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Francesco

di  Messer  Pietro  di  Bernardone

 

Rachele Padula Zaza
 

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I N T E R M E Z Z O
 

Viene stipulato un trattato di pace tra il popolo e gli aristocratici di Assisi, alleati dei Perugini. A seguito di questa alleanza, che ha il fine di rinsaldare la Repubblica, Francesco, Ubaldo e altri suoi compagni di prigionia sono lasciati liberi di ritornare nella loro città.
 

FRANCESCO

Godiamo, amici, troppo abbiamo patito; non abbiano termine feste e divertimenti e per noi liuti e manicordi intonino melodie, ci invitino alle danze e i nostri conviti siano allietati da prospere donzelle e generose. Dimentichiamo i soprusi, le ingiurie, i torti, per noi torni il piacere della libertà e la gioia. Non abbia limiti il godimento; né qualcuno osi, incauto, ricordarci le brutture della cella, il diffuso, disgustoso lezzo e la sua angustia. Voglio compensare il tempo ormai perduto e nessuno fermi i miei propositi di spillare al padre quanto più denaro posso, per appagare la mia sete di piacere, quasi un inno alla vita.

   
GADDO Un coro di osanna si leva dal gruppo verso Francesco, il mecenate che promette di sollevare gli umori dei suoi compagni di prigionia e di quelli che, come me, memori delle passate sregolatezze, gli fanno corona notti e giorni.
Il suo ritorno è segnato da bagordi d’insolita allegrezza; da liete scorribande e serenate sotto ai veroni di fanciulle di preziosa bellezza.
   
UBALDO Così Francesco smorza il rimpianto dei sogni giovanili di ardimento, quando immaginava di comparare le imprese degli antichi cavalieri di Re Artù o dei favolosi paladini di Carlo Magno. Aveva sognato fama e gloria, invece è reduce da una sconfitta devastante; da forti delusioni e smarrimento che gli hanno bucato il cuore e confuso la mente.
In quella cella ripugnante è morta la nostra audacia, non ci rimane che godere ogni attimo di vita con lo slancio di chi ha corso il rischio di perderla.
   

Una grave malattia spezza la catena delle sconcezze, dei festini, dei balli, dei banchetti protratti fino a tarda ora, quando tutta la città dorme e solo le cagne in cerca di cibo vagano ululando nei vicoli stretti dei quartieri. Francesco è colpito in piena floridezza da un male oscuro ai medici del tempo.

   
UBALDO Egli giace in un’inerzia morbosa perduto ai giorni, dalle albe ai tramonti. Monna Pica, solerte madre in affanno, lo assiste; gli bagna la fronte con candidi panni di lino; lo disseta; lo veglia e prega per la sua salvezza il Signore, di cui e innamorata. Gli parla di perdono, di angeli, di arcangeli e di Maria Salvatrice.
   
CORO L’anima di Francesco è lacerata, piena di crepe che la attraversano a destra e a manca; la squarciano, la feriscono. E la notte del terrore spasmodico, incorporeo, frutto della coscienza del peccato: la notte della confessione e del pentimento. Un tormento indescrivibile lo agita; suda, vaneggia; con gli occhi sbarrati insegue visioni. Sconvolto si aggrappa alletto e piange desolato, finché sorgenti luminose consolano il buio dell’anima, lo disperdono e disegnano una bianca ragnatela. È la grazia che irrompe e rigenera, annulla la pena, ricompone, lenisce le ferite; e come balsamo dà vita e conforta ad un nuovo cammino.
   
Francesco è folgorato da apparizioni mirabili di cielo e da lampi che lo atterriscono di luce, lo avvincono alla loro meraviglia ed egli si sente circonfuso da violento bagliore. "Che è mai questo?" si chiede sgomento. E le voci, i richiami del Signore, che nell’oscurità del carcere lo avevano ossessionato, e di cui per giorni aveva temuto il risveglio, finalmente in sostanza d’angeli, gli rispondono.
   
