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STORIA DELLA MEDICINA PER IMMAGINI

ANTONIO MOLFESE
 

SUSRUTA, CHIRURGO DELL'ANTICA INDIA

L'ILLUSTRAZIONE

Súsruta, famoso chirurgo indiano, è raffigurato nella casa di un nobile dell'antica India mentre sta per iniziare un'operazione di otoplastica. Il paziente, drogato col vino, viene tenuto fermo da amici e parenti, mentre il grande chirurgo inizia a plasmare un lobo auricolare artificiale. Egli userà un pezzo di carne prelevato dalla guancia del paziente, che verrà attaccato a ciò che resta dell'organo mutilato, trattato con polveri emostatiche e bendato. I dettagli su questo procedimento e sugli strumenti chirurgici usati da Súsruta si trovano nella Súsruta-sainhità un antico testo indiano di chirurgia.

 

PREMESSA

Colui che conosce un solo ramo della sua arte, somiglia a un uccello con un'ala sola.

Nessuna storia dell'antica medicina sarebbe completa, se mancassero accenni alla pratica medica in Oriente e specialmente in India. Tuttavia, le notizie in nostro possesso sulla medicina indù dei tempi antichi sono lacunose e imprecise, soprattutto per la difficoltà di distinguere, nei testi che ci sono pervenuti, la verità storica dalla fantasia.
Gli antichi indù brillavano soprattutto nella chirurgia, campo nel quale diedero il loro contributo più importante all'arte sanitaria, compiendo imprese audaci e originali. Non è improbabile, per quanto difficile da dimostrare, che alcune loro cognizioni derivassero dalla medicina greca, ma vi è anche chi afferma che siano i greci a essere debitori agli indù.
Le metodiche chirurgiche venivano insegnate servendosi, per le dimostrazioni, di fusti di piante vuoti, di foglie e di strani frutti, simili a zucche; questo lavoro d'avanguardia nella chirurgia ci sorprende tanto più in considerazione del fatto che le nozioni di anatomia degli indù erano estremamente vaghe. Essi, infatti, non solo credevano che i nervi e i vasi sanguigni partissero dall'ombelico, ma anche su molti altri dati anatomici avevano opinioni distorte e fantasiose. Tuttavia, trattavano le fratture con ferule di bambù ed eseguivano molte operazioni, fra le quali il parto cesareo, l'estirpazione dei tumori e la litotomia (la cui pratica è continuata attraverso i secoli, tanto che essa veniva eseguita da chirurghi indigeni fino a tempi recenti).
In India esistono ancora medici che seguono le prescrizioni dei testi classici della medicina indù e che hanno conservato quanto c'era di meglio in un'imponente letteratura religioso-scientifica, i cui primi testi risalgono a circa 3500 anni fa.
La medicina indiana ha svolto in Asia lo stesso ruolo di centro di irraggiamento che la medicina greca ha avuto in Occidente. Per quanto riguarda la datazione, è indispensabile fare una premessa: nella storia della medicina indù, le date sono incerte, ma lo sono in un modo del tutto particolare, in quanto è il senso stesso del tempo a essere aleatorio e quasi estraneo alla storia indiana. Basti pensare che uno dei medici più celebri, Súsruta, viene datato indifferentemente 600 anni prima o 600 anni dopo la nascita di Cristo. In realtà, egli visse intorno al V secolo, mentre Charaka, altro famoso medico dell'antica India, si situa al principio dell'era cristiana. Benché l'Atharva Veda originale sia di data molto anteriore (700 a.C.) al tempo in cui vissero questi due grandi medici indù, una parte di questo testo viene loro attribuita.
Meritano attenzione soprattutto gli scritti di Súsruta, che riguardano un gran numero di questioni: la malaria, che già si sapeva trasmessa dalle zanzare; la peste, che scoppiava preannunciata da un'epidemia tra i ratti; la tisi, che si manifestava con emottisi, tosse e febbre; e infine il vaiolo, assai diffuso. La medicina indù conosceva una gran quantità di farmaci: si parla di 760 piante medicinali. In particolare, erano molto usate le medicazioni esterne, sotto forma di unguenti, bagni, polveri per starnutire e inalazioni.
Súsruta fu comunque uno scienziato in un certo senso 'progressista', praticò la necroscopia
