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L'Emigrazione da un Paese Agricolo della Basilicata
Sant'Arcangelo Terra di Emigranti

ANTONIO MOLFESE
 

CAPITOLO VI°
EMIGRAZIONE DALLA BASILICATA

 

1. PREMESSA

Nella spiegazione dei fenomeni di un evento che coinvolge numerose persone, come è stato l'emigrazione, è doveroso analizzare il problema da entrambe le parti, cioè è necessario analizzare le cause che hanno indotto l'Italia e nella fattispecie la Basilicata, e per essa alcuni paesi come Sant'Arcangelo, a favorire temporaneamente o stabilmente singole o intere famiglie a trasferirsi nel nuovo mondo.
Come si potrà vedere vi sono motivazioni che interessano:
- la politica della nazione intera e in particolare dell'Italia meridionale di cui fa parte la Basilicata;
- la politica della regione che con leggi e facilitazioni agevola l'emigrazione specie di alcuni ceti che per la scarsezza di lavoro non avevano possibilità di sopravvivenza;
- la politica del paese, quest'ultima condizionata da precedenti partenze di cittadini, i quali avendo trovato condizioni migliori di ciò che avevano lasciato nel loro paese, richiamavano "parenti ed amici" a condividere con loro il trasferimento nel nuovo mondo.
In questa prima parte analizzeremo le regioni che adducono gli argentini circa l'emigrazione dell'Europa tra la fine dell'800 e gli inizi del '900.
In particolare Fernando Devoto ha pubblicato in Cencia Oi volume 4, settembre-ottobre 1991 Buenos Aires, un articolo "Migrasiones europeas a l'Argentina'', passa in realtà in rassegna i motivi dell'emigrazione.
Per l'autore le prime emigrazioni fine '800 e principio '900 furono dovute:
- a fattori che favorirono la espulsione di indesiderati nell'area di origine, vale a dire, si preferiva liberarsi di persone non bene accette per cui di facilitava la loro emigrazione;
- al fenomeno dell'attrazione presente nel paese ricevente, certamente legata cause economiche; alla base del fenomeno vi erano molti fattori non ultimo la crisi agraria del secolo XIX che provocò ristrettezze economiche specie nelle regioni prevalente agrarie come era l'Italia meridionale.
- alla esplosione demografica la quale innescava l'insorgere di tante altre cause sociali che potevano essere risolte soltanto con l'emigrazione.
- ed infine all'intolleranza razziale, religiosa o politica che furono chiamate in causa per spiegare l'emigrazione, che in Basilicata, furono molto marginali.

 

2. CONDIZIONI DI SANT'ARCANGELO

Come abbiamo fino ad ora osservato la emigrazione si sviluppa inizialmente nelle zone montane poi discende in collina e in pianura; l'esodo inizia nell'alto lagonegrese colpisce le classi più deboli (piccoli affittuari) per poi estendersi anche ai piccoli imprenditori, agli artigiani. La emigrazione si dirige per lo più verso l'America Latina forse favorita da abitudini costumi simili ma anche dal temporaneo benessere di queste zone.
Per portare un contributo significativo alla comprensione di questo importante fenomeno e cogliendo l'occasione del Progetto Colombo 2000, che voleva studiare in quale modo la nazione che accoglieva l'emigrante poteva influenzare (alimentazione, clima, abitudini di vita) l'insorgenza e l'evoluzione di determinate malattie, comparandole a gruppi di familiari residenti in Italia, si è ritenuto fare un'indagine' dettagliata sul fenomeno migratorio da Sant'Arcangelo, piccolo paese della Basilicata, a partire dal 1936. L'indagine è stata compiuta con l'ausilio del Comune di Sant'Arcangelo che ha permesso di poter ricercare e trascrivere dai registri colà esistenti i dati riferiti all'emigrazione dei nostri concittadini verso l'America Latina ma soprattutto verso l'Argentina.
Osserviamo in quale situazione era la Basilicata nel 1936 e quali le condizioni negli anni successivi che hanno permesso il perpetuarsi del fenomeno emigratorio.
Le leggi antiemigratorie del regime fascista cominciavano a operare nel senso del blocco dell'esodo.
Essendo di fatto l'emigrazione impedita dalle leggi del regime nel periodo dal 1931 al 1937 appena 4.562 lucani riuscirono a espatriare; in tutto questo periodo, dal 1931 al 1951, il movimento migratorio netto fu di 54 mila unità, con una media annua di 2.700. Nel 1950, sotto la pressione degli scioperi e delle occupazioni di terre da parte di un forte movimento contadino, venne emanata la "legge stralcio" di riforma agraria e fu istituita la Cassa del Mezzogiorno, che rappresentava una forma più aggiornata della vecchia politica dell'intervento "speciale". Con tali interventi legislativi, la classe dirigente italiana sperava di avviare nel sud un processo di sviluppo autopropulsivo, capace di trasformare la struttura produttiva del Mezzogiorno, portando a soluzione la sua annosa questione.
Nel periodo dal 1946 al 1970 espatriarono dalla Basilicata 209.489 persone; fino al 1950 l'emigrazione fu di 17.234 unità, con una media annua di 3.744; nel decennio dal 1951 al 1960 gli emigrati furono di 91.945, e la media annua salì a 9.194; infine, nell'ultimo decennio, dal 1961 al 1970, l'esodo ha toccato la quota di 100.310, con una media annua superiore alle 10 mila unità.
Se un secolo fa erano soltanto i suonatori di Viggiano a cantare che «tutto il mondo» era il loro paese, oggi è tutta la popolazione lucana che ha il mondo intero come proprio paese e nelle cifre che abbiamo esposto non sono considerati i rimpatri, la cui rilevazione è cominciata tardi, nei primi anni del secolo, e in modo alquanto approssimativo. Ma il riferimento all'emigrazione transoceanica vuole appunto mettere in rilievo il carattere prevalentemente "permanente" dall'emigrazione lucana e questo rilievo è confortato dai dati l'ultimo decennio: su 10.436 espatri transoceanici si hanno 1.882 rimpatri, pari al 18,0 per cento. Se facciamo riferimento all'emigrazione netta, in 110 anni la Basilicata ha perso più di 572 mila unità, pari all'89,3 per cento dell'incremento naturale complessivo della popolazione ed inoltre il dato complessivo dell'emigrazione netta supera quello della popolazione presente nella regione al censimento del 1971. Appare evidente, dalle cifre che fino a qui abbiamo esposto, come il ruolo di esportatrice di forza lavoro della Basilicata non è stato per niente contestato in questo secolo di storia unitaria; quello che doveva essere solamente un «rimedio temporaneo» ai mali e alla miseria della regione è diventato qualcosa di definitivo, che rischia di trasformare la Basilicata in una pura e semplice entità geografica.
Il fenomeno dell'emigrazione avrebbe dovuto nelle regioni meridionali modificare i rapporti produttivi nelle campagne e l'illusione consisteva nel ritenere che con l'invio delle rimesse e al ritorno degli emigrati con il capitale degli americani si cominciava a formare la piccola proprietà coltivatrice così che senza leggi il latifondo veniva eliminato.
Ma una trasformazione dei rapporti di produzione nelle campagne lucane sarebbe stata possibile solo se al fenomeno dell'emigrazione si fosse accompagnato un intervento riformatore capace di incidere profondamente nella struttura dei rapporti produttivi e di proprietà in agricoltura, se una vera e propria riforma agraria fosse intervenuta a spezzare il latifondo e a smembrare la proprietà assenteista, liberando le energie vitali dell'economia agricola regionale. Quando nel 1950 la classe dirigente nazionale, per la forte pressione del movimento contadino, dà il via allo "stralcio" di riforma agraria, questa, per i limiti entro cui è concepita, determina praticamente una polverizzazione della proprietà contadina, senza peraltro incidere profondamente in quel regime proprietario e in quei rapporti di produzione, che sono i veri responsabili del mancato sviluppo della regione e della fuga ininterrotta dei lavoratori agricoli lucani.