ANGELI Francesco, è ormai inutile la difesa. Dio è alla tua porta. Quella indistinta sensazione di caducità e di scontentezza che ha spesso invaso le tue ore, smorzando nel pieno il tuo piacere, è segno della sua presenza, ancora ignota a te nel suo potere.
Non temere; la tua anima, persa al verbo del Vangelo, s’avvia a fatica verso la grazia.
Tu soffri perché ancora non riesci a donarti completamente all’incontro col Padre celeste; affidati a Lui, abbandonati alla sua misericordia. Restano ancora angoli oscuri nella tua coscienza; il peccato con le sue lusinghe ancora resiste, ancora tende le sue insidie.
Sii forte e si apriranno a te le porte del Paradiso.
   
CORO Come quando, mentre s’abbatte sul mare la tempesta e i flutti si levano alti, scuri minacciosi sotto un cielo di nuvole nere, una nave è in loro balia e nulla può il timoniere per tenerla a dritta ed essa sbilenca beccheggia, pende, s’innalza cade, poi, risale sulla cresta dell’onde. I marinai invano raccolgono le vele perché il vento non la spinga più forte; impotenti a domare il potere della natura si affidano taciti alla preghiera e aspettano. Dopo ore di angoscia cala il vento, torna il silenzio dopo tanto fragore; essi, allora, timorosi s’affacciano sul ponte disastrato e una quiete benefica li sorprende e rincora. Così, finita l’aspra lotta tra le avverse forze, quando sembrava che tutto fosse perduto e la morte legasse Francesco a se coi suoi orridi lacci, una letizia soave lo avvolge; lo conquista; allenta i muscoli tesi nel contrasto ed egli piano affiora dal fondo.
   
MONNA PICA Finalmente dorme dopo giorni di furia. Anche la febbre è scomparsa: è deperito, ma nutro la speranza che la sua giovinezza lo aiuti a riprendersi al più presto.
Che tutta la famiglia e i servi, le fantesche, gli amici si rallegrino e godano perché Francesco, grazie alla Vergine Maria, è guarito.
Figlio mio prediletto, fiore del mio grembo, dolce frutto d’amore, luce dei miei occhi, conforto e diporto della mia esistenza, sterile senza di te.
Fiori profumati allietino le stanze e tutta la casa e un bel fuoco vivo splenda nel camino dove la legna crepitante illumini di scintille la sua bocca nera. Lieto giorno è questo, pieno di attese. Francesco, il mio giovane figlio, che stava, ahimè!, per lasciarci, è tornato a noi.
   

Monna Pica si inginocchia e prega ardentemente di fronte a un‘icona della Madonna che Pietro di Bernardone aveva portato da un suo viaggio d’affari in Oriente.

   
MONNA PICA Madre mia, Madonna del cammino, Signora del cielo tra i Santi venerata, dal tuo trono altissimo sei discesa e in soccorso di Francesco sei venuta. Non hai permesso che nel fiore degli anni abbandonasse gli affetti terreni ne hai permesso che patissi il dolore che tu patisti quando il giovane Gesù spirò inchiodato sulla croce, snodato straziato, ferito tutto lacrime e sangue. Potente d’intercessione, forte di cielo e di santità soffristi lo strazio umano perché quella era la volontà del Padre per la salvezza dei suoi figli sulla terra. Ti dedico la mia vita e i miei pensieri, mi hai ridato un figlio che era perduto ed ora la gioia è tornata nel mio cuore.
Ti offro le viole che cosparse di rugiada sbocciano a marzo tra l’erba rigogliosa, le primule che liete portano la primavera, le rose disciolte a grappolo lungo le siepi, il colore del cielo di un tramonto infocato e il colore perla delle conchiglie marine. Le stelle luminose di una notte incantata, il ciclamino che sbuca dalla candida neve, l’abete che svetta maestoso coi suoi rami: geometriche linee perfette in aria sospese. Offro a Te tutte le cose più belle del creato. Madre cara, coprici d’azzurro col tuo manto; sia esso il rifugio dalle asprezze della vita.
   

 

 

 

 

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