce ed eterno silenzio che avvolge il paese come in un incanto di fiaba, incomincia ad essere interrotto dal piacevole cinguettio degli uccelli, che aumenta con l’avanzare del giorno. Ad un certo punto, si trasforma in una vera melodia accompagnata dal rumore cadenzato degli zoccoli degli asini che fanno camminando sul selciato, mentre coi loro padroni, si avviano in campagna. Ad un tratto questa dolcezza mattutina viene come lacerata da ripetuti ed acuti suoni di trombe: è il « postale» (autobus), che dalla piazza principale sta per partire per lo scalo ferroviario. I viaggiatori, sempre pochi, si affrettano per non perdere "il postale" e con questo partono e non inosservati. Si, perché in piazza c’è sempre qualcuno che si è alzato di buon ora appunto per osservare chi parte, chi arriva, e ed ogni altro movimento ancor più insignificante che rompe la monotonia della vita paesana.

Poco dopo si ode la campana della Chiesa parrocchiale che suona il Mattutino e, poco più tardi, per chiamare i fedeli alla Messa quotidiana. - Così si incomincia a vedere un certo movimento: gente che va in chiesa, maestri ed alunni che vanno a scuola, artigiani che aprono le loro botteghe e attendono al loro lavoro, donne che vanno a fare la spesa e, spesso, con una certa premura perché il banditore, dopo aver suonato per le vie la sua vecchia trombetta stonata, ha annunziato "E’ arrivat’ u furastiar’ e a purtat’ patan’, cipoll’, virdura o frutta, a u mont’", (è arrivato un forestiero ed ha portato patate, cipolle, verdura e frutta, al monte — luogo di vendita).

La giornata poi passa tranquilla anzi monotona come sempre. Verso 1’imbrunire incomincia il riflusso dei contadini che coi loro asini, maiali e capre risalgono gli accidentati sentieri a zig zag, che dalla, campagna a valle portano al paese. Gli uomini, maggiormente spossati dal lavoro del giorno, si lasciano tirare dal proprio mulo o asino, tenendo di questo l’estremità della coda avvolta in una mano. In groppa all’animale vanno le donne, non meno stanche, ed i bambini, parecchi di solito, che assieme alle madri formano dei veri grappoli umani.

Man mano che giungono alle loro case vi si rinchiudono dentro come in un mondo misterioso, per uscirne 1’ indomani mattina presto e ritornare nei campi al solito 1avoro.

Nel frattempo si vede passeggiare lungo il « corso» qualche "aristocratico" ben disposto a.rispondere con compiaciuta prontezza, all’umile e fiacco saluto che gli rivolgono i contadini.

Più tardi si vedono anche i contadini uomini per il corso, ma solo per entrare in uno dei bar (tre in tutto), dove si incontrano con gli amici e dove giuocano a "patrun’ e sutt’" (una specie di sorteggio fatto con le carte da giuoco che decide chi di loro deve disporre, in qualità di « padrone » il primo e « sottopadrone» il secondo, del’ boccale di vino che pagano in parti uguali i compartecipanti. Dopo dì che i due eletti, con un interminabile giro di parole, mediante il quale si "cantan’ ‘a carogna" — esprimono piccoli rancori dovuti a futili motivi — decidono chi deve bere il vino, tenendo ben presente di "fare olmo" qualcuno, cioè lasciare qualcuno dei compartecipanti a bocca asciutta).

Così facendo, quand’è l’ora della chiusura sono tutti più o meno brilli ed escono all’aperto e tornando a casa si accompagnano a vicenda senza molestare nessuno.

Questa libertà notturna dei contadini uomini è una specie di privilegio riconosciuto necessario dai familiari e dagli stessi accordato e pazientemente sopportato.

 

Vita nei campi

Camminando per le campagne intorno ad Albano, appena praticabili per la natura accidentata del terreno, si vedono qua e là contadini intenti al lavoro dei campi. Non molto lontano vi sono i loro piccoli che giuocano quasi sempre cercando di imitare il lavoro dei genitori. I bambini più grandicelli sono impegnati nel loro compito responsabile: cioè di badare agli animali che pascolano nelle vicinanze.

