CAPITOLO
VI°
EMIGRAZIONE DALLA BASILICATA
1. PREMESSA
Nella spiegazione dei fenomeni di un evento che coinvolge numerose
persone, come è stato l'emigrazione, è doveroso analizzare il problema
da entrambe le parti, cioè è necessario analizzare le cause che hanno
indotto l'Italia e nella fattispecie la Basilicata, e per essa alcuni
paesi come Sant'Arcangelo, a favorire temporaneamente o stabilmente
singole o intere famiglie a trasferirsi nel nuovo mondo.
Come si potrà vedere vi sono motivazioni che interessano:
- la politica della nazione intera e in particolare dell'Italia
meridionale di cui fa parte la Basilicata;
- la politica della regione che con leggi e facilitazioni agevola
l'emigrazione specie di alcuni ceti che per la scarsezza di lavoro non
avevano possibilità di sopravvivenza;
- la politica del paese, quest'ultima condizionata da precedenti
partenze di cittadini, i quali avendo trovato condizioni migliori di ciò
che avevano lasciato nel loro paese, richiamavano "parenti ed amici" a
condividere con loro il trasferimento nel nuovo mondo.
In questa prima parte analizzeremo le regioni che adducono gli argentini
circa l'emigrazione dell'Europa tra la fine dell'800 e gli inizi del
'900.
In particolare Fernando Devoto ha pubblicato in Cencia Oi volume 4,
settembre-ottobre 1991 Buenos Aires, un articolo "Migrasiones
europeas a l'Argentina'', passa in realtà in rassegna i motivi
dell'emigrazione.
Per l'autore le prime emigrazioni fine '800 e principio '900 furono
dovute:
- a fattori che favorirono la espulsione di indesiderati nell'area
di origine, vale a dire, si preferiva liberarsi di persone non bene
accette per cui di facilitava la loro emigrazione;
- al fenomeno dell'attrazione presente nel paese ricevente,
certamente legata cause economiche; alla base del fenomeno vi erano
molti fattori non ultimo la crisi agraria del secolo XIX che provocò
ristrettezze economiche specie nelle regioni prevalente agrarie come era
l'Italia meridionale.
- alla esplosione demografica la quale innescava l'insorgere di
tante altre cause sociali che potevano essere risolte soltanto con
l'emigrazione.
- ed infine all'intolleranza razziale, religiosa o politica che
furono chiamate in causa per spiegare l'emigrazione, che in Basilicata,
furono molto marginali.
2. CONDIZIONI DI SANT'ARCANGELO
Come abbiamo fino ad ora osservato la emigrazione si sviluppa inizialmente
nelle zone montane poi discende in collina e in pianura; l'esodo inizia
nell'alto lagonegrese colpisce le classi più deboli (piccoli affittuari)
per poi estendersi anche ai piccoli imprenditori, agli artigiani. La
emigrazione si dirige per lo più verso l'America Latina forse favorita
da abitudini costumi simili ma anche dal temporaneo benessere di queste
zone.
Per portare un contributo significativo alla comprensione di questo
importante fenomeno e cogliendo l'occasione del Progetto Colombo 2000,
che voleva studiare in quale modo la nazione che accoglieva l'emigrante
poteva influenzare (alimentazione, clima, abitudini di vita)
l'insorgenza e l'evoluzione di determinate malattie, comparandole a
gruppi di familiari residenti in Italia, si è ritenuto fare un'indagine'
dettagliata sul fenomeno migratorio da Sant'Arcangelo, piccolo paese
della Basilicata, a partire dal 1936. L'indagine è stata compiuta con
l'ausilio del Comune di Sant'Arcangelo che ha permesso di poter
ricercare e trascrivere dai registri colà esistenti i dati riferiti
all'emigrazione dei nostri concittadini verso l'America Latina ma
soprattutto verso l'Argentina.
Osserviamo in quale situazione era la Basilicata nel 1936 e quali le
condizioni negli anni successivi che hanno permesso il perpetuarsi del
fenomeno emigratorio.
Le leggi antiemigratorie del regime fascista cominciavano a operare nel
senso del blocco dell'esodo.
Essendo di fatto l'emigrazione impedita dalle leggi del regime nel periodo
dal 1931 al 1937 appena 4.562 lucani riuscirono a espatriare; in tutto
questo periodo, dal 1931 al 1951, il movimento migratorio netto fu di 54
mila unità, con una media annua di 2.700. Nel 1950, sotto la pressione
degli scioperi e delle occupazioni di terre da parte di un forte
movimento contadino, venne emanata la "legge stralcio" di riforma
agraria e fu istituita la Cassa del Mezzogiorno, che rappresentava una
forma più aggiornata della vecchia politica dell'intervento "speciale".
Con tali interventi legislativi, la classe dirigente italiana sperava di
avviare nel sud un processo di sviluppo autopropulsivo, capace di
trasformare la struttura produttiva del Mezzogiorno, portando a
soluzione la sua annosa questione.
Nel periodo dal 1946 al 1970 espatriarono dalla Basilicata 209.489
persone; fino al 1950 l'emigrazione fu di 17.234 unità, con una media
annua di 3.744; nel decennio dal 1951 al 1960 gli emigrati furono di
91.945, e la media annua salì a 9.194; infine, nell'ultimo decennio, dal
1961 al 1970, l'esodo ha toccato la quota di 100.310, con una media
annua superiore alle 10 mila unità.
Se un secolo fa erano soltanto i suonatori di Viggiano a cantare che
«tutto il mondo» era il loro paese, oggi è tutta la popolazione lucana
che ha il mondo intero come proprio paese e nelle cifre che abbiamo
esposto non sono considerati i rimpatri, la cui rilevazione è cominciata
tardi, nei primi anni del secolo, e in modo alquanto approssimativo. Ma
il riferimento all'emigrazione transoceanica vuole appunto mettere in
rilievo il carattere prevalentemente "permanente" dall'emigrazione
lucana e questo rilievo è confortato dai dati l'ultimo decennio: su
10.436 espatri transoceanici si hanno 1.882 rimpatri, pari al 18,0 per
cento. Se facciamo riferimento all'emigrazione netta, in 110 anni la
Basilicata ha perso più di 572 mila unità, pari all'89,3 per cento
dell'incremento naturale complessivo della popolazione ed inoltre il
dato complessivo dell'emigrazione netta supera quello della popolazione
presente nella regione al censimento del 1971. Appare evidente, dalle
cifre che fino a qui abbiamo esposto, come il ruolo di esportatrice di
forza lavoro della Basilicata non è stato per niente contestato in
questo secolo di storia unitaria; quello che doveva essere solamente un
«rimedio temporaneo» ai mali e alla miseria della regione è diventato
qualcosa di definitivo, che rischia di trasformare la Basilicata in una
pura e semplice entità geografica.
Il fenomeno dell'emigrazione avrebbe dovuto nelle regioni meridionali
modificare i rapporti produttivi nelle campagne e l'illusione consisteva
nel ritenere che con l'invio delle rimesse e al ritorno degli emigrati
con il capitale degli americani si cominciava a formare la piccola
proprietà coltivatrice così che senza leggi il latifondo veniva
eliminato.
Ma una trasformazione dei rapporti di produzione nelle campagne lucane
sarebbe stata possibile solo se al fenomeno dell'emigrazione si fosse
accompagnato un intervento riformatore capace di incidere profondamente
nella struttura dei rapporti produttivi e di proprietà in agricoltura,
se una vera e propria riforma agraria fosse intervenuta a spezzare il
latifondo e a smembrare la proprietà assenteista, liberando le energie
vitali dell'economia agricola regionale. Quando nel 1950 la classe
dirigente nazionale, per la forte pressione del movimento contadino, dà
il via allo "stralcio" di riforma agraria, questa, per i limiti entro
cui è concepita, determina praticamente una polverizzazione della
proprietà contadina, senza peraltro incidere profondamente in quel
regime proprietario e in quei rapporti di produzione, che sono i veri
responsabili del mancato sviluppo della regione e della fuga
ininterrotta dei lavoratori agricoli lucani.
3. CENSIMENTO AGRICOLO E CONDIZIONI DELLA POPOLAZIONE
Al censimento agricolo del 1970 è stata, infatti, rilevata la seguente
situazione: la piccola proprietà fino a 10 ettari, che rappresenta
l'85,15% delle aziende agricole della regione, ha in possesso soltanto
il 27,19% della superficie agraria e forestale della Basilicata, con una
estensione media per azienda di 3,04 ettari; quella tra i 10 e i 100
ettari, che rappresenta il 13,79% delle aziende, detiene il 35,34% della
superficie, con una estensione media per azienda di 24,46 ettari; la
grande proprietà, quella oltre i 100 ettari, invece, che rappresenta
solo l'1,06% delle aziende, possiede il 37,48% della superficie, e con
una estensione media per azienda di 34,78 ettari.
