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L'Emigrazione da un Paese Agricolo della Basilicata
Sant'Arcangelo Terra di Emigranti

ANTONIO MOLFESE
 

CAPITOLO I°
PROBLEMA EMIGRAZIONE

 

1. CAUSE CHE HANNO SOSTENUTO IL FENOMENO DELL'EMIGRAZIONE MERIDIONALE

La grande vicenda dell'emigrazione, e di quella transoceanica in particolare, rappresenta l'aspetto più doloroso dal punto di vista umano e più gravoso dal punto di vista del mancato sviluppo della questione meridionale; trova una sua giustificazione non solo nella consistenza quantitativa del fenomeno che pure è stato rilevante, ma anche e soprattutto nelle gravi conseguenze che ha determinato nelle regioni meridionali. Non solo il divario tra il Nord e il Sud del paese si è considerevolmente ampliato, ma intere regioni, come la Basilicata e la Calabria, sono state spinte alle soglie della loro estinzione storica; qui il tracollo ha investito non solo l'economia, ma la società, la cultura, le tradizioni, la coscienza di un popolo e la stessa struttura geofisica di queste regioni è stata messa in discussione.
Ma quali sono le cause di questo esodo secolare, che ha dissanguato intere regioni meridionali delle migliori energie, della forza creatrice di ricchezza e di progresso, e che tanta parte hanno avuto nello sviluppo della arretratezza della Basilicata? I governanti, gli economisti, i sociologi borghesi hanno sempre fatto ricorso al problema della sovrappopolazione per sostenere l'esigenza di una emigrazione in massa di lavoratori italiani, e soprattutto di lavoratori meridionali; hanno parlato di pressione demografica differenziale tra luogo di provenienza e luogo di destinazione, di forte pressione demografica. Il Coletti, per esempio, individua la causa dell'emigrazione lucana nella "densità demografica non proporzionata alle risorse della terra, scarsa di colture e di rendimento"; la tesi della sovrappopolazione assoluta non chiarisce, ma anzi confonde la realtà delle cose. La Basilicata, infatti, non è mai stata tra le regioni d'Italia con più alta densità di popolazione; d'altra parte, paesi tipicamente d'immigrazione come la Germania Federale e il Belgio hanno una densità rispettivamente quattro e cinque volte superiore a quella lucana; eppure la nostra regione continua a esportare forze di lavoro che sono andati a cercare proprio in Germania e in Belgio una collocazione. Non è dunque nella presunta "pressione demografica" che va ricercata la causa dell'emigrazione lucana, e meridionale in genere.
Neppure il riferimento alle "risorse" chiarisce le cause dell'esodo secolare dalla nostra regione, dal momento che indubbiamente la Basilicata, al tempo dell'unità nazionale, era caratterizzata da un'economia povera e arretrata; ma se tale povertà iniziale poteva, in qualche modo, rappresentare una delle cause delle prime correnti migratorie, non chiarisce le ragioni del continuo rigenerarsi, in forma sempre più accentuata, del fenomeno dell'esodo. Se le terre lucane sono "scarse di colture e di rendimento" e, anzi se tale scarsezza si accentua nel primo cinquantennio di storia unitaria, sé nonostante il diminuire della densità della popolazione la proporzione tra questa e le risorse della terra peggiora, è perché non si è prodotta nella regione una rivoluzione agronomica, perché il persistere di contratti agrari "scannatori" e la stessa politica dei governi nazionali hanno impedito qualsiasi trasformazione colturale nelle campagne lucane; sono queste condizioni e questi rapporti sociali che determinano l'abbandono da parte dei contadini non solo delle terre scarsamente produttive, ma anche dei terreni ad alta produttività.
Neppure la scarsezza di manodopera convince i grandi proprietari terrieri a trasformare i metodi produttivi; pur di impedire un rinnovamento dell'agricoltura, essi riducono l'estensione della superficie agraria da coltivare. Ai grandi proprietari necessita avere una sovrappopolazione artificiale nelle campagne, perché solo in queste condizioni possono imporre duri patti agrari ai contadini; questa è stata la teoria degli economisti di sinistra. È dunque al regime proprietario esistente nelle campagne lucane, che bisogna risalire per trovare le cause che hanno determinato una fuga così ingente di lavoratori della regione!
