CAPITOLO
I°
PROBLEMA EMIGRAZIONE
1. CAUSE CHE HANNO SOSTENUTO IL FENOMENO DELL'EMIGRAZIONE MERIDIONALE
La grande vicenda dell'emigrazione, e di quella transoceanica in
particolare, rappresenta l'aspetto più doloroso dal punto di vista umano
e più gravoso dal punto di vista del mancato sviluppo della questione
meridionale; trova una sua giustificazione non solo nella consistenza
quantitativa del fenomeno che pure è stato rilevante, ma anche e
soprattutto nelle gravi conseguenze che ha determinato nelle regioni
meridionali. Non solo il divario tra il Nord e il Sud del paese si è
considerevolmente ampliato, ma intere regioni, come la Basilicata e la
Calabria, sono state spinte alle soglie della loro estinzione storica;
qui il tracollo ha investito non solo l'economia, ma la società, la
cultura, le tradizioni, la coscienza di un popolo e la stessa struttura
geofisica di queste regioni è stata messa in discussione.
Ma quali sono le cause di questo esodo secolare, che ha dissanguato intere
regioni meridionali delle migliori energie, della forza creatrice di
ricchezza e di progresso, e che tanta parte hanno avuto nello sviluppo
della arretratezza della Basilicata? I governanti, gli economisti, i
sociologi borghesi hanno sempre fatto ricorso al problema della
sovrappopolazione per sostenere l'esigenza di una emigrazione in massa
di lavoratori italiani, e soprattutto di lavoratori meridionali; hanno
parlato di pressione demografica differenziale tra luogo di provenienza
e luogo di destinazione, di forte pressione demografica. Il Coletti, per
esempio, individua la causa dell'emigrazione lucana nella "densità
demografica non proporzionata alle risorse della terra, scarsa di
colture e di rendimento"; la tesi della sovrappopolazione assoluta non
chiarisce, ma anzi confonde la realtà delle cose. La Basilicata,
infatti, non è mai stata tra le regioni d'Italia con più alta densità di
popolazione; d'altra parte, paesi tipicamente d'immigrazione come la
Germania Federale e il Belgio hanno una densità rispettivamente quattro
e cinque volte superiore a quella lucana; eppure la nostra regione
continua a esportare forze di lavoro che sono andati a cercare proprio
in Germania e in Belgio una collocazione. Non è dunque nella presunta
"pressione demografica" che va ricercata la causa dell'emigrazione
lucana, e meridionale in genere.
Neppure il riferimento alle "risorse" chiarisce le cause dell'esodo
secolare dalla nostra regione, dal momento che indubbiamente la
Basilicata, al tempo dell'unità nazionale, era caratterizzata da
un'economia povera e arretrata; ma se tale povertà iniziale poteva, in
qualche modo, rappresentare una delle cause delle prime correnti
migratorie, non chiarisce le ragioni del continuo rigenerarsi, in forma
sempre più accentuata, del fenomeno dell'esodo. Se le terre lucane sono
"scarse di colture e di rendimento" e, anzi se tale scarsezza si
accentua nel primo cinquantennio di storia unitaria, sé nonostante il
diminuire della densità della popolazione la proporzione tra questa e le
risorse della terra peggiora, è perché non si è prodotta nella regione
una rivoluzione agronomica, perché il persistere di contratti agrari
"scannatori" e la stessa politica dei governi nazionali hanno impedito
qualsiasi trasformazione colturale nelle campagne lucane; sono queste
condizioni e questi rapporti sociali che determinano l'abbandono da
parte dei contadini non solo delle terre scarsamente produttive, ma
anche dei terreni ad alta produttività.
Neppure la scarsezza di manodopera convince i grandi proprietari terrieri
a trasformare i metodi produttivi; pur di impedire un rinnovamento
dell'agricoltura, essi riducono l'estensione della superficie agraria da
coltivare. Ai grandi proprietari necessita avere una sovrappopolazione
artificiale nelle campagne, perché solo in queste condizioni possono
imporre duri patti agrari ai contadini; questa è stata la teoria degli
economisti di sinistra. È dunque al regime proprietario esistente nelle
campagne lucane, che bisogna risalire per trovare le cause che hanno
determinato una fuga così ingente di lavoratori della regione!