La grande proprietà terriera ha tuttora in Basilicata la parte maggiore e
migliore delle terre: e sua è quindi la responsabilità se non si è
realizzata nelle campagne la necessaria trasformazione, nonostante i
contributi finanziari ricevuti dallo stato a tale scopo. Ma responsabile
è anche la classe dirigente, gli uomini e i partiti politici che hanno
tratto vantaggio da tale situazione.
La arretratezza della Basilicata si è manifestata ed approfondita non solo
nei confronti della media nazionale, ma nei confronti dello stesso
mezzogiorno, a causa dell'esodo secolare dalla regione e dall'ignavia
della classe dirigente ma anche dei partiti politici.
Nonostante che la regione abbia registrato, in poco più di un secolo di
vita unitaria, un incremento naturale superiore alle 630 mila unità, con
un aumento del 129,2% rispetto alla popolazione presente al censimento
del 1861, la sua popolazione presente nel 1971 è aumentata, rispetto al
1861, di appena il 13,6%; mentre il mezzogiorno continentale, con un
incremento naturale del 175,1% rispetto alla popolazione presente nel
1861, registra nel 1971 un aumento pari all'89%; il peso demografico
della regione diminuisce non solo rispetto al paese nel suo complesso,
ma anche nell'ambito del mezzogiorno.
Ecco il quadro sintetico della popolazione presente in Basilicata ai vari
censimenti, e le percentuali sulla popolazione nazionale e meridionale:
ANNI |
POPOLAZIONE
PRESENTE
(IN MIGLIAIA) |
% SU
POPOLAZIONE
NAZIONALE |
% SU
POPOLAZIONE
MERIDIONALE |
1861 |
493 |
1,9 |
7.6 |
1871 |
510,5 |
1.8 |
7.5 |
1881 |
524,5 |
1.8 |
7.2 |
1901 |
490,7 |
1.4 |
6.1 |
1911 |
474 |
1.3 |
5.6 |
1921 |
468,6 |
1.2 |
5.3 |
1931 |
507,7 |
1.2 |
5.2 |
1936 |
531,7 |
1.3 |
5.3 |
1951 |
616 |
1.3 |
5.2 |
1961 |
603,3 |
1.2 |
5.0 |
1971 |
565 |
1.0 |
4.5 |
La costante flessione del dato regionale, nei confronti dell'Italia e del
mezzogiorno, mostra dei salti negativi molto accentuati in coincidenza
dei periodi di più intensa emigrazione, e la percentuale della
popolazione regionale diminuisce notevolmente, passando dal 7,2 al 6,1
nei confronti della popolazione meridionale anche nel ventennio
successivo, la diminuzione del peso demografico è consistente: dal 6,1
al 5,3 nei confronti del Sud.
Nell'ultimo ventennio: dal 1951 al 1970 la percentuale della popolazione
presente nella regione, rispetto a quella presente nel mezzogiorno e in
Italia, passa rispettivamente dal 5,2 al 4,5. In tutto il periodo
1861-1971, il peso demografico della Basilicata si dimezza
sostanzialmente sia nei confronti dell'intero paese, sia nei confronti
del mezzogiorno.
Nell'ultimo ventennio, mentre la popolazione nazionale presente registra
un incremento del 13,7%, e mentre quella meridionale, aumenta del 5,3%,
la popolazione presente lucana diminuisce dell'8,2%. Inoltre, sempre in
tale periodo, con l'affermarsi di una consistente corrente migratoria
verso i centri industriali dell'Italia settentrionale, si determina una
modificazione nella struttura del movimento naturale della popolazione,
sia nelle regioni, come la Basilicata, che si vengono spopolando, sia
nelle metropoli industriali settentrionali. Gli indici di natalità,
infatti, si modificano notevolmente: i relativi quozienti aumentano in
Piemonte e in Lombardia, passando rispettivamente dall'11,2 al 14,3
nella prima regione, e dal 14,6 al 16 nella seconda, mentre diminuiscono
in Basilicata dal 25,3 al 16,8. Questa è la conseguenza della crescente
dislocazione di interi nuclei familiari dal Sud al Nord.
Nel ventennio ultimo, la variazione del saldo del movimento naturale,
passa dal dato negativo di -0,9 al 2,8‰ in Piemonte, e dal 4,2 al 6,2‰
in Lombardia, mentre si riduce fortemente in Basilicata: 15,3‰ nel 1951,
9,2‰ nel 1971. E il processo di invecchiamento della popolazione
regionale è evidenziato dai seguenti dati: le persone con oltre 65 anni
passano dal 9,51% della popolazione nel 1951 all'11,11% nel 1961 e al
15,31 nel 1971. Nel contempo, il peso delle classi giovanili, quelle
comprese tra O e 25 anni, diminuisce, passando dal 51,28% nel 1951 al
46,71 nel 1961 e al 44,96% nel 1971.
Complessivamente, il profondo mutamento nella composizione per età e per
sesso, determinato dal secolare esodo di lavoratori dalla Basilicata, è
evidenziato dalla tabella che segue.
Sia per i maschi che per le donne, nei gruppi di età giovanili e in quelle
al di sotto dei 45 anni, si verifica una diminuzione percentuale dei
contingenti, mentre aumenta la proporzione delle classi di età comprese
tra i 45 e i 65 anni, e soprattutto delle classi di età senili. Le
prospettive per il futuro sono quelle di una ulteriore diminuzione della
popolazione, e di una accentuazione del processo di invecchiamento di
essa.
Composizione della popolazione per gruppi di età e per sesso nd 1861 e
nel 1971 (distribuzione percentuale).
CLASSI DI ETÀ |
1861 |
1971 |
MASCHI |
FEMMINE |
MASCHI |
FEMMINE |
meno
di 15 anni |
33,4 |
31,2 |
29,3 |
27,6 |
da 15
a
25 anni |
18,0 |
18,1 |
17,1 |
16,0 |
da 25
a 45
anni |
28,3 |
28,4 |
24,6 |
24,7 |
da 45
a 65
anni |
15,7 |
16,4 |
19,7 |
20,6 |
65
anni e oltre |
4,6 |
5,9 |
9,3 |
11,1 |
totale |
100,00 |
100,00 |
100,00 |
100,00 |
4. CAPACITA PRODUTTIVA DELLA POPOLAZIONE
Dall'insieme dei dati, oltre al processo di invecchiamento, si evince
anche la riduzione della capacità riproduttiva della popolazione di
Basilicata. L'emigrazione, infatti, influisce sulla decadenza
demografica in modo diretto, sottraendo una quota dei gruppi di età più
giovane; e in modo indiretto rallentando la dinamica naturale della
popolazione medesima. Ma un rapporto ancora più sfavorevole si ha fra la
popolazione attiva e la popolazione complessiva: dal 64,8% nel 1861, la
percentuale della popolazione attiva, rispetto alla popolazione totale,
scende al 34,2% nel 1971, dimezzandosi sostanzialmente; mentre la media
nazionale segna una diminuzione molto inferiore: 59,5% nel 1861, e 34,7%
nel 1971, riducendosi solamente di un quarto.
Se nel 1861, a carico di ogni attivo vi era una media di 0,45 persone, nel
1951 tale media è di 1,19, e nel 1971 di 1,92 persone. Così, il carico
degli inattivi aumenta, con buona pace di coloro che volevano migliorare
il rapporto fra unità di lavoro e unità di consumo, incoraggiando
l'emigrazione di unità di lavoro.
La distribuzione della popolazione attiva per i diversi rami di attività
economica mostra chiaramente che la riduzione degli attivi è da
imputarsi allo sconvolgente esodo delle classi agricole. Se nel 1881 il
67% della popolazione attiva regionale è in agricoltura, nel 1970 in
tale settore vi sarà meno del 40% e ciò senza che si sia determinato uno
sviluppo delle attività industriali.
Percentuale della popolazione attiva sulla popolazione totale in
Basilicata e in Italia.
ANNO |
BASILICATA |
ITALIA |
ANNO |
BASILICATA |
ITALIA |
1861 |
64,8 |
59,5 |
1931 |
46,5 |
45,3 |
1871 |
61,1 |
57,2 |
1936 |
46,0 |
44,9 |
1881 |
54,5 |
54,6 |
1951 |
46,8 |
43,5 |
1901 |
51,8 |
50,1 |
1961 |
41,7 |
39,8 |
1911 |
49,8 |
48,2 |
1971 |
34,2 |
34,7 |
1921 |
51,0 |
47,0 |
|
|
|
Fonte fino al 1961 Annali di Statistica, serie VIII, vol. 17.