Il contadino prima, gli artigiani poi non solo vengono espulsi dalla loro terra e dalle loro botteghe, ma espulsi anche a livello nazionale; non resta loro che prendere la nave per le Americhe. Non sono le condizioni naturali, ma le condizioni e i rapporti di produzione nelle campagne che generano una eccedenza di popolazione, una sovrappopolazione artificiale che deve essere convinta a emigrare; è, dunque, al modo in cui si è compiuta l'unificazione politica del paese, alla incompiutezza della rivoluzione borghese e alla mancata rivoluzione agraria, al modo particolare e distorto dello sviluppo del capitalismo italiano che bisogna risalire per trovare le ragioni vere del secolare esodo migratorio dalle regioni meridionali. L'unificazione delle tariffe doganali e della politica fiscale, la rapida creazione di una rete stradale e ferroviaria, in sostanza i modi e gli strumenti con cui si procedeva alla formazione di un mercato nazionale, favorirono le regioni più sviluppate, soprattutto quelle industrializzate del Nord, mentre portarono lo sconquasso economico nella debole industria e specie nell'agricoltura meridionale.
Neppure dove, come in Basilicata, il fenomeno dell'esodo migratorio provoca una riduzione della popolazione, le condizioni dei contadini migliorano; nei primi anni del XX secolo, infatti, nonostante la regione registri una considerevole diminuzione della popolazione (tanto che la densità scende da 53 abitanti per chilometro quadrato nel 1881, a 49 nel 1901, a 48 nel 1911 e a 46 nel 1921), la sovrappopolazione non pare diminuita, tant'è che i contingenti di emigrati si ingrossano. Anche se i salari agricoli aumentano, le condizioni dei lavoratori della terra in Basilicata permangono molto povere, a causa del numero limitato delle giornate di lavoro; d'altra parte, anche un effettivo mutamento nelle condizioni naturali contribuisce a dare particolare impeto e forza al movimento emigratorio. Società povera e arretrata, con una superficie montana molto estesa, con una larga presenza di residui feudali nelle campagne, la Basilicata viene drammaticamente colpita dalla politica doganale e fiscale dei governi nazionali, dall'usura e, soprattutto, dall'usurpazione delle terre demaniali e dalla rovina dell'industria domestica, che rappresentavano tanta parte delle risorse regionali; nella regione lucana, più che altrove, l'usurpazione delle terre demaniali e il forsennato disboscamento hanno effetti spaventosi. Non solo si viene a privare il contadino dei diritti di legnatico e pascolo, che pure tanta importanza avevano nell'equilibrio della sua azienda, ma si mette ìn moto un processo di degradazione del territorio che rende sempre più sterili i terreni.
Questo peggioramento delle condizioni naturali rende ancora più misere le condizioni di esistenza dei contadini e, più in generale, di tutta la popolazione lavoratrice della regione; qui la borghesia capitalistica del Nord e le società di navigazione, attraverso gli agenti dell'emigrazione, che penetrano nella regione subito dopo l'unità, aprendo uffici in ogni paese, hanno buon gioco nel convincere i contadini e gli artigiani lucani a emigrare nelle Americhe. La stessa aridità dei terreni, di cui tanto si è lamentata la borghesia lucana, in parte è conseguenza della mancata rivoluzione agronomica e della mancata trasformazione dei rapporti di produzione e del regime proprietario nelle campagne; da una parte, il contadino lucano, pressato dalla concorrenza del mercato, sfrutta il suo piccolo fondo con una coltivazione di rapina, che provoca l'esaurimento del terreno già poco fertile, dall'altra, una borghesia agraria rapace determina il crescente impoverimento dei terreni, attraverso il forsennato disboscamento. La disgregazione dell'azienda contadina e, in ampie zone, l'impossibilità addirittura per il contadino di poter continuare la coltura dei campi, insieme alla deficienza dell'accumulazione dei capitali e alla gravità dei residui feudali nelle campagne (che ostacolano lo sviluppo della grande azienda capitalistica), mettono in moto il processo di espulsione dalla regione di una quota sempre crescente di popolazione attiva; e una volta messo in moto, il processo si rigenera continuamente, perché non vengono eliminate le cause che hanno determinato l'esodo.