Il contadino prima, gli artigiani poi non solo vengono espulsi dalla loro
terra e dalle loro botteghe, ma espulsi anche a livello nazionale; non
resta loro che prendere la nave per le Americhe. Non sono le condizioni
naturali, ma le condizioni e i rapporti di produzione nelle campagne che
generano una eccedenza di popolazione, una sovrappopolazione artificiale
che deve essere convinta a emigrare; è, dunque, al modo in cui si è
compiuta l'unificazione politica del paese, alla incompiutezza della
rivoluzione borghese e alla mancata rivoluzione agraria, al modo
particolare e distorto dello sviluppo del capitalismo italiano che
bisogna risalire per trovare le ragioni vere del secolare esodo
migratorio dalle regioni meridionali. L'unificazione delle tariffe
doganali e della politica fiscale, la rapida creazione di una rete
stradale e ferroviaria, in sostanza i modi e gli strumenti con cui si
procedeva alla formazione di un mercato nazionale, favorirono le regioni
più sviluppate, soprattutto quelle industrializzate del Nord, mentre
portarono lo sconquasso economico nella debole industria e specie
nell'agricoltura meridionale.
Neppure dove, come in Basilicata, il fenomeno dell'esodo migratorio
provoca una riduzione della popolazione, le condizioni dei contadini
migliorano; nei primi anni del XX secolo, infatti, nonostante la regione
registri una considerevole diminuzione della popolazione (tanto che la
densità scende da 53 abitanti per chilometro quadrato nel 1881, a 49 nel
1901, a 48 nel 1911 e a 46 nel 1921), la sovrappopolazione non pare
diminuita, tant'è che i contingenti di emigrati si ingrossano. Anche se
i salari agricoli aumentano, le condizioni dei lavoratori della terra in
Basilicata permangono molto povere, a causa del numero limitato delle
giornate di lavoro; d'altra parte, anche un effettivo mutamento nelle
condizioni naturali contribuisce a dare particolare impeto e forza al
movimento emigratorio. Società povera e arretrata, con una superficie
montana molto estesa, con una larga presenza di residui feudali nelle
campagne, la Basilicata viene drammaticamente colpita dalla politica
doganale e fiscale dei governi nazionali, dall'usura e, soprattutto,
dall'usurpazione delle terre demaniali e dalla rovina dell'industria
domestica, che rappresentavano tanta parte delle risorse regionali;
nella regione lucana, più che altrove, l'usurpazione delle terre
demaniali e il forsennato disboscamento hanno effetti spaventosi. Non
solo si viene a privare il contadino dei diritti di legnatico e pascolo,
che pure tanta importanza avevano nell'equilibrio della sua azienda, ma
si mette ìn moto un processo di degradazione del territorio che rende
sempre più sterili i terreni.
Questo peggioramento delle condizioni naturali rende ancora più misere le
condizioni di esistenza dei contadini e, più in generale, di tutta la
popolazione lavoratrice della regione; qui la borghesia capitalistica
del Nord e le società di navigazione, attraverso gli agenti
dell'emigrazione, che penetrano nella regione subito dopo l'unità,
aprendo uffici in ogni paese, hanno buon gioco nel convincere i
contadini e gli artigiani lucani a emigrare nelle Americhe. La stessa
aridità dei terreni, di cui tanto si è lamentata la borghesia lucana, in
parte è conseguenza della mancata rivoluzione agronomica e della mancata
trasformazione dei rapporti di produzione e del regime proprietario
nelle campagne; da una parte, il contadino lucano, pressato dalla
concorrenza del mercato, sfrutta il suo piccolo fondo con una
coltivazione di rapina, che provoca l'esaurimento del terreno già poco
fertile, dall'altra, una borghesia agraria rapace determina il crescente
impoverimento dei terreni, attraverso il forsennato disboscamento. La
disgregazione dell'azienda contadina e, in ampie zone, l'impossibilità
addirittura per il contadino di poter continuare la coltura dei campi,
insieme alla deficienza dell'accumulazione dei capitali e alla gravità
dei residui feudali nelle campagne (che ostacolano lo sviluppo della
grande azienda capitalistica), mettono in moto il processo di espulsione
dalla regione di una quota sempre crescente di popolazione attiva; e una
volta messo in moto, il processo si rigenera continuamente, perché non
vengono eliminate le cause che hanno determinato l'esodo.