La grande
migrazione transoceanica ha inciso sull'efficienza e sullo sviluppo di
ogni settore produttivo della Basilicata. In primo luogo
sull'agricoltura, che è passata dal 67% degli attivi nel 1881 al 78% nel
1921, e mantenendosi stabilmente al di sopra del 70% fino al 1951, per
scendere al di sotto del 50% solo nel 1968. Lo stesso dato del 40,0%
degli attivi che l'agricoltura presenta nel 1971 testimonia ancora il
grado di arretratezza di tale settore produttivo.
Distribuzione della popolazione attiva per ramo di attività economica.
CENSIMENTO |
su 100
ATTIVI |
AGRICOLTURA |
INDUSTRIA |
ALTRE ATTIVITA' |
1881 |
67 |
23 |
10 |
1901 |
77 |
13 |
IO |
1911 |
77 |
13 |
IO |
1921 |
78 |
19 |
10 |
1931 |
72 |
15 |
13 |
1936 |
75 |
13 |
12 |
1951 |
73 |
15 |
12 |
1961 |
58 |
26 |
16 |
1971 |
40 |
33 |
27 |
Non ci dilungheremo nell'esame analitico dei passi indietro compiuti
dall'agricoltura lucana. Ci basta qui fare riferimento agli indici più
indicativi. Prendiamo il dato dell'allevamento zootecnico: dal
censimento del 1908 a quello del 1970 la consistenza complessiva del
bestiame è passata da 991 mila a 973 mila capi, con un incremento
considerevole dei suini (da 68 mila a 213 mila) con un lieve aumento dei
bovini, mentre in ogni altra voce si registra un regresso.
I vigneti, che intorno al 1880 occupavano 46 mila ettari, si riducono a 18
mila ettari nel 1970. Quasi scomparsa è la pastorizia; abbiamo un indice
di meccanizzazione fra i più bassi d'Italia, eppure assistiamo al fatto
che tante macchine agricole rimangono inattive per mancanza della
manodopera specializzata che ha preso la via dell'esodo.
Ma anche sull'industria i segni del grande esodo sono visibili. Questo
settore ha registrato un calo di attività nell'ultimo ventennio del
secolo scorso, passando la percentuale dei suoi attivi dal 23 al 13%
della popolazione attiva; e su una quota poco superiore al 10% si è
mantenuta sino al 1951, registrando solo in quest'ultimo ventennio un
incremento, dal 15% del 1951 al 33% nel 1971. Questo aumento, oltre che
a una reale ma limitata espansione dell'occupazione nel settore, è
dovuto in buona parte alla riduzione della popolazione attiva regionale
nel suo complesso, che diminuisce di 83.683 unità nel ventennio, a causa
della straordinaria riduzione degli attivi in agricoltura, passati da
209.770 nel 1951 a 80.562 nel 1971, con una perdita di ben 129.208
unità. E si tratta di lavoratori espulsi non soltanto dal settore
agricolo, ma in larghissima parte dalla stessa regione. Gli addetti
all'industria, in effetti, sono passati da 43.509 nel 1951 a 69.567 nel
1971;
Consistenza del patrimonio zootecnico (dati in migliaia).
CAPI |
CENSIMENTO
1908 |
CENSIMENTO 1970 |
bovini |
66 |
76 |
ovini |
583 |
498 |
caprini |
211 |
127 |
suini |
68 |
213 |
equini |
63 |
59 |
Totale |
991 |
973 |
tuttavia queste cifre ufficiali sopravvalutano l'incremento degli addetti
all'industria, in quanto, a nostro parere, molta parte di quei 34 mila
residenti censiti come assenti per motivi di lavoro si riferiscono a
tale settore. Si è trattato, in realtà, di un lieve incremento degli
addetti industriali, dovuto alla localizzazione nella regione di alcuni
impianti moderni, come quelli dell'industria chimica primaria o della
cellulosa, mentre si è avuto un arretramento, una decadenza delle
attività manifatturiere tradizionali e dell'edilizia. Nell'ultimo
decennio, infatti, le unità locali sono diminuite da 7.889 nel 1961 a
7.557 nel 1971, con un calo occupazionale superiore alle mille unità:
13.583 nel 1961, 12.615 nel 1971. In questi 30 anni quasi tutte le
industrie sono scomparse anche a causa della scarsa imprenditorialità
regionale.
Ma, a parte queste considerazioni quantitative, comunque assai importanti,
sull'occupazione nell'industria, ciò che preoccupa è la qualità del
processo cosiddetto di "industrializzazione" che pare si intende portare
avanti: un processo che non arreca gran giovamento all'economia della
Basilicata.
Le industrie più rilevanti, promosse da interventi statali o da incentivi
offerti a industriali del Nord, rimanevano solo materialmente dislocate
nella piana di Valle del Basento o di Metaponto dove l'industria non si
traduceva in nessuna espansione dell'economia locale. La Basilicata
offriva solo il suolo e un poco di mano d'opera (6 mila posti di lavoro
finora contro 200 mila emigrati). La merce prodotta non era merce
venduta dalla Basilicata ad altre regioni o all'estero: il denaro andava
al Nord, la Basilicata non otteneva nulla, o quasi. Il miraggio del
petrolio ha cambiato alcune cose, ma finora benessere in Basilicata non
ne ha prodotto.
5. REDDITO PRODOTTO E RISPARMI
Non ci è possibile fare un confronto col passato per quanto riguarda il
reddito prodotto dalla regione, in quanto i dati correlativi disponibili
si riferiscono soltanto al periodo recente; possiamo dare il quadro
economico della regione comparandolo con la media dell'Italia al 1971.
Con una superficie territoriale pari al 3,3% di quella nazionale, e una
popolazione pari all'1,1%, la Basilicata concorre a formare il prodotto
lordo nazionale soltanto per lo 0,63%, registra lo 0,66% dei consumi
privati e l'1,45% degli investimenti fissi: e di questi ultimi, la
percentuale più alta rispetto alla media nazionale spetta alla pubblica
amministrazione, con il 4,28%.
Nel 1972, secondo i dati forniti dal Tagliacarne, il reddito prodotto
lordo in Basilicata è stato di 429.570 milioni di lire; quello netto di
381.618 milioni di lire, pari a 646.929 lire per abitante, che è una
cifra inferiore del 37,2% alla media nazionale. Gli impieghi sono cosi
costituiti: 414.233 milioni di lire per consumi pubblici e privati e
181.062 milioni di lire per investimenti. Consumi e investimenti in
totale ammontano nel 1972 a 569.295 milioni di lire. La Basilicata
impiega quindi 165.725 milioni di lire in più del reddito da essa
prodotto. Tale cifra costituisce il valore dei trasferimenti, cioè delle
"importazioni" che la regione in quell'anno ha ricevuto dalle altre
parti d'Italia e dall'estero. E a queste importazioni contribuiscono,
con un peso non irrilevante, le rimesse degli emigrati.
Non solo la composizione del reddito lordo e degli impieghi, non solo la
struttura dei consumi, ma anche la carenza nei servizi civili e igienici
mostrano la persistente arretratezza della regione, e le condizioni
povere di vita della sua popolazione. Ancora soltanto l'80,7 % delle
abitazioni hanno l'acqua potabile, l'86,3% il gabinetto e appena il
34,6% il bagno.
Il confronto delle variazioni intervenute nell'ultimo ventennio nella
regione, nel mezzogiorno e in Italia, di alcuni importanti indici di
sviluppo economico, sociale e civile, infine, ci mostra come il divario
fra la Basilicata e il mezzogiorno si è ampliato: mentre la popolazione
della regione diminuisce del 4%, quella del mezzogiorno aumenta del
6,3%; l'occupazione diminuisce del 17,6% in Basilicata, mentre rimane
stazionaria nell'area meridionale. Il consumo carne, nonostante le
carenze iniziali, registra nella regione, dopo gli Abruzzi e Molise, il
più basso tasso d'incremento, analogo fenomeno si riscontra per le
abitazioni.
«Le variazioni positive», scrive D'Agostino, «riguardano i risparmi
postali, che vengono canalizzati però in gran parte verso il resto del
Paese, la popolazione scolastica, destinata in misura notevole alla
emigrazione al compimento degli studi, ed alcuni servizi, quali
apparecchi RAI-TV e telefoni, da attribuirsi soprattutto ai bassi valori
di partenza degli utenti regionali. La Basilicata oggi resta pur sempre
una regione di tipo agricolo, che funge da serbatoio di mano d'opera per
il Nord, che vive soprattutto di pensioni, di rimesse, di Pubblica
Amministrazione, di bassi redditi agricoli, di scarsi consumi pubblici e
privati.