 

3. CENSIMENTO AGRICOLO E CONDIZIONI DELLA POPOLAZIONE

Al censimento agricolo del 1970 è stata, infatti, rilevata la seguente situazione: la piccola proprietà fino a 10 ettari, che rappresenta l'85,15% delle aziende agricole della regione, ha in possesso soltanto il 27,19% della superficie agraria e forestale della Basilicata, con una estensione media per azienda di 3,04 ettari; quella tra i 10 e i 100 ettari, che rappresenta il 13,79% delle aziende, detiene il 35,34% della superficie, con una estensione media per azienda di 24,46 ettari; la grande proprietà, quella oltre i 100 ettari, invece, che rappresenta solo l'1,06% delle aziende, possiede il 37,48% della superficie, e con una estensione media per azienda di 34,78 ettari.
La grande proprietà terriera ha tuttora in Basilicata la parte maggiore e migliore delle terre: e sua è quindi la responsabilità se non si è realizzata nelle campagne la necessaria trasformazione, nonostante i contributi finanziari ricevuti dallo stato a tale scopo. Ma responsabile è anche la classe dirigente, gli uomini e i partiti politici che hanno tratto vantaggio da tale situazione.
La arretratezza della Basilicata si è manifestata ed approfondita non solo nei confronti della media nazionale, ma nei confronti dello stesso mezzogiorno, a causa dell'esodo secolare dalla regione e dall'ignavia della classe dirigente ma anche dei partiti politici.
Nonostante che la regione abbia registrato, in poco più di un secolo di vita unitaria, un incremento naturale superiore alle 630 mila unità, con un aumento del 129,2% rispetto alla popolazione presente al censimento del 1861, la sua popolazione presente nel 1971 è aumentata, rispetto al 1861, di appena il 13,6%; mentre il mezzogiorno continentale, con un incremento naturale del 175,1% rispetto alla popolazione presente nel 1861, registra nel 1971 un aumento pari all'89%; il peso demografico della regione diminuisce non solo rispetto al paese nel suo complesso, ma anche nell'ambito del mezzogiorno.
Ecco il quadro sintetico della popolazione presente in Basilicata ai vari censimenti, e le percentuali sulla popolazione nazionale e meridionale:

ANNI

POPOLAZIONE
PRESENTE
(IN MIGLIAIA)

% SU
POPOLAZIONE
NAZIONALE

% SU
POPOLAZIONE
MERIDIONALE

1861

493

1,9

7.6

1871

510,5

1.8

7.5

1881

524,5

1.8

7.2

1901

490,7

1.4

6.1

1911

474

1.3

5.6

1921

468,6

1.2

5.3

1931

507,7

1.2

5.2

1936

531,7

1.3

5.3

1951

616

1.3

5.2

1961

603,3

1.2

5.0

1971

565

1.0

4.5


La costante flessione del dato regionale, nei confronti dell'Italia e del mezzogiorno, mostra dei salti negativi molto accentuati in coincidenza dei periodi di più intensa emigrazione, e la percentuale della popolazione regionale diminuisce notevolmente, passando dal 7,2 al 6,1 nei confronti della popolazione meridionale anche nel ventennio successivo, la diminuzione del peso demografico è consistente: dal 6,1 al 5,3 nei confronti del Sud.
Nell'ultimo ventennio: dal 1951 al 1970 la percentuale della popolazione presente nella regione, rispetto a quella presente nel mezzogiorno e in Italia, passa rispettivamente dal 5,2 al 4,5. In tutto il periodo 1861-1971, il peso demografico della Basilicata si dimezza sostanzialmente sia nei confronti dell'intero paese, sia nei confronti del mezzogiorno.
Nell'ultimo ventennio, mentre la popolazione nazionale presente registra un incremento del 13,7%, e mentre quella meridionale, aumenta del 5,3%, la popolazione presente lucana diminuisce dell'8,2%. Inoltre, sempre in tale periodo, con l'affermarsi di una consistente corrente migratoria verso i centri industriali dell'Italia settentrionale, si determina una modificazione nella struttura del movimento naturale della popolazione, sia nelle regioni, come la Basilicata, che si vengono spopolando, sia nelle metropoli industriali settentrionali. Gli indici di natalità, infatti, si modificano notevolmente: i relativi quozienti aumentano in Piemonte e in Lombardia, passando rispettivamente dall'11,2 al 14,3 nella prima regione, e dal 14,6 al 16 nella seconda, mentre diminuiscono in Basilicata dal 25,3 al 16,8. Questa è la conseguenza della crescente dislocazione di interi nuclei familiari dal Sud al Nord.
Nel ventennio ultimo, la variazione del saldo del movimento naturale, passa dal dato negativo di -0,9 al 2,8‰ in Piemonte, e dal 4,2 al 6,2‰ in Lombardia, mentre si riduce fortemente in Basilicata: 15,3‰ nel 1951, 9,2‰ nel 1971. E il processo di invecchiamento della popolazione regionale è evidenziato dai seguenti dati: le persone con oltre 65 anni passano dal 9,51% della popolazione nel 1951 all'11,11% nel 1961 e al 15,31 nel 1971. Nel contempo, il peso delle classi giovanili, quelle comprese tra O e 25 anni, diminuisce, passando dal 51,28% nel 1951 al 46,71 nel 1961 e al 44,96% nel 1971.
Complessivamente, il profondo mutamento nella composizione per età e per sesso, determinato dal secolare esodo di lavoratori dalla Basilicata, è evidenziato dalla tabella che segue.
Sia per i maschi che per le donne, nei gruppi di età giovanili e in quelle al di sotto dei 45 anni, si verifica una diminuzione percentuale dei contingenti, mentre aumenta la proporzione delle classi di età comprese tra i 45 e i 65 anni, e soprattutto delle classi di età senili. Le prospettive per il futuro sono quelle di una ulteriore diminuzione della popolazione, e di una accentuazione del processo di invecchiamento di essa.

Composizione della popolazione per gruppi di età e per sesso nd 1861 e nel 1971 (distribuzione percentuale).

CLASSI DI ETÀ

1861

1971

MASCHI

FEMMINE

MASCHI

FEMMINE

meno di 15 anni

33,4

31,2

29,3

27,6

da 15 a 25 anni

18,0

18,1

17,1

16,0

da 25 a 45 anni

28,3

28,4

24,6

24,7

da 45 a 65 anni

15,7

16,4

19,7

20,6

65 anni e oltre

4,6

5,9

9,3

11,1

totale

100,00

100,00

100,00

100,00

 

4. CAPACITA PRODUTTIVA DELLA POPOLAZIONE

Dall'insieme dei dati, oltre al processo di invecchiamento, si evince anche la riduzione della capacità riproduttiva della popolazione di Basilicata. L'emigrazione, infatti, influisce sulla decadenza demografica in modo diretto, sottraendo una quota dei gruppi di età più giovane; e in modo indiretto rallentando la dinamica naturale della popolazione medesima. Ma un rapporto ancora più sfavorevole si ha fra la popolazione attiva e la popolazione complessiva: dal 64,8% nel 1861, la percentuale della popolazione attiva, rispetto alla popolazione totale, scende al 34,2% nel 1971, dimezzandosi sostanzialmente; mentre la media nazionale segna una diminuzione molto inferiore: 59,5% nel 1861, e 34,7% nel 1971, riducendosi solamente di un quarto.
Se nel 1861, a carico di ogni attivo vi era una media di 0,45 persone, nel 1951 tale media è di 1,19, e nel 1971 di 1,92 persone. Così, il carico degli inattivi aumenta, con buona pace di coloro che volevano migliorare il rapporto fra unità di lavoro e unità di consumo, incoraggiando l'emigrazione di unità di lavoro.
La distribuzione della popolazione attiva per i diversi rami di attività economica mostra chiaramente che la riduzione degli attivi è da imputarsi allo sconvolgente esodo delle classi agricole. Se nel 1881 il 67% della popolazione attiva regionale è in agricoltura, nel 1970 in tale settore vi sarà meno del 40% e ciò senza che si sia determinato uno sviluppo delle attività industriali.

Percentuale della popolazione attiva sulla popolazione totale in Basilicata e in Italia.

ANNO

BASILICATA

ITALIA

ANNO

BASILICATA

ITALIA

1861

64,8

59,5

1931

46,5

45,3

1871

61,1

57,2

1936

46,0

44,9

1881

54,5

54,6

1951

46,8

43,5

1901

51,8

50,1

1961

41,7

39,8

1911

49,8

48,2

1971

34,2

34,7

1921

51,0

47,0

 

 

 

Fonte fino al 1961 Annali di Statistica, serie VIII, vol. 17.