Le donne quasi tutte lavorano come gli uomini: zappano, arano, mietono, ecc. Tuttavia nessuno si lamenta, sembrano rassegnati a questo genere di vita, fatto di sacrifici, di speranze e anche di illusioni.

Il lavoro è reso ancor più gravoso dalla distanza dei campi dal paese, spesso di parecchi chilometri, che i contadini misurano con ore di cammino.

Quando poi hanno bisogno di parlarsi a distanza nella campagna mettono in pratica un antico sistema, cioè quello di moderare la voce a secondo la località in cui si trovano, in modo che l’eco non confonda il significato delle parole e riescono così a comprendersi perfettamente anche a distanza di chilometri.

Raramente cantano qualche canzone popolare ed antica, che è sempre piacevole, se non altro per il suo semplice significato di una povera storia d’amore.

 

Le feste religiose

Sono l’unica occasione per mutare, sia pure per qualche giorno, l’abituale monotonia. In queste ricorrenze i contadini tirano fuori i loro antichi vestiti di velluto nero e di foggia tradizionale. Le classi giovani, però, "ngegnano" (mettono per la prima volta) i vestiti che si fanno fare per l’occasione. Sia gli uni che gli altri si vedono in giro impacciati nei vestiti che non sono di tutti i giorni.

Vanno in Chiesa ed assistono alla funzione con molta devozione; devono entrarci tutti quanti anche se devono stare uno sull’altro. Dopo la funzione, che di solito finisce a mezzogiorno, ha luogo la processione, alla quale non manca nessuno, eccetto coloro che sono veramente impossibilitati, ma anche questi trovano il modo per veder passare il Santo. La processione, accompagnata da antichi e moderni inni ecclesiastici dei fedeli, si snoda lungo un susseguirsi di vichi angusti e pieni di ostacoli, tuttavia riesce sempre bene dato il massimo impegno dei partecipanti. Sebbene il tragitto non sia molto lungo, un buon chilometro, il corteo impiega più di un’ora siccome, spesso, si deve fermare per dare modo, ai devoti di offrire al Santo la cento, la cinquecento oppure la mille lire. Qualche volta si trova l’emigrato in ferie che offre il marco o la sterlina. Quando, però, si tratta di moneta cartacea il devoto ci tiene ad appuntarla personalmente al "palio" (una specie di stendardo), facendo in modo che tutti lo notino.

Poi la processione giunge al Monte (piazza Umberto I); qui il Santo viene rivolto verso la località « Baraccone » ove è preparato il fuoco d’artificio. I fuochisti, premurosi ed attenti, accendono le micce e quindi le bombe detonano forte in aria, mentre a terra schioppetta la batteria. Dopo la gran parte dei cittadini commenta se il fuoco ha risposto al prezzo pagato dal comitato o meno. Vi è sempre qualcuno che malignamente dice: e sarebbe stato meglio chiamare i fuochisti di Tolve anziché quelli di Tricarico o viceversa. Poi la processione riprende il suo corso e rientra in Chiesa, mentre tutte le campane del maestoso campanile suonano festosamente.

Nel pomeriggio tutti affluiscono al Monte per assistere e concorrere alla vendita all’asta di qualche agnello, maialetto o formaggio offerti dai devoti, il cui ricavato serve per le spese della festa. Seguono i giuochi tradizionali: la corsa nel sacco e la rottura della "pignata" (recipiente di terracotta con dentro qualcosa, legato è sospeso ad un filo, che i concorrenti devono rompere con un bastone e gli occhi bendati, fra l’entusiasmo chiassoso della folla).

“‘In serata nella piazza principale vi è la banda musicale che esegue qualche marcia. Quando viene quella di S. Mauro Forte esegue anche qualche "arrangiamento" tratto dalle Opere liriche ben conosciute, perché ascoltate per tanti anni. Veramente da qualche anno viene anche l’orchestra con le chitarre elettroniche e con i cantanti moderni, ma i vecchi non sono d’accordo: dicono che è scandaloso.

Nell’ intervallo, tra un concerto e l’altro, si passeggia per il  corso principale, ove l’aria è resa irrespirabile dal fumo dei fornelli disposti per le strade all’aperto, su cui cuociono "i gnummariedd’", (involtini fatti di interiora di agnelli o capretti) di cui un po’ tutti sono ghiotti.