2.
CONSISTENZA NUMERICA E LOCALITÀ DA CUI SI EMIGRAVA
L'emigrazione si sviluppa inizialmente nelle zone montane, poi discende in
collina e in pianura; infatti l'esodo inizia presto nel Potentino e
nell'alto Lagonegrese e si dirige in prevalenza verso l'America Latina;
partono prima i piccoli affittuari che conducevano i terreni "a
terratico"(1).
Sui terraticanti assai pesanti sono i residui feudali, e assai povere le
loro condizioni di esistenza; "conseguire un profitto agricolo vero e
proprio, quale dovrebbe derivare dalla sua posizione di imprenditore, il
piccolo affittuario non riesce neppure ad assicurarsi un compenso
adeguato al lavoro personale, un salario almeno eguale a quello degli
avventizi". D'altra parte, essi erano impossibilitati ad apportare
miglioramenti sul fondo non soltanto per la brevità dei contratti di
fitto, ma anche, il più delle volte per esplicito divieto imposto dal
proprietario alla semina di determinati prodotti, alla costruzione di
capanne o all'impianto di piantagioni redditizie; nessuna meraviglia
quindi che la classe dei terraticanti sia la prima a prendere la via
dell'emigrazione. Con i piccoli affittuari partono anche i braccianti,
soprattutto quelli avventizi; poi, in seguito alla crisi della piccola
proprietà, anche i piccoli proprietari coltivatori prendono la via delle
Americhe.
Già nel periodo che va dal 1869 al 1876 l'emigrazione lucana, secondo i
data riportati dal Nitti, conta più di 14 mila unità. Comunque, è solo
dal 1876 che nel nostro paese esiste una vera e propria rilevazione
statistica dell'emigrazione con l'estero: in quell'anno emigrarono 1.102
lucani; ma, di anno in anno, il contingente delle persone che abbandona
la regione in cerca di un lavoro all'estero si ingrossa sempre più. Dal
1880 in poi l'emigrazione acquista le caratteristiche di un vero e
proprio esodo; nei sei anni dal 1882 al 1887 espatriano 53.592 unità,
con una media annua di 8.932. Infatti, all'inizio di quel decennio, la
crisi agraria che investe tutta l'Europa, mentre nella valle Padana
mette in moto un processo di trasformazione colturale, nelle regioni
meridionali pone semplicemente fine alla congiuntura favorevole che
aveva sollecitato la rapida espansione della coltura del grano nelle
campagne. Di tale favorevole congiuntura la borghesia agraria lucana
aveva approfittato non tanto per dar luogo alla formazione di risparmio
e di capitale da investire nella trasformazione colturale agricola,
quanto, e soprattutto, per acquistare le terre demaniali ed
ecclesiastiche che il governo nazionale aveva immesso sul mercato. Così
la crisi granaria determina nella regione una contrazione della
superficie coltivata e una espulsione di lavoratori dalle campagne.
Con la svolta protezionistica del 1887, poi, anche le limitate zone, dove
una certa trasformazione colturale nell'agricoltura era stata operata,
vengono messe in crisi, per la chiusura dei mercati europei ai prodotti
agricoli meridionali; tale svolta manifesterà i suoi effetti deleteri
negli anni a cavallo dei due secoli: nel decennio 1896-1905 gli espatri
dalla Basilicata raggiungono la cifra di 120.796, con una media annua
superiore alle 12 mila unità.
La straordinaria progressione dell'emigrazione lucana ben si evidenzia nel
rapporto(2)
tra numero degli espatri e popolazione. L'entità e le caratteristiche del
fenomeno non lasciano dubbi: si tratta di una perdita progressiva di
capacità creatrice di nuova ricchezza che immiserisce in misura
crescente l'economia regionale e che indebolisce notevolmente il peso
sociale e politico della Basilicata nell'ambito dello stato nazionale, e
negli stessi confronti con le altre regioni meridionali (la Basilicata è
proporzionalmente la regione dell'Italia più colpita dall'esodo
migratorio).