 

La grande migrazione transoceanica ha inciso sull'efficienza e sullo sviluppo di ogni settore produttivo della Basilicata. In primo luogo sull'agricoltura, che è passata dal 67% degli attivi nel 1881 al 78% nel 1921, e mantenendosi stabilmente al di sopra del 70% fino al 1951, per scendere al di sotto del 50% solo nel 1968. Lo stesso dato del 40,0% degli attivi che l'agricoltura presenta nel 1971 testimonia ancora il grado di arretratezza di tale settore produttivo.

Distribuzione della popolazione attiva per ramo di attività economica.

CENSIMENTO

su 100 ATTIVI

AGRICOLTURA

INDUSTRIA

ALTRE ATTIVITA'

1881

67

23

10

1901

77

13

IO

1911

77

13

IO

1921

78

19

10

1931

72

15

13

1936

75

13

12

1951

73

15

12

1961

58

26

16

1971

40

33

27

 

Non ci dilungheremo nell'esame analitico dei passi indietro compiuti dall'agricoltura lucana. Ci basta qui fare riferimento agli indici più indicativi. Prendiamo il dato dell'allevamento zootecnico: dal censimento del 1908 a quello del 1970 la consistenza complessiva del bestiame è passata da 991 mila a 973 mila capi, con un incremento considerevole dei suini (da 68 mila a 213 mila) con un lieve aumento dei bovini, mentre in ogni altra voce si registra un regresso.
I vigneti, che intorno al 1880 occupavano 46 mila ettari, si riducono a 18 mila ettari nel 1970. Quasi scomparsa è la pastorizia; abbiamo un indice di meccanizzazione fra i più bassi d'Italia, eppure assistiamo al fatto che tante macchine agricole rimangono inattive per mancanza della manodopera specializzata che ha preso la via dell'esodo.
Ma anche sull'industria i segni del grande esodo sono visibili. Questo settore ha registrato un calo di attività nell'ultimo ventennio del secolo scorso, passando la percentuale dei suoi attivi dal 23 al 13% della popolazione attiva; e su una quota poco superiore al 10% si è mantenuta sino al 1951, registrando solo in quest'ultimo ventennio un incremento, dal 15% del 1951 al 33% nel 1971. Questo aumento, oltre che a una reale ma limitata espansione dell'occupazione nel settore, è dovuto in buona parte alla riduzione della popolazione attiva regionale nel suo complesso, che diminuisce di 83.683 unità nel ventennio, a causa della straordinaria riduzione degli attivi in agricoltura, passati da 209.770 nel 1951 a 80.562 nel 1971, con una perdita di ben 129.208 unità. E si tratta di lavoratori espulsi non soltanto dal settore agricolo, ma in larghissima parte dalla stessa regione. Gli addetti all'industria, in effetti, sono passati da 43.509 nel 1951 a 69.567 nel 1971;
 

Consistenza del patrimonio zootecnico (dati in migliaia).

CAPI

CENSIMENTO 1908

CENSIMENTO 1970

bovini

66

76

ovini

583

498

caprini

211

127

suini

68

213

equini

63

59

Totale

991

973

tuttavia queste cifre ufficiali sopravvalutano l'incremento degli addetti all'industria, in quanto, a nostro parere, molta parte di quei 34 mila residenti censiti come assenti per motivi di lavoro si riferiscono a tale settore. Si è trattato, in realtà, di un lieve incremento degli addetti industriali, dovuto alla localizzazione nella regione di alcuni impianti moderni, come quelli dell'industria chimica primaria o della cellulosa, mentre si è avuto un arretramento, una decadenza delle attività manifatturiere tradizionali e dell'edilizia. Nell'ultimo decennio, infatti, le unità locali sono diminuite da 7.889 nel 1961 a 7.557 nel 1971, con un calo occupazionale superiore alle mille unità: 13.583 nel 1961, 12.615 nel 1971. In questi 30 anni quasi tutte le industrie sono scomparse anche a causa della scarsa imprenditorialità regionale.
Ma, a parte queste considerazioni quantitative, comunque assai importanti, sull'occupazione nell'industria, ciò che preoccupa è la qualità del processo cosiddetto di "industrializzazione" che pare si intende portare avanti: un processo che non arreca gran giovamento all'economia della Basilicata.
Le industrie più rilevanti, promosse da interventi statali o da incentivi offerti a industriali del Nord, rimanevano solo materialmente dislocate nella piana di Valle del Basento o di Metaponto dove l'industria non si traduceva in nessuna espansione dell'economia locale. La Basilicata offriva solo il suolo e un poco di mano d'opera (6 mila posti di lavoro finora contro 200 mila emigrati). La merce prodotta non era merce venduta dalla Basilicata ad altre regioni o all'estero: il denaro andava al Nord, la Basilicata non otteneva nulla, o quasi. Il miraggio del petrolio ha cambiato alcune cose, ma finora benessere in Basilicata non ne ha prodotto.

 

5. REDDITO PRODOTTO E RISPARMI

Non ci è possibile fare un confronto col passato per quanto riguarda il reddito prodotto dalla regione, in quanto i dati correlativi disponibili si riferiscono soltanto al periodo recente; possiamo dare il quadro economico della regione comparandolo con la media dell'Italia al 1971. Con una superficie territoriale pari al 3,3% di quella nazionale, e una popolazione pari all'1,1%, la Basilicata concorre a formare il prodotto lordo nazionale soltanto per lo 0,63%, registra lo 0,66% dei consumi privati e l'1,45% degli investimenti fissi: e di questi ultimi, la percentuale più alta rispetto alla media nazionale spetta alla pubblica amministrazione, con il 4,28%.
Nel 1972, secondo i dati forniti dal Tagliacarne, il reddito prodotto lordo in Basilicata è stato di 429.570 milioni di lire; quello netto di 381.618 milioni di lire, pari a 646.929 lire per abitante, che è una cifra inferiore del 37,2% alla media nazionale. Gli impieghi sono cosi costituiti: 414.233 milioni di lire per consumi pubblici e privati e 181.062 milioni di lire per investimenti. Consumi e investimenti in totale ammontano nel 1972 a 569.295 milioni di lire. La Basilicata impiega quindi 165.725 milioni di lire in più del reddito da essa prodotto. Tale cifra costituisce il valore dei trasferimenti, cioè delle "importazioni" che la regione in quell'anno ha ricevuto dalle altre parti d'Italia e dall'estero. E a queste importazioni contribuiscono, con un peso non irrilevante, le rimesse degli emigrati.
Non solo la composizione del reddito lordo e degli impieghi, non solo la struttura dei consumi, ma anche la carenza nei servizi civili e igienici mostrano la persistente arretratezza della regione, e le condizioni povere di vita della sua popolazione. Ancora soltanto l'80,7 % delle abitazioni hanno l'acqua potabile, l'86,3% il gabinetto e appena il 34,6% il bagno.
Il confronto delle variazioni intervenute nell'ultimo ventennio nella regione, nel mezzogiorno e in Italia, di alcuni importanti indici di sviluppo economico, sociale e civile, infine, ci mostra come il divario fra la Basilicata e il mezzogiorno si è ampliato: mentre la popolazione della regione diminuisce del 4%, quella del mezzogiorno aumenta del 6,3%; l'occupazione diminuisce del 17,6% in Basilicata, mentre rimane stazionaria nell'area meridionale. Il consumo carne, nonostante le carenze iniziali, registra nella regione, dopo gli Abruzzi e Molise, il più basso tasso d'incremento, analogo fenomeno si riscontra per le abitazioni.
«Le variazioni positive», scrive D'Agostino, «riguardano i risparmi postali, che vengono canalizzati però in gran parte verso il resto del Paese, la popolazione scolastica, destinata in misura notevole alla emigrazione al compimento degli studi, ed alcuni servizi, quali apparecchi RAI-TV e telefoni, da attribuirsi soprattutto ai bassi valori di partenza degli utenti regionali. La Basilicata oggi resta pur sempre una regione di tipo agricolo, che funge da serbatoio di mano d'opera per il Nord, che vive soprattutto di pensioni, di rimesse, di Pubblica Amministrazione, di bassi redditi agricoli, di scarsi consumi pubblici e privati.
Ecco qual è la realtà: dopo un secolo e più di storia nazionale, nonostante la straordinaria emigrazione di forza lavoro che la regione ha registrato, e anzi proprio per questa, la Basilicata funge ancora da "serbatoio di manodopera" a basso costo per il Nord e per gli altri paesi industrializzati. È una realtà drammatica, tragica, che ha portato la regione su quella soglia, al di là della quale «ogni vita reale si perde», al di là della quale c'è la sua estinzione storica.
«La situazione della Basilicata oggi», scrive Casillo, a può essere definita solo con un aggettivo, tragica; l'emigrazione, la disoccupazione e sottoccupazione, l'assurdo accrescersi del piccolo commercio e della pubblica amministrazione, lo spopolamento di aree sempre più vaste, la disgregazione del territorio ammoniscono che il prossimo passo sulla linea sino ad ora seguita sarà fatalmente la riduzione della regione a mera entità geografica.»
Senza energiche misure riparatrici, comprese in una programmazione nazionale democratica che si orienti in modo diverso dal passato e che realizzi la indilazionabili riforme di struttura, senza un mutamento profondo nel meccanismo di sviluppo della economia italiana e senza una partecipazione reale e diretta delle popolazioni alle scelte decisionali della economia e della società, non vi è dubbio che l'emorragia dell'esodo continuerà a togliere forza alla nostra regione, aggravando ulteriormente la situazione della Basilicata e compromettendo in modo definitivo le soluzioni di sviluppo ancora oggi possibili.

