<< precedente

INDICE

successivo >>


Gerardo Maiella - santo del popolo
G. D'Addezio
 

CAPITOLO I
 

SAN GERARDO MAIELLA

San Gerardo Maiella (6 aprile 1726 - 16 ottobre 1755) nasce a Muro Lucano in provincia di Potenza da Domenico e Benedetta Galella. È battezzato nella chiesa SS. Trinità (pro Cattedrale) dall'arciprete Felice Coccicone; riceve la Cresima, nella chiesa del Carmine, il 5 giugno 1740 dal vescovo Claudio Albini.
Molti fatti prodigiosi punteggiano la vita del nostro Santo: Gesù diventa la sua passione e per suo amore Gerardo cercherà tutta la vita di assomigliare a Lui.
Morto il padre, viene messo come apprendista sarto presso il Pannuto; quindi passa al servizio di Mons. Claudio Albini, Vescovo di Lacedonia.
Queste incombenze non lo soddisfano: Gerardo sente la chiamata alla vita religiosa e desidera dedicarsi totalmente al servizio di Dio.
Rifiutata, dallo zio materno, fra Bonaventura da Muro, la richiesta di entrare nel convento dei cappuccini, per la sua gracile costituzione fisica non adatta alla vita religiosa, Gerardo non si arrende, aspetta l'ora di Dio e questa arriva nella Pasqua 1749, quando i Padri Redentoristi si recano a Muro per una missione al popolo.
Gerardo ha ventitrè anni. Segue tutta la predicazione con vivo interesse e sempre più si conferma nel desiderio di far parte della Congregazione come fratello laico, ma con grande dolore riceve un nuovo rifiuto.
Giunge intanto il giorno della partenza dei suoi amati Padri.
Ad osservare tutto c'è Mamma Benedetta che, con intuito materno, legge nel cuore del figlio la forte determinazione; rinchiude il giovane in casa e tranquilla se ne va in chiesa ad assistere alla funzione d'addio ai padri.
Gerardo sbircia dalla finestra il paese divenuto deserto, e con sveltezza fulminea annoda le lenzuola, si cala dalla finestra e corre dietro ai padri che si allontanano.
Mamma Benedetta, al ritorno trova un biglietto; c'è scritto "Vado a farmi santo". Intanto padre Paolo, che guida la missione, ancora una volta lo rifiuta: "Non è possibile, sei troppo gracile per affrontare i disagi di una vita austera!". Gerardo non si arrende neppure questa volta. Pregando e supplicando, a piedi, segue i padri diretti ad un'altra missione a Rionero in Vulture, finché padre Paolo si convince e lo accetta per una prova.
Viene mandato a Deliceto, nella casa di S. Maria della Consolazione: è felice, perché si vede sotto lo sguardo della Madonna.
È il 17 maggio del 1749.
Il 16 luglio del 1752, solennità del SS. Redentore e festa della Madonna del Carmine, Gerardo emette i voti religiosi.
Da quest'anno, fino alla morte, ha inizio per lui un periodo di esperienze missionarie nelle province di Foggia e Potenza, con grande entusiasmo da parte di coloro che lo incontrano lungo le strade.
Infatti, come fratello laico, viene mandato per la questua e si rivela conoscitore di anime, consigliere di sacerdoti, persuasivo verso i lontani, cercatore di dote per le giovani aspiranti alla vita religiosa.
Venuto a conoscenza dei monasteri in quei territori, diventa consigliere delle monache Carmelitane di Ripacandida, delle Benedettine di Corato, di Atella e della Madre Maria Celeste Crostarosa, fondatrice, con S. Alfonso Maria de' Liguori, delle suore del SS. Salvatore a Foggia.
Le grandi opere compiute in questo periodo, vengono da lui pagate con una serie di forti prove: logoramento fisico, lunghe ed estenuanti marce dietro i suoi missionari, aridità e buio interiore, un'infamante calunnia accettata con eroica serenità che gli impedirà ogni contatto con persone estranee al convento e lo priverà perfino dell'Eucaristia.
Dopo vari spostamenti, finalmente nell'agosto del 1755 ritorna a Materdomini, il santuario a lui tanto caro. Le emottisi si moltiplicavano e facevano prevedere prossima la fine, che infatti avvenne il 16 ottobre, nella solitudine della sua cella.
La Chiesa riconobbe ben presto l'eroicità della sua vita. Dopo regolari processi canonici, il 29 gennaio 1893 Gerardo fu solennemente beatificato a Roma nella Basilica di San Pietro, dal Papa Leone XIII e canonizzato da Pio X 1' 11 dicembre 1904.
La sua vita, intessuta di fatti straordinari e di tanti miracoli, è viva espressione dell'amore di Dio per quest'anima semplice, ma docile alle mozioni dello Spirito Santo.
La sua caratteristica spirituale è un grande amore a Gesù, l'obbediente del Padre, per cui San Gerardo può chiamarsi l'innamorato della "volontà di Dio", perché, attraverso l'obbedienza, egli partecipa con Gesù alla redenzione del mondo.
Le fonti a cui attingere per una conoscenza più profonda dell'animo di questo grande fratello laico della Congregazionedel SS. Redentore, sono le sue lettere, poche in verità, ma ricche di contenuto e di grazia.
Nella corrispondenza con le monache Carmelitane di Ripacandida ebbe modo di manifestare la ricchezza della sua anima, poichè trovava in loro sintonia e corrispondenza. (questo monastero, forse il preferito da San Gerardo era stato fondato da un canonico del luogo nel 1736, ma solo nel 1745, alla sua morte, le 20 monache professarono la regola di S. Teresa.
Era priora suor Maria di Gesù Aràneo, nipote del canonico. Le altre erano tutte giovanissime, dai 15 anni ai 30, almeno quelle che ebbero corrispondenza con San Gerardo. Alla Madre Maria di Gesù sono dirette prevalentemente le lettere.
I pensieri, in appendice riportati, mettono in evidenza l'amore che egli nutriva per la "bella volontà di Dio", espressione molto ricorrente in lui. Diventano il mistico dialogo con Gesù, che per lui era morto; tutta la corrispondenza epistolare diventa ammirazione per le anime consacrate, che gli ricordavano la Vergine Santissima, verso la quale nutriva un tenerissimo amore filiale.
L'arco della vita di San Gerardo, molto breve, solo 29 anni, di cui 6 trascorsi nella vita religiosa, è ricca, non solo di grandi e molteplici miracoli, ma soprattutto di esempi di umiltà, di obbedienza e di fine discernimento nel consigliare le anime.
La sua, in sintesi, può essere definita un'autentica incarnazione del Vangelo di Cristo.

