Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"
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Le politiche di Emigrazione nella storia cilena
Il nome Cile, nella lingua
degli indios Aymara, antico popolo andino, significa “là dove finisce la terra “. L’emigrazione italiana verso
questo"mondo ai confini del mondo" è stata sempre meno consistente
al confronto con gli altri numerosi paesi di destinazione, dentro e
fuori l’Europa. La differenza resta marcata anche rispetto agli
altri paesi latinoamericani. Nelle analisi storiche delle vicende
migratorie la scarsa rappresentatività numerica ha comportato una
sottovalutazione anche della qualità di apporto allo sviluppo di
quel Paese.
Nonostante la presenza degli italiani in Cile non abbia superato le
14.098 unità neI 1949 (con una percentuale max., in rapporto agli
altri immigrati stranieri, dello 0,40% nel 1907), occorre dire che
essa ha costituito il secondo gruppo europeo più rappresentato, dopo
gli spagnoli. Non solo:
Vediamo. Rispetto all’intero territorio, la provenienza degli
immigrati italiani è stata approssimativamente calcolata come segue:
tra il 1880 e il 1914: Liguria (50%), seguita da Piemonte e
Lombardia (tuttavia i lucani erano presenti in gran numero già in
quegli anni, come si dimostrerà con abbondanza di dati);
tra il 1915 e il 1949: Liguria (48%), seguita dalla Basilicata (10%)
e altre regioni;
tra il 1950 e il 1985: Trentino (40%) seguito dalla Basilicata
(13%), Abruzzo (8%), Liguria (6%) e altre regioni5.
Oggi la provenienza è così calcolata: permane la Liguria, per oltre
il
50% della presenza italiana; Piemonte ed Emilia Romagna per circa il
10%; a seguire Lombardia, Toscana e Campania tra il 6 e il 5%; la
Basilicata con circa il 4%. Tuttavia i lucani sono concentrati in
poche località:
come a Iquique, dove rappresentano il secondo gruppo per
provenienza, costituendo in tal modo l’altra significativa presenza
dopo i liguri e alcuni piemontesi. Nel 1996 i membri della collettività italiana, immigrati e discendenti, erano 25.950, dei quali oltre il 60% nati in Cile. Siamo alla seconda e terza generazione, ma il dato dimostra come i discendenti degli italiani abbiano voluto mantenere la cittadinanza italiana.
La storia dei flussi migratori dall’Europa (e dall’Italia) verso le
lontane lande cilene si spiega con una coincidenza di esigenze6.
Ai primi anni del XIX secolo il Cile era un piccolo paese il cui
confine settentrionale si collocava al di sotto di Antofagasta e
quello meridionale era segnato dal Rìo Biobío. Ebbene, che nelle
poche terre disponibili si stabilissero gruppi di immigrati europei,
fu una necessità avvertita innanzitutto dagli stessi cileni, che nel
1800 si contavano in poche centinaia di migliaia, prevalentemente
amerindi. Del resto, tutta l’America latina guardava agli Stati
Uniti in cui l’Emigrazione aveva cambiato il ritmo di sviluppo del
paese. Benché l’Emigrazione di massa avesse luogo solo in alcune regioni del versante atlantico
(in special modo nelle megalopoli di Buenos Aires, Montevideo e San
Paolo, le cui popolazioni dal 1850 al 1940 raddoppiarono ogni 30-40
anni7),
anche il Cile si pose il problema, guardando all’Europa “come
modello e referente ideale per la costruzione delle istituzioni
politiche, economiche e sociali del paese”8.
Bernardo O’Higgins9
così si espresse nel 1823:
“La scarsità della popolazione,
la povertà dell'industria,
il ritmo lento della civilizzazione, la disaffezione al lavoro,
l’immoralità contratta durante il lungo esercizio della guerra, il
ladrocinio, sono mali che preoccupano il governo. Senza urgenti
rimedi la patria non può prosperare. (...);
il radicamento di colonie
europei (è) la misura più
opportuna e benefica..."10
A questo proposito è opportuno sin d’ora evidenziare come nelle
politiche di Emigrazione dei pur diversi governi latinoamericani,
gli europei, e tra questi gli italiani, siano stati generalmente
considerati come “apporta-tori di civiltà”, a differenza
dell’America del Nord, crocevia di tutti i poveri del mondo, dove la
figura dell’emigrante — colui per il quale l”’America” del miraggio
è innanzitutto New York — si identifica sempre con il “pezzente” in
fuga dalla miseria. Ma se qui nell’immaginario degli statunitensi
l’immigrato italiano, in modo particolare, si confonde ora con la
malavita ora con l’ambulante, ciò non accade (o accade in modo
episodico e meno duro) nell’America del Sud. E’ pur vero che, come
sappiamo, lo stesso nucleo fondante degli Stati Uniti risiede negli
europei del nord, i quali, dopo l’abolizione della schiavitù, usano
gli europei del sud (italiani, spagnoli, greci, slavi ecc.) come
manodopera di rimpiazzo.