Ecco qual è la realtà: dopo un secolo e più di storia nazionale,
nonostante la straordinaria emigrazione di forza lavoro che la regione
ha registrato, e anzi proprio per questa, la Basilicata funge ancora da
"serbatoio di manodopera" a basso costo per il Nord e per gli altri
paesi industrializzati. È una realtà drammatica, tragica, che ha portato
la regione su quella soglia, al di là della quale «ogni vita reale si
perde», al di là della quale c'è la sua estinzione storica.
«La situazione della Basilicata oggi», scrive Casillo, a può essere
definita solo con un aggettivo, tragica; l'emigrazione, la
disoccupazione e sottoccupazione, l'assurdo accrescersi del piccolo
commercio e della pubblica amministrazione, lo spopolamento di aree
sempre più vaste, la disgregazione del territorio ammoniscono che il
prossimo passo sulla linea sino ad ora seguita sarà fatalmente la
riduzione della regione a mera entità geografica.»
Senza energiche misure riparatrici, comprese in una programmazione
nazionale democratica che si orienti in modo diverso dal passato e che
realizzi la indilazionabili riforme di struttura, senza un mutamento
profondo nel meccanismo di sviluppo della economia italiana e senza una
partecipazione reale e diretta delle popolazioni alle scelte decisionali
della economia e della società, non vi è dubbio che l'emorragia
dell'esodo continuerà a togliere forza alla nostra regione, aggravando
ulteriormente la situazione della Basilicata e compromettendo in modo
definitivo le soluzioni di sviluppo ancora oggi possibili.
Per dare un'idea, in base ai
dati pubblicati dall'ISTAT 2001, sui dati anagrafici della
popolazione in Basilicata e sul loro tenore di vita allo stato
attuale, riportiamo in breve e schematicamente alcuni indici,
indicatori e dati. Per guanto riguarda gli indicatori demografici
per regione, la popolazione residente per classi di età, regione e
sesso, è stata in Basilicata di 604.807 (65 anni e più 109.712 con
una percentuale del 18,1% della popolazione totale). La statura
degli iscritti delle liste di leva nel 1980 per regione ha messo in
evidenza come in Basilicata la media è stata di cm 173, mentre il
Friuli Venezia Giulia ha raggiunto i cm 178. Il tasso di
ospedalizzazione per mille abitanti per regione nel 1998-99, ha
mostrato rispettivamente i seguenti dati: 160,0 '98 e 170,0 '99. Gli
istituti di cura, i posti letto, le degenze, le giornate di degenza
ed il personale nella regione, hanno mostrato i seguenti dati: 14
istituti di cura, 2456 posti letto (4,0‰ abitanti), degenze n.
96.565 (tasso di ospedalizzazione 159,1): giornate di degenza n.
609.916 (tasso di utilizzo dei posti letto 68,3 e degenza media
6,3). Per i medici si sono evidenziati i seguenti dati: medici 738,
per mille abitanti 1,2%, posti letto, per cento posti letto 30,3.
Personale sanitario ausiliario n. 2137 per mille abitanti 3,5, per
medico 2,9, per cento posti letto 87,0. Le scuole: le classi, gli
alunni e gli insegnanti delle scuole materne, elementari e medie,
hanno mostrato i seguenti dati: scuole materne 333, sezioni 830,
bambini 17.705, insegnanti 1.730; scuole elementari 241, classi
1.869, alunni 32.709, insegnanti 3.565; scuole medie: 142, classi
1.138, alunni 22.081, insegnanti 2.975.Classi, alunni e insegnanti
delle scuole secondarie superiori: scuole 112, classi 1.702, numero
36.048 per classe 21,2, in scuole statali 97,5, femmine su totale
per cento 49,0, insegnanti 4.326. Istruzione: indicatori
dell'istruzione secondaria superiore Basilicata maschi 94,1, femmine
95,2, media maschi e femmine 94,7, diplomati per 100 persone di 19
anni, maschi 71,8, femmine 86,0, maschi e femmine 78,7. Indicatori
dell'istruzione universitaria, tasso di passaggio dalla scuola
superiore maschi 54,4, femmine 50,2, tasso di iscrizione maschi
32,2, femmine 43,1; laureati per 100 persone di 25 anni maschi 14,4,
femmine 18,8. Abbonamento alla RAI TV 159.380, per mille abitanti
263, di cui ad uso privato n.158.408. Spesa media per abitante per
biglietto per spettacoli, trattenimenti vari e manifestazioni
sportive, spesa per abitante, rappresentazioni teatrali e musicali
3.073, cinematografo 3.641, trattenimenti vari 3.931, manifestazioni
sportive 1.661, totale 12.306. Spesa per biglietto, rappresentazioni
teatrali e musicali 15.156, cinematografo 8.040. Popolazione
residente per condizione professionale, attività economica degli
occupati e sesso in migliaia: occupati in agricoltura 20, industria
63, servizi 99, totale 182. Persone in cerca di occupazione n. 36,
16,5% delle forze di lavoro, totale n. 217, 36,3% della popolazione
(maschi e femmine).
Bestiame macellato per specie (capi in migliaia): bovini capi 39.690,
suini 67.381, ovini e caprini 310.650, equini 4.555. Consistenza
bovini in migliaia di capi, bovini 7.211, ovini e caprini 12.464,
suini 8.329.
Potenza efficiente degli impianti generatori di energia elettrica
secondo fonte energetica in MW: idrica 125, termica tradizionale
249, produzione lorda di energia elettrica utilizzata in milione di
KWH idrica 196, termica tradizione 1.002.
Rete stradale per tipo di strada in km: autostrada 29, statali 2.022,
provinciali 2.856, raccordi 52, per un totale di 4.959.
Parco veicolare secondo le risultanze del PRA per categoria:
autovetture 292.082, autobus 1.612, autoveicoli 34.928, motrici
1.416, totale 330.038, motoveicoli, motocicli 17.643, motocarri
5.153, per un totale di 22.796.
Merci trasportate su strada per titolo di trasporto, regione di
origine, regione di destinazione e classe chilometrica di
percorrenza conto proprio: tonnellate 2.844.024, tonnellate-km
(migliaia) 231.757.
Piazze bancabili e sportelli delle banche: piazze bancabili 91,
sportelli 234, sportelli su 10.000 abitanti 3,9.
Sportelli delle banche in esercizio per categoria istituzionale:
banche S.p.A. 191, banche popolari 15, banche di credito sportivo
27, totale 234.
Depositi presso le banche per localizzazione della clientela e settori
istituzionali in milioni di euro: Amministrazione Pubblica 108,
Società Finanziarie 1, Società non finanziarie 593, Istituti sociali
privati e famiglie consumatrici 2.553.
Popolazione residente per sesso, densità per kmq, popolazione presente
famiglie e componenti, numero medio di componenti per famiglia e
componenti permanenti delle convivenze: 293.001 maschi, femmine
302.726, totale 595.827, densità 59,6, popolazione 568.967, famiglie
numero 212.918, componenti 593.317, numero medio componenti per
famiglia 2,8, componenti permanenti delle convivenze 2.410. Addetti
alle unità locali per settore di attività economica negli anni 1991
e 2001: anno 1991: addetti alle unità locali per le imprese,
industria 48.943, commercio 23.452, altri servizi 28.756. Addetti
alle unità locali delle istituzioni 43.092. Totale 144.243. Anno
2001: addetti alle unità locali per le imprese, industria 45.614,
commercio 23.980, altri servizi 42.754. Addetti alle unità locali
delle istituzioni 40.971. Totale 153.319. Aziende agricole e
relativo numero di giornate di lavoro per categoria di manodopera
agricola, conduttore 81.630, coniuge del conduttore 53.942, altri
familiari del conduttore 37.514, altri parenti del conduttore 4.170.
Manodopera extra familiare a tempo indeterminato 585, a tempo
determinato 14.495. Totale 81.922.
Reddito medio mensile (in migliaia di lire) familiare e pro capite
anno 1996 in Basilicata: pro capite 950.0. familiare 2.750,0. |
6. FLOTTE PER EMIGRANTI
Il capostipite dei transatlantici, la nave britannica Great Eastern,
varata il 30 gennaio 1858, non era stata progettata per attraversare
l'Atlantico, sebbene per collegare l'Inghilterra all'India, ma era però
troppo grossa, troppo costoso il suo esercizio e poi non era facile
trovare, lungo la rotta dell'Estremo Oriente, depositi del carbone
necessario per le sue grandi macchine; allora venne impiegata per
adempiere a un compito cui nessun'altra unità poteva far fronte, la
messa in opera del cavo telegrafico di collegamento tra l'Europa e
l'America. Si trattava, infatti, di una matassa lunga 3.400 tonnellate.
