INTRODUZIONE
La sera del 23 novembre 1980, anche a Marsico, la Terra tremò, per alcuni
minuti, seminando panico e disagio. Qualche chiesa crollò, altre divennero
insicure, come quasi tutti i vecchi fabbricati e una persona, Azzato
Gianuario, operatore ecologico, colpito da una pietra, trovò la morte.
Con l'imperversare del cattivo tempo, furono costruite tendopoli e,
successivamente, villaggi di case in legno. In paese rimase poca gente, la
più temeraria, e la vita tornò alla normalità dopo qualche anno.
Alla stima dei danni, seguirono lavori di riparazione, non ancora conclusi
per la sopraggiunta crisi politica, istituzionale e finanziaria,
abbandonando, all'ingiuria del tempo, grandi patrimoni, come il palazzo
Manzoni, il palazzo Vescovile, il convento dei Cappuccini, il palazzo
Barrese Liparuoli, sito in via S. Croce, donato alla comunità marsicana
dall'arciprete Don Giovanni Boccia, deceduto il 27 settembre 1994, a cui
devo infinita riconoscenza, per avermi guidato e sostenuto.
Il TERREMOTO, evento straordinario, ha sovvertito regole consolidate,
promuovendo rilevanti trasformazioni sociali, architettoniche e ambientali,
ma non è stato osteggiato da amore e interesse per il passato, soprattutto
negli apparati pubblici e professionali, che molto avrebbero potuto.
Tante testimonianze e tanti documenti sono stati distrutti per sempre,
nell'assoluta indifferenza. Intere casse e cassoni, pieni di cartacce e
libri antichi, impolverati e rosicchiati da topi, hanno alimentato fuochi
per alcuni mesi e sono stati mescolati alle macerie di palazzi, abbattuti
per non essere mai più eretti. Appresi queste ed altre notizie, dopo che
tutto era stato compiuto.
Dispiacere e rabbia, mi spinsero a cercare per salvare, dove e quando mi era
concesso, frammenti di vita trascorsa: libri, documenti, quadri, stampe,
lettere, giornali, manoscritti, oggetti vari, fotografie, che, per essere
eloquenti anche alla sola frettolosa visione, ebbero priorità, m qualche
fase della ricerca, sempre più fruttuosa e gratificante, che mi poneva e mi
pone di fronte all'incombenza di una sua degna collocazione.
L'odore dell'antico, entrando nelle narici, mi affascinava e mi portava con
la mente in tempi lontani, quando la vita era semplice, della quale sognavo
(speravo) di trovare anche testimonianze fotografiche, insostituibili,
quando la parola può soltanto dare sfogo alla fantasia. Infatti, quale
visione di Morsico (case, strade, chiese, gente, costumi, monumenti) ci
offrono, con le loro meritorie opere, Gatta, Ughelli, Antonini, Colangelo,
Lotierzo, Ventre, De Blasiis, Racioppi, Ramaglia, se non quella del
linguaggio della parola ?
Ma, ahime, la fotografia, come puro processo scientifico, nacque in Francia,
soltanto nel 1826; da allora, non più immaginazione, ma realtà, non più
oscurità, ma luce; un modo ricco e privilegiato per raccontare, per
testimoniare, per ricordare, per divulgare idee e fatti, ma anche per
occultare e mistificare; nell'armoniosa ritualità, spazio e tempo si
consumano nel momento in cui accadono; degli infiniti attimi della realtà
che muta continuamente, soltanto alcuni restano sulla carta, scritti dalla
luce, assumendo, spesso, carattere emblematico. Ma se da soli non fanno la
verità, essi appartengono alla verità inventata dall'uomo, con l'illusione
di fermare il tempo, che, nel suo inesorabile proseguire, non conosce soste.
La fotografia, così, diventa un tentativo di rappresentare il proprio mondo
(esiste solo ciò che vogliamo), senza alterarlo, un modo, come tanti, per
guardarlo, quando già appartiene al passato.
Al di là di qualsiasi finalità e capacità interpretativa, porta in sè
messaggi inconfutabili, trasmessi senza equivoci in una contestuale e
completa sintesi.