Un’impronta storica differente da quella latinoamericana. Qui, “è
come se questo continente, che deve la propria scoperta a Colombo e
il nome a Vespucci, sia sempre pronto a pagare all’Italia
il
suo
contributo di riconoscenza.
Il
fatto che Garibaldi in
Uruguay, e suo figlio durante la rivoluzione messicana, abbiano
partecipato ai grandi momenti della storia del Sudamerica, non ha
potuto che rafforzare questa tendenza
L’atteggiamento dell'America
latina è veramente l’opposto di ciò che accade nel Nordamerica..."11
E non è un caso che il Canto a la Argentina di Rubén Darío si apra con
Il primo provvedimento cileno a favore dell’Emigrazione è del 1817 e
rappresenta una novità rispetto alla precedente epoca coloniale,
durante la quale l’ingresso in Cile era proibito a chiunque non
fosse spagnolo. Ora invece siamo sulla scia dei moti
indipendentisti, nati in tutto il Sudamerica per espellere la Spagna
dal continente13,
anche in ideale collegamento con le rivoluzioni americana e
francese. Alle aspirazioni indipendentiste non rimangono estranei i
mercanti britannici e nordamericani che intuiscono le nuove
opportunità offerte dalla cacciata degli spagnoli.
A quella prima apertura fa seguito la legge del 1824 che concede
privilegi agli stranieri che portino nel paese fabbriche e
manifatture, soprattutto legate allo sfruttamento del rame. La
politica immigratoria dà i primi risultati: l’incremento demografico
risulta più del doppio già in 40 anni. Nel frattempo la letteratura
di propaganda tenta di associare il risveglio dei popoli “dalle
catene della Spagna” con l’emigrante che “spezza i legami col paese
d’origine per rinascere nella terra desiderata”14.
Un tentativo, ci pare, alquanto maldestro.
Dalla metà del secolo il Cile si organizza per l’accoglienza delle
prime comunità provenienti dall’Europa. E’ il periodo dell’ondata di
provvedimenti per l’abolizione della schiavitù, cui fanno eccezione,
per ora, Cuba e Brasile, e che rende ovunque necessario il
reperimento della manodopera15.
La legge del 18 novembre del 1845, seguita da altre disposizioni
negli anni ‘51 e ‘53, dà inizio alla colonizzazione programmata e
dispone l’accoglienza di coloni
tedeschi
in territori demaniali del sud del Cile (Valdivia, Osorno, Puerto
Montt ecc.)16.
Si tratta dei primi nuclei, che dopo la 2° guerra mondiale
assumeranno una notevole importanza numerica con l’emigrazione di
richiamo, soprattutto per i tedeschi fuggiaschi17.
In questa
Una legge del 4 agosto 1874 consente ai privati di colonizzare la
zona australe popolata dagli indios Mapuche, sui quali il Cile Otto anni dopo otterrà una vittoria
militare. Nel frattempo, naturalmente, il titolo di “colono” non
spetta agli indios, ma soltanto agli immigrati europei e
Nordamericani.
In ogni caso, tali presenze contribuiscono ai primi innesti di
cultura europea e con essa all’assorbimento di principi liberali, in
Cile come in Uruguay, Argentina, Messico, prima che in altri paesi
dell’America latina, che su questo piano rimangono almeno un passo
indietro. E’ un processo lento e faticoso, in una realtà in cui
l’indipendenza non aveva avuto l’esito sognato da Bolívar, di
un’unica grande America Latina. Ne era conseguita invece una
frantumazione politica in tanti stati, in ciascuno dei quali covano
guerre civili: piccole unità indebolite, dalle quali emergono i
caudillos,
capi locali che rappresentano interessi particolari e che si
contendono il potere militarmente. L’approdo è spesso la
restaurazione, su scala locale, dell’ordine preesistente fondato
sull’appropriazione delle risorse produttive da parte di una
ristretta minoranza. Questa “impronta”, come modello di potere,
resterà latente anche nelle successive esperienze politiche, fino in
tempi recenti. Tali considerazioni rendono meno retorica la
‘lettura’ dell’indipendenza, tutt’altro che omologata alle
rivoluzioni borghesi europee contemporanee.
Siamo sempre alla metà del secolo quando la scoperta dell’oro
californiano e dei giacimenti australiani vengono ad intensificare
la navigazione sulle rotte oceaniche e lungo le coste del Pacifico
(Perù e Cile), apportando consistenti benefici: mentre in California
si costituiscono insediamenti cileni, Valparaíso diviene il primo
scalo del Pacifico tra l’Europa e il Nord America sulla rotta
dall’Atlantico verso Capo Horn18.