Alla fine ancora il fuoco d’artificio serale al Baraccone. La cittadinanza è tutta schierata al Monte ancora una volta e, mentre i fuochi artificiali vanno colorando il cielo notturno, la banda deve suonare qualcosa, anche se i musicanti sono stanchi e mezzi addormentati. Scoppiate che sono le ultime bombe la popolazione stanca, e quasi delusa, va a casa, sparendo in fretta come spazzata dal vento.

 

La villeggiatura

Durante i mesi di luglio e agosto di ogni anno, in Albano, ritornano i professionisti, impiegati e studenti Albanesi che sono in città e un gran numero di operai con le loro famiglie che sono all’estero per motivi di lavoro. Tutti vengono a trascorrere le ferie in questo loro paese d’origine molto accogliente, se non altro, per, il bel clima fresco e l’ambiente del tutto distensivo. In questo periodo, in ogni ora del giorno, si vedono forestieri - paesani passeggiare, molti dei quali vestiti in modo stravagante con qualche abito ispirato all’ultima moda, portato apposta. Si ascoltano i linguaggi più strani ed ancor più strano ed antipatico è il comportamento di certuni che vogliono dare ad intendere ai loro paesani di condurre fuori una vita molto agiata.

Ogni pomeriggio, gran parte di questi villeggianti parte in comitiva e a bordo delle loro auto usate, ma di grossa cilindrata, per portarsi in gita al Cupolicchio (amena località nel bosco di Albano ad oltre mille metri d’altezza). Nel contempo gli impiegati dei vari uffici pubblici locali hanno il loro molto da fare perché molti di questi forestieri hanno da risolvere vari problemi di famiglia, fino allora trascurati dai loro familiari, ma che essi desiderano risolvere definitivamente proprio per dimostrare ai loro parenti e, credo, a sé stessi, che hanno acquistato nelle loro residenze lontane o all’estero, importanza e competenza nell’affrontare le questioni famigliari.

I professionisti villeggianti, invece, oltre à passeggiare, passano lunghe ore per scambiarsi visite di dovere e di cortesia. Organizzano, tra l’altro, piccole feste da ballo bene riuscite.

I giovani studenti si uniscono ad altri studenti locali ed organizzano incontri di calcio con gli studenti dei paesi vicini. Inoltre, recitano qualche vivace commedia nel teatrino delle scuole elementari, che pure riesce a far divertire o, comunque a far trascorrere qualche serata diversa dalle altre. Quest’ultimo anno poi hanno organizzato un festival di canzoni e, rappresentazioni folcloristiche, detto "delle Dolomiti Lucane", al quale, oltre ai giovani di Albano, hanno partecipato quelli di una diecina di comuni limitrofi con le rispettive rappresentanze civili. La manifestazione è riuscita abbastanza bene ed ha entusiasmato tutti i .partecipanti.

 

La festa del maiale

Nei mesi di dicembre e gennaio, quando la temperatura si fa particolarmente rigida, in ogni famiglia, prima o poi, si ammazza il maiale. La povera bestia, che durante l’anno ha avuto tutte le cure e le attenzioni per crescere ed ingrassare bene, affronta ora il "sublime" sacrificio per assicurare ai padroni il beneficio delle buone salsicce, prosciutti. sugna e quant’altro di buono si può ricavare di esso. Viene, perciò, acceso un gran fuoco nel camino, su cui si mettono a bollire grosse caldaie di acqua; si affilano i coltelli; si approntano gli ingredienti ed i vari recipienti. Quando l’acqua sta per bollire, gli uomini preparano "‘u haut’" (una specie di vasca in legno a forma rettangolare), in prossimità del camino. Questo, in un primo tempo, è messo capovolto per terra e fa da mattatoio. Sopra di esso, infatti, viene sdraiato il maiale e, mentre alcuni uomini lo tengono forte per le zampe, un altro, più esperto, gli punta un coltellaccio nella cavità sotto il collo e lo affonda nel petto fino a ferire il cuore. Poi estrae il coltello e dalla ferita, piuttosto piccola, sgorga fumante e schiumoso il sangue che va a cadere in un recipiente messo sotto appositamente. Man mano che il maiale si dissangua le sue alte grida, che in principio sembrano umane, si affievoliscono ed infine si trasformano in un rantolo. Poi il maiale rimane moribondo per un certo tempo e con le palpebre socchiuse, fra le quali si intravedono gli occhi dallo sguardo non del tutto spento. Dopo di che si rigira la cassa, il maiale ormai morto viene messo dentro e subito ricoperto di acqua bollente, quindi viene pelato in ogni sua parte per mezzo di appositi coltelli. Quando è ben pulito gli vengono praticati due fori alle zampe posteriori, nei quali va infilato il "trapet’" (arnese in carpino a forma di bastone curvo che fa da tira-piedi), per mezzo del quale viene issato al soffitto con una fune che è legata con un capo al centro del "trapet’", l’altro capo va fatto scorrere attraverso un grosso anello in ferro piantato nel soffitto (quasi tutti i soffitti delle case sono muniti di questi anelli). Una volta appeso, il corpo del maiale viene spaccato nettamente in due dal bacino al collo, vengono tolte le budella e rimane appeso li ad asciugare fino all’indomani.