(1), anche se con un metodo assai criticabile, stabilì i criteri di classificazione delle malattie, descrisse 900 nervi, 700 vasi, 107 punti vitali, 24 canali interni, 16 tendini e 500 muscoli. D'altra parte, aveva su molte cose idee tanto vaghe da ammettere una gravidanza normale di 12 mesi. Pose nell'ombelico la sede della vita e da esso, secondo lui, «muoveva il pràna, che passava per il cuore, usciva dalla trachea, beveva l'ambrosia celeste e rientrava dando benessere al corpo».
Súsruta è noto principalmente per la celebre Súsrutasamhità(«Raccolta di Súsruta»), che ci è giunta non in originale, ma attraverso copie e revisioni che hanno sicuramente comportato moltissimi emendamenti. tuttavia, non è impossibile cogliere in controluce lo splendore dell'originale del grande medico indù.
Dopo una parte introduttiva
(2), espressa in forma allegorica, Súsruta arriva subito ad alcuni consigli molto pratici su come uno studente di medicina debba essere selezionato e iniziato alla professione e sul giuramento che dovrà prestare (il quale è molto somigliante al giuramento di Ippocrate). Inoltre vengono esplicitamente enumerate le qualità che deve avere un medico che sta per iniziare la pratica: regole di condotta personale e professionale davvero molto vicine a quelle moderne. Súsruta, inoltre, esorta i suoi studenti a esercitarsi continuamente e delinea vari modi di perfezionare le proprie capacità prima di usare gli strumenti sui pazienti.
Anche se i medici indù consideravano importanti i presagi, buoni e cattivi, e combattevano le malattie prevalentemente con incantesimi e magia
(3), Súsruta dà parecchie direttive sulla diagnosi, raccomandando in particolare di interrogare il paziente, di visitarlo utilizzando tutti e cinque i sensi e di esaminarne le pulsazioni e di assaggiarne l'urina per determinare l'eventuale presenza del diabete in base al grado di dolcezza.
Oltre alla chirurgia, che ne costituisce la parte preponderante, nella Sítsruta-sanghita- vengono trattati anche molti altri argomenti di medicina generale, patologia, anatomia, ostetricia, biologia, oftalmologia, igiene, psicologia e nozioni di quella che oggi si chiamerebbe 'tecnica infermieristica'. Centinaia di malattie sono descritte e classificate con grande accuratezza. In particolare, sono descritti in modo eccellente la tubercolosi polmonare, varie malattie della pelle (tra cui la lebbra), il diabete, le malattie urinarie, l'idropsia (con riferimento alla cirrosi epatica) e vari tipi di febbre. I dotti indù, inoltre, conoscevano l'epilessia e altri disturbi convulsivi, il tetano, l'emiplegia, l'elefantiasi, gli ascessi, l'osteomielite, la scrofola, il gozzo e hanno lasciato anche descrizioni di malattie a trasmissione sessuale.
Súsruta, però, fu soprattutto un grande chirurgo. Egli raccomandava chiaramente di usare il vino prima di un'operazione per provocare insensibilità al dolore; in epoca molto antica, gli indù inalavano come anestetico i fumi della canapa indiana (marijuana). Súsruta, inoltre, descrisse più di cento strumenti chirurgici e divise la materia in grande e piccola chirurgia: la prima comprendeva la laparotomia, le suture dell'intestino, la paracentesi, la litotomia, l'asportazione delle emorroidi, il taglio cesareo. Per suturare la ferita di quest'ultimo Súsruta usò le teste delle formiche nere come graffe. La grande chirurgia comprendeva solo la cataratta, intervento descritto accuratamente da Vagbhata nell' Astranga, e la rinoplastica. Quest'ultima operazione, molto richiesta a causa dei frequenti tagli di nasi che punivano l'infedeltà coniugale nella società indù, veniva effettuata con un metodo rimasto celebre per secoli e persino importato in Occidente
(4). La foglia di un albero, tagliata nella giusta dimensione e forma, fungeva da modello e un lembo di pelle, prelevato dalla guancia o dalla fronte, e foggiato in modo da formare un naso, veniva cucito sul moncone rimasto. Gli Indù furono dunque i pionieri della chirurgia plastica moderna.