Nella tabella n.1 che segue, in cui è riportato il numero degli emigrati(3)
rapportato a 1.000 abitanti per ogni regione italiana, si può osservare
come la Basilicata presenta un indice inferiore soltanto al Veneto. Ma
va considerato il fatto che l'emigrazione veneta è in larga parte di
carattere temporaneo mentre quella lucana è sostanzialmente emigrazione
permanente.
Tabella
1
REGIONI |
PERIODI
CONSIDERATI |
1876-80 |
1881-85 |
1886-90 |
1891-95 |
1896-900 |
1901-05 |
Piemonte |
9,1 |
10,3 |
9,6 |
9,5 |
6,5 |
14,7 |
Lombardia |
5 |
5,8 |
5,8 |
5,1 |
5 |
10,3 |
Liguria |
5,1 |
6,7 |
5,5 |
3,9 |
3,7 |
5,4 |
Veneto |
12,1 |
14,4 |
26,2 |
33,3 |
34,5 |
31,2 |
Emilia |
1,9 |
2,7 |
3,3 |
3,8 |
7,3 |
12,1 |
Toscana |
3,3 |
4,6 |
5,2 |
5,2 |
6,6 |
10,9 |
Marche |
0,3 |
1,6 |
2,4 |
2,4 |
7,1 |
17,9 |
Umbria |
0,05 |
0,05 |
0,2 |
0,3 |
2,1 |
11 |
Lazio |
0,07 |
0,01 |
0,03 |
0,2 |
9,5 |
7,8 |
Abruzzi-Mol. |
0,9 |
4,2 |
8,8 |
8,9 |
12,5 |
34,4 |
Campania |
2,1 |
4,2 |
6,8 |
9 |
12,2 |
23,2 |
Puglia |
0,3 |
0,5 |
1,1 |
1,5 |
2,2 |
8,2 |
Basilicata |
6 |
13,4 |
19,6 |
17,2 |
19,1 |
30,4 |
Calabria |
1,8 |
6,3 |
9,5 |
10,9 |
13,4 |
29,1 |
Sicilia |
0,3 |
0,9 |
2,4 |
3,5 |
6,6 |
17,2 |
Sardegna |
0,03 |
0,2 |
0,2 |
0,1 |
1,6 |
3,8 |
ITALIA |
3,9 |
5,4 |
7,4 |
8,3 |
9,7 |
16,8 |
Fonte: Commissario Generale
per l'emigrazione, L'emigrazione italiana, vol. L, Roma 1925, p.
828. |
Un esodo
di tali proporzioni non poteva non interessare tutto il mondo del lavoro
lucano; ma sono soprattutto i lavoratori della terra che abbandonano la
regione (tabella 2). Nel periodo dal 1876 al 1905, gli agricoltori, i
pastori, i boscaiuoli, i giardinieri costituiscono il 67,7% del
contingente degli emigrati; l'11,6% è formato da braccianti,
giornalieri, terraiuoli e da altri addetti ai lavori di sterro; l'11,5%
da artigiani ed operai; il 4,7% da muratori, manovali e altri addetti
all'edilizia; e il restante 5,5% è composto da domestici, addetti ai
servizi e al commercio, liberi professionisti ecc.
3.
CONSEGUENZE DELL'EMIGRAZIONE
I maschi
rappresentano il 69,1% degli emigrati; considerevole è anche la
partecipazione dei minori, quelli con età non superiore ai 15 anni, che
rappresentano il 20,2%; si tratta di emigrazione a carattere permanente,
in quanto è quasi esclusivamente transoceanica (92,3%) e si dirige
soprattutto verso i paesi americani (Stati Uniti, Argentina, Brasile).