 

2. CONSISTENZA NUMERICA E LOCALITÀ DA CUI SI EMIGRAVA

L'emigrazione si sviluppa inizialmente nelle zone montane, poi discende in collina e in pianura; infatti l'esodo inizia presto nel Potentino e nell'alto Lagonegrese e si dirige in prevalenza verso l'America Latina; partono prima i piccoli affittuari che conducevano i terreni "a terratico"(1). Sui terraticanti assai pesanti sono i residui feudali, e assai povere le loro condizioni di esistenza; "conseguire un profitto agricolo vero e proprio, quale dovrebbe derivare dalla sua posizione di imprenditore, il piccolo affittuario non riesce neppure ad assicurarsi un compenso adeguato al lavoro personale, un salario almeno eguale a quello degli avventizi". D'altra parte, essi erano impossibilitati ad apportare miglioramenti sul fondo non soltanto per la brevità dei contratti di fitto, ma anche, il più delle volte per esplicito divieto imposto dal proprietario alla semina di determinati prodotti, alla costruzione di capanne o all'impianto di piantagioni redditizie; nessuna meraviglia quindi che la classe dei terraticanti sia la prima a prendere la via dell'emigrazione. Con i piccoli affittuari partono anche i braccianti, soprattutto quelli avventizi; poi, in seguito alla crisi della piccola proprietà, anche i piccoli proprietari coltivatori prendono la via delle Americhe.
Già nel periodo che va dal 1869 al 1876 l'emigrazione lucana, secondo i data riportati dal Nitti, conta più di 14 mila unità. Comunque, è solo dal 1876 che nel nostro paese esiste una vera e propria rilevazione statistica dell'emigrazione con l'estero: in quell'anno emigrarono 1.102 lucani; ma, di anno in anno, il contingente delle persone che abbandona la regione in cerca di un lavoro all'estero si ingrossa sempre più. Dal 1880 in poi l'emigrazione acquista le caratteristiche di un vero e proprio esodo; nei sei anni dal 1882 al 1887 espatriano 53.592 unità, con una media annua di 8.932. Infatti, all'inizio di quel decennio, la crisi agraria che investe tutta l'Europa, mentre nella valle Padana mette in moto un processo di trasformazione colturale, nelle regioni meridionali pone semplicemente fine alla congiuntura favorevole che aveva sollecitato la rapida espansione della coltura del grano nelle campagne. Di tale favorevole congiuntura la borghesia agraria lucana aveva approfittato non tanto per dar luogo alla formazione di risparmio e di capitale da investire nella trasformazione colturale agricola, quanto, e soprattutto, per acquistare le terre demaniali ed ecclesiastiche che il governo nazionale aveva immesso sul mercato. Così la crisi granaria determina nella regione una contrazione della superficie coltivata e una espulsione di lavoratori dalle campagne.
Con la svolta protezionistica del 1887, poi, anche le limitate zone, dove una certa trasformazione colturale nell'agricoltura era stata operata, vengono messe in crisi, per la chiusura dei mercati europei ai prodotti agricoli meridionali; tale svolta manifesterà i suoi effetti deleteri negli anni a cavallo dei due secoli: nel decennio 1896-1905 gli espatri dalla Basilicata raggiungono la cifra di 120.796, con una media annua superiore alle 12 mila unità.
La straordinaria progressione dell'emigrazione lucana ben si evidenzia nel rapporto(2)
tra numero degli espatri e popolazione. L'entità e le caratteristiche del fenomeno non lasciano dubbi: si tratta di una perdita progressiva di capacità creatrice di nuova ricchezza che immiserisce in misura crescente l'economia regionale e che indebolisce notevolmente il peso sociale e politico della Basilicata nell'ambito dello stato nazionale, e negli stessi confronti con le altre regioni meridionali (la Basilicata è proporzionalmente la regione dell'Italia più colpita dall'esodo migratorio).
Nella tabella n.1 che segue, in cui è riportato il numero degli emigrati(3)
rapportato a 1.000 abitanti per ogni regione italiana, si può osservare come la Basilicata presenta un indice inferiore soltanto al Veneto. Ma va considerato il fatto che l'emigrazione veneta è in larga parte di carattere temporaneo mentre quella lucana è sostanzialmente emigrazione permanente.