 

LA SCHEDA

Agli albori della civiltà, quell'antica terra chiamata India ha nutrito l'uomo al suo seno: infatti, le aride sabbie del Sind, oggi parte del Pakistan occidentale, hanno restituito agli archeologi i resti di una civiltà che risale forse a 5000 o a 6000 anni fa, o forse anche di più. Si tratta di popoli nelle cui città perfettamente organizzate si trovavano case complete di bagni e pozzi, nonché dotate di elaborati sistemi fognari. Alcuni studiosi ritengono che quest'antica popolazione, che risale ad un'epoca contemporanea a quella dei primi Egizi e Babilonesi, venne conquistata verso il 1600 a.C. dagli Ariani, che provenivano dal Nord. Da essa, gli Ariani appresero parecchi usi e costumi civili, e dalla loro mescolanza nacque la popolazione Indo-Ariana. I conquistatori ariani portarono con loro un insieme di dialetti appartenenti alla famiglia linguistica indoeuropea; uno di questi dialetti, al quale più tardi venne dato il nome di sanscrito, diventò un raffinato strumento di composizione letteraria e il veicolo di trasmissione della civiltà indù attraverso i secoli.
L'insieme dei libri più antichi e più sacri degli Indù è nota come i Veda, termine che letteralmente significa «conoscenza», ma, considerato il fatto che quella religiosa era ritenuta la conoscenza per eccellenza, la parola Veda va intesa in questa specifica accezione. La parte più antica e più importante dei Veda è il Rig Veda, che consiste in un complesso di inni di lode alle varie divinità del vasto pantheon indù. Tra di essi vi sono alcuni inni veramente notevoli per il loro carattere filosofico e speculativo. La raccolta più recente e l'ultima a essere stata canonizzata, l'Atharva Veda, consiste principalmente in varie formule magiche finalizzate a tener lontani gli effetti delle malattie e le incursioni dei nemici. Atharva Veda è il primo documento indiano nel quale compaiono degli accenni ad argomenti di medicina, anche se essi presentano ancora un certo carattere primitivo e sono profondamente intrisi di magia e stregoneria.
Nel corso dei secoli, gli Indù modificarono e integrarono considerevolmente le credenze primitive sulla medicina contenute nell'Atharva Veda e giunsero ad applicare all'arte del curare la stessa raffinatezza intellettuale e la stessa indagine approfondita che caratterizzano i molti altri rami tecnici della cultura indiana. Il corpo letterario che si è gradualmente accumulato nel settore della medicina viene chiamato Ayur Veda, letteralmente «scienza della vita». I più importanti manuali medici raggruppati sotto il nome generico di Ayur Veda sono: il Charaka-sanihità, o «Compendio di Charaka», e il Súsrutasani o «Raccolta di Súsruta».
Tra i vari insigni esponenti della medicina indù, SuEruta spicca in modo particolare. Sfortunatamente, le date della vita di Súsruta, come quelle di tanti altri personaggi della lunga storia indiana, non si possono stabilire con certezza. Dato che il suo nome viene menzionato dal famoso medico arabo Ràzi, come pure nei resoconti del pellegrino buddista cinese I-tsing, e dato che egli è una delle autorità mediche citate nel famoso Manoscritto di Bower (350 d.C. circa) ritrovato nel Turkestan cinese nel 1890, non c'è dubbio che Súsruta visse prima del IV secolo d.C. Naturalmente questo è il periodo più tardo che gli si può attribuire; alcuni autori lo collocano invece in un periodo molto precedente, addirittura prima del 400 a.C., quindi su questo punto i pareri sono molto discordi.
La fama di Súsruta deriva per la maggior parte dalla celebre raccolta conosciuta in sanscrito con il nome di Súsruta-samhità. Sebbene tale opera sia dedicata principalmente alla chirurgia, comprende anche argomenti di medicina, patologia, anatomia, ostetricia, biologia, oftalmologia e igiene; essa rivela altresì una profonda conoscenza e comprensione della psicologia relativamente a quello che oggi definiamo 'comportamento empatico' verso il malato. Súsruta cercò di annotare in maniera sistematica le esperienze dei medici più anziani e di raccogliere in una serie di lezioni o manoscritti episodi sparsi che riguardavano la medicina.
L'accuratezza delle descrizioni e delle classificazioni delle malattie fatte da Súsruta è veramente notevole e in gran parte del suo compendio è possibile rilevare un certo spirito moderno. Naturalmente il manoscritto originale autografo della Súsruta-samità, non è sopravvissuto fino ad oggi e ne rimangono solo copie di copie, e revisioni di revisioni, per cui l'opera originaria di Súsruta è offuscata da secoli di emendamenti, integrazioni e alterazioni varie. Tuttavia, attraverso le incrostazioni dei concetti posteriori, lo splendore originale di Súsruta riesce ancora ad emanare la sua luce.
Súsruta comincia la sua Samhità con una descrizione allegorica degli albori dell'insegnamento medico, ma arriva subito ad alcuni consigli molto pratici su come uno studente di medicina debba essere selezionato e iniziato alla professione, nonché sul giuramento che dovrà prestare (che è sorprendentemente molto simile al giuramento di Ippocrate). Inoltre, enumera esplicitamente le qualifiche che deve avere un medico che sta per iniziare la pratica, e regole di condotta personale e professionale che sono straordinariamente analoghe a quelle moderne. Súsruta, inoltre, esorta i suoi studenti ad esercitarsi continuamente e delinea vari modi per perfezionare le proprie capacità prima di usare gli strumenti sui pazienti.