Dalla elevata percentuale dell'emigrazione per gruppi familiari che
caratterizza sin dall'inizio l'esodo dalla Basilicata, si osserva come
nel primo decennio 1876-1885, l'emigrazione per gruppi familiari
rappresenta il 41,9% dell'emigrazione complessiva lucana; nel decennio
successivo arriva il 47,1%, infine nel decennio dal 1896 al 1905
l'emigrazione per gruppi familiari costituisce il 38,2%. In tutto il
trentennio, la percentuale dell'emigrazione per gruppi familiari è stata
del 42,1% dell'emigrazione totale dalla regione. Infine, questo
carattere permanente dell'emigrazione lucana è confermato dalla
diminuzione(4)
della popolazione regionale; la Basilicata è l'unica regione d'Italia che
subisce, in questo periodo, una riduzione di popolazione. Il Fortunato
sostiene che l'emigrazione "ci ha purgati della vergognosa piaga del
brigantaggio", e l'emigrazione è vista, in un primo tempo, come «potente
valvola contro gli odi di classe», come fenomeno che purifica le regioni
meridionali dalla triste piaga del brigantaggio.
Tabella 2 -
Distribuzione della popolazione attiva per ramo di attività economica.
CENSIMENTO |
SU 100 ATTIVI |
AGRICOLTURA |
INDUSTRIA |
ALTRE
ATTIVITÀ |
1881 |
67 |
23 |
10 |
1901 |
77 |
13 |
10 |
1911 |
77 |
13 |
10 |
1921 |
78 |
12 |
10 |
1931 |
72 |
15 |
13 |
1936 |
75 |
13 |
12 |
1951 |
73 |
15 |
12 |
1961 |
58 |
26 |
16 |
1971 |
40 |
33 |
27 |
2001 |
25 |
40 |
35 |
In un
secondo tempo, alla vigilia del periodo giolittiano, si comincia a
valutare anche la funzione economica del fenomeno dell'esodo; il più
brillante teorizzatore è Nitti, il quale afferma che «poveri, non
abbiamo potuto esportare capitali, e poco progrediti ancora, abbiamo
venduto fino a qualche anno fa nelle industrie derivanti dalla terra: ma
senza capitali e senza organizzazioni abbiamo esportato uomini». L'esodo
di forza lavoro diventa così un elemento compensatore del commercio
estero italiano; l'esportazione di uomini viene intesa come esportazione
di merci o di capitale; «fino a quando non saremo un grande paese
esportatore di merci, e le nostre industrie non avranno una forza
motrice e uno sviluppo almeno dieci volte superiore dell'attuale, noi
saremo per necessità un paese esportatore d'uomini». Ma è soprattutto
alle rimesse che si guarda, fiduciosi che esse apporteranno effetti
benefici anche nelle povere regioni dell'esodo. «I nostri emigrati da
tutte le Americhe inviano ogni anno in Italia nella forma delle rimesse
da 150 a 200 milioni di lire guadagnati forse nelle più dure privazioni,
e che servono a dare vita a regioni intere». Il Villari calcola che «la
sola Basilicata riceve ogni anno dai suoi emigrati 8 milioni e mezzo di
lire italiane».
In realtà, come documenta la stessa inchiesta Nitti, raramente le rimesse
riescono a dare un apporto propulsore al processo produttivo locale; «la
borghesia dirigente», scrive Nitti, «non riesce nemmeno ad avviare alla
terra, alle industrie, ai commerci il capitale circolante depositato
dagli emigrati negli istituti di credito e di risparmio, e non sa trarne
nuova fonte di proprio benessere». Nella gran parte, le rimesse si
trasferiscono nelle regioni più avanzate del Nord; gran parte di esse
vengono incontro alle necessità immediate delle famiglie e, per questa
via, un'aliquota considerevole, attraverso il mercato, arriva nel
Settentrione; oppure affluiscono al risparmio presso istituti di
deposito o presso le poste e, per questo tramite, sono impiegate in
investimenti produttivi nelle regioni più sviluppate. D'altra parte,
anche quando il risparmio dell'emigrato viene impiegato nell'acquisto a
prezzo estremamente esoso, di un pezzo di terra, al cosiddetto
'americano' non resta molto per investimenti produttivi sul fondo; né il
panorama economico della regione, né le condizioni dei contadini
cambiano sostanzialmente. Così, il solo e grande beneficio che
l'emigrazione apporta in Italia è quello di compensare il deficit della
bilancia commerciale dello stato e di favorire l'accumulazione del
capitale al Nord.