Ciò, alme
I benefici tuttavia non si avvertirono nel lavoro contadino, che
rimaneva in condizioni servili e tecnologicamente molto arretrate.
Dall’epoca dei conquistatori le terre (latifundios) erano nelle mani degli
encomenderos,
cui venivano affidati gruppi di indi o mestizos, obbligati come
inquilinos
a lavorare sulle terre del padrone. Il quale li aveva a carico,
accampando in cambio numerosi diritti19.
Ora al bracciante (o fittavolo), indio o immigrato, si chiedeva che
producesse di più mantenendo quello stereotipo del contadino
latinoamericano tradizionale, con scarsi bisogni e una rassegnazione
tale da accettare larghi margini di arbitrio. E’ in queste
condizioni che si trovarono i primi lavoratori della terra
immigrati: si trattava di cinesi, giuridicamente liberi, ma venduti
ai proprietari o a società di opere pubbliche dagli organizzatori
del trasporto. Comunque, questi sistemi erano gli stessi largamente
subiti fin verso la fine del secolo scorso anche dagli emigranti
italiani, ad es. in Brasile20.
Mamma mia, ca me scrive sempre,
6 La ricostruzione che segue relativa alle politiche legate
all’Emigrazione è un rapido riordino cronologico, funzionale al
tema, per il quale cfr.: H. Herring,
Storia dell’America latina, 1971;T.H. Donghi,
Storia dell’America latina, 1972; A.A.V.V.,Il
contributo italiana allo sviluppo del Cile, ed. Fondazione Agnelli,
1993; W. Bernhardson, Cile,
1998, e più in generale la bibliografia di riferimento.
7 Buenos Aires contava 70.000 abitanti nel 1869; 220.000 nel 1895;
700.000 nel 1914.
8
M.R. Stabili, Dalla
riflessione alla pratica storiografica: itinerario e senso di una
ricerca sugli italiani in
Cile, in
il
contributo italiano allo sviluppo del Cile, cit., p. 36. 9 Comandante in seconda dell’esercito di San Martin (v. n. 13 a p. 17); figlio illegittimo di un irlandese al servizio degli Spagnoli come viceré del Perù, divenne un eroe dell’indipendenza sconfiggendo nel 1817 l’esercito spagnolo a Chacabuco. A capo della nuova repubblica cilena, egli abolì i numerosi titoli nobiliari descrivendoli come puri e semplici ‘geroglifici’ che non potevano aver posto in una nazione libera. Fu il primo presidente del nuovo Stato.
10 Cit. in M.R. Stabili, c.s., p. 37.
11 R. Paris, L’Italia fuori d’Italia, Storia d’Italia, Einaudi, 4*, p. 570.
12 Idem, p. 569. Ma gli italiani sono anche coloro che portano
altrove la "coscienza di
13 La proclamazione ufficiale dell’indipendenza del Cile è del 1818.
In ogni paese dell’America latina lo svilupparsi di una nuova
identità americana accrebbe il desiderio di autonomia. Ricordiamo in
sintesi che dal Venezuela un esercito di
criollos
(creoli, spagnoli nati in America) comandati da Simon Bolívar si
fece strada attraverso le Ande e poi verso il Perù. L’Ejército de los Andes di José de San Martin, composto anche da
schiavi liberati, marciò sulla cordigliera dall’Argentina al Cile,
occupò Santiago e si diresse a nord verso Lima. Suo vicecomandante,
per la liberazione del Cile, fu Bernardo O’Higgins, primo presi
-dente della nuova repubblica.
14 Vincente Perez Rosales,
Essai sur le Chili, cit. in
il contributo italiano..., p. 37.
15 In Cile il provvedimento di abolizione della schiavitù è del
1850.
16 Cfr. M.R. Stabili, cs., p. 43.
17 Durante la repressione seguita al colpo di stato del 1973 che
costò la vita al legittimo
presidente Salvador Allende non fu secondaria la presenza e il ruolo
degli ex ufficiali
18 Contemporaneamente anche a Mendoza, nelle Ande argentine,
comincia il richiamo dell’Emigrazione. Nel giro di pochi decenni le
province latinoamericane conoscono il
maggior ritmo di incremento demografico, raddoppiando o triplicando
la popolazione in Argentina, Brasile, Cile, Perù, Venezuela,
Bolivia, Messico.
19 Questa relazione fra ‘servitore e padrone’ è durata fino al
secolo scorso; molti di quei
20 Cfr. TI-I. Donghi, Storia
dell’America latina, cit., p. 200. 21 N. Tommasini, Folklore, magia, mito o religiosità popolare, Bari 1980, p. 19. |
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