SUSRUTA, CHIRURGO DELL'ANTICA INDIA
|
L'ILLUSTRAZIONE
Súsruta, famoso chirurgo indiano,
è raffigurato nella casa di un nobile dell'antica India mentre sta
per iniziare un'operazione di otoplastica. Il paziente, drogato col
vino, viene tenuto fermo da amici e parenti, mentre il grande
chirurgo inizia a plasmare un lobo auricolare artificiale. Egli
userà un pezzo di carne prelevato dalla guancia del paziente, che
verrà attaccato a ciò che resta dell'organo mutilato, trattato con
polveri emostatiche e bendato. I dettagli su questo procedimento e
sugli strumenti chirurgici usati da Súsruta si trovano nella
Súsruta-sainhità un antico testo indiano di chirurgia. |
PREMESSA
Colui che conosce un solo ramo della sua arte, somiglia a un uccello con
un'ala sola.
Nessuna storia dell'antica medicina sarebbe completa, se mancassero
accenni alla pratica medica in Oriente e specialmente in India.
Tuttavia, le notizie in nostro possesso sulla medicina indù dei tempi
antichi sono lacunose e imprecise, soprattutto per la difficoltà di
distinguere, nei testi che ci sono pervenuti, la verità storica dalla
fantasia.
Gli antichi indù brillavano soprattutto nella chirurgia, campo nel quale
diedero il loro contributo più importante all'arte sanitaria, compiendo
imprese audaci e originali. Non è improbabile, per quanto difficile da
dimostrare, che alcune loro cognizioni derivassero dalla medicina greca,
ma vi è anche chi afferma che siano i greci a essere debitori agli indù.
Le metodiche chirurgiche venivano insegnate servendosi, per le
dimostrazioni, di fusti di piante vuoti, di foglie e di strani frutti,
simili a zucche; questo lavoro d'avanguardia nella chirurgia ci
sorprende tanto più in considerazione del fatto che le nozioni di
anatomia degli indù erano estremamente vaghe. Essi, infatti, non solo
credevano che i nervi e i vasi sanguigni partissero dall'ombelico, ma
anche su molti altri dati anatomici avevano opinioni distorte e
fantasiose. Tuttavia, trattavano le fratture con ferule di bambù ed
eseguivano molte operazioni, fra le quali il parto cesareo,
l'estirpazione dei tumori e la litotomia (la cui pratica è continuata
attraverso i secoli, tanto che essa veniva eseguita da chirurghi
indigeni fino a tempi recenti).
In India esistono ancora medici che seguono le prescrizioni dei testi
classici della medicina indù e che hanno conservato quanto c'era di
meglio in un'imponente letteratura religioso-scientifica, i cui primi
testi risalgono a circa 3500 anni fa.
La medicina indiana ha svolto in Asia lo stesso ruolo di centro di
irraggiamento che la medicina greca ha avuto in Occidente. Per quanto
riguarda la datazione, è indispensabile fare una premessa: nella storia
della medicina indù, le date sono incerte, ma lo sono in un modo del
tutto particolare, in quanto è il senso stesso del tempo a essere
aleatorio e quasi estraneo alla storia indiana. Basti pensare che uno
dei medici più celebri, Súsruta, viene datato indifferentemente 600 anni
prima o 600 anni dopo la nascita di Cristo. In realtà, egli visse
intorno al V secolo, mentre Charaka, altro famoso medico dell'antica
India, si situa al principio dell'era cristiana. Benché l'Atharva
Veda originale sia di data molto anteriore (700 a.C.) al tempo in
cui vissero questi due grandi medici indù, una parte di questo testo
viene loro attribuita.
Meritano attenzione soprattutto gli scritti di Súsruta, che riguardano un
gran numero di questioni: la malaria, che già si sapeva trasmessa dalle
zanzare; la peste, che scoppiava preannunciata da un'epidemia tra i
ratti; la tisi, che si manifestava con emottisi, tosse e febbre; e
infine il vaiolo, assai diffuso. La medicina indù conosceva una gran
quantità di farmaci: si parla di 760 piante medicinali. In particolare,
erano molto usate le medicazioni esterne, sotto forma di unguenti,
bagni, polveri per starnutire e inalazioni.
Súsruta fu comunque uno scienziato in un certo senso 'progressista',
praticò la necroscopia(1),
anche se con un metodo assai criticabile, stabilì i criteri di
classificazione delle malattie, descrisse 900 nervi, 700 vasi, 107 punti
vitali, 24 canali interni, 16 tendini e 500 muscoli. D'altra parte,
aveva su molte cose idee tanto vaghe da ammettere una gravidanza normale
di 12 mesi. Pose nell'ombelico la sede della vita e da esso, secondo
lui, «muoveva il pràna, che passava per il cuore, usciva dalla trachea,
beveva l'ambrosia celeste e rientrava dando benessere al corpo».