Sui nostri emigrati si viene così a esercitare un duplice sfruttamento: da
parte dei capitalisti stranieri che normalmente li considerano come mano
d'opera di tipo coloniale, priva di diritti; da parte dello stato e dei
capitalisti italiani, che rastrellano i risparmi da loro accumulati.
Tuttavia la polemica dei meridionalisti sulla questione
dell'emigrazione, nel momento in cui evidenziava le condizioni di
miseria e di abbandono delle regioni meridionali che stavano all'origine
dell'esodo e i vantaggi che le rimesse arrecavano all'economia del
paese, riesce a imporre all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale
la questione del Mezzogiorno. Il governo nazionale non può più eludere
la questione, e il presidente Zanardelli, nel 1902, discende in
Basilicata per visitare, a dorso di mulo, la regione.
4.
LEGISLAZIONE E FLUSSI MIGRATORI
Il
risultato di tutto questo interessamento per le tristi condizioni della
Basilicata da parte dell'illuminato statista, fu l'emanazione di una
"legge speciale", che emanata nel 1904, cominciò a operare soltanto nel
1906, dopo l'approvazione sia del regolamento operativo che di quello
per le opere pubbliche. Ed è per questa ragione che abbiamo scelto il
1906 come anno terminale del primo, e iniziale del secondo periodo
dell'emigrazione lucana; ciò, infatti, ci permette di valutare
l'efficacia di una politica che, senza affrontare i problemi
strutturali, riteneva di potere modificare il quadro socio-economico
della regione con provvedimenti settoriali. In effetti, si trattò di una
misura che accese tante speranze, ma che non cambiò nulla nella regione,
dal punto di vista della sua struttura economica, né riuscì ad arrestare
"il flusso emigrato rio che la dissangua". L'emigrazione lucana, fino
allo scoppio della prima guerra mondiale, procede a un ritmo
eccezionale, tanto da far segnalare una ulteriore diminuzione della
popolazione regionale nel 1911. Nei nove anni dal 1906 al 1914, gli
espatri raggiungono i 118.808, con una media annua di 13.200; e dopo la
parentesi bellica, che pur vede partire dalla regione 6.596 persone, il
flusso migratorio ritorna a salire anche se meno intensamente. Nel
periodo 1919-1927 gli espatri ammontano a 49.657, con una media annua di
5.517. Nel 1928 la cifra dell'emigrazione scende rapidamente: appena
2.132 in quell'anno; e in tutto il periodo 1928-1930 gli espatri sono di
6.343 per la Basilicata.
Già con i quota acts emanati dagli Stati Uniti si registra
una notevole riduzione dell'esodo verso i paesi oltreoceanici; poi, con
la crisi del 1929 e con i milioni di disoccupati sparsi in tutti i paesi
industrializzati, l'emigrazione sostanzialmente si blocca. La riduzione
del flusso non è dunque il risultato di una azione riformatrice,
totalmente assente in questo periodo, né è dovuta a una estinzione delle
cause dell'esodo per effetto dell'intervento "speciale" in favore delle
regioni meridionali, che anzi trovò un'applicazione molto riduttiva
rispetto agli stessi progetti iniziali; tale flessione, in realtà, è
portata della crisi economica mondiale, che investe in modo drammatico
la società americana soprattutto, cioè il luogo di destinazione della
stragrande maggioranza dei nostri emigrati. Nel senso del blocco
dell'esodo, d'altra parte, cominciavano a operare le leggi
antimigratorie del regime fascista che, in verità, almeno in questo
periodo, accompagnarono la caduta dell'esodo, piuttosto che
determinarla. In tutto il venticinquennio dal 1906 al 1930,
l'emigrazione complessiva lucana ammonta a 181.404 unità, con una media
annua di 7.256; in questo secondo periodo l'esodo presenta
caratteristiche analoghe a quelle del primo e considerandoli insieme, in
tutto il cinquantacinquennio dal 1876 al 1930 l'emigrazione complessiva
lucana per l'estero ammonta a 445.836 unità, che corrisponde
praticamente alla popolazione presente nella regione nel 1921. Essendo
l'emigrazione impedita dalle leggi del regime: nel periodo dal 1931 al
1937 appena 4.562 lucani riuscirono a espatriare. In tutto questo
periodo, dal 1931 al 1951, il movimento migratorio netto è stato di 54
mila unità, con una media annua di 2.700.