 

Ambiente socio religioso in cui visse S. Gerardo Maiella

Verso i primi del 1700 troviamo un certo Domenico Maiella, il padre del nostro Santo a Muro Lucano dove si era spostato in cerca di una migliore sistemazione economica. Qui si formò la famiglia, che cercò di sostenere con la sua arte di "sartore".
Muro, a 545 metri sul livello del mare, gli si presentava come affacciata sull'ampia vallata attraversata dagli affluenti del Platano. Il vasto orizzonte gli permetteva di scorgere lo snello campanile di Baragiano e i resti del castello del Picerno. Da quei monti, ricchi di boschi, era venuto e di là provenivano la sua stirpe e il suo cognome "Maiella" da "Machiella" macchia di bosco.
Per conoscere meglio la situazione socioculturale di Muro è bene ampliare il nostro sguardo su tutta la Lucania.
Geograficamente essa è una delle regioni più montuose d'Italia, comprende il declivio sudorientale dell'Appennino omonimo, si affaccia per un breve tratto sul Tirreno e presenta brevi pianure costiere, già sede di una splendida civiltà.
Terza regione sotto Augusto e nona sotto Diocleziano, perdette la sua unità nel Medio Evo.
Terra di passaggio, durante le invasioni barbariche subì la dura signoria bizantina che le impresse una forte tinta di grecità nella lingua, nel culto, nelle istituzioni e nei costumi.
La penetrazione longobarda non riuscì a cancellare queste orme intensificatesi al tempo delle lotte iconoclaste, quando gruppi di monaci basiliani vi introdussero il rito greco.
Dal punto di vista della diffusione del cristianesimo nella regione, risulta da documenti che, nei primi decenni del secolo IV vi erano già delle chiese cristiane organizzate.
I Normanni aggiunsero alla preesistente organizzazione l'istituto feudale che caratterizzò per secoli la struttura socio-economica di tutta l'Italia meridionale, la quale, nelle successive epoche sveve, angioine ed aragonesi, vide svolgersi nelle sue terre l'urto continuo tra re e baroni fino all'avvento di Federico di Aragona. Il sistema amministrativo della regione fu tramandato quasi identico alla nuova signoria spagnola.
Se si eccettuano i danni subiti ai tempi delle lotte tra Francia e Spagna e i vari tumulti contro famiglie imperanti, il paese potè godere di una certa pace e prosperità. Ma la prepotenza e l'ingordigia dei signorotti locali fecero ben presto della Lucania una delle regioni più depresse d'Italia.
Né era migliore la condizione religiosa del paese al tempo di San Gerardo. Il Ferrante ci dà un quadro piuttosto deplorevole dello stato del clero che "soffriva dei mali tipici del clero ricettiZio meridionale. Legato materialmente agli interessi della famiglia d'appartenenza, il prete meridionale pareva occupato più da problemi relativi a censi e decime che dalla cura delle anime o dai doveri connessi col ministero sacerdotale".
Ciononostante la 'parrocchia, in Basilicata, alla fine del XVIII secolo, svolgeva un ruolo fondamentale. Essa costituiva l'unico momento di aggregazione, l'unica realtà organizzativa consolidata, pur con tutti i suoi limiti" (Nicola Ferrante, Storia meravigliosa di S. Gerardo Maiella, Ed. Roma, pag. 23).
In particolare la Diocesi di Muro non versava in condizioni floride e ciò per colpa, in gran parte, dei conti Orsini di Gravina da due secoli padroni di Muro. Questa famiglia, religiosa per tradizione e non eccessivamente violenta per natura, era tuttavia di una voracità insaziabile.