La casa, con questo maiale spaccato ed appeso al centro, perde quell’aspetto di miseria, che aveva prima, e sembra così. diventata all’ improvviso una casa ricca, addirittura la più ricca, ove non si bada al risparmio e tanto meno allo spreco. Infatti, piccoli e grandi, per quel giorno, sono autorizzati ad andare a ritagliare pezzetti di carne del maiale e dalla parte migliore, che mangiano avidamente dopo averli fatti arrostiti sulla brace a mezzo di spiedi improvvisati, ed accompagnano gli squisiti bocconi con vari bicchieri di buon vino conservato, da tempo, per l’occasione. Così facendo, a tarda sera, sono tutti attorno alla brace del camino sazi ed alquanto brilli, con le spalle rivolte al maiale straziato che, tuttavia, sembra li guardi ancora attraverso le palpebre socchiuse, con l’aria quasi soddisfatta, come se comprendesse che il suo estremo sacrificio è servito a fare un po’ felici, una volta tanto, i suoi padroni. (3)

L’ indomani viene accuratamente selezionato e, a punta di coltello, ridotto a pezzettini, di cui si fanno le squisite salsicce che vengono subito appese vicino alla cappa del camino, ove rimangono ad asciugare col fumo e le correnti d’aria per una ventina di giorni. Della parte grassa si ricava la "sugna" entro la quale vanno conservate poi le salsicce. Delle estremità si fa la "salamura o ncantarata" (si conservano sotto sale in appositi recipienti di terra cotta). Delle cosce posteriori si fanno i prosciutti. Del fegato ed altre interiora si fanno "‘i tumacell’" (involtini), che si soffriggono nell’olio e poi si conservano pure nella sugna.

Il tutto costituisce una prelibata provvista che va consumata per secondo, nei giorni di festa durante l’anno. La squisitezza delle salsicce, in particolare, si può definire unica e quasi confermerebbe 1’idea che le salsicce stesse sono veramente di origine lucana.

 

La superstizione

Come un po’ tutti i popoli meno emancipati anche quello di Albano di Lucania è stato vittima di questa vana credenza, man mano diminuita con l’avanzare del progresso.

Fino a non molti anni fa parecchi credevano ciecamente alla esistenza del lupomannaro, agli spiriti maligni o benigni o soltanto giocherelloni, quali e "u munacidd’" (piccolo monaco). Quest’ultimo, si dice, appariva sotto le parvenze di uno gnomo o folletto col cappellino rosso in testa e faceva molti dispetti:

solleticava i piedi, tirava pizzicotti, nascondeva o cambiava posto agli oggetti in casa, indicava posti ove erano nascosti tesori, ecc. Si dava per certo che se qualcuno riusciva a prendergli il cappellino e "u munacidd’" piangeva e, per riaverlo, si lasciava persino ricattare. Inoltre, si credeva agli spiriti maligni che apparivano sotto forma di capre, cani, maiali, ecc., che assumevano grandi dimensioni e sparivano non appena la vittima invocasse Iddio o qualche Santo.