Nella società indù, come in molte altre antiche società ad essa contemporanee, la punizione per chi commetteva azioni illecite prendeva spesso la forma di una mutilazione fisica (il taglio del naso, ad esempio, era la punizione per chi commetteva adulterio). Tali mutilazioni giudiziarie si possono forse considerare la causa principale dell'introduzione di interventi di chirurgia plastica finalizzati a riparare orecchie o nasi sfigurati. Súsruta descrive l'otoplastica in dettaglio: «Un chirurgo esperto nella conoscenza della chirurgia deve incidere parzialmente un pezzo di carne viva dalla guancia di una persona, in modo che abbia uno dei lati attaccati alla sua sede originaria [la guancia]. Poi, nel punto in cui bisogna creare il lobo artificiale la parte va leggermente scarificata [con un coltello] e la carne viva, piena di sangue e recisa nel modo descritto sopra, va attaccata ad essa [così da somigliare nella forma ad un lobo naturale]». Più avanti, prescrive che la parte deve essere unta con miele e burro chiarificato, coperta con una benda di cotone o di lino, legata né troppo lenta né troppo stretta e cosparsa di polvere di terracotta. Egli fornisce istruzioni dettagliate sulle cure postoperatorie e per dare forma al nuovo lobo.
La malattia viene così definita da Súsruta: «L'uomo è il ricettacolo di ogni tipo di malattie e ciò che si rivela per lui fonte di tormento o di dolore è denominato malattia. Vi sono quattro tipi di malattia: traumatica o di origine estranea, corporea, mentale e naturale».
La malattia può essere spiegata anche come la conseguenza di una possessione demoniaca o di un peccato commesso in un'esistenza precedente (gli Indù credono nella trasmigrazione delle anime) e i sintomi indicano perdita, assenza, o sconvolgimento degli umori. Era infatti credenza comune che il corpo fosse costituito da sette elementi: linfa, sangue, carne, grasso, ossa, midollo e seme e che ciascuno di essi si trasformasse in quello successivo ogni cinque giorni.
Come osserva Keith: «La straordinaria analogia in parecchi punti tra i sistemi medici greco e indiano è nota da tempo. In entrambi ritroviamo la dottrina degli umori, il cui sconvolgimento spiega l'insorgere delle malattie, i tre stadi della febbre e altri disturbi corrispondenti».
Mentre i presagi, buoni e cattivi, erano considerati importanti dai medici indù, Súsruta fornisce indicazioni circostanziate sulla diagnosi, sostenendo che bisogna in particolare interrogare il paziente, esaminarlo utilizzando tutti e cinque i sensi e analizzarne le pulsazioni. L'assaggio dell'urina, per determinare la presenza del diabete in base al grado di dolcezza, era una pratica comune tra i medici indù già mille anni prima che gli Europei scoprissero questo metodo.
I medici indù erano anche dei buoni osservatori, in quanto determinavano la costituzione di una persona facendo dei paragoni tra le varie proporzioni del corpo, e arrivavano alla prognosi non solo attraverso i presagi ma anche in base alle caratteristiche del paziente. Nella Súsruta-samhiti
(4) la descrizione di un paziente morente che si aggrappa alle lenzuola è molto simile alla descrizione classica che si trova nella Prognostica di Ippocrate.
Gli scritti del celebre chirurgo indiano contengono anche eccellenti descrizioni della tubercolosi polmonare, delle malattie della pelle tra cui la lebbra, del diabete, delle malattie urinarie, dell'idropisia con riferimento alla cirrosi epatica e delle febbri. I dottori indù conoscevano l'epilessia e altri disturbi convulsivi, il tetano, l'emiplegia, l'elefantiasi, gli ascessi, l'osteomielite e la febbre puerperale; conoscevano la scrofola e il gozzo, e ci hanno lasciato anche descrizioni di malattie veneree. Súsruta cita in tutto non meno di 1120 malattie.
Nella medicina indù le terapie comprendevano sempre preghiere e incantesimi. Si ricorreva a procedimenti di 'purificazione' con sostanze catartiche, emetiche e flebotomie; ma si era al tempo stesso consapevoli dei pericoli che tali pratiche comportavano. Anche la dieta era considerata importante, e Súsruta sembra avvicinarsi molto ai moderni concetti nutrizionali quando afferma: «Le piante vanno considerate come contenenti le virtù della terra nella quale crescono».
Vari farmaci derivati dal regno vegetale, animale e minerale erano largamente impiegati. Súsruta cita nonmeno di 760 farmaci vegetali; Charaka circa 500, ma gli Indù avevano anche un'approfondita conoscenza dei veleni ed erano specialisti nella cura dei morsi di serpente.
Nei testi medici indù non viene mai menzionato alcun anestetico generale, per cui si può dedurre che a quel tempo non ne conoscessero; Súsruta tuttavia raccomanda chiaramente che «prima di un operazione venga usato il vino, per provocare insensibilità al dolore dell'operazione». In epoca molto antica, gli Indù inalavano come anestetico i fumi della canapa indiana (cannabis) mentre bruciava.
Súsruta descrive chiaramente il raffreddore da fieno con questa frase: «A volte i pollini di fiori o di erbe velenose, trascinati dai venti, invadono una città o un villaggio e causano una sorta di epidemia di tosse, asma, catarro o febbre, la quale non dipende dalle peculiarità costituzionali o dagli umori corporei perturbati».
Nel suo commento alla versione inglese di Kashikar dell'Indische Medizin del dott. Julius Jolly, J. Filliozat afferma: «La medicina indiana ha svolto in Asia lo stesso ruolo che la medicina greca ha svolto in Occidente: si è diffusa in Indocina, in Indonesia, in Tibet, in Asia centrale e perfino in Giappone, esattamente come la medicina greca si è diffusa in Europa e nei paesi arabi [...]. L'importanza della medicina indiana era stata capita dai Greci già i tempi di Alessandro [331 a.C.]».
Tuttavia, a causa della continua connessione con la teologia, la medicina indù ebbe la tendenza a rimanere statica; a differenza della medicina greca, che ebbe una maggiore influenza a livello mondiale perché i Greci la elaborarono utilizzando un approccio completamente laico alla nuova scienza. Per concludere, si può affermare che, dato che le samhitàs di Charaka e di Súsruta furono tradotte in persiano e in arabo nell'800 d.C. e, dato che la medicina araba rappresentò la principale autorità in Europa fino al XVII secolo, indubbiamente le idee indiane penetrarono indirettamente nella moderna medicina occidentale. In ogni caso è certo che ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali, i medici inglesi appresero l'arte della rinoplastica dai chirurghi indiani.