Il primo transatlantico venne quindi impiegato per un lavoro tecnico,
non per trasportare belle signore allungate pigramente sulle sedie a
sdraio allineate sul ponte sole.
Nonostante tutto, però il Great Eastern scatenò una rivoluzione
nell'ingegneria navale: era lungo 211 metri largo 46, dislocava 27.859
tonnellate (dimensioni che dovevano essere superate solo dal Lusitania
nel 1907) e navigava a 15 nodi, spinto da un apparato motore che
sviluppava 2600 cv. Poteva trasportare 4000 passeggeri oltre a 6000
tonnellate di merci e 12.000 di carbone.
La stagione dei transatlantici durò circa un secolo, poiché proprio nel
1958, con l'entrata in linea dei grandi e affidabili quadrimotori a
getto, le lussuose navi passeggeri di linea come la Michelangelo
Raffaello Leonardo Da Vinci ebbero il loro tramonto; la borghesia ricca,
la buona società internazionale non scoprirono però il transatlantico
come status symbol subito dopo il varo del Great Eastern, sebbene una
trentina d'anni dopo. I primi veri utenti delle linee regolari
transoceaniche furono, invece, gli emigranti; perché proprio nella
seconda metà dell'Ottocento ebbe inizio la grande fuga della povera
gente dall'Europa all'America. I porti d'imbarco di elezione per gli
emigranti italiani erano Genova e Napoli.
7. CAUSE DI EMIGRAZIONE E TESTIMONIANZE DI EMIGRANTI
Nel 1876 partirono dalle Calabrie per le Americhe 684 persone; dieci anni
dopo se ne andarono 8266 e quasi 18 mila un ventennio più tardi. Dal
Mezzogiorno(2)
emigrarono fra il 1901 e il 1913 ben 3 milioni 374
mila persone su un totale di 4 milioni 711 mila emigranti di tutta Italia;
questo fiume si riversò soprattutto negli Stati Uniti ma anche verso
l'America latina. C'era gente che voleva salvarsi dall'estrema miseria
in cui erano finite vaste aree italiane dopo l'unità; e nel Sud era
soprattutto gente che si sacrificava a stremanti fatiche per il bene di
che restava. Mentre le oscillazioni e i contrasti della politica non
aiutavano, furono gli emigranti a provvedere di denaro i parenti; venne
consentito così a poco a poco a un intero popolo di scuotersi dalla
miseria e cominciare l'ascesa. In Calabria il deposito postale era nel
1876 di appena 62 mila lire; nel 1887 era salito a 5 milioni e 300 mila,
nel 1901 a quasi 21 milioni. I vaglia pagati in Calabria nel 1883 furono
di 22 milioni e mezzo, di oltre 30 milioni nel 1903. Le rimesse(3)
complessive in Italia secondo una fonte americana raggiunsero addirittura
gli 85 milioni di dollari nel 1907. I vaglia internazionali pagati in
Italia fra il 1900 e il 1913 furono complessivamente di 2 miliardi 763
milioni di lire di allora.
Vengono inserite di seguito delle testimonianze di emigrati in Argentina,
poi rientrati in Italia.
TESTIMONIANZA N. 1. A.V.
"Mi chiamo A.V. e sono nato nel 1900. Ho frequentato la scuola fino alla
5a elementare. Subito dopo le scuole sono andato come apprendista presso
un calzolaio e lì ho imparato il mestiere. Ma con questo lavoro non si
guadagnava abbastanza per contribuire ai bisogni della famiglia,
peraltro numerosa, di cui io ero il primo ed unico figlio maschio per
cui avevo l'obbligo di pensare a come provvedere alle esigenze della
casa.
Fui così anch'io attratto dall'idea, ma più che altro dal bisogno di
emigrare in America. Negli anni '20 molti santarcangiolesi lasciavano il
paese per una destinazione di cui avevano sentito parlare senza però
sapere quello che avrebbero trovato. Infatti, arrivavano molte lettere
da chi ci aveva preceduti in cui dicevano quanto più facile era
guadagnare e che in una giornata di lavoro si riusciva appunto a
guadagnare quanto in una settimana a Sant'Arcangelo. L'emigrazione da un
paese agricolo della Basilicata
Insieme ad un amico decidemmo così di imbarcarci mentre avevamo come punto
di riferimento un altro compaesano. Per racimolare i soldi per il
viaggio fui costretto a chiederli in prestito, ripromettendomi che
appena arrivato in America e risparmiato qualcosa, li avrei subito
inviati in paese per sdebitarmi.
Dopo aver raggiunto Napoli partii il 22 gennaio del 1923 insieme a non so
quante centinaia di persone. Il viaggio durò 22 giorni e ricordo ancora
affascinato il passaggio dallo stretto di Gibilterra. Attraversato
l'oceano facemmo tappa a Rio de Janeiro, poi a Santos, Montevideo ed
infine Buenos Aires.
Come ho già detto, avevamo come punto di riferimento un amico; fu da lui
che incontrai, pochi giorni dopo che ero arrivato, un maestro calzolaio
che dopo avermi chiesto cosa sapevo fare, mi indicò subito una fabbrica
dove si costruivano palloni. Fui subito assunto come cucitore di
foots-bolls.
Quanto guadagnavo? Due pesetas per ogni pallone che cucivo; ne riuscivo a
fare tre in una giornata e così guadagnavo sei pesetas che in Italia
corrispondeva a 60 lire. La paga mi veniva data ogni due settimane o
meglio, un sabato mi si dava un acconto e il successivo la paga intera.
Ogni tre settimane spedivo un vaglia alla mia famiglia, mia madre e le
mie sorelle vivevano con quei soldi. In tutto avrò spedito L. 30.000.
A Buenos Aires alloggiavo in una struttura che lì chiamavano
"conventiglio" insieme ad altri italiani; era una specie di convento con
38 stanze una dietro l'altra, si stava in quattro in una stanza mentre
erano in comune sia i servizi igienici che la cucina e per questo
bisognava fare i turni.
Non ho avuto molte difficoltà ad ambientarmi per via del mio carattere
accomodante ma è chiaro che la nostalgia era tanta. Nostalgia della
famiglia, del paese della stessa aria, del cibo. Mangiavamo comunque
cose molto simili a quello che mangiavamo in Italia, in particolare
patate; insieme agli altri compaesani ci eravamo organizzati per
preparare la cena che consumavamo insieme. Era in quei momenti che ci
abbandonavamo ai ricordi della giovinezza passata sì nella povertà ma
anche nella spensieratezza e soprattutto con l'orgoglio di essere a casa
propria.
Organizzandoci tra compaesani parlavamo lo stesso dialetto condividevamo
le stesse abitudini ma questo non bastava a non farci sentire precari e
"forestieri" in una terra non nostra.
La giornata di lavoro era lunga, mentre ancora più lunghi erano gli anni
che passavano tutti uguali nella speranza di fare presto ritorno nella
nostra patria. Vi erano giorni tristissimi, mentre quelli più lieti
erano sicuramente segnati dall'arrivo di una lettera dal paese dove ci
venivano raccontate tutte le novità riguardanti parenti ed amici.
Il nostro passatempo preferito era quello di giocare con le carte
napoletane a "padrone e sotto", come facevamo nel nostro paese, così
dopo aver bevuto un po' terminavamo la serata. A volte intonavamo
qualche canto popolare che se non altro ci faceva sentire più vicini
alla famiglia lontana.
Sono rimasto in America per quattro anni e poi nel 1927 sono ritornato al
mio paese perché richiamato dalla famiglia.
Sono ritornato a fare il calzolaio. Il "sogno americano" si concluse
nell'amarezza e nel rimpianto perché le grandi speranze con cui ero
partito non si realizzarono; forse fui sfortunato, forse non ho
conosciuto le persone giuste e non sono andato nel posto giusto. Quello
che ho guadagnato in Argentina non mi ha permesso infatti di ingrandire
la mia attività e quindi neanche di vivere una vita molto diversa da
quella che conducevo prima di partire. Il sacrificio della lontananza
non valse a realizzare grandi cose e tutto sommato posso dire di aver
preferito vivere modestamente, con qualche ristrettezza ma nel mio
paese.
Un ricordo particolare? Nel periodo in cui soggiornavo a Buenos Aires si
doveva cambiare l'inno argentino e vi erano in merito a ciò opinioni
contrastanti, c'era infatti chi non voleva saperne di cambiare questo
inno. Allora il segretario del partito predominante organizzò delle
"squadracce" che costringevano le persone a cantare questo inno.