Per dare un'idea, in base ai dati pubblicati dall'ISTAT 2001, sui dati anagrafici della popolazione in Basilicata e sul loro tenore di vita allo stato attuale, riportiamo in breve e schematicamente alcuni indici, indicatori e dati. Per guanto riguarda gli indicatori demografici per regione, la popolazione residente per classi di età, regione e sesso, è stata in Basilicata di 604.807 (65 anni e più 109.712 con una percentuale del 18,1% della popolazione totale). La statura degli iscritti delle liste di leva nel 1980 per regione ha messo in evidenza come in Basilicata la media è stata di cm 173, mentre il Friuli Venezia Giulia ha raggiunto i cm 178. Il tasso di ospedalizzazione per mille abitanti per regione nel 1998-99, ha mostrato rispettivamente i seguenti dati: 160,0 '98 e 170,0 '99. Gli istituti di cura, i posti letto, le degenze, le giornate di degenza ed il personale nella regione, hanno mostrato i seguenti dati: 14 istituti di cura, 2456 posti letto (4,0‰ abitanti), degenze n. 96.565 (tasso di ospedalizzazione 159,1): giornate di degenza n. 609.916 (tasso di utilizzo dei posti letto 68,3 e degenza media 6,3). Per i medici si sono evidenziati i seguenti dati: medici 738, per mille abitanti 1,2%, posti letto, per cento posti letto 30,3. Personale sanitario ausiliario n. 2137 per mille abitanti 3,5, per medico 2,9, per cento posti letto 87,0. Le scuole: le classi, gli alunni e gli insegnanti delle scuole materne, elementari e medie, hanno mostrato i seguenti dati: scuole materne 333, sezioni 830, bambini 17.705, insegnanti 1.730; scuole elementari 241, classi 1.869, alunni 32.709, insegnanti 3.565; scuole medie: 142, classi 1.138, alunni 22.081, insegnanti 2.975.Classi, alunni e insegnanti delle scuole secondarie superiori: scuole 112, classi 1.702, numero 36.048 per classe 21,2, in scuole statali 97,5, femmine su totale per cento 49,0, insegnanti 4.326. Istruzione: indicatori dell'istruzione secondaria superiore Basilicata maschi 94,1, femmine 95,2, media maschi e femmine 94,7, diplomati per 100 persone di 19 anni, maschi 71,8, femmine 86,0, maschi e femmine 78,7. Indicatori dell'istruzione universitaria, tasso di passaggio dalla scuola superiore maschi 54,4, femmine 50,2, tasso di iscrizione maschi 32,2, femmine 43,1; laureati per 100 persone di 25 anni maschi 14,4, femmine 18,8. Abbonamento alla RAI TV 159.380, per mille abitanti 263, di cui ad uso privato n.158.408. Spesa media per abitante per biglietto per spettacoli, trattenimenti vari e manifestazioni sportive, spesa per abitante, rappresentazioni teatrali e musicali 3.073, cinematografo 3.641, trattenimenti vari 3.931, manifestazioni sportive 1.661, totale 12.306. Spesa per biglietto, rappresentazioni teatrali e musicali 15.156, cinematografo 8.040. Popolazione residente per condizione professionale, attività economica degli occupati e sesso in migliaia: occupati in agricoltura 20, industria 63, servizi 99, totale 182. Persone in cerca di occupazione n. 36, 16,5% delle forze di lavoro, totale n. 217, 36,3% della popolazione (maschi e femmine).
Bestiame macellato per specie (capi in migliaia): bovini capi 39.690, suini 67.381, ovini e caprini 310.650, equini 4.555. Consistenza bovini in migliaia di capi, bovini 7.211, ovini e caprini 12.464, suini 8.329.
Potenza efficiente degli impianti generatori di energia elettrica secondo fonte energetica in MW: idrica 125, termica tradizionale 249, produzione lorda di energia elettrica utilizzata in milione di KWH idrica 196, termica tradizione 1.002.
Rete stradale per tipo di strada in km: autostrada 29, statali 2.022, provinciali 2.856, raccordi 52, per un totale di 4.959.
Parco veicolare secondo le risultanze del PRA per categoria: autovetture 292.082, autobus 1.612, autoveicoli 34.928, motrici 1.416, totale 330.038, motoveicoli, motocicli 17.643, motocarri 5.153, per un totale di 22.796.
Merci trasportate su strada per titolo di trasporto, regione di origine, regione di destinazione e classe chilometrica di percorrenza conto proprio: tonnellate 2.844.024, tonnellate-km (migliaia) 231.757.
Piazze bancabili e sportelli delle banche: piazze bancabili 91, sportelli 234, sportelli su 10.000 abitanti 3,9.
Sportelli delle banche in esercizio per categoria istituzionale: banche S.p.A. 191, banche popolari 15, banche di credito sportivo 27, totale 234.
Depositi presso le banche per localizzazione della clientela e settori istituzionali in milioni di euro: Amministrazione Pubblica 108, Società Finanziarie 1, Società non finanziarie 593, Istituti sociali privati e famiglie consumatrici 2.553.
Popolazione residente per sesso, densità per kmq, popolazione presente famiglie e componenti, numero medio di componenti per famiglia e componenti permanenti delle convivenze: 293.001 maschi, femmine 302.726, totale 595.827, densità 59,6, popolazione 568.967, famiglie numero 212.918, componenti 593.317, numero medio componenti per famiglia 2,8, componenti permanenti delle convivenze 2.410. Addetti alle unità locali per settore di attività economica negli anni 1991 e 2001: anno 1991: addetti alle unità locali per le imprese, industria 48.943, commercio 23.452, altri servizi 28.756. Addetti alle unità locali delle istituzioni 43.092. Totale 144.243. Anno 2001: addetti alle unità locali per le imprese, industria 45.614, commercio 23.980, altri servizi 42.754. Addetti alle unità locali delle istituzioni 40.971. Totale 153.319. Aziende agricole e relativo numero di giornate di lavoro per categoria di manodopera agricola, conduttore 81.630, coniuge del conduttore 53.942, altri familiari del conduttore 37.514, altri parenti del conduttore 4.170.
Manodopera extra familiare a tempo indeterminato 585, a tempo determinato 14.495. Totale 81.922.
Reddito medio mensile (in migliaia di lire) familiare e pro capite anno 1996 in Basilicata: pro capite 950.0. familiare 2.750,0.