Per comprendere la sua rilevanza storica, è necessario analizzare
l'evoluzione della tecnica fotografica, con i suoi riflessi nella vita
sociale: dalla lastra di peltro, ricoperta di sali d'argento, alla stampa su
carta con negativo e positivo (1840) , dal ritratto commissionato a quello
eseguito per il piacere di fotografare, dal conflitto con l'arte pittorica
all'affermazione della sua potenzialità, dalle lunghe pose alle riprese
istantanee di persone e oggetti in movimento, dalla memorizzazione di eventi
privati e sociali alla comunicazione di massa, all'immaginario collettivo,
dalla professione all'hobby, dall'ingombrante macchina a quella tascabile,
dalle documentarie immagini realistiche di paesi sconosciuti, o mal
conosciuti, alle riprese di guerra, dal bianco e nero al colore, dal
negativo alla istantanea.
L'uomo, in ogni occasione, manifesta la propria spiritualità, legata al
vissuto, anche quando guarda attraverso l'obiettivo, costretto ad operare
scelte, dettate dai propri intenti. Perciò, la fotografia parla,
soprattutto, del fotografo e registra non tanto la presenza quanto
l'assenza, escludendo, spesso, valutazioni stereotipate: ciascuna rivela la
propria identità.
Abbandonando le dissertazioni generali, nei molteplici aspetti, la cui
letteratura è abbondantemente ricca, diciamo, allora, quali sono i fatti
accaduti davanti all'obiettivo nel nostro paese
Lo scrittore e storico, Lotierzo Antonio, nella presentazione del libro di
Ignazio De Blasiis (curato da Giosuè e Lucio Martino): "MARSICO", letta
pubblicamente il 4 novembre 1987, testualmente dice a pag. 4: "Mi sembrano
particolarmente significative . . . e la foto scattata da Paolo De Vita nel
1954 all'affresco che ci sembra bellissimo (e ora del tutto scomparso) della
cupola di S. Maria di Costantinopoli. De Vita ci restituisce in questa foto
una visione che ci era preclusa, che avevamo per sempre perduta. (Questa
foto, per me di eccezionale rilevanza, dimostra come il prof. Antonio De
Vita abbia una responsabilità civile molto grande, perché spetta a lui
difendere, catalogare il materiale paterno e consegnarci, quando vorrà, una
cinquantina o più foto significative di Marsico, affinché si possa fare un
libro storico di sole fotografie) ". Finora, questo monito, non ha dato
nessun buon frutto e non è stato concesso a nessuno, me compreso, di
consultare l'archivio, che, dopo il terremoto, con fortunose avventure, pare
che abbia avuto una definitiva dimora.
Secondo la mia stima, i fotogrammi saranno molte migliaia, perché P. De Vita
fu fotografo dal 1933 fino agli anni ottanta: mezzo secolo di vita
marsicana, la nostra microstoria (simile a quella di tanti altri paesi del
Sud), che ci auguriamo venga interamente portata alla luce, integrando
questo meraviglioso viaggio, che, comunque, non ha potuto dare posto a tutte
le fotografie che hanno concorso con la speranza di essere predilette.
Sfogliando le pagine, con animo attento e capace, tanti fatti, tante cose,
tanti volti di persone, ormai scomparse, che, come noi, vissero a Marsico,
ci fanno compagnia, ci aiutano a comprendere il cammino che abbiamo percorso
nel tempo, colorando il presente di significato. Scrutando il passato,
protraiamo la nostra breve esistenza, arricchendola di esperienza,
necessaria per affrontare, con sicurezza, l'incognito domani.
Tutto ciò che accadde, ci appartiene perché fummo l'anima e il corpo dei
nostri avi. In fondo, l'uomo ha sconfitto la morte, con la procreazione,
tramandando ai discendenti la propria entità, fisica e culturale.
Ma quali fatti accaddero, se non quelli che ricordiamo o possiamo
testimoniare ? Se volessimo sapere, ad esempio, in ordine cronologico, i
fatti più importanti accaduti a Marsico dal 1900 fino ai giorni nostri, noi
contemporanei, per non parlare dei posteri, dovremmo accontentarci del
racconto verbale di spettatori, quando possibile, senza poter consultare
giornali: inesistenti, tranne alcuni tentativi, che non hanno avuto lunga
vita. Parlo della rivista: "La Basilicata nel mondo", fondata dall'Avv.
Giovanni Riviello, redatta dal dott. Fernando Santoro di Brienza, stampata a
Napoli, che uscì fra il 1924 e il 1927, di cui A. Lotierzo, riportò la
cronaca marsicana nella rivista: "NODI" dell'anno 1983 , estinta dopo
qualche anno, stampata dalla tipografia Agesa di Moliterno.