Unica eccezione Pierfrancesco che, fattosi domenicano e divenuto in seguito Arcivescovo di Benevento e quindi Pontefice col nome di Benedetto XIII, volle largheggiare con la sua antica contea, promovendo (1725) il restauro della bella Cattedrale di origine romanica rovinata prima da un terremoto (1694) quindi da un incendio (1707). Ma poco poteva contro l'ingordigia della razza. "Naturalmente chi più soffriva di questo stato era la povera gente formata da pecorai, vaccari, braccianti schiacciati dalle tasse sul vino, sulla carne, sul bestiame e macinato, unici loro proventi. Da ciò crescevano i conti da pagare con i proprietari che scontavano con prestazioni lavorative e con prodotti del loro lavoro al momento del raccolto. Ma se l'annata era cattiva, e questo avveniva spesso, la miseria si allargava livellando nel comune destino i contadini e gli artigiani" (Ferrante, Op. cit. ). Questo capitava spesso anche a Domenico Maiella, che si rifaceva lavorando nei campi, come gli altri abitanti delle povere campagne. In un simile contesto le grandi correnti culturali del tempo arrivavano attenuate e poco influenti su una popolazione prevalentemente arretrata.
Le verità essenziali del cristianesimo erano tramandate di generazione in generazione e spesso non scevre da infiltrazioni superstiziose, residuo di riti pagani alimentati da una diffusa ignoranza. Fu questo in gran parte il movente che spinse S. Alfonso Maria de' Liguori a fondare la Congregazione del SS. Redentore, cui apparteneva Gerardo in qualità di fratello laico.
Essa nutriva l'ideale di "incarnarsi" tra le popolazioni abbandonate delle campagne, per condividere la loro condizione e la loro vita (D'Episcopo, S. Alfonso Maria de' Liguori e la cultura meridionale, Pellegrini Ed., pag. 23).
Nella religiosità semplice del popolo, oltre la predicazione delle verità fondamentali della fede avevano grande incidenza le processioni, le immagini, le rappresentanzioni sacre della Settimana Santa, i pellegrinaggi ai santuari, tutte forme di pietà popolare che "i missionari" riuscivano a usare bene a scopo pastorale; forme queste molto care al nostro Santo, che sapeva riscattarle da elementi di superstizione, frutto dell'epoca e dell'arretratezza culturale, con una interiorizzazione così profonda, da stupirci a distanza di secoli.
San Gerardo che, come fratello laico, accompagnava spesso "i suoi missionari", si rese conto delle condizioni di arretratezza spirituale del clero e di miseria del popolo che, nei limiti della sua stessa povertà, cercava caritatevolmente di alleviare.
Gli incarichi, specie per la questua, datigli dai superiori, se gli diedero l'occasione di conoscere da vicino il popolo, gli permisero anche di avvicinare famiglie di nobiltà provinciale che, religiose per consuetudine, si facevano un onore di ospitare missionari di passaggio, per cui egli potè essere a contatto con la realtà globale del suo ambiente e del suo tempo.
I suoi incontri, come fratello itinerante, o come "portinaio di Dio", avevano sempre come punto di riferimento la crescita del "Regno" e l'amore evangelico ai fratelli, sia che si trattasse di persone da ricondurre sulla retta via, o di giovani da avviare al chiostro o di sofferenti nel corpo e nello spirito; per tutti egli aveva un gesto o una parola capace di consolare, riconciliare, guarire.
Il Santo di Muro Lucano, l'Apostolo dell'Irpinia e della Lucania, così rappresentativo della sua gente umile, sobria, amante della famiglia, instancabile nel lavoro, ricca di fede e di umanità, morendo a soli 29 anni, restò vivo nei secoli anche dopo la fine del regno borbonico, dopo le trasformazioni sociali e religiose, avvenute nella sua terra, per la forza del suo esempio e del suo messaggio di perenne validità.
Dopo aver trattegiato brevemente il profilo storico e l'ambiente socio-culturale in cui visse, vorrei ora "radiografare" in qualche modo il suo spirito, per coglierne le sfumature più significative.
Nei capitoli che seguono tenterò di mettere a fuoco, come in una breve rassegna di quadri, i grandi amori di Gerardo, la sua spiritualità e la sua sapienza pedagogica, attingendo alle sue stesse espressioni sempre significative, in un gergo spesso dialettale, ma di una efficacia sorprendente che ci da quasi "il colore" della sua originalissima personalità.
 

 

 

 

[ Mailing List ]   [ Home ]   [ Scrivici ]
.

 

 

 


.

.


.

.

.