 

6. FLOTTE PER EMIGRANTI

Il capostipite dei transatlantici, la nave britannica Great Eastern, varata il 30 gennaio 1858, non era stata progettata per attraversare l'Atlantico, sebbene per collegare l'Inghilterra all'India, ma era però troppo grossa, troppo costoso il suo esercizio e poi non era facile trovare, lungo la rotta dell'Estremo Oriente, depositi del carbone necessario per le sue grandi macchine; allora venne impiegata per adempiere a un compito cui nessun'altra unità poteva far fronte, la messa in opera del cavo telegrafico di collegamento tra l'Europa e l'America. Si trattava, infatti, di una matassa lunga 3.400 tonnellate. Il primo transatlantico venne quindi impiegato per un lavoro tecnico, non per trasportare belle signore allungate pigramente sulle sedie a sdraio allineate sul ponte sole.
Nonostante tutto, però il Great Eastern scatenò una rivoluzione nell'ingegneria navale: era lungo 211 metri largo 46, dislocava 27.859 tonnellate (dimensioni che dovevano essere superate solo dal Lusitania nel 1907) e navigava a 15 nodi, spinto da un apparato motore che sviluppava 2600 cv. Poteva trasportare 4000 passeggeri oltre a 6000 tonnellate di merci e 12.000 di carbone.
La stagione dei transatlantici durò circa un secolo, poiché proprio nel 1958, con l'entrata in linea dei grandi e affidabili quadrimotori a getto, le lussuose navi passeggeri di linea come la Michelangelo Raffaello Leonardo Da Vinci ebbero il loro tramonto; la borghesia ricca, la buona società internazionale non scoprirono però il transatlantico come status symbol subito dopo il varo del Great Eastern, sebbene una trentina d'anni dopo. I primi veri utenti delle linee regolari transoceaniche furono, invece, gli emigranti; perché proprio nella seconda metà dell'Ottocento ebbe inizio la grande fuga della povera gente dall'Europa all'America. I porti d'imbarco di elezione per gli emigranti italiani erano Genova e Napoli.

 

7. CAUSE DI EMIGRAZIONE E TESTIMONIANZE DI EMIGRANTI

Nel 1876 partirono dalle Calabrie per le Americhe 684 persone; dieci anni dopo se ne andarono 8266 e quasi 18 mila un ventennio più tardi. Dal Mezzogiorno(2) emigrarono fra il 1901 e il 1913 ben 3 milioni 374
 

mila persone su un totale di 4 milioni 711 mila emigranti di tutta Italia; questo fiume si riversò soprattutto negli Stati Uniti ma anche verso l'America latina. C'era gente che voleva salvarsi dall'estrema miseria in cui erano finite vaste aree italiane dopo l'unità; e nel Sud era soprattutto gente che si sacrificava a stremanti fatiche per il bene di che restava. Mentre le oscillazioni e i contrasti della politica non aiutavano, furono gli emigranti a provvedere di denaro i parenti; venne consentito così a poco a poco a un intero popolo di scuotersi dalla miseria e cominciare l'ascesa. In Calabria il deposito postale era nel 1876 di appena 62 mila lire; nel 1887 era salito a 5 milioni e 300 mila, nel 1901 a quasi 21 milioni. I vaglia pagati in Calabria nel 1883 furono di 22 milioni e mezzo, di oltre 30 milioni nel 1903. Le rimesse(3) complessive in Italia secondo una fonte americana raggiunsero addirittura gli 85 milioni di dollari nel 1907. I vaglia internazionali pagati in Italia fra il 1900 e il 1913 furono complessivamente di 2 miliardi 763 milioni di lire di allora.

 

Vengono inserite di seguito delle testimonianze di emigrati in Argentina, poi rientrati in Italia.

TESTIMONIANZA N. 1. A.V.

"Mi chiamo A.V. e sono nato nel 1900. Ho frequentato la scuola fino alla 5a elementare. Subito dopo le scuole sono andato come apprendista presso un calzolaio e lì ho imparato il mestiere. Ma con questo lavoro non si guadagnava abbastanza per contribuire ai bisogni della famiglia, peraltro numerosa, di cui io ero il primo ed unico figlio maschio per cui avevo l'obbligo di pensare a come provvedere alle esigenze della casa.
Fui così anch'io attratto dall'idea, ma più che altro dal bisogno di emigrare in America. Negli anni '20 molti santarcangiolesi lasciavano il paese per una destinazione di cui avevano sentito parlare senza però sapere quello che avrebbero trovato. Infatti, arrivavano molte lettere da chi ci aveva preceduti in cui dicevano quanto più facile era guadagnare e che in una giornata di lavoro si riusciva appunto a guadagnare quanto in una settimana a Sant'Arcangelo. L'emigrazione da un paese agricolo della Basilicata
Insieme ad un amico decidemmo così di imbarcarci mentre avevamo come punto di riferimento un altro compaesano. Per racimolare i soldi per il viaggio fui costretto a chiederli in prestito, ripromettendomi che appena arrivato in America e risparmiato qualcosa, li avrei subito inviati in paese per sdebitarmi.
Dopo aver raggiunto Napoli partii il 22 gennaio del 1923 insieme a non so quante centinaia di persone. Il viaggio durò 22 giorni e ricordo ancora affascinato il passaggio dallo stretto di Gibilterra. Attraversato l'oceano facemmo tappa a Rio de Janeiro, poi a Santos, Montevideo ed infine Buenos Aires.
Come ho già detto, avevamo come punto di riferimento un amico; fu da lui che incontrai, pochi giorni dopo che ero arrivato, un maestro calzolaio che dopo avermi chiesto cosa sapevo fare, mi indicò subito una fabbrica dove si costruivano palloni. Fui subito assunto come cucitore di foots-bolls.
Quanto guadagnavo? Due pesetas per ogni pallone che cucivo; ne riuscivo a fare tre in una giornata e così guadagnavo sei pesetas che in Italia corrispondeva a 60 lire. La paga mi veniva data ogni due settimane o meglio, un sabato mi si dava un acconto e il successivo la paga intera. Ogni tre settimane spedivo un vaglia alla mia famiglia, mia madre e le mie sorelle vivevano con quei soldi. In tutto avrò spedito L. 30.000.
A Buenos Aires alloggiavo in una struttura che lì chiamavano "conventiglio" insieme ad altri italiani; era una specie di convento con 38 stanze una dietro l'altra, si stava in quattro in una stanza mentre erano in comune sia i servizi igienici che la cucina e per questo bisognava fare i turni.
Non ho avuto molte difficoltà ad ambientarmi per via del mio carattere accomodante ma è chiaro che la nostalgia era tanta. Nostalgia della famiglia, del paese della stessa aria, del cibo. Mangiavamo comunque cose molto simili a quello che mangiavamo in Italia, in particolare patate; insieme agli altri compaesani ci eravamo organizzati per preparare la cena che consumavamo insieme. Era in quei momenti che ci abbandonavamo ai ricordi della giovinezza passata sì nella povertà ma anche nella spensieratezza e soprattutto con l'orgoglio di essere a casa propria.
Organizzandoci tra compaesani parlavamo lo stesso dialetto condividevamo le stesse abitudini ma questo non bastava a non farci sentire precari e "forestieri" in una terra non nostra.
La giornata di lavoro era lunga, mentre ancora più lunghi erano gli anni che passavano tutti uguali nella speranza di fare presto ritorno nella nostra patria. Vi erano giorni tristissimi, mentre quelli più lieti erano sicuramente segnati dall'arrivo di una lettera dal paese dove ci venivano raccontate tutte le novità riguardanti parenti ed amici.
Il nostro passatempo preferito era quello di giocare con le carte napoletane a "padrone e sotto", come facevamo nel nostro paese, così dopo aver bevuto un po' terminavamo la serata. A volte intonavamo qualche canto popolare che se non altro ci faceva sentire più vicini alla famiglia lontana.
Sono rimasto in America per quattro anni e poi nel 1927 sono ritornato al mio paese perché richiamato dalla famiglia.
Sono ritornato a fare il calzolaio. Il "sogno americano" si concluse nell'amarezza e nel rimpianto perché le grandi speranze con cui ero partito non si realizzarono; forse fui sfortunato, forse non ho conosciuto le persone giuste e non sono andato nel posto giusto. Quello che ho guadagnato in Argentina non mi ha permesso infatti di ingrandire la mia attività e quindi neanche di vivere una vita molto diversa da quella che conducevo prima di partire. Il sacrificio della lontananza non valse a realizzare grandi cose e tutto sommato posso dire di aver preferito vivere modestamente, con qualche ristrettezza ma nel mio paese.
Un ricordo particolare? Nel periodo in cui soggiornavo a Buenos Aires si doveva cambiare l'inno argentino e vi erano in merito a ciò opinioni contrastanti, c'era infatti chi non voleva saperne di cambiare questo inno. Allora il segretario del partito predominante organizzò delle "squadracce" che costringevano le persone a cantare questo inno.
Anch'io una volta scampai per poco alle bastonate di questi tipacci: “tano, tano (abbreviazione di italiano) togliti il cappello mentre noi cantiamo questo inno!".
Io non lo tolsi e loro cominciarono a rincorrermi, ma per fortuna il tram su cui ero salito partì e loro non potettero raggiungermi".