Súsruta è noto principalmente per la celebre Súsrutasamhità(«Raccolta di
Súsruta»), che ci è giunta non in originale, ma attraverso copie e
revisioni che hanno sicuramente comportato moltissimi emendamenti.
tuttavia, non è impossibile cogliere in controluce lo splendore
dell'originale del grande medico indù.
Dopo una parte introduttiva(2),
espressa in forma allegorica, Súsruta arriva subito ad alcuni consigli
molto pratici su come uno studente di medicina debba essere selezionato
e iniziato alla professione e sul giuramento che dovrà prestare (il
quale è molto somigliante al giuramento di Ippocrate). Inoltre vengono
esplicitamente enumerate le qualità che deve avere un medico che sta per
iniziare la pratica: regole di condotta personale e professionale
davvero molto vicine a quelle moderne. Súsruta, inoltre, esorta i suoi
studenti a esercitarsi continuamente e delinea vari modi di perfezionare
le proprie capacità prima di usare gli strumenti sui pazienti.
Anche se i medici indù consideravano importanti i presagi, buoni e
cattivi, e combattevano le malattie prevalentemente con incantesimi e
magia(3),
Súsruta dà parecchie direttive sulla diagnosi, raccomandando in
particolare di interrogare il paziente, di visitarlo utilizzando tutti e
cinque i sensi e di esaminarne le pulsazioni e di assaggiarne l'urina
per determinare l'eventuale presenza del diabete in base al grado di
dolcezza.
Oltre alla chirurgia, che ne costituisce la parte preponderante, nella
Sítsruta-sanghita- vengono trattati anche molti altri argomenti di
medicina generale, patologia, anatomia, ostetricia, biologia,
oftalmologia, igiene, psicologia e nozioni di quella che oggi si
chiamerebbe 'tecnica infermieristica'. Centinaia di malattie sono
descritte e classificate con grande accuratezza. In particolare, sono
descritti in modo eccellente la tubercolosi polmonare, varie malattie
della pelle (tra cui la lebbra), il diabete, le malattie urinarie,
l'idropsia (con riferimento alla cirrosi epatica) e vari tipi di febbre.
I dotti indù, inoltre, conoscevano l'epilessia e altri disturbi
convulsivi, il tetano, l'emiplegia, l'elefantiasi, gli ascessi,
l'osteomielite, la scrofola, il gozzo e hanno lasciato anche descrizioni
di malattie a trasmissione sessuale.
Súsruta, però, fu soprattutto un grande chirurgo. Egli raccomandava
chiaramente di usare il vino prima di un'operazione per provocare
insensibilità al dolore; in epoca molto antica, gli indù inalavano come
anestetico i fumi della canapa indiana (marijuana). Súsruta, inoltre,
descrisse più di cento strumenti chirurgici e divise la materia in
grande e piccola chirurgia: la prima comprendeva la laparotomia, le
suture dell'intestino, la paracentesi, la litotomia, l'asportazione
delle emorroidi, il taglio cesareo. Per suturare la ferita di
quest'ultimo Súsruta usò le teste delle formiche nere come graffe. La
grande chirurgia comprendeva solo la cataratta, intervento descritto
accuratamente da Vagbhata nell' Astranga, e la rinoplastica.
Quest'ultima operazione, molto richiesta a causa dei frequenti tagli di
nasi che punivano l'infedeltà coniugale nella società indù, veniva
effettuata con un metodo rimasto celebre per secoli e persino importato
in Occidente(4).
La foglia di un albero, tagliata nella giusta dimensione e forma,
fungeva da modello e un lembo di pelle, prelevato dalla guancia o dalla
fronte, e foggiato in modo da formare un naso, veniva cucito sul moncone
rimasto. Gli Indù furono dunque i pionieri della chirurgia plastica
moderna.
LA SCHEDA
Agli albori della civiltà, quell'antica terra chiamata India ha nutrito
l'uomo al suo seno: infatti, le aride sabbie del Sind, oggi parte del
Pakistan occidentale, hanno restituito agli archeologi i resti di una
civiltà che risale forse a 5000 o a 6000 anni fa, o forse anche di più.
Si tratta di popoli nelle cui città perfettamente organizzate si
trovavano case complete di bagni e pozzi, nonché dotate di elaborati
sistemi fognari. Alcuni studiosi ritengono che quest'antica popolazione,
che risale ad un'epoca contemporanea a quella dei primi Egizi e
Babilonesi, venne conquistata verso il 1600 a.C. dagli Ariani, che
provenivano dal Nord. Da essa, gli Ariani appresero parecchi usi e
costumi civili, e dalla loro mescolanza nacque la popolazione
Indo-Ariana. I conquistatori ariani portarono con loro un insieme di
dialetti appartenenti alla famiglia linguistica indoeuropea; uno di
questi dialetti, al quale più tardi venne dato il nome di sanscrito,
diventò un raffinato strumento di composizione letteraria e il veicolo
di trasmissione della civiltà indù attraverso i secoli.