Tabella 1

REGIONI

PERIODI CONSIDERATI

1876-80

1881-85

1886-90

1891-95

1896-900

1901-05

  Piemonte

9,1

10,3

9,6

9,5

6,5

14,7

  Lombardia

5

5,8

5,8

5,1

5

10,3

  Liguria

5,1

6,7

5,5

3,9

3,7

5,4

  Veneto

12,1

14,4

26,2

33,3

34,5

31,2

  Emilia

1,9

2,7

3,3

3,8

7,3

12,1

  Toscana

3,3

4,6

5,2

5,2

6,6

10,9

  Marche

0,3

1,6

2,4

2,4

7,1

17,9

  Umbria

0,05

0,05

0,2

0,3

2,1

11

  Lazio

0,07

0,01

0,03

0,2

9,5

7,8

  Abruzzi-Mol.

0,9

4,2

8,8

8,9

12,5

34,4

  Campania

2,1

4,2

6,8

9

12,2

23,2

  Puglia

0,3

0,5

1,1

1,5

2,2

8,2

  Basilicata

6

13,4

19,6

17,2

19,1

30,4

  Calabria

1,8

6,3

9,5

10,9

13,4

29,1

  Sicilia

0,3

0,9

2,4

3,5

6,6

17,2

  Sardegna

0,03

0,2

0,2

0,1

1,6

3,8

  ITALIA

3,9

5,4

7,4

8,3

9,7

16,8

Fonte: Commissario Generale per l'emigrazione, L'emigrazione italiana, vol. L, Roma 1925, p. 828.

Un esodo di tali proporzioni non poteva non interessare tutto il mondo del lavoro lucano; ma sono soprattutto i lavoratori della terra che abbandonano la regione (tabella 2). Nel periodo dal 1876 al 1905, gli agricoltori, i pastori, i boscaiuoli, i giardinieri costituiscono il 67,7% del contingente degli emigrati; l'11,6% è formato da braccianti, giornalieri, terraiuoli e da altri addetti ai lavori di sterro; l'11,5% da artigiani ed operai; il 4,7% da muratori, manovali e altri addetti all'edilizia; e il restante 5,5% è composto da domestici, addetti ai servizi e al commercio, liberi professionisti ecc.