Qualcosa di più preoccupante e persistente è stata l’opera dei e "fattucchieri" (maghi), tutt’oggi considerata valida. Questi personaggi erano temuti e venerati nello stesso tempo, per via dei loro "filtri". Avevano potere di vita e di morte a seconda la richiesta del cliente. L’ultimo mago noto nella zona è stato tale "Zi Giusepp’", da Castelmezzano, detto "Ferramosca", il quale; si dice, era un bell’uomo ed aveva anche la virtù di "curare" le giovani donne da mali misteriosi di cui erano affette. Dette pazienti rimanevano in casa del miracoloso "Zi Giusepp’" e assieme a lui consumavano le vivande prelibate che dovevano portarsi, dopo di che tornavano alle proprie case completamente guarite. Ma anche questo è stato in un certo modo superato. Tuttavia, ancora oggi, molti del popolino credono di curare alcune malattie, dalle quali sono colpiti frequentemente, mediante scongiuri - orazioni, trasfèrendo così l’opera magica nella religione. In questo caso vengono invocati i Santi ritenuti quasi specialisti della malattia. In proposito si elencano, qui di seguito, una buona parte dei casi per i quali, secondo loro, non vi sia terapia più efficace, della "orazione" (così la chiamano):

Per "u malocchio" (cefalea), posando la mano destra prima su di un occhio, poi sull’altro e poi sulla fronte del paziente, si dice:

"Uocch d’ure ch’ t’à d’ucchiat’, tre Sant t’ann’ aiutat’ u Padr’, u Figliuol’ e u Spirit’ Sant’, sta d’ucchiatur’ nunn’an aggì ‘nant’. Io t’ tocco e Dio t’ sana su sta carn’ battezzat’. Fugg’ legn trist' ca t’ caccia Gisé Crist’. Segue un Padre nostro ed un’Ave Maria. Si ripete per tre volte.

Per "a risibl’" (eresipela), posando la mano sulla parte affetta del male, si dice:

«Sant’Erisabia si rossa cumm’ a na rosa e pung’ cumma a na spina; numm’ tucqua cu pann’ d’ lana e no cu frunn’ d’auliv’, Gisé Crist’ e sant’ Nicola si jè risibl’ innzala fora. Sant’ Rocc’ la sua prighiera fugg’ la risibl’, fugg’ la risibl’. Nun turnà cchiu qua in nom’ d’ Padr’, d’ Fili noi’ e d’ Spirit’ Sant’, scafugg’ sta brutta fruschcula d’ nanzi" Segue il Credo. Va recitata tre volte e prima del sorgere del sole o al tramontare di esso, altrimenti l’effetto sarà contrario.

Per "i  vierm" (elmirudiosi), posando la mano destra sul ventre del paziente, si dice:

"Lunedì sant’, martedì sant’, mercoledì sant’, giovedì sant’, venerdì sant’, sabat’ sant’, dumenica e Pasqua e u verm’ nterra casca". Segue un Padre nostro, un’Ave Maria ed un Gloria Padre.

Per "u cuut’" (scottatura), si passa qualcosa d’argento sulla ferita, poi si mette un po’ di melma raccolta sulla strada sopra alla ferita stessa e si dice:

"Ciel’ pint’, mare tint’, carn’ scura e carn’ cotta divent’ cruda. U ciel’ t’è supale, u mar’ p’ cunfin’ e a carn’ diventa fin’". Segue un Padre nostro e un Gloria al Padre.

Per "u mal’ d’spalle" (dolore di spalle dovuto a freddezza, strappi muscolari, ecc.). Si soffrigge della ruta nell’olio poi detto olio si spalma sulle spalle e si dice:

"Ruta mia rut’ addù stai surd’ e muta, ii ti veng’ a salutà addunca t’ mett’ adda fa sanar’". Segue un Padre nostro, un’Ave Maria ed un Gloria al Padre, Dopo si copre la parte con un panno di lana.

Per "u pil’ alla menn’ » (mastite), si dice:

"Simm’ ggiut’ all’acqua a funtan’ e l’aggia acchiat’ a Sant Bastian’, tre palme d’ mus’ e tre palm’ d’ nas’ amm’ ridut’ e surridut’ e ebbe (4) di me v’at’ faciut’; vuli calà nu triz’ (5) e vuli ggé mt’ a vostra zizza (6). So turnat’ a’ ‘ggé alla funtan amm’ ridut’ e surridut’, ma abbe d’ te nun’amm. faciut’, voli salì nu trizz’ ‘nta li vostr’ trezz’". Segue un Padre nostro, un’Ave Maria ed un Gloria al Padre. Dopo la paziente deve portare attaccato all’ indumento che copre il petto " a gorg du ricc’" (osso della mascella del riccio), altrimenti ricade nella malattia.