Nel 1950, sotto la pressione degli scioperi e delle occupazioni di terre
da parte di un forte movimento contadino, viene emanata la "legge
stralcio" di riforma agraria ed è istituita la Cassa del Mezzogiorno,
che rappresenta una forma più aggiornata della vecchia politica
dell'intervento "speciale". Con tali interventi legislativi, la classe
dirigente italiana sperava di avviare nel Sud un processo di sviluppo
autopropulsivo, capace di trasformare la struttura produttiva del
Mezzogiorno, portando a soluzione la sua annosa questione. In tali
condizioni, mentre al Nord il cosiddetto "miracolo economico" italiano
trasforma questa parte del paese in società industrialmente avanzata, la
ripresa dell'esodo dal sud conferma ancor più drammaticamente questa
seconda Italia nel suo ruolo di serbatoio di manodopera a buon mercato;
ancora una volta, lo sviluppo industriale settentrionale e l'emigrazione
meridionale si dimostrano come il prodotto del meccanismo unitario dello
sviluppo capitalistico in Italia.
Nel periodo dal 1946 al 1970 sono espatriati dalla Basilicata 209.489
persone. Fino al 1950 l'emigrazione è stata di 17.234 unità, con una
media annua di 3.744; nel decennio dal 1951 al 1960 gli emigrati sono
stati 91.945, e la media annua è salita a 9.194; infine, nell'ultimo
decennio, dal 1961 al 1970, l'esodo ha toccato la quota di 100.310, con
una media annua superiore alle 10 mila unità. Mentre nel primo
quindicennio l'esodo partiva in larghissima prevalenza dal Potentino,
nell'ultimo decennio l'emigrazione ha interessato anche il Materano,
ossia l'area regionale in cui si sono concentrati i grandi investimenti
industriali; nell'ultimo decennio (1980) la Basilicata, dopo il Molise,
ha registrato l'indice più alto di espatri: il 18,2%o abitanti residenti
nella regione.
La tabella n. 3 che segue dà il quadro complessivo degli espatri, distinto
per i successivi periodi considerati.
Tabella
3.
PERIODI |
NUMERO ESPATRI |
MEDIA
ANNUA |
1876-1905 |
264.432 |
8.814 |
1906-1930 |
181.404 |
7.256 |
1931-1937 |
21.796 |
1.816 |
1946-1950 |
1951-1970 |
192.255 |
9.613 |
1876-1970 |
659.887 |
6.946 |
La cifra
totale di 659.887, nel novantacinquennio, è tuttavia approssimativa, e
per difetto; ciononostante, questa cifra è di molto superiore al numero
dei presenti nella regione al censimento del 1971. In meno di un secolo,
un numero superiore alla stessa popolazione della Basilicata ha
abbandonato la regione; c'è, insomma, un'altra Basilicata fuori
dell'Italia. Questo è il dato drammatico che oggi possiamo constatare.
Se un secolo fa erano soltanto i suonatori di Viggiano a cantare che
«tutto il mondo» era il loro paese, oggi è tutta la popolazione lucana
che ha il mondo intero come proprio paese; nelle cifre che abbiamo
esposto non sono considerati i rimpatri, la cui rilevazione è cominciata
tardi, nei primi anni del secolo, e in modo alquanto approssimativo. Ma
il riferimento all'emigrazione transoceanica vuole appunto mettere in
rilievo il carattere prevalentemente "permanente" dall'emigrazione
lucana; questo nostro rilievo è confortato dai dati l'ultimo decennio:
su 10.436 espatri transoceanici si hanno 1.882 rimpatri, pari al 18,0%.