Anch'io una volta scampai per poco alle bastonate di questi tipacci:
“tano, tano (abbreviazione di italiano) togliti il cappello mentre noi
cantiamo questo inno!".
Io non lo tolsi e loro cominciarono a rincorrermi, ma per fortuna il tram
su cui ero salito partì e loro non potettero raggiungermi".
TESTIMONIANZA N. 2. B.N.
"B.N. nato nel 1915, il mio grado di istruzione è la 5a elementare.
Nel paese i miei genitori hanno voluto che io imparassi il mestiere di
sarto e quindi una volta finita la scuola dell'obbligo ho iniziato un
apprendistato durato 5 anni in cui non ho guadagnato altro che qualche
spicciolo a Natale e Pasqua come regalo. Dopo poco ho iniziato a
lavorare per conto mio procurandomi qualche cliente. Mi sono sposato
all'età di 21 anni e con il mestiere che facevo guadagnavo giusto il
necessario per vivere e quindi non abbastanza per tentare qualsiasi tipo
di "progresso", voglio dire che neanche la casa dove abitavamo era mia
proprietà nonostante facessimo (io e mia moglie) molti sacrifici.
D'altronde non erano molte le persone che si facevano "cucire un vestito",
lo facevano solo in occasione delle feste del paese: S. Michele (festa
patronale) e S. Rocco.
Durante gli anni '50 molte persone emigravano per l'Argentina, tutti
incoraggiati dalle lettere che arrivavano dal parente o dall'amico dove
mandavano a dire che a Buenos Aires era tutta un'altra vita, tutti
avevano un lavoro.
Ricevetti la "chiamata" da parte di un mio zio e così misi da parte i
soldi per poter intraprendere il viaggio e nel 1951 sono partito insieme
ad un amico d'infanzia.
Non sapevo cosa andavo a fare, forse avrei dovuto adattarmi a fare qualche
altro lavoro, ciò che il mercato avrebbe richiesto, il mio sogno era di
esercitare il mio mestiere, magari di ingrandirmi e far "fortuna" come
ricorrentemente ti dicevano gli anziani del paese: vai a far fortuna.
Promisi a mia moglie e a mio figlio che dopo aver trovato una sistemazione
stabile li avrei mandato i soldi per potermi raggiungere. Dentro di me
molti sentimenti contrastanti si avvicendavano, ma il dubbio di cosa
andavo incontro era compensato dall'entusiasmo di vedere posti così
lontani, praticamente un altro mondo.
Il distacco dalla famiglia mi procurò un dolore indescrivibile, mio figlio
era appena un bambino, mia moglie mi guardava chiedendomi se era proprio
necessario. Ma ormai avevo deciso di inseguire anch'io il sogno di tanti
altri.
Il viaggio durò 18 giorni e l'imbarco (da Napoli) fu preceduto da una
visita medica al consolato di Genova.
A Buenos Aires incontrai non poche difficoltà, ma fui aiutato dai miei
parenti che già vivevano là.
Con un po' di sacrifici riuscii ad aprirmi una sartoria di mio conto ed il
lavoro fin dall'inizio mi diede non poche soddisfazioni.
Andai ad abitare presso mio zio e presto mi ambientai perché comunque nel
tempo libero stavamo sempre insieme ad altri connazionali. Era molto
sentito lo spirito patriottico, eravamo fieri di essere italiani
nonostante la nostra nazione non ci aveva trattati bene, nel senso che
ci aveva costretti ad emigrare.
Il lavoro procedeva bene ma era tanta la nostalgia del paese e soprattutto
di mia moglie e di mio figlio: quando mi consegnavano le lettere ero
contento di ricevere notizie ma per tutto il giorno perdevo la voglia
sia di mangiare che di lavorare.
Ma bisognava farsi coraggio ed andare avanti in attesa di giorni migliori.
Spesso arrivava un altro compaesano e facevamo a gara per ospitarlo: si
passava poi tutta la serata a chiedergli tutte le novità del paese e dei
nostri concittadini perché ci si conosceva tutti.
Dopo tre anni di permanenza da solo mandai a chiamare mia moglie e mio
figlio e una volta ricostruita la famiglia fui anche più tranquillo nel
lavoro.
Mia moglie ha sempre mantenuto le usanze del paese e preparava sempre i
piatti tipici durante le feste.
Nel 1961 siamo ritornati a Sant'Arcangelo, dove abbiamo trovato lo stesso
ambiente che avevamo lasciato ma con molte persone in meno visto che le
partenze continuavano ad aumentare, questa volta però verso le città del
Nord d'Italia.
L'Argentina, procurandomi un lavoro più redditizio di quanto mi aveva
permesso il mio paese, mi ha fatto realizzare come uomo in quanto con i
risparmi ho potuto compare una casa e dei terreni e come padre perché ho
potuto dare a mio figlio ciò che i miei genitori non avevano potuto
darmi, ma non per colpa loro bensì della povertà.
TESTIMONIANZA N. 3. D'J.F.
"Sono nata nel 1919; in paese facevo la contadina e la casalinga. Non
avevo alcuna esperienza lavorativa diversa né tantomeno ero uscita mai
dal mio paese. Nel 1952, ho raggiunto mio marito in compagnia dei miei
figli, lui era partito tre anni prima.
Sono andata subito a lavorare in una fabbrica dove si facevano
trasformatori per le televisioni e lì ho lavorato per tutto il tempo in
cui sono rimasta in America.
Guadagnando entrambi siamo riusciti nel mettere da parte dei risparmi
nonostante dovessimo pagare l'affitto di casa e comprare ogni cosa visto
che non avevamo il nostro orticello come in paese.
Come ci siamo trovati? Bene, perché comunque si era formata una comunità
di italiani, anzi di santarcangiolesi, con cui si organizzavano feste e
raduni.
Avevamo riprodotto la festa del nostro Santo patrono, S. Michele e lo
festeggiavamo lo stesso giorno che per tradizione si festeggiava a
Sant'Arcangelo. Sono al corrente che ancora oggi i nostri conterranei lo
festeggiano.
Ci eravamo organizzati perché ogni fine settimana ci incontrassimo in un
locale adibito ad una specie di "circolo", dove finalmente dopo una
settimana di lavoro insieme a persone di altre nazionalità, oltre che
argentine, con cui si doveva parlare lo spagnolo, potevamo finalmente
parlare la nostra lingua che senza dubbio ci faceva sentire più vicini
al nostro paese natio e alle nostre famiglie.
A Buenos Aires non era infatti come a Sant'Arcangelo dove inevitabilmente
ci si incontrava tutti i giorni, magari quando si andava a fare la
provvista d'acqua e si formavano vari gruppi di donne che portavano i
recipienti in testa. Tutto questo magari dopo una giornata di lavoro
nella terra; ripensavo molto a quei giorni di sacrifici e così finivo
per l'apprezzare molto il fatto di guadagnare qualche soldo in più ed
anche in maniera meno faticosa. Il prezzo da pagare era la lontananza
dalla propria terra e dalla propria famiglia, il che non era certamente
poco nonostante avessimo sempre notizie.
Con la lingua non abbiamo incontrato molte difficoltà, io ho imparato
subito a leggere lo spagnolo ed un poco anche a parlarlo.
Siamo rimasti a Buenos Aires per 9 anni e poi abbiamo deciso di ritornare
perché eravamo andati proprio con l'intenzione di guadagnare un po' di
soldi e ritornare, non abbiamo mai pensato di stabilirci là.
Tornare a vivere nel nostro paese, magari con una posizione più
confortevole soprattutto per i nostri figli, questo avevamo sempre
desiderato.
Tutto sommato ci siamo riusciti perché utilizzammo i soldi guadagnati in
America per comprare prima di tutto la casa, due "fondi" (terreno
agricolo di varia dimensione), che ci sono poi serviti per vivere in
maniera più dignitosa".
TESTIMONIANZA N. 4. M.M.
"Sono nato nel 1930. Finite le scuole dell'obbligo sono andato come
apprendista muratore con un gruppo di 3-4 muratori, non ricordo più,
fino a 20 anni.