Per "a scocchiacani" (7), (distrofia dei lattanti), si prendono sei pezzi di foglia di ellébero bianco o nero, che usano chiamare "a radica d’u puurc’" (la radice del maiale), formano tre crocette e ne posano una dietro la nuca del paziente, l’altra sul bacino e l’altra sotto i piedi. Si precisa che l’elléboro bianco dicono che è femminile e va usato per i maschi, quello nero è maschile e va usato per le femmine. Dopo di che si dice:

"Fugg’ vient’ trist’ ca t’arriva u sang’ d’ Crist’, u sang’ d’ Crist’ t’è arrivat’ vient’ trist’ s’ nè scappat’, in nomi du Padre, du in Filiuol’ e d’ lu Spirit’ Sant’ scocchiacani nun và cchiù iìant’". Segue un Credo ed un Padre nostro.

Per "u mal’ d’ ventr’" (colica addominale), tenendo la mano destra sulla pancia del paziente si dice:

"Sant’ Pietr’ da Roma vinìa, tutt’unnfus’ ca chiuvia, sopra a nu fase’ d’ sarament’ (8) passa dulur’ d’ panz’ e. mal’ d’ ventre" Segue un Padre nostro e un Credo.

Per far dormire bene i bambini la notte, mettendoli a letto, si dice: "Crist’ è nat’, Crist’ è nat, da na Vergin’ è stato ncarnat’, Verbo d’ mar’ fate s’est, Verbo d’ mar  fàtt’ m’est". Segue un’Ave Maria, (l’orazione è piuttosto latineggiante).

Per le fratture si usa fare "a stuppata" (una specie di ingessatura) nel seguente modo: si incomincia col fare il segno di Croce, si recitano tre Padre nostro, tre Ave Maria e tre Gloria al Padre, si prepara sulla tavola della stoppa per quanto possa bastare a fasciare l’arto o la parte interessata; si sbatte uno o più albume d’uovo assieme ad un cucchiaino di farina ed uno di zucchero per ogni albume, quando il tutto diventa come una crema si spande sulla stoppa con la quale si copre e si fascia strettamente la parte ove la frattura, in precedenza lavata per bene con acqua calda e sapone. La «stoppata» riesce meglio se fra gli ingredienti anzidetti si sparge un pizzico di incenso, ma di quello che, in qualche modo, è stato possibile procurare in chiesa.

Mi è stato assicurato che le orazioni sopra riportate sono efficaci per gli stessi mali quando colpiscono gli animali.

 


 

(1) L’elencazione dei vocaboli di origine greca è stata rilevata dal 2° volume dell’opera citata di G. Racioppi.

(2) L’assenza di vocaboli di lingua Albanese si giustifica col fatto che quando quei popoli, immigrati in Lucania dopo 1a morte del loro eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg (1468), fondarono in questi dintorni la colonia di Brindisi di Montagna (1534?), Albano aveva già la sua lingua e costtumi.

(3) cud’: coda;

(4) ualaniedd’: garzone di masseria.

(5) Iamp’: lampada, di solito alimentata ad olio,

(6) n. d. t. Nel suo svolgere questo avvenimento sembra che questi cittadini, inconsapevolmente, ripetano il rito che anticamente veniva dedicato alla dea Maia, protettrice dei prodotti della terra. Infatti il nome maiale deriva dall’aggetivo latino « maialis » — dedicato a Maia.

(7) abbe: meraviglia.

(8) triz’: capello.

(9) zizza: mammella.

(10) scocchiacani. Così chiamano la distrofia dei lattanti e la attribuiscono al fatto che le madri, in stato di gestazione, abbiano visto cani in amore o siano passate da sopra al posto ove questi erano stati. Altro sistema che usano per curarla è quello di non cambiare i panni sporchi al bambino ed accostando questi alla bocca del forno per un determinato numero di mattine.

(11) sarament’: sarmenti, tralci di vite.
 

 

nota

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