 

3. CONSEGUENZE DELL'EMIGRAZIONE

I maschi rappresentano il 69,1% degli emigrati; considerevole è anche la partecipazione dei minori, quelli con età non superiore ai 15 anni, che rappresentano il 20,2%; si tratta di emigrazione a carattere permanente, in quanto è quasi esclusivamente transoceanica (92,3%) e si dirige soprattutto verso i paesi americani (Stati Uniti, Argentina, Brasile). Dalla elevata percentuale dell'emigrazione per gruppi familiari che caratterizza sin dall'inizio l'esodo dalla Basilicata, si osserva come nel primo decennio 1876-1885, l'emigrazione per gruppi familiari rappresenta il 41,9% dell'emigrazione complessiva lucana; nel decennio successivo arriva il 47,1%, infine nel decennio dal 1896 al 1905 l'emigrazione per gruppi familiari costituisce il 38,2%. In tutto il trentennio, la percentuale dell'emigrazione per gruppi familiari è stata del 42,1% dell'emigrazione totale dalla regione. Infine, questo carattere permanente dell'emigrazione lucana è confermato dalla diminuzione(4) della popolazione regionale; la Basilicata è l'unica regione d'Italia che subisce, in questo periodo, una riduzione di popolazione. Il Fortunato sostiene che l'emigrazione "ci ha purgati della vergognosa piaga del brigantaggio", e l'emigrazione è vista, in un primo tempo, come «potente valvola contro gli odi di classe», come fenomeno che purifica le regioni meridionali dalla triste piaga del brigantaggio.

Tabella 2 - Distribuzione della popolazione attiva per ramo di attività economica.

CENSIMENTO

SU 100 ATTIVI

AGRICOLTURA

INDUSTRIA

ALTRE ATTIVITÀ

1881

67

23

10

1901

77

13

10

1911

77

13

10

1921

78

12

10

1931

72

15

13

1936

75

13

12

1951

73

15

12

1961

58

26

16

1971

40

33

27

2001

25

40

35

In un secondo tempo, alla vigilia del periodo giolittiano, si comincia a valutare anche la funzione economica del fenomeno dell'esodo; il più brillante teorizzatore è Nitti, il quale afferma che «poveri, non abbiamo potuto esportare capitali, e poco progrediti ancora, abbiamo venduto fino a qualche anno fa nelle industrie derivanti dalla terra: ma senza capitali e senza organizzazioni abbiamo esportato uomini». L'esodo di forza lavoro diventa così un elemento compensatore del commercio estero italiano; l'esportazione di uomini viene intesa come esportazione di merci o di capitale; «fino a quando non saremo un grande paese esportatore di merci, e le nostre industrie non avranno una forza motrice e uno sviluppo almeno dieci volte superiore dell'attuale, noi saremo per necessità un paese esportatore d'uomini». Ma è soprattutto alle rimesse che si guarda, fiduciosi che esse apporteranno effetti benefici anche nelle povere regioni dell'esodo. «I nostri emigrati da tutte le Americhe inviano ogni anno in Italia nella forma delle rimesse da 150 a 200 milioni di lire guadagnati forse nelle più dure privazioni, e che servono a dare vita a regioni intere». Il Villari calcola che «la sola Basilicata riceve ogni anno dai suoi emigrati 8 milioni e mezzo di lire italiane».
In realtà, come documenta la stessa inchiesta Nitti, raramente le rimesse riescono a dare un apporto propulsore al processo produttivo locale; «la borghesia dirigente», scrive Nitti, «non riesce nemmeno ad avviare alla terra, alle industrie, ai commerci il capitale circolante depositato dagli emigrati negli istituti di credito e di risparmio, e non sa trarne nuova fonte di proprio benessere». Nella gran parte, le rimesse si trasferiscono nelle regioni più avanzate del Nord; gran parte di esse vengono incontro alle necessità immediate delle famiglie e, per questa via, un'aliquota considerevole, attraverso il mercato, arriva nel Settentrione; oppure affluiscono al risparmio presso istituti di deposito o presso le poste e, per questo tramite, sono impiegate in investimenti produttivi nelle regioni più sviluppate. D'altra parte, anche quando il risparmio dell'emigrato viene impiegato nell'acquisto a prezzo estremamente esoso, di un pezzo di terra, al cosiddetto 'americano' non resta molto per investimenti produttivi sul fondo; né il panorama economico della regione, né le condizioni dei contadini cambiano sostanzialmente. Così, il solo e grande beneficio che l'emigrazione apporta in Italia è quello di compensare il deficit della bilancia commerciale dello stato e di favorire l'accumulazione del capitale al Nord.
Sui nostri emigrati si viene così a esercitare un duplice sfruttamento: da parte dei capitalisti stranieri che normalmente li considerano come mano d'opera di tipo coloniale, priva di diritti; da parte dello stato e dei capitalisti italiani, che rastrellano i risparmi da loro accumulati. Tuttavia la polemica dei meridionalisti sulla questione dell'emigrazione, nel momento in cui evidenziava le condizioni di miseria e di abbandono delle regioni meridionali che stavano all'origine dell'esodo e i vantaggi che le rimesse arrecavano all'economia del paese, riesce a imporre all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale la questione del Mezzogiorno. Il governo nazionale non può più eludere la questione, e il presidente Zanardelli, nel 1902, discende in Basilicata per visitare, a dorso di mulo, la regione.