 

TESTIMONIANZA N. 2. B.N.

"B.N. nato nel 1915, il mio grado di istruzione è la 5a elementare.
Nel paese i miei genitori hanno voluto che io imparassi il mestiere di sarto e quindi una volta finita la scuola dell'obbligo ho iniziato un apprendistato durato 5 anni in cui non ho guadagnato altro che qualche spicciolo a Natale e Pasqua come regalo. Dopo poco ho iniziato a lavorare per conto mio procurandomi qualche cliente. Mi sono sposato all'età di 21 anni e con il mestiere che facevo guadagnavo giusto il necessario per vivere e quindi non abbastanza per tentare qualsiasi tipo di "progresso", voglio dire che neanche la casa dove abitavamo era mia proprietà nonostante facessimo (io e mia moglie) molti sacrifici.
D'altronde non erano molte le persone che si facevano "cucire un vestito", lo facevano solo in occasione delle feste del paese: S. Michele (festa patronale) e S. Rocco.
Durante gli anni '50 molte persone emigravano per l'Argentina, tutti incoraggiati dalle lettere che arrivavano dal parente o dall'amico dove mandavano a dire che a Buenos Aires era tutta un'altra vita, tutti avevano un lavoro.
Ricevetti la "chiamata" da parte di un mio zio e così misi da parte i soldi per poter intraprendere il viaggio e nel 1951 sono partito insieme ad un amico d'infanzia.
Non sapevo cosa andavo a fare, forse avrei dovuto adattarmi a fare qualche altro lavoro, ciò che il mercato avrebbe richiesto, il mio sogno era di esercitare il mio mestiere, magari di ingrandirmi e far "fortuna" come ricorrentemente ti dicevano gli anziani del paese: vai a far fortuna.
Promisi a mia moglie e a mio figlio che dopo aver trovato una sistemazione stabile li avrei mandato i soldi per potermi raggiungere. Dentro di me molti sentimenti contrastanti si avvicendavano, ma il dubbio di cosa andavo incontro era compensato dall'entusiasmo di vedere posti così lontani, praticamente un altro mondo.
Il distacco dalla famiglia mi procurò un dolore indescrivibile, mio figlio era appena un bambino, mia moglie mi guardava chiedendomi se era proprio necessario. Ma ormai avevo deciso di inseguire anch'io il sogno di tanti altri.
Il viaggio durò 18 giorni e l'imbarco (da Napoli) fu preceduto da una visita medica al consolato di Genova.
A Buenos Aires incontrai non poche difficoltà, ma fui aiutato dai miei parenti che già vivevano là.
Con un po' di sacrifici riuscii ad aprirmi una sartoria di mio conto ed il lavoro fin dall'inizio mi diede non poche soddisfazioni.
Andai ad abitare presso mio zio e presto mi ambientai perché comunque nel tempo libero stavamo sempre insieme ad altri connazionali. Era molto sentito lo spirito patriottico, eravamo fieri di essere italiani nonostante la nostra nazione non ci aveva trattati bene, nel senso che ci aveva costretti ad emigrare.
Il lavoro procedeva bene ma era tanta la nostalgia del paese e soprattutto di mia moglie e di mio figlio: quando mi consegnavano le lettere ero contento di ricevere notizie ma per tutto il giorno perdevo la voglia sia di mangiare che di lavorare.
Ma bisognava farsi coraggio ed andare avanti in attesa di giorni migliori. Spesso arrivava un altro compaesano e facevamo a gara per ospitarlo: si passava poi tutta la serata a chiedergli tutte le novità del paese e dei nostri concittadini perché ci si conosceva tutti.
Dopo tre anni di permanenza da solo mandai a chiamare mia moglie e mio figlio e una volta ricostruita la famiglia fui anche più tranquillo nel lavoro.
Mia moglie ha sempre mantenuto le usanze del paese e preparava sempre i piatti tipici durante le feste.
Nel 1961 siamo ritornati a Sant'Arcangelo, dove abbiamo trovato lo stesso ambiente che avevamo lasciato ma con molte persone in meno visto che le partenze continuavano ad aumentare, questa volta però verso le città del Nord d'Italia.
L'Argentina, procurandomi un lavoro più redditizio di quanto mi aveva permesso il mio paese, mi ha fatto realizzare come uomo in quanto con i risparmi ho potuto compare una casa e dei terreni e come padre perché ho potuto dare a mio figlio ciò che i miei genitori non avevano potuto darmi, ma non per colpa loro bensì della povertà.

 

TESTIMONIANZA N. 3. D'J.F.

"Sono nata nel 1919; in paese facevo la contadina e la casalinga. Non avevo alcuna esperienza lavorativa diversa né tantomeno ero uscita mai dal mio paese. Nel 1952, ho raggiunto mio marito in compagnia dei miei figli, lui era partito tre anni prima.
Sono andata subito a lavorare in una fabbrica dove si facevano trasformatori per le televisioni e lì ho lavorato per tutto il tempo in cui sono rimasta in America.
Guadagnando entrambi siamo riusciti nel mettere da parte dei risparmi nonostante dovessimo pagare l'affitto di casa e comprare ogni cosa visto che non avevamo il nostro orticello come in paese.
Come ci siamo trovati? Bene, perché comunque si era formata una comunità di italiani, anzi di santarcangiolesi, con cui si organizzavano feste e raduni.
Avevamo riprodotto la festa del nostro Santo patrono, S. Michele e lo festeggiavamo lo stesso giorno che per tradizione si festeggiava a Sant'Arcangelo. Sono al corrente che ancora oggi i nostri conterranei lo festeggiano.
Ci eravamo organizzati perché ogni fine settimana ci incontrassimo in un locale adibito ad una specie di "circolo", dove finalmente dopo una settimana di lavoro insieme a persone di altre nazionalità, oltre che argentine, con cui si doveva parlare lo spagnolo, potevamo finalmente parlare la nostra lingua che senza dubbio ci faceva sentire più vicini al nostro paese natio e alle nostre famiglie.
A Buenos Aires non era infatti come a Sant'Arcangelo dove inevitabilmente ci si incontrava tutti i giorni, magari quando si andava a fare la provvista d'acqua e si formavano vari gruppi di donne che portavano i recipienti in testa. Tutto questo magari dopo una giornata di lavoro nella terra; ripensavo molto a quei giorni di sacrifici e così finivo per l'apprezzare molto il fatto di guadagnare qualche soldo in più ed anche in maniera meno faticosa. Il prezzo da pagare era la lontananza dalla propria terra e dalla propria famiglia, il che non era certamente poco nonostante avessimo sempre notizie.
Con la lingua non abbiamo incontrato molte difficoltà, io ho imparato subito a leggere lo spagnolo ed un poco anche a parlarlo.
Siamo rimasti a Buenos Aires per 9 anni e poi abbiamo deciso di ritornare perché eravamo andati proprio con l'intenzione di guadagnare un po' di soldi e ritornare, non abbiamo mai pensato di stabilirci là.
Tornare a vivere nel nostro paese, magari con una posizione più confortevole soprattutto per i nostri figli, questo avevamo sempre desiderato.
Tutto sommato ci siamo riusciti perché utilizzammo i soldi guadagnati in America per comprare prima di tutto la casa, due "fondi" (terreno agricolo di varia dimensione), che ci sono poi serviti per vivere in maniera più dignitosa".

 

TESTIMONIANZA N. 4. M.M.