Se facciamo riferimento all'emigrazione netta, in 110 anni la Basilicata
ha perso più di 572 mila unità, pari all'89,3% dell'incremento naturale
complessivo della popolazione.
Tabella
4 - Espatri dalla Basilicata. Dati percentuali (Italia =100).
PERIODI |
PAESI EUROPEI |
PAESI
EXTRAEUROPEI |
TOTALE |
1876-1900 |
0,6 |
6,7 |
3,6 |
1901-1920 |
0.2 |
3,7 |
2,2 |
1921-1942 |
0,1 |
3,3 |
1,6 |
1958-1970 |
4,4 |
7,9 |
4,1 |
Fonte: per i primi tre periodi, Annali di
Statistica, serie VIII, vol, 17. |
Tabella
5 - Movimento naturale della popolazione ed emigrazione della Basilicata
ANNO |
SITUAZIONI INIZIALI |
INCR.
NAT.
NELL'INTERVALLO |
ANNO |
SITUAZIONI FINALI |
EMIGRAZIONE
NETTA |
MEDIA
ANNUA |
POPOLAZ.
PRESENTE |
POPOL.
TEORICA |
POPOL.
PRESFINTE |
1861 |
493.000 |
64.000 |
1881 |
557.000 |
524.500 |
32.500 |
1.526 |
1881 |
524.500 |
81.000 |
1901 |
605.500 |
491.000 |
114.000 |
5.700 |
1901 |
491.000 |
48.000 |
1911 |
539.000 |
474.000 |
65.000 |
6.500 |
1911 |
474.000 |
30.000 |
1921 |
504.000 |
457.000 |
51.000 |
5.100 |
1921 |
475.000 |
74.000 |
1931 |
531.000 |
508.000 |
23.000 |
2.300 |
1931 |
508.000 |
162.000 |
1951 |
670.000 |
616.000 |
54.000 |
2.700 |
1951 |
616.000 |
99.000 |
1961 |
715.000 |
603.000 |
112.000 |
11.200 |
1961 |
603.000 |
83.000 |
1971 |
686.000 |
565.000 |
121.000 |
12.100 |
|
641.000 |
|
572.500 |
|
5.680 |
Fonte: A. Sarubbi, La Basilicata: una ipotesi
di sviluppo, Napoli 1972, p. 37 |
Note
1 Con
una forma di piccolo affitto a grano, il cui tipo è nelle linee generali
il seguente. Una famiglia di lavoratori assume in affitto una certa
estensione di terreno, generalmente nudo e di non grande estensione,
esercitandone la coltura per proprio conto e corrispondendo al
proprietario una certa quantità fissa di grano per ogni unità di
terreno.
2 Se
nel 1876 gli emigrati rappresentano solo il 2 per mille della
popolazione regionale, nel 1885 la percentuale sale 01 19, e nel 1905
raggiunge il 35 per mille. La media annua passa da 96 emigrati ogni 10
mila abitanti nel decennio 1876-1885, a 184 nel decennio successivo; e
tocca i 245 emigrati ogni 10 mila abitanti nel decennio 1896-1905. Così,
in tutto il trentennio l'esodo emigratorio ammonta a 264.432 unità,
superiore alla meta dell'intera popolazione residente in Basilicata nel
1901.
3 Nelle
cifre che abbiamo esposto non erano considerati i rimpatri, la cui
rilevazione era cominciata tardi, nei primi anni del secolo, e in modo
alquanto approssimativo. Ma il riferimento all'emigrazione transoceanica
voleva appunto mettere in rilievo il carattere prevalentemente
"permanente" dall'emigrazione.
4
Nonostante l'incremento demografico, che nel quarantennio dal 1861 al
1901 ammonta a 145 mila unità, la popolazione residente si riduce,
passando da 509.060 nel 1861 a 491.558 nel 1901, e quella presente che
nel 1881 era di 524.504 abitanti scende a 490.705 nel 1901.
5 I
nostri emigrati da tutte le Americhe inviarono ogni anno in Italia nella
forma delle rimesse da 150 a 200 milioni guadagnati forse nelle più dure
privazioni, e che servirono a dare vita a regioni intere.
"Capitolo 2° - Emigrazione in Argentina"
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