 

4. LEGISLAZIONE E FLUSSI MIGRATORI

Il risultato di tutto questo interessamento per le tristi condizioni della Basilicata da parte dell'illuminato statista, fu l'emanazione di una "legge speciale", che emanata nel 1904, cominciò a operare soltanto nel 1906, dopo l'approvazione sia del regolamento operativo che di quello per le opere pubbliche. Ed è per questa ragione che abbiamo scelto il 1906 come anno terminale del primo, e iniziale del secondo periodo dell'emigrazione lucana; ciò, infatti, ci permette di valutare l'efficacia di una politica che, senza affrontare i problemi strutturali, riteneva di potere modificare il quadro socio-economico della regione con provvedimenti settoriali. In effetti, si trattò di una misura che accese tante speranze, ma che non cambiò nulla nella regione, dal punto di vista della sua struttura economica, né riuscì ad arrestare "il flusso emigrato rio che la dissangua". L'emigrazione lucana, fino allo scoppio della prima guerra mondiale, procede a un ritmo eccezionale, tanto da far segnalare una ulteriore diminuzione della popolazione regionale nel 1911. Nei nove anni dal 1906 al 1914, gli espatri raggiungono i 118.808, con una media annua di 13.200; e dopo la parentesi bellica, che pur vede partire dalla regione 6.596 persone, il flusso migratorio ritorna a salire anche se meno intensamente. Nel periodo 1919-1927 gli espatri ammontano a 49.657, con una media annua di 5.517. Nel 1928 la cifra dell'emigrazione scende rapidamente: appena 2.132 in quell'anno; e in tutto il periodo 1928-1930 gli espatri sono di 6.343 per la Basilicata.
Già con i quota acts emanati dagli Stati Uniti si registra una notevole riduzione dell'esodo verso i paesi oltreoceanici; poi, con la crisi del 1929 e con i milioni di disoccupati sparsi in tutti i paesi industrializzati, l'emigrazione sostanzialmente si blocca. La riduzione del flusso non è dunque il risultato di una azione riformatrice, totalmente assente in questo periodo, né è dovuta a una estinzione delle cause dell'esodo per effetto dell'intervento "speciale" in favore delle regioni meridionali, che anzi trovò un'applicazione molto riduttiva rispetto agli stessi progetti iniziali; tale flessione, in realtà, è portata della crisi economica mondiale, che investe in modo drammatico la società americana soprattutto, cioè il luogo di destinazione della stragrande maggioranza dei nostri emigrati. Nel senso del blocco dell'esodo, d'altra parte, cominciavano a operare le leggi antimigratorie del regime fascista che, in verità, almeno in questo periodo, accompagnarono la caduta dell'esodo, piuttosto che determinarla. In tutto il venticinquennio dal 1906 al 1930, l'emigrazione complessiva lucana ammonta a 181.404 unità, con una media annua di 7.256; in questo secondo periodo l'esodo presenta caratteristiche analoghe a quelle del primo e considerandoli insieme, in tutto il cinquantacinquennio dal 1876 al 1930 l'emigrazione complessiva lucana per l'estero ammonta a 445.836 unità, che corrisponde praticamente alla popolazione presente nella regione nel 1921. Essendo l'emigrazione impedita dalle leggi del regime: nel periodo dal 1931 al 1937 appena 4.562 lucani riuscirono a espatriare. In tutto questo periodo, dal 1931 al 1951, il movimento migratorio netto è stato di 54 mila unità, con una media annua di 2.700.
Nel 1950, sotto la pressione degli scioperi e delle occupazioni di terre da parte di un forte movimento contadino, viene emanata la "legge stralcio" di riforma agraria ed è istituita la Cassa del Mezzogiorno, che rappresenta una forma più aggiornata della vecchia politica dell'intervento "speciale". Con tali interventi legislativi, la classe dirigente italiana sperava di avviare nel Sud un processo di sviluppo autopropulsivo, capace di trasformare la struttura produttiva del Mezzogiorno, portando a soluzione la sua annosa questione. In tali condizioni, mentre al Nord il cosiddetto "miracolo economico" italiano trasforma questa parte del paese in società industrialmente avanzata, la ripresa dell'esodo dal sud conferma ancor più drammaticamente questa seconda Italia nel suo ruolo di serbatoio di manodopera a buon mercato; ancora una volta, lo sviluppo industriale settentrionale e l'emigrazione meridionale si dimostrano come il prodotto del meccanismo unitario dello sviluppo capitalistico in Italia.
Nel periodo dal 1946 al 1970 sono espatriati dalla Basilicata 209.489 persone. Fino al 1950 l'emigrazione è stata di 17.234 unità, con una media annua di 3.744; nel decennio dal 1951 al 1960 gli emigrati sono stati 91.945, e la media annua è salita a 9.194; infine, nell'ultimo decennio, dal 1961 al 1970, l'esodo ha toccato la quota di 100.310, con una media annua superiore alle 10 mila unità. Mentre nel primo quindicennio l'esodo partiva in larghissima prevalenza dal Potentino, nell'ultimo decennio l'emigrazione ha interessato anche il Materano, ossia l'area regionale in cui si sono concentrati i grandi investimenti industriali; nell'ultimo decennio (1980) la Basilicata, dopo il Molise, ha registrato l'indice più alto di espatri: il 18,2%o abitanti residenti nella regione.
La tabella n. 3 che segue dà il quadro complessivo degli espatri, distinto per i successivi periodi considerati.