"Sono nato nel 1930. Finite le scuole dell'obbligo sono andato come apprendista muratore con un gruppo di 3-4 muratori, non ricordo più, fino a 20 anni.
A quell'età infatti un mio zio che era già emigrato in America un anno prima e che lavorava lì come ferrotramviere, mi mandò a chiamare e così decisi subito di partire accompagnato da un altro zio. Arrivarono molte lettere di "chiamata" in quell'anno (1950) e molti gio-vani come me lasciarono il paese. Tutti accomunati da un unico sogno: rag-giungere l'America. Noi immaginavamo fosse il posto dove ogni desiderio si poteva realizza-re, dove tutto era possibile, dove era più facile guadagnare del denaro per comprare anche un paio di scarpe in più. Prima di prendere la nave da Napoli, andammo al Consolato di Genova per la visita medica, e così ebbi modo di vedere posti che non mi sarei mai aspettato di vedere. Dopo un lungo viaggio di 22 giorni (mentre per il ritorno ne impiegammo 13) arrivammo a Buenos Aires dove alloggiai presso lo zio che mi aveva mandato a chiamare e dove trovai una buona accoglienza, molto familiare, visto che c'erano molti compaesani. Questo zio si occupò di me come fossi stato suo figlio, infatti era lui che mi preparava il pranzo, mi lavava la biancheria. Ci arrangiavamo tra di noi alla meglio. Mangiavamo cibi in scatola come i legumi. Non ho conservato molte abitudini americane tranne quella di bere il caffè in un apposito reci-piente con una "cannuccia". Trovai subito lavoro presso una fabbrica di frigoriferi, prima con delle mansioni poco professionali, poi ebbi la possibilità di seguire un corso di specializzazione per aggiustatore meccanico e divenni abbastanza bravo da rimanere a lavorare in quella fabbrica per tutto il tempo di permanenza in America. I risparmi che riuscivo a mettere da parte li mandavo alla famiglia, avevo altri tre fratelli in paese, anche se la nostra condizione economica era discre-ta, non era delle più disperate. Misi ancora da parte dei risparmi per conto mio che usai appena ebbi l'occasione di comprare un terreno a Bernal (Ghiles) vicino a B.A. dove cominciai a costruirmi una casa. I giorni erano tutti uguali, passavano nella speranza di poter tornare pre-sto in Italia perché sentivo che la mia situazione era provvisoria. Mia madre mi spediva lettere con molta frequenza, infatti ne ricevevo almeno una al mese, in cui mi diceva che avevo fatto bene a partire perché a Sant'Arcangelo la situazione era sempre la stessa, non c'era lavoro e a molte famiglie mancavano proprio i beni di prima necessità, per cui molti conti-nuavano a lasciare il paese. Nel 1954 mi sposai con "procura" una ragazza di Sant'Arcangelo che i miei parenti avevano provveduto a farmi conoscere tramite fotografia. Mia moglie S.E. mi raggiunse in America dove le parlai per la prima volta quando già era mia moglie. Andammo ad abitare a Bernal dove avevo costruito la casa.

 

TESTIMONIANZA N. 5. S.E.

Come ha già detto mio marito, sono partita nel 1954 dopo essermi spo-sata con lui tramite procura. La partenza per me fu abbastanza difficile perché oltre al distacco dalla mia famiglia, dal mio paese, dalle mie abitudini, pensavo che andavo incontro a non poche novità. Una nuova terra dove vivere con un uomo che conoscevo soltanto da quando mi avevano descritto i miei parenti ed amici e dalla conoscenza della sua famiglia. Entusiasmo insieme a paura mi accompagnarono dunque per tutto il viaggio ed anche per un periodo di permanenza fino a quando non mi sono resa conto di trovarmi bene con mio marito. Ho un ricordo molto bello della permanenza a Buenos Aires. Mio marito non ha voluto che io andassi a lavorare e quindi sono stata a casa a fare la mamma di due figli. Le uniche uscite, gli unici divertimenti li ho conosciuti là perché poi una volta ritornati a Sant'Arcangelo non abbiamo più fatto di queste esperienze. Con le persone del posto avevamo rapporti sereni, con alcuni ci scambiavamo ancora gli auguri in occasione delle feste. Dove abbiamo abitato, un po' fuori da Buenos Aires, c'erano molti italiani, ma pochi del nostro paese molti invece erano i piemontesi, veneti, calabresi. Comunque con i nostri compaesani ci vedevamo molto spesso in quanto organizzavamo di frequente delle uscite insieme. A volte, non sembrava neanche di stare così lontani dal nostro paese. Nel 1963 abbiamo fatto ritorno a Sant'Arcangelo perché incoraggiati dalla famiglia a trasferirci a Genova dove molti emigravano negli anni '60. Lì però non abbiamo avuto la stessa fortuna di trovarci bene come in America e così siamo ritornati in paese dove abbiamo dovuto iniziare tutto da capo".

 

TESTIMONIANZA N. 6. C.V.

Il mio nome è C.V. e sono nato nel 1938. Provengo da una famiglia di contadini, ma di contadini per conto degli altri, mio padre cioé non era proprietario delle terre che coltivava (gualano).
Sono andato a scuola fino alla 3a elementare, dopo non più perché servivano anche le mie braccia per sostenere la famiglia e mio padre riteneva che andare a scuola significava sprecare il tempo.
Della mia infanzia non ricordo che questo: alzarmi presto la mattina, prima dell'alba, fare tanta strada a piedi per raggiungere il campo e lavorare tutta una giornata che sembrava non finire mai.
Ma per fortuna non ho fatto questa vita per molto tempo perché a 14 anni un mio zio che partiva per la tanto sognata America mi portò con sé.
Ricordo che non ero molto entusiasta di partire, avevo bisogno dell'affetto dei miei genitori ma era l'unica alternativa alla miseria. Così tra le lacrime di mia madre, nel 1952 lasciai il paese, gli amici, la famiglia, ma mi riproposi di tornare presto.
Arrivato in America, a Buenos Aires alloggiai con mio zio presso un amico compaesano che ci aveva preceduti. Fu lui che ci aiutò a cercare lavoro, sia per me che per mio zio. Sono rimasto in America per 17 anni ed ho svolto diversi lavori.
Prima ho fatto l'aiutante meccanico in un autolavaggio. Non mi ricordo quanto mi davano ma ricordo che riuscivo a spedire in Italia qualche risparmio ogni mese.
Poi sono andato a lavorare in un'azienda meccanica, a riparare gru. Non mi piaceva molto questo lavoro e cambiai subito. Passai poi in un'impresa di costruzioni idrauliche dove mi misero a pulire i pezzi appena usciti dai forni.
Era un lavoro sporco, duro, c'era un puzzo di zolfo insopportabile. L'ultimo lavoro che ho fatto era più qualificato e cioè tagliatore a gas; con questo lavoro sono riuscito a mettere da parte e così nel 1969 sono ritornato in Italia e al paese.
Il paese non era cambiato molto, si viveva però un po' meglio. Con i risparmi portati dall'Argentina mi sono aperto un'attività commerciale che ancora svolgo, ho comprato una casa dove sono andato a vivere con mia moglie. Lavorando per conto mio mi sono riscattato dal ricordo degli insulti di tanti argentini che ci vedevano come ladri del loro lavoro".

 

TESTIMONIANZA N. 7. A.F.

"Io sono stato in America due volte. Una prima volta nel 1937 all'età di soli 14 anni con una permanenza di 5 anni e poi nel 1950 per altri 6 anni.
La prima volta sono andato dopo aver ricevuto l'atto di richiamo di mio padre che già si trovava là: lavorava di notte e cioè guidava i camion della spazzatura. Io ho svolto un lavoro altrettanto umile fino a quando non mi presero in una fabbrica a fare il messo. In paese facevo il garzone in una ‘`masseria": non avevo frequentato neanche le suole elementari, con i pochi soldi che guadagnavo, mia madre comprava il necessario per vivere. Mio padre ci aveva lasciati ancora piccoli per andare in America, ma non aveva fatto molta fortuna e quelle poche lire che ci mandava non bastavano neanche fino all'arrivo dei prossimi risparmi.
Con molta fatica misi da parte i soldi del viaggio e così raggiunsi mio padre. Nel 1942 mio padre si ammalò di bronchite e dopo non molto tempo morì.
Fu per questo che dovetti ritornare in Italia dove furono a mio carico le spese per il matrimonio delle mie due sorelle. L'anno dopo mi sposai anch'io e dopo aver provato per qualche anno ad andare avanti con il lavoro dei campi, decidemmo di partire.
Incontrai meno difficoltà rispetto al primo viaggio ed anche il lavoro che svolgevo mi rendeva di più. Anche mia moglie andò a lavorare in una sartoria ed insieme riuscimmo a mettere da parte abbastanza per ritornare al paese e comprare due fondi di terreno per continuare a fare quello che avevo sempre fatto e che sapevo fare meglio: il contadino. Ma non solo per i bisogni familiari ma anche per vendere i prodotti nei paesi vicini.
Per me l'America non è stato sinonimo di fortuna e non è stata neanche molto generosa. Mi facevano sentire come l'ultimo degli uomini e mi facevano pesare molto il fatto di essere analfabeta. Questo in fabbrica, mentre fuori avevamo formato un bel gruppo di amici e ci aiutavamo a vicenda.
Direi che l'America per me è stata poco generosa è giusto perché comunque ho dovuto faticare molto anche lì per guadagnare qualche soldo; ma quando sono partito la prima volta dal paese avevo lasciato davvero una situazione tristissima.
Ricordo con molta malinconia e anche rabbia la fiera del 14 settembre. Tra le altre cose che si vendevano, c'era anche una vera e propria tratta degli schiavi. Voglio dire che quel giorno si contrattavano le persone che dovevano prestare opera nelle aziende dei ricchi signori. Anche ragazzi in tenerissima età.
Questo contratto avveniva in piazza stipulando i salari tra "padroni" e "foresi"; le controversie venivano giudicate da persone che si improvvisavano difensori da una parte o dall'altra. Molte volte tra questi ragazzi vi erano anche molti figli illeciti dei signorotti locali che per mantenere intatta la loro proprietà e l'antico diritto alla primogenitura, non riconoscevano i loro figli avuti fuori dal matrimonio e li affidavano al Comune che provvedeva a farli crescere a povera gente che poi inevitabilmente doveva mettere "a padrone".
A volte poteva anche capitare che qualcuno lavorava come servo nella propria "masseria".
Io quindi ero abituato ad essere trattato male o comunque solo come una bestia da lavoro, ma la tanto decantata America non era la terra della libertà e del benessere che si diceva. Nessuno ti regalava niente, neanche una parola di incoraggiamento".

