Nota di
Gerardo Messina
EDITH STEIN: L'EBREA "AFFERRATA DA CRISTO"
«SANCTA TERESIA BENEDICTA A CRUCE»
«Afferrata da Cristo», come Paolo
(Fil 3,13). Questa è stata Edith Stein, l'ebrea incredula e filosofa
che, toccata dalla grazia, percorre le vie della fede fino a
raggiungere, attraverso la croce, le vette del rapimento mistico e della
santità.
Una storia bellissima e straordinaria, un'ardua avventura dello spirito, è
stata la vita di questa donna del xx secolo.
Suor Teresa Benedetta dalla Croce folgorata dal fascino della grande Santa
Teresa d'Avila, vive una profonda esperienza mistica e lascia opere di
altissimo valore teologico e spirituale. Per lei «il centro di ogni
esperienza mistica è l'incontro con Dio da persona a persona». Perché
«la via della fede ci dà più della via della conoscenza filosofica; il
Dio vicino come persona che ama ed è misericordioso, ci dà la certezza
che non è propria di alcuna conoscenza naturale». Abbraccia per sé la
croce, quella croce che peserà come un macigno mortale sulle spalle del
suo popolo.
«Molti contemporanei - scrive la mistica Edith - vorrebbero far tacere la
croce. Niente è più eloquente della croce messa a tacere. L'amore rende
fecondo il dolore, e il dolore approfondisce l'amore». Nella
contemplazione del Crocifisso, di fronte alle sofferenze della guerra,
scopre nella croce il prezioso valore universale della salvezza e
scrive: «Senti il gemito dei feriti sui campi di battaglia? Non puoi
fasciar loro le ferite, tu sei chiusa nella tua cella e non puoi
arrivare a loro. Ti commuove il pianto delle vedove e degli orfani?
Desidereresti essere un angelo consolatore per aiutarli. Contempla il
Crocifisso: tu sei la sua sposa. Unita a lui, diventi onnipresente come
lo è lui. Attraverso la potenza della croce puoi essere presente su
tutti i fronti, in tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua
compassionevole carità, quella carità che attingi dal Cuore divino e che
ti rende capace di spargere ovunque il suo preziosissimo Sangue per
lenire, salvare, redimere».
Durante la seconda guerra mondiale condivide, dunque, nella Germania di
Hitler, il calvario della persecuzione mortale contro il suo popolo,
l'orrore della Shoa. Elevandola all'onore degli altari e proclamandola
santa e martire, papa Giovanni Paolo II dice di lei: «Fece propria la
sofferenza del popolo ebraico, a mano a mano che questa si acuì in
quella feroce persecuzione nazista che resta una delle macchie più
oscure e vergognose del nostro secolo. Sentì che nello sterminio
sistematico degli ebrei la croce di Cristo veniva addossata al suo
popolo e visse come personale partecipazione ad essa la sua deportazione
ed esecuzione nel campo di Auschwitz-Birkenau il 9 agosto 1942».
Lo stesso pontefice la proclamerà Patrona d'Europa, insieme con S. Brigida
di Svezia e S. Caterina da Siena.
È questa magnifica figura femminile, Edith Stein, a noi vicina e segnata
dal martirio nel "secolo dell'orrore" della Shoa, che Rachele Zaza, con
lo stile, la delicatezza e sensibilità che la distinguono, ci presenta
come protagonista di questo dramma sacro di cui ci fa dono.
Ai due grandi santi dei secolo XII e XIII, protagonisti dei drammi sacri
creati dall'Autrice, il Gherardo Della Porta (2004) ed il
Francesco di Messer Pietro di Bernardone (2008), attualissimi per il
loro messaggio di fraternità e di pace, si aggiunge ora la stupenda
storia della santa martire del secolo XX che è Edith Stein, raccontata
scenicamente in questo dramma dal titolo significativamente "universale"
in lingua latina, «Sancta Teresia Benedicta a Cruce, Europae Patrona».
Si completa così un'interessante singolare trilogia teatrale che, a mio
avviso, si caratterizza, tra l'altro, per tre pregi. Anzitutto lo stile
letterario, sobrio e raffinato che, a fronte della crudezza degli eventi
non preferisce il linguaggio duro, scarno e immediato dei
giorni nostri, ma tende con toni alti ad
elevare lo spirito al di sopra dell'orrore di quegli anni che hanno
insanguinato il secolo passato, a noi vicinissimo. In secondo luogo, la
bellezza lirica dei cori, un particolare stilistico che caratterizza
insieme i tre drammi sacri e che richiama fortemente quelli della
tragedia greca. In terzo luogo, la felice messa in scena più prettamente
teatrale fatta dall'Autrice la quale, tra gli avvenimenti complessi e
tormentati della storia della Stein, la giovinezza
e gli studi, le vicende delle sua famiglia, gli anni
dell'insegnamento universitario e le sue relazioni, la conversione e il
conflitto con la fede della madre, la vocazione al Carmelo, ha scelto di
portare sulla scena la fase finale, quasi sintesi emblematica, della
vita di Edith, ormai suor Teresa
Benedetta, ebrea e carmelitana votata alla morte a cui ella va
incontro "per amore del suo popolo".
Sono gli ultimi brevi anni della sua vita, i giorni bui della
guerra e della follia nazista che semina
morte. Ed è proprio in queste ultime scene del dramma che
emergono, come sprazzi di luce nelle tenebre, taluni squarci che evocano
la sua spiritualità, ripercorrono a
grandi linee il suo pensiero filosofico, mostrno la sua
incrollabile e sofferta fede, attraverso i dialoghi intrattenuti con gli
infelici suoi compagni nell'ultimo viaggio verso Auschwitz. Una morte che si fa dono d'amore e
che riscatta la vita.
Un auspicio sento di dover esprimere: che questa felice trilogia del
dramma sacro possa essere portata realmente e degnamente sulle scene.
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