Tabella 3.

PERIODI

NUMERO ESPATRI

MEDIA ANNUA

1876-1905

264.432

8.814

1906-1930

181.404

7.256

1931-1937

 21.796

1.816

1946-1950

1951-1970

192.255

9.613

1876-1970

659.887

6.946

 

La cifra totale di 659.887, nel novantacinquennio, è tuttavia approssimativa, e per difetto; ciononostante, questa cifra è di molto superiore al numero dei presenti nella regione al censimento del 1971. In meno di un secolo, un numero superiore alla stessa popolazione della Basilicata ha abbandonato la regione; c'è, insomma, un'altra Basilicata fuori dell'Italia. Questo è il dato drammatico che oggi possiamo constatare.
Se un secolo fa erano soltanto i suonatori di Viggiano a cantare che «tutto il mondo» era il loro paese, oggi è tutta la popolazione lucana che ha il mondo intero come proprio paese; nelle cifre che abbiamo esposto non sono considerati i rimpatri, la cui rilevazione è cominciata tardi, nei primi anni del secolo, e in modo alquanto approssimativo. Ma il riferimento all'emigrazione transoceanica vuole appunto mettere in rilievo il carattere prevalentemente "permanente" dall'emigrazione lucana; questo nostro rilievo è confortato dai dati l'ultimo decennio: su 10.436 espatri transoceanici si hanno 1.882 rimpatri, pari al 18,0%. Se facciamo riferimento all'emigrazione netta, in 110 anni la Basilicata ha perso più di 572 mila unità, pari all'89,3% dell'incremento naturale complessivo della popolazione.