E, anche per onorare la felice memoria di mio fratello, Franco, recentemente
scomparso, che ne fu valido promotore e sostenitore, devo parlare de: "LA
VOCE MARSICANA", periodico d'informazione locale, che ebbe vita dal gennaio
1976 all'ottobre dello stesso anno, con la produzione di soli cinque numeri,
esultanti esempi di vitalità e audacia.
Purtroppo, non ci sono altre fonti da cui attingere e, nel buio delle
tenebre, costruite dal tempo, possiamo solo sperare di accendere altri
piccoli lumi.
La distruzione, ha reso preziose le rare testimonianze sopravvissute,
spesso, custodite da attenzioni e interessi, che non sarebbero mai insorti.
Posseduto dalla sensazione di essere artefice del passato, con entusiasmo e
umiltà, ho mendicato, dalla Civita al Portello, dalla Piazza al Casale, e
sono entrato nelle grazie di molte famiglie virtuose (innanzi citate), che
mi hanno dato fiducia e accesso ai loro archivi, alla loro vita privata. Di
qualche palazzo nobiliare, disabitato, mi sono state affidate persino le
chiavi, che ho trattenuto per anni interi (parlo del Dott. Rossi Nestore,
medico chirurgo. proprietario del palazzo. sito in via Roma, ereditato dal
nonno, Avv. Rossi Iginio, notaio dal 1902 al 1939) . Ma non sono mancati
rifiuti ostinati e ingiustificati, che, certamente, cagioneranno rimpianto a
chi non ha saputo dare il proprio contributo per la stesura del presente
volume, che porta anche tanti vuoti, costruiti dalle stesse immagini, che
hanno abbandonato lo sterile buio di un cassetto per raccontare con
prestigio e dignità cose che, forse, non avremmo mai saputo.
Ho animato tante fotografie e tante cartoline, tutte belle e suggestive,
ricche di contenuti: sposi e cortei nuziali, ritratti, morti e cortei
funebri, scampagnate, prime comunioni, feste civili e religiose, feste
private e collettive, grandi nevicate, avvenimenti politici e civili,
inaugurazioni, paesaggi, chiese e statue, monumenti.
Solo alcune portano informazioni indispensabili (data, autore, luogo,
occasione, committente), che, con indaginose ricerche, ho potuto aggiungere.
Questa carenza, è uno dei tanti motivi per cui gli storici stentano ad
accettare la fotografia come documento.
Alcune mostrano evidenti tentativi di abbellire la realtà: il fotografo
nascondeva l'indesiderato, con copertine e pannelli decorativi, operava
sulla lastra negativo, togliendo o aggiungendo, con generosità, segni di
matita per adornare i soggetti con anelli e orecchini, o per nascondere
pronunciati difetti fisici.
Le più antiche risalgono agli anni 1860-1865: ritratti di persone, stampati,
quasi tutti, a Napoli, patria da cui il nostro popolo ha sempre raccolto il
necessario per crescere; di periodi precedenti (1850) , conservo,
gelosamente, solo due piccoli ritratti su lastra metallica (dagherrotipi),
esemplari unici, di cui non era possibile fare copie (non c'erano i
negativi).
Di paesaggi, all'esterno, non ce ne sono: ne ritroviamo dall'inizio del XX
secolo, quando semplicità e prezzo, portarono l'apparecchio fotografico,
direttamente e indirettamente, in tutti gli strati sociali ( "l'architetto
degli umani disegni fu sempre l'interesse").
Prima di De Vita, come professionista, ci fu Iginío Rossi, del quale
conservo trenta lastre (13x18) e parte della sua macchina fotografica
(SINGLER) che mi furono regalate dal figlio, geometra Luigi Rossi. Ancor
prima, ci fu Di Lernia Paolo, soprannominato "Ritrattista", di cui conservo
una piccola foto, con la sua etichetta: "Paolo Di Lernia -Fotografo e
Tipografo Brevettato". Per un certo periodo, negli anni 1940, fu fotografo
anche l'elegante barbiere e magico costruttore di mongolfiere, Razza
Giovanni, del quale conservo qualche esemplare. e, negli anni 1960, Azzato
Agostino (Foto Tino), della frazione Pergola, costretto ad emigrare in
Svizzera. Dagli anni 1980, fino ai giorni nostri, con la stampa in
automazione, Perilli Orlando di Marsicovetere, Lamattina Antonio e il
figlio, Nicola di Caggiano (SA).