 

TESTIMONIANZA N. 8. B.A.

"Sono partita per Buenos Aires nel 1952 quando avevo 28 anni. In paese avere 28 anni e non essere sposata per una ragazza significava rimanere "zitella", significava che non la voleva più nessuno.
Il mio lavoro era contadina ma avevo frequentato la scuola fino alla 3a elementare, dunque sapevo leggere e scrivere.
Mio zio che era andato in America, mi mandava sempre a dire nelle sue lettere, che prima o poi mi avrebbe mandato i soldi per raggiungerlo.
Così un giorno arrivò una lettera con un vaglia che conteneva giusto la somma per pagare il viaggio, se non ricordo male 80 mila lire.
Fui subito molto entusiasta all'idea di partire. Avevo qualche timore di come mi sarei trovata, ma pensavo che sarebbe stato sicuramente meglio piuttosto che continuare a fare tutto quello che mi si ordinava di fare, oltre che da mia madre anche dalle mie sorelle più grandi che avevano già famiglia.
Dopo una giornata di lavoro nei campi, arrivata la sera, mi toccava andare a prendere l'acqua o fare il pane ed occuparsi di tutto quello di cui una donna si deve occupare in una casa.
Quando partii mi sembrava di essere fuggita davvero da una prigione, il forte desiderio di libertà si realizzò andando via dal paese che mi aveva fatto conoscere soltanto una vita di sacrifici ed affidavo a quel viaggio tutte le mie speranze.
Partii per Napoli insieme ad altre persone che in quell'anno avevano deciso di imbarcarsi.
Dopo 15 giorni di viaggio arrivai in America e trovai ad aspettarmi insieme a mio zio un giovanotto che sarebbe poi diventato mio marito.
Andai a vivere presso mio zio che viveva a Buenos Aires con la famiglia e mi procurai subito un lavoro. Vi erano molte persone di Sant'Arcangelo, lì sembravano anche più cordiali di come erano in paese, forse perché in terra straniera ci si sentiva più soli e per questo si stava più vicini.
Dopo un anno di permanenza mi sposai e ricordo con rammarico la mia tristezza di sposarmi senza la mia famiglia, senza i miei genitori. Ma l'Italia era così lontana, non era semplice raggiungerci.
Andammo ad abitare a Calle Pasco a B.A. in una casa piccola ma con tutte le comodità, anche con l'acqua corrente in casa e questo per me significava tanto.
Abbiamo condotto una vita semplice, anche se volendosi distrarre c'erano le possibilità, ma ai nostri figli abbiamo insegnato i giochi che facevamo noi da piccoli come la "zumpasella"(
4) e il "piccio"(5).
Segno questo che ci trovavamo bene in America ma ci sentivamo comunque di non appartenere a quella terra. Il nostro sogno infatti diventò poi il rientro nel nostro paese per vivere dove eravamo nati.
Ho lavorato in fabbrica per tutto il tempo di permanenza a Buenos Aires; con molti sacrifici abbiamo messo da parte abbastanza soldi per tornare in Italia e farci una buona posizione. Infatti decidemmo di ritornarcene ripromettendoci di non far mancare niente ai nostri figli e soprattutto di creargli una buona posizione in modo da non sentirsi costretti a loro volta ad emigrare.

 

TESTIMONIANZA N. 9. C.M.

Mi chiamo C.M. e sono nato nel 1911. Gradi di istruzione 5a elementare. Sono partito per l'America nell'ottobre del 1949 e ci sono rimasto per 13 anni.
A Sant'Arcangelo avevo imparato il mestiere di calzolaio ed avevo poi aperto un negozio di scarpe.
Fui chiamato da un amico a lavorare a Colon in Panama, con atto di richiamo e partii dopo aver lasciato un deposito di 200 dollari (servivano nel caso non ci si trovava bene, per rimpatriare. Se ciò non avveniva nei primi sei mesi, questi soldi andavano persi).
Il viaggio mi sembrò interminabile, facemmo una prima tappa a Barcellona, poi in Venezuela, e infine Panama.
I primi tempi furono abbastanza duri, poi riuscii ad aprire un negozio di scarpe ma sotto il nome di un altro.
Riuscivo a guadagnare 500 dollari al mese quando un dollaro in Italia valeva 618-620 lire.
Chiaramente mettevo da parte quanto più potevo per inviarli alla mia famiglia che era abbastanza numerosa (sei figli). Dove sono stato io non c'erano molti compaesani, mentre c'erano molti calabresi, che rimasero conoscenti per molto tempo e solo in un secondo momento diventarono amici.
Sono ritornato in Italia nel 1962 e grazie agli anni di lontananza ho potuto realizzare molti progetti tra cui quello più importante di dare un'istruzione maggiore di quella che avevo ricevuto io ai miei figli".

 

Note

1 Un ringraziamento particolare al Sindaco e all'impiegato di stato civile Salvatore Palermo senza l'aiuto del quale la presente indagine non avrebbe visto la luce.

2 Dalle interessanti tabelle pubblicate dal Corpi risulta che sui centomila emigranti partiti dall'Italia nel 1870, 41.833 erano contadini braccianti; 37.833 operai, manuali, giornalieri, artigiani, mentre molto normalmente (date le proporzioni delle varie categorie nell'intera popolazione) i possidenti non erano che 2061, i commercianti 2923, gli studenti e cultori di belle arti 708 e gli esercenti professioni "più o meno letterate e culte" 7468.

3 La somma trasmessa per mezzo di vaglia, che era di L. 5.810.821 l'anno 1869, ammontò nel 18700 [.6.613.927,89; salì, nel 1871, a L. 9.097.610,43 e nel 18720 L. 9.491.863,02. Dalla Decima Relazione sul Servizio Postale, pubblicata nel 1874 e citata dal Boccardo, si rileva che la grande maggioranza di queste trasmissioni di capitali in Italia è quella delle colonie di Buenos Aires (per L. 3.129.316,64), di Montevideo (per L. 1.706.591,02), di Rio de Janeiro (per L. 1.423.193,40),

4 Alcuni ragazzi si mettono "sotto", cioè poggiano le mani sulle rispettive ginocchia disponendo il corpo ad arco. Altri ragazzi prendono la corsa e divaricando le gambe saltano appoggiando le mani sulle spalle di quelli che stanno sotto; saltando dice "cavaliere" e chi sta sotto risponde "piccilandiere".

5 U picca viene eseguito con il gesso o con il carbone un cerchio; un ragazzo con un pezzo di legno lungo circa 70 cm, "a mazza", colpisce un piccolo pezzo di legno di circa 25 cm appuntito ai due lati, "u picco", e lo lancia lontano; un altro ragazzo va a raccogliere "u picce" e lo getta cercando di farlo cadere nel cerchio segnato a terra, contrastato in quest'azione dal ragazzo con la mazza. È una specie di baseball casalingo.


 

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