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R. Zaza Padula

le OPERE

Potenza

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GHERARDO DELLA PORTA
L'antica leggenda di un miracolo

Rachele Padula Zaza
 

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IL “DRAMMA” DELLA SANTITÀ


Un Unico vero personaggio storico: Gherardo della Porta, giunto a Potenza nel XII secolo dalla lontana Piacenza. Un unico personaggio storico, eppure un dramma ricco e composito, nato da un’antica leggenda potentina liberamente rivisitata dalla poetessa Rachele Padula Zaza. La figura di Gherardo, vescovo di Potenza, si staglia su quelle degli altri personaggi: il Capitano delle guardie della Porta Antica, una delle porte della cinta muraria della città di Potenza, Martina e Lucia giovani donne della vicina Vaglio scampate all’eccidio dei turchi, Agnese, una delle monache che si prendono cura della casa vescovile, Adelmo, sacerdote e segretario di Gherardo, Geltrude promessa sua sposa prima che decidesse di abbracciare la vita sacerdotale, il Gran turco, capo dei mori arrivato alle porte di Potenza con una gran quantità di guerrieri. Non mancano, poi, il luogotenente del Gran turco, una moltitudine di cittadini e soldati e, come in ogni dramma che si rispetti, il coro, questa volta intonato dalle monache. Un dramma sacro, come giustamente sottolinea Gerardo Messina nella sua introduzione, un dramma sacro in tre atti. I toni sono alti in un turbinio di emozioni che ben si sposano con la storia, ma anche con la memoria, viviamo un mondo “arricchito” sì dalla fantasia popolare e, al tempo stesso, avvolto in quella tradizione propria di un popolo da sempre abituato all’intensità della vita, una vita spesso dura, ma allietata dalla fede, dalla bontà che pure regna tra gli esseri umani.
La poesia è come un quadro, talvolta non la si capisce, e questo non è di per sé grave, la si gusta, è un qualcosa di irrazionale. Quello che conta per davvero sono le emozioni che la poesia suscita nel lettore e il dramma di Rachele Padula Zaza è capace di diffonderne tante. Il primo atto si apre con la scena ambientata nella stanza del vescovo Gherardo, allorché due giovani donne, accompagnate da due monache, prese dall’angoscia si gettano ai suoi piedi. La richiesta di aiuto contro i mori è struggente, viva, infarinata di commenti e riferimenti alla propria terra minacciata dai “figli di Satana”. E poi la solitudine di Gherardo con l’ansia sottile che si fa largo nel suo animo ed è presagio di avvenimenti angosciosi. Ecco, sopraggiunge il coro: “Dio vi benedica, Gherardo per la vostra parola che illumina i dubbiosi, per le vostre preghiere, per la vostra forza”. Ma il vescovo è turbato e il suo stato d’animo traspare chiaro e “limpido”. Non esita Gherardo a rendere partecipe del suo turbamento il Capitano delle guardie in apertura del secondo atto. Il pericolo è alle porte, la situazione precipita, ma ecco I'illuminazione: “d’un tratto, dice Gherardo, ho chiaro in mente il da farsi, mi serve, però un segno della Provvidenza”. La provvidenza, altro tema dominante del dramma, insieme con la bellezza, la grandezza del mondo divino, la santità: “che cos’è la santità? Un rispondere al richiamo come gli Apostoli, un cedere al Padre”. Coro protagonista all’inizio del terzo atto: tutto è pronto per la resistenza fino allo stremo e Gherardo esordisce con il dire “nulla ha turbato il mio riposo e mi sento pronto alla prova”. La quiete dopo la tempesta è il pensiero di leopardiana memoria che viene spontaneo e, del resto, è lo stesso vescovo ad affermare che, dopo i tumulti che nelle ultime ore lo hanno assai travagliato, sente nel cuore una calma inattesa, proprio quella che “segue in natura la tempesta”.
Commovente il momento in cui Gherardo comunica, dopo aver celebrato messa, i suoi propositi di affrontare il turco fuori della porta nel luogo più adatto all’incontro. Il consenso si mischia alla disapprovazione, l’esito è incerto, l’epilogo, da scoprire, rimandato alla vostra lettura. Un’opera amabile, nonostante la trama e gli argomenti trattati, che appassiona in virtù dell’elegante semplicità della narrazione frutto evidente della bravura dell’autrice. Un dramma per certi versi assimilabile al romanzo storico e non solo per la figura del vescovo Gherardo, ma anche, forse soprattutto, per le sue gesta che ricordano episodi realmente accaduti nel corso dei secoli, fatti entrati a far parte dell’epopea lucana, legati all’eroismo di laici e religiosi dinanzi al pericolo della sopraffazione.


Vito De Filippo                              
Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata

 

 

 

 

 

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