 

NOTE

1 - Lasciava il cadavere in acqua corrente per 20 giorni affinché si disgregasse e ne aiutava il disfacimento soffregandolo con un mazzetto di crini.

2 - Interessanti sono alcune delle affermazioni di carattere generale; così ad esempio il detto: «colui che conosce un ramo solo della sua arte, somiglia ad un uccello con un'ala sola» meriterebbe forse di essere meditato dallo specialista moderno. Inoltre, i doveri del medico militare sono precisati nel brano citato da E. T. Withington (Medical History from the Earliest Times, 1894): «Quando il re muove con il suo esercito [...] conduca seco un medico esperto, il quale [...] sorvegli il cibo, l'acqua, il legno, i luoghi scelti per gli accampamenti. Se trova veleno, lo deve eliminare e salvare così l'esercito dalla morte e dalla distruzione. La sua tenda sarà vicina a quella del re e sopra vi sarà un vessillo, perché i malati, gli avvelenati e i feriti lo possano trovare presto».

3 - Dal più antico documento in sanscrito, il Rig Veda, possiamo desumere che, a quell'epoca (circa 1500 a.C.), erano così curate «Il medico prende una foglia che corrisponde alla grandezza del naso e collocata la foglia sulla fronte taglia un pezzo di pelle attaccata al viso da una parte. Dopo aver raschiato la superficie del naso, egli la copre con il pezzo di pelle, tenendola ferma con le bende; poi passa due tubi attraverso la pelle e versa su di essa sandalo fresco».


 

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