A quell'età infatti un mio zio che era già emigrato in America un anno
prima e che lavorava lì come ferrotramviere, mi mandò a chiamare e così
decisi subito di partire accompagnato da un altro zio. Arrivarono molte
lettere di "chiamata" in quell'anno (1950) e molti gio-vani come me
lasciarono il paese. Tutti accomunati da un unico sogno: rag-giungere
l'America. Noi immaginavamo fosse il posto dove ogni desiderio si poteva
realizza-re, dove tutto era possibile, dove era più facile guadagnare
del denaro per comprare anche un paio di scarpe in più. Prima di
prendere la nave da Napoli, andammo al Consolato di Genova per la visita
medica, e così ebbi modo di vedere posti che non mi sarei mai aspettato
di vedere. Dopo un lungo viaggio di 22 giorni (mentre per il ritorno ne
impiegammo 13) arrivammo a Buenos Aires dove alloggiai presso lo zio che
mi aveva mandato a chiamare e dove trovai una buona accoglienza, molto
familiare, visto che c'erano molti compaesani. Questo zio si occupò di
me come fossi stato suo figlio, infatti era lui che mi preparava il
pranzo, mi lavava la biancheria. Ci arrangiavamo tra di noi alla meglio.
Mangiavamo cibi in scatola come i legumi. Non ho conservato molte
abitudini americane tranne quella di bere il caffè in un apposito
reci-piente con una "cannuccia". Trovai subito lavoro presso una
fabbrica di frigoriferi, prima con delle mansioni poco professionali,
poi ebbi la possibilità di seguire un corso di specializzazione per
aggiustatore meccanico e divenni abbastanza bravo da rimanere a lavorare
in quella fabbrica per tutto il tempo di permanenza in America. I
risparmi che riuscivo a mettere da parte li mandavo alla famiglia, avevo
altri tre fratelli in paese, anche se la nostra condizione economica era
discre-ta, non era delle più disperate. Misi ancora da parte dei
risparmi per conto mio che usai appena ebbi l'occasione di comprare un
terreno a Bernal (Ghiles) vicino a B.A. dove cominciai a costruirmi una
casa. I giorni erano tutti uguali, passavano nella speranza di poter
tornare pre-sto in Italia perché sentivo che la mia situazione era
provvisoria. Mia madre mi spediva lettere con molta frequenza, infatti
ne ricevevo almeno una al mese, in cui mi diceva che avevo fatto bene a
partire perché a Sant'Arcangelo la situazione era sempre la stessa, non
c'era lavoro e a molte famiglie mancavano proprio i beni di prima
necessità, per cui molti conti-nuavano a lasciare il paese. Nel 1954 mi
sposai con "procura" una ragazza di Sant'Arcangelo che i miei parenti
avevano provveduto a farmi conoscere tramite fotografia. Mia moglie S.E.
mi raggiunse in America dove le parlai per la prima volta quando già era
mia moglie. Andammo ad abitare a Bernal dove avevo costruito la casa.
TESTIMONIANZA N. 5. S.E.
Come ha già detto mio marito, sono partita nel 1954 dopo essermi spo-sata
con lui tramite procura. La partenza per me fu abbastanza difficile
perché oltre al distacco dalla mia famiglia, dal mio paese, dalle mie
abitudini, pensavo che andavo incontro a non poche novità. Una nuova
terra dove vivere con un uomo che conoscevo soltanto da quando mi
avevano descritto i miei parenti ed amici e dalla conoscenza della sua
famiglia. Entusiasmo insieme a paura mi accompagnarono dunque per tutto
il viaggio ed anche per un periodo di permanenza fino a quando non mi
sono resa conto di trovarmi bene con mio marito. Ho un ricordo molto
bello della permanenza a Buenos Aires. Mio marito non ha voluto che io
andassi a lavorare e quindi sono stata a casa a fare la mamma di due
figli. Le uniche uscite, gli unici divertimenti li ho conosciuti là
perché poi una volta ritornati a Sant'Arcangelo non abbiamo più fatto di
queste esperienze. Con le persone del posto avevamo rapporti sereni, con
alcuni ci scambiavamo ancora gli auguri in occasione delle feste. Dove
abbiamo abitato, un po' fuori da Buenos Aires, c'erano molti italiani,
ma pochi del nostro paese molti invece erano i piemontesi, veneti,
calabresi. Comunque con i nostri compaesani ci vedevamo molto spesso in
quanto organizzavamo di frequente delle uscite insieme. A volte, non
sembrava neanche di stare così lontani dal nostro paese. Nel 1963
abbiamo fatto ritorno a Sant'Arcangelo perché incoraggiati dalla
famiglia a trasferirci a Genova dove molti emigravano negli anni '60. Lì
però non abbiamo avuto la stessa fortuna di trovarci bene come in
America e così siamo ritornati in paese dove abbiamo dovuto iniziare
tutto da capo".
TESTIMONIANZA N. 6. C.V.
Il mio
nome è C.V. e sono nato nel 1938. Provengo da una famiglia di contadini,
ma di contadini per conto degli altri, mio padre cioé non era
proprietario delle terre che coltivava (gualano).
Sono andato a scuola fino alla 3a elementare, dopo non più perché
servivano anche le mie braccia per sostenere la famiglia e mio padre
riteneva che andare a scuola significava sprecare il tempo.
Della mia infanzia non ricordo che questo: alzarmi presto la mattina,
prima dell'alba, fare tanta strada a piedi per raggiungere il campo e
lavorare tutta una giornata che sembrava non finire mai.
Ma per fortuna non ho fatto questa vita per molto tempo perché a 14 anni
un mio zio che partiva per la tanto sognata America mi portò con sé.
Ricordo che non ero molto entusiasta di partire, avevo bisogno
dell'affetto dei miei genitori ma era l'unica alternativa alla miseria.
Così tra le lacrime di mia madre, nel 1952 lasciai il paese, gli amici,
la famiglia, ma mi riproposi di tornare presto.
Arrivato in America, a Buenos Aires alloggiai con mio zio presso un amico
compaesano che ci aveva preceduti. Fu lui che ci aiutò a cercare lavoro,
sia per me che per mio zio. Sono rimasto in America per 17 anni ed ho
svolto diversi lavori.
Prima ho fatto l'aiutante meccanico in un autolavaggio. Non mi ricordo
quanto mi davano ma ricordo che riuscivo a spedire in Italia qualche
risparmio ogni mese.
Poi sono andato a lavorare in un'azienda meccanica, a riparare gru. Non mi
piaceva molto questo lavoro e cambiai subito. Passai poi in un'impresa
di costruzioni idrauliche dove mi misero a pulire i pezzi appena usciti
dai forni.
Era un lavoro sporco, duro, c'era un puzzo di zolfo insopportabile.
L'ultimo lavoro che ho fatto era più qualificato e cioè tagliatore a
gas; con questo lavoro sono riuscito a mettere da parte e così nel 1969
sono ritornato in Italia e al paese.
Il paese non era cambiato molto, si viveva però un po' meglio. Con i
risparmi portati dall'Argentina mi sono aperto un'attività commerciale
che ancora svolgo, ho comprato una casa dove sono andato a vivere con
mia moglie. Lavorando per conto mio mi sono riscattato dal ricordo degli
insulti di tanti argentini che ci vedevano come ladri del loro lavoro".
TESTIMONIANZA N. 7. A.F.
"Io sono
stato in America due volte. Una prima volta nel 1937 all'età di soli 14
anni con una permanenza di 5 anni e poi nel 1950 per altri 6 anni.
La prima volta sono andato dopo aver ricevuto l'atto di richiamo di mio
padre che già si trovava là: lavorava di notte e cioè guidava i camion
della spazzatura. Io ho svolto un lavoro altrettanto umile fino a quando
non mi presero in una fabbrica a fare il messo. In paese facevo il
garzone in una ‘`masseria": non avevo frequentato neanche le suole
elementari, con i pochi soldi che guadagnavo, mia madre comprava il
necessario per vivere. Mio padre ci aveva lasciati ancora piccoli per
andare in America, ma non aveva fatto molta fortuna e quelle poche lire
che ci mandava non bastavano neanche fino all'arrivo dei prossimi
risparmi.
Con molta fatica misi da parte i soldi del viaggio e così raggiunsi mio
padre. Nel 1942 mio padre si ammalò di bronchite e dopo non molto tempo
morì.
Fu per questo che dovetti ritornare in Italia dove furono a mio carico le
spese per il matrimonio delle mie due sorelle. L'anno dopo mi sposai
anch'io e dopo aver provato per qualche anno ad andare avanti con il
lavoro dei campi, decidemmo di partire.
Incontrai meno difficoltà rispetto al primo viaggio ed anche il lavoro che
svolgevo mi rendeva di più. Anche mia moglie andò a lavorare in una
sartoria ed insieme riuscimmo a mettere da parte abbastanza per
ritornare al paese e comprare due fondi di terreno per continuare a fare
quello che avevo sempre fatto e che sapevo fare meglio: il contadino. Ma
non solo per i bisogni familiari ma anche per vendere i prodotti nei
paesi vicini.