 

Tabella 4 - Espatri dalla Basilicata. Dati percentuali (Italia =100).

PERIODI

PAESI EUROPEI

PAESI
EXTRAEUROPEI

TOTALE

1876-1900

0,6

6,7

3,6

1901-1920

0.2

3,7

2,2

1921-1942

0,1

3,3

1,6

1958-1970

4,4

7,9

4,1

Fonte: per i primi tre periodi, Annali di Statistica, serie VIII, vol, 17.

 

 

 

 

 

 

 

Tabella 5 - Movimento naturale della popolazione ed emigrazione della Basilicata

ANNO

SITUAZIONI  INIZIALI

INCR. NAT.
NELL'INTERVALLO

ANNO

SITUAZIONI FINALI

EMIGRAZIONE
NETTA

MEDIA
ANNUA

POPOLAZ.
PRESENTE

POPOL.
T
EORICA

POPOL.
PRESFINTE

1861

493.000

64.000

1881

557.000

524.500

32.500

1.526

1881

524.500

81.000

1901

605.500

491.000

114.000

5.700

1901

491.000

48.000

1911

539.000

474.000

65.000

6.500

1911

474.000

30.000

1921

504.000

457.000

51.000

5.100

1921

475.000

74.000

1931

531.000

508.000

23.000

2.300

1931

508.000

162.000

1951

670.000

616.000

54.000

2.700

1951

616.000

99.000

1961

715.000

603.000

112.000

11.200

1961

603.000

83.000

1971

686.000

565.000

121.000

12.100

 

641.000

 

572.500

 

5.680

Fonte: A. Sarubbi, La Basilicata: una ipotesi di sviluppo, Napoli 1972, p. 37

 

 

Note

1 Con una forma di piccolo affitto a grano, il cui tipo è nelle linee generali il seguente. Una famiglia di lavoratori assume in affitto una certa estensione di terreno, generalmente nudo e di non grande estensione, esercitandone la coltura per proprio conto e corrispondendo al proprietario una certa quantità fissa di grano per ogni unità di terreno.

2 Se nel 1876 gli emigrati rappresentano solo il 2 per mille della popolazione regionale, nel 1885 la percentuale sale 01 19, e nel 1905 raggiunge il 35 per mille. La media annua passa da 96 emigrati ogni 10 mila abitanti nel decennio 1876-1885, a 184 nel decennio successivo; e tocca i 245 emigrati ogni 10 mila abitanti nel decennio 1896-1905. Così, in tutto il trentennio l'esodo emigratorio ammonta a 264.432 unità, superiore alla meta dell'intera popolazione residente in Basilicata nel 1901.

3 Nelle cifre che abbiamo esposto non erano considerati i rimpatri, la cui rilevazione era cominciata tardi, nei primi anni del secolo, e in modo alquanto approssimativo. Ma il riferimento all'emigrazione transoceanica voleva appunto mettere in rilievo il carattere prevalentemente "permanente" dall'emigrazione.

4 Nonostante l'incremento demografico, che nel quarantennio dal 1861 al 1901 ammonta a 145 mila unità, la popolazione residente si riduce, passando da 509.060 nel 1861 a 491.558 nel 1901, e quella presente che nel 1881 era di 524.504 abitanti scende a 490.705 nel 1901.

5 I nostri emigrati da tutte le Americhe inviarono ogni anno in Italia nella forma delle rimesse da 150 a 200 milioni guadagnati forse nelle più dure privazioni, e che servirono a dare vita a regioni intere.

 

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