Accanto a loro, IMPORTANTI CRONISTI, ci saranno stati dilettanti,
signorotti, benestanti, dei quali manca una copiosa e organica produzione,
come, invece, è accaduto in altre regioni, per tutti si veda il. volume
"SGUARDO E MEMORIA", sulla Calabria (Mondadori - De Luca, 1989) .
Insomma, dal 1826 fino agli anni 1960, a Marsico, solo poche persone
utilizzarono il mezzo fotografico, che, con il boom economico degli anni
successivi, gradualmente, conquistò molte famiglie, fino ad abbondare, nei
giorni nostri, in cui la tecnologia e la conoscenza hanno raggiunto
risultati eccellenti.
Siam passati, così, dalla penuria alla ricchezza di lasciare alle
generazioni future sufficienti prove della nostra esistenza terrena.
Artefice resterà, comunque, l'UOMO, nella sua condizione.
Solo gli eventi naturali accadono spontaneamente, per volontà di Dio. Questa
autorevole prova di amore e devozione per la mia Terra, aspira alla
conquista di occasioni propizie per sani e proficui insegnamenti (dialoghi).
Ringrazio, doverosamente, tutti coloro che hanno condiviso e aleggiato i
miei pensieri.
Tanta gratitudine al caro amico Giovanni Lopopolo, che a Roma, dove vive da
molti anni, da autentico marsicano, con maestria e abnegazione, ha scelto la
giusta veste tipografica.
Centocinquanta anni di fotografia non sono pochi ! Hanno toccato e
arricchito il mio cuore che in tutte le immagini palpita e spera.
Marsiconuovo, 20 Ottobre 1996 |
L'autore
Mario Vignola |
RIFLESSIONI DI UN AMICO
Il legame sentimentale che ci unisce ai luoghi ed alle persone, affiora in
ogni momento della nostra vita. Core il passare degli anni diventa sempre
più insistente al punto che ci spinge a ricercare oggetti ed immagini che
almeno per un attimo possano farci rivivere quelle emozioni e quelle
sensazioni provate tanti anni prima.
Sentimento e nostalgia per chi ha vissuto tanti anni lontano dai luoghi
nativi ed ha dovuto per forza di cose adattarsi ad altre abitudini, per le
cose più semplici, per le persone che s'incontrano tutti i giorni, per gli
odori percepiti nelle strade, per i colori, per i rumori. Provo una certa
difficoltà a comunicare queste emozioni a chi non ha mai vissuto una simile
esperienza che, per noi che viviamo lontano, diventa forza e volontà di
proseguire nel proprio cammino. Il pensiero che forse un giorno potremo
ritornare a rivivere, come una volta, i luoghi intrisi di paesane abitudini,
ci corrobora, ci aiuta e ci guida.
L'opportunità di collaborare alla stesura di questo libro, è stata
un'occasione unica che mi ha offerto l'amico Mario. Ho cercato in tutti i
modi di portare e far portare a compimento l'impegno assunto, e soltanto
adesso mi sto rendendo conto che stiamo realizzando un sogno, per me lungo
una vita. Quante incertezze e dubbi abbiamo affrontato, quante perplessità,
ma la caparbietà di creare un diario dove ognuno di noi potrà ritrovare la
propria dimensione, ci ha sempre spronato a fare e possibilmente bene.
Vorrei perciò rivolgere un pensiero a quanti hanno, per diversi motivi,
trascorso la vita lontano dal nostro Paese, lontano dagli affetti e dai
luoghi, e che hanno dovuto affrontare non poche difficoltà, a tutti quelli
che probabilmente non avranno mai più la possibilità di ritornare a godere
di questa opportunità che la vita ci ha riservato. Forse il nostro impegno
potrà, per un attimo, far rivivere quei ricordi e quelle sensazioni ormai
assopite.
Se posso permettermi, vorrei esprimere l'invito a tutti d'apprezzare le cose
e le persone che quotidianamente ci circondano, possibilmente valorizzarle e
fare in modo che ognuno di noi disponga di un patrimonio di sentimenti e
tradizioni tali da poterli trasmettere giorno dopo giorno, attimo dopo
attimo, agli altri e soprattutto ai giovani. Far rivivere in un certo senso
le nostre esperienze i nostri sogni e colorarli di passione, quella stessa
che da sempre ci ha distinto e ci distinguerà da tutti gli altri.
Roma, 26 Agosto 1996
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Giovanni Lopopolo
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