Per me l'America non è stato sinonimo di fortuna e non è stata neanche
molto generosa. Mi facevano sentire come l'ultimo degli uomini e mi
facevano pesare molto il fatto di essere analfabeta. Questo in fabbrica,
mentre fuori avevamo formato un bel gruppo di amici e ci aiutavamo a
vicenda.
Direi che l'America per me è stata poco generosa è giusto perché comunque
ho dovuto faticare molto anche lì per guadagnare qualche soldo; ma
quando sono partito la prima volta dal paese avevo lasciato davvero una
situazione tristissima.
Ricordo con molta malinconia e anche rabbia la fiera del 14 settembre. Tra
le altre cose che si vendevano, c'era anche una vera e propria tratta
degli schiavi. Voglio dire che quel giorno si contrattavano le persone
che dovevano prestare opera nelle aziende dei ricchi signori. Anche
ragazzi in tenerissima età.
Questo contratto avveniva in piazza stipulando i salari tra "padroni" e
"foresi"; le controversie venivano giudicate da persone che si
improvvisavano difensori da una parte o dall'altra. Molte volte tra
questi ragazzi vi erano anche molti figli illeciti dei signorotti locali
che per mantenere intatta la loro proprietà e l'antico diritto alla
primogenitura, non riconoscevano i loro figli avuti fuori dal matrimonio
e li affidavano al Comune che provvedeva a farli crescere a povera gente
che poi inevitabilmente doveva mettere "a padrone".
A volte poteva anche capitare che qualcuno lavorava come servo nella
propria "masseria".
Io quindi ero abituato ad essere trattato male o comunque solo come una
bestia da lavoro, ma la tanto decantata America non era la terra della
libertà e del benessere che si diceva. Nessuno ti regalava niente,
neanche una parola di incoraggiamento".
TESTIMONIANZA N. 8. B.A.
"Sono
partita per Buenos Aires nel 1952 quando avevo 28 anni. In paese avere
28 anni e non essere sposata per una ragazza significava rimanere
"zitella", significava che non la voleva più nessuno.
Il mio lavoro era contadina ma avevo frequentato la scuola fino alla 3a
elementare, dunque sapevo leggere e scrivere.
Mio zio che era andato in America, mi mandava sempre a dire nelle sue
lettere, che prima o poi mi avrebbe mandato i soldi per raggiungerlo.
Così un giorno arrivò una lettera con un vaglia che conteneva giusto la
somma per pagare il viaggio, se non ricordo male 80 mila lire.
Fui subito molto entusiasta all'idea di partire. Avevo qualche timore di
come mi sarei trovata, ma pensavo che sarebbe stato sicuramente meglio
piuttosto che continuare a fare tutto quello che mi si ordinava di fare,
oltre che da mia madre anche dalle mie sorelle più grandi che avevano
già famiglia.
Dopo una giornata di lavoro nei campi, arrivata la sera, mi toccava andare
a prendere l'acqua o fare il pane ed occuparsi di tutto quello di cui
una donna si deve occupare in una casa.
Quando partii mi sembrava di essere fuggita davvero da una prigione, il
forte desiderio di libertà si realizzò andando via dal paese che mi
aveva fatto conoscere soltanto una vita di sacrifici ed affidavo a quel
viaggio tutte le mie speranze.
Partii per Napoli insieme ad altre persone che in quell'anno avevano
deciso di imbarcarsi.
Dopo 15 giorni di viaggio arrivai in America e trovai ad aspettarmi
insieme a mio zio un giovanotto che sarebbe poi diventato mio marito.
Andai a vivere presso mio zio che viveva a Buenos Aires con la famiglia e
mi procurai subito un lavoro. Vi erano molte persone di Sant'Arcangelo,
lì sembravano anche più cordiali di come erano in paese, forse perché in
terra straniera ci si sentiva più soli e per questo si stava più vicini.
Dopo un anno di permanenza mi sposai e ricordo con rammarico la mia
tristezza di sposarmi senza la mia famiglia, senza i miei genitori. Ma
l'Italia era così lontana, non era semplice raggiungerci.
Andammo ad abitare a Calle Pasco a B.A. in una casa piccola ma con tutte
le comodità, anche con l'acqua corrente in casa e questo per me
significava tanto.
Abbiamo condotto una vita semplice, anche se volendosi distrarre c'erano
le possibilità, ma ai nostri figli abbiamo insegnato i giochi che
facevamo noi da piccoli come la "zumpasella"(4)
e il "piccio"(5).
Segno questo che ci trovavamo bene in America ma ci sentivamo comunque di
non appartenere a quella terra. Il nostro sogno infatti diventò poi il
rientro nel nostro paese per vivere dove eravamo nati.
Ho lavorato in fabbrica per tutto il tempo di permanenza a Buenos Aires;
con molti sacrifici abbiamo messo da parte abbastanza soldi per tornare
in Italia e farci una buona posizione. Infatti decidemmo di ritornarcene
ripromettendoci di non far mancare niente ai nostri figli e soprattutto
di creargli una buona posizione in modo da non sentirsi costretti a loro
volta ad emigrare.
TESTIMONIANZA N. 9. C.M.
Mi chiamo
C.M. e sono nato nel 1911. Gradi di istruzione 5a elementare. Sono
partito per l'America nell'ottobre del 1949 e ci sono rimasto per 13
anni.
A Sant'Arcangelo avevo imparato il mestiere di calzolaio ed avevo poi
aperto un negozio di scarpe.
Fui chiamato da un amico a lavorare a Colon in Panama, con atto di
richiamo e partii dopo aver lasciato un deposito di 200 dollari
(servivano nel caso non ci si trovava bene, per rimpatriare. Se ciò non
avveniva nei primi sei mesi, questi soldi andavano persi).
Il viaggio mi sembrò interminabile, facemmo una prima tappa a Barcellona,
poi in Venezuela, e infine Panama.
I primi tempi furono abbastanza duri, poi riuscii ad aprire un negozio di
scarpe ma sotto il nome di un altro.
Riuscivo a guadagnare 500 dollari al mese quando un dollaro in Italia
valeva 618-620 lire.
Chiaramente mettevo da parte quanto più potevo per inviarli alla mia
famiglia che era abbastanza numerosa (sei figli). Dove sono stato io non
c'erano molti compaesani, mentre c'erano molti calabresi, che rimasero
conoscenti per molto tempo e solo in un secondo momento diventarono
amici.
Sono ritornato in Italia nel 1962 e grazie agli anni di lontananza ho
potuto realizzare molti progetti tra cui quello più importante di dare
un'istruzione maggiore di quella che avevo ricevuto io ai miei figli".
Note
1 Un
ringraziamento particolare al Sindaco e all'impiegato di stato civile
Salvatore Palermo senza l'aiuto del quale la presente indagine non
avrebbe visto la luce.
2 Dalle
interessanti tabelle pubblicate dal Corpi risulta che sui centomila
emigranti partiti dall'Italia nel 1870, 41.833 erano contadini
braccianti; 37.833 operai, manuali, giornalieri, artigiani, mentre molto
normalmente (date le proporzioni delle varie categorie nell'intera
popolazione) i possidenti non erano che 2061, i commercianti 2923, gli
studenti e cultori di belle arti 708 e gli esercenti professioni "più o
meno letterate e culte" 7468.
3 La
somma trasmessa per mezzo di vaglia, che era di L. 5.810.821 l'anno
1869, ammontò nel 18700 [.6.613.927,89; salì, nel 1871, a L.
9.097.610,43 e nel 18720 L. 9.491.863,02. Dalla Decima Relazione sul
Servizio Postale, pubblicata nel 1874 e citata dal Boccardo, si rileva
che la grande maggioranza di queste trasmissioni di capitali in Italia è
quella delle colonie di Buenos Aires (per L. 3.129.316,64), di
Montevideo (per L. 1.706.591,02), di Rio de Janeiro (per L.
1.423.193,40),
4
Alcuni ragazzi si mettono "sotto", cioè poggiano le mani sulle
rispettive ginocchia disponendo il corpo ad arco. Altri ragazzi prendono
la corsa e divaricando le gambe saltano appoggiando le mani sulle spalle
di quelli che stanno sotto; saltando dice "cavaliere" e chi sta sotto
risponde "piccilandiere".
5 U
picca viene eseguito con il gesso o con il carbone un cerchio; un
ragazzo con un pezzo di legno lungo circa 70 cm, "a mazza", colpisce un
piccolo pezzo di legno di circa 25 cm appuntito ai due lati, "u picco",
e lo lancia lontano; un altro ragazzo va a raccogliere "u picce" e lo
getta cercando di farlo cadere nel cerchio segnato a terra, contrastato
in quest'azione dal ragazzo con la mazza. È una specie di baseball
casalingo.
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