L'insieme dei libri più antichi e più sacri degli Indù è nota come i
Veda, termine che letteralmente significa «conoscenza», ma,
considerato il fatto che quella religiosa era ritenuta la conoscenza per
eccellenza, la parola Veda va intesa in questa specifica
accezione. La parte più antica e più importante dei Veda è il
Rig Veda, che consiste in un complesso di inni di lode alle varie
divinità del vasto pantheon indù. Tra di essi vi sono alcuni inni
veramente notevoli per il loro carattere filosofico e speculativo. La
raccolta più recente e l'ultima a essere stata canonizzata, l'Atharva
Veda, consiste principalmente in varie formule magiche finalizzate a
tener lontani gli effetti delle malattie e le incursioni dei nemici.
Atharva Veda è il primo documento indiano nel quale compaiono degli
accenni ad argomenti di medicina, anche se essi presentano ancora un
certo carattere primitivo e sono profondamente intrisi di magia e
stregoneria.
Nel corso dei secoli, gli Indù modificarono e integrarono
considerevolmente le credenze primitive sulla medicina contenute nell'Atharva
Veda e giunsero ad applicare all'arte del curare la stessa
raffinatezza intellettuale e la stessa indagine approfondita che
caratterizzano i molti altri rami tecnici della cultura indiana. Il
corpo letterario che si è gradualmente accumulato nel settore della
medicina viene chiamato Ayur Veda, letteralmente «scienza della
vita». I più importanti manuali medici raggruppati sotto il nome
generico di Ayur Veda sono: il Charaka-sanihità, o
«Compendio di Charaka», e il Súsrutasani o «Raccolta di Súsruta».
Tra i vari insigni esponenti della medicina indù, SuEruta spicca in modo
particolare. Sfortunatamente, le date della vita di Súsruta, come quelle
di tanti altri personaggi della lunga storia indiana, non si possono
stabilire con certezza. Dato che il suo nome viene menzionato dal famoso
medico arabo Ràzi, come pure nei resoconti del pellegrino buddista
cinese
I-tsing, e dato che egli è una delle autorità mediche citate nel
famoso Manoscritto di Bower (350 d.C. circa) ritrovato nel Turkestan
cinese nel 1890, non c'è dubbio che Súsruta visse prima del IV secolo
d.C. Naturalmente questo è il periodo più tardo che gli si può
attribuire; alcuni autori lo collocano invece in un periodo molto
precedente, addirittura prima del 400 a.C., quindi su questo punto i
pareri sono molto discordi.
La fama di Súsruta deriva per la maggior parte dalla celebre raccolta
conosciuta in sanscrito con il nome di Súsruta-samhità. Sebbene
tale opera sia dedicata principalmente alla chirurgia, comprende anche
argomenti di medicina, patologia, anatomia, ostetricia, biologia,
oftalmologia e igiene; essa rivela altresì una profonda conoscenza e
comprensione della psicologia relativamente a quello che oggi definiamo
'comportamento empatico' verso il malato. Súsruta cercò di annotare in
maniera sistematica le esperienze dei medici più anziani e di
raccogliere in una serie di lezioni o manoscritti episodi sparsi che
riguardavano la medicina.
L'accuratezza delle descrizioni e delle classificazioni delle malattie
fatte da Súsruta è veramente notevole e in gran parte del suo compendio
è possibile rilevare un certo spirito moderno. Naturalmente il
manoscritto originale autografo della Súsruta-samità, non è
sopravvissuto fino ad oggi e ne rimangono solo copie di copie, e
revisioni di revisioni, per cui l'opera originaria di Súsruta è
offuscata da secoli di emendamenti, integrazioni e alterazioni varie.
Tuttavia, attraverso le incrostazioni dei concetti posteriori, lo
splendore originale di Súsruta riesce ancora ad emanare la sua luce.
Súsruta comincia la sua Samhità con una descrizione allegorica
degli albori dell'insegnamento medico, ma arriva subito ad alcuni
consigli molto pratici su come uno studente di medicina debba essere
selezionato e iniziato alla professione, nonché sul giuramento che dovrà
prestare (che è sorprendentemente molto simile al giuramento di
Ippocrate). Inoltre, enumera esplicitamente le qualifiche che deve avere
un medico che sta per iniziare la pratica, e regole di condotta
personale e professionale che sono straordinariamente analoghe a quelle
moderne. Súsruta, inoltre, esorta i suoi studenti ad esercitarsi
continuamente e delinea vari modi per perfezionare le proprie capacità
prima di usare gli strumenti sui pazienti.
Nella società indù, come in molte altre antiche società ad essa
contemporanee, la punizione per chi commetteva azioni illecite prendeva
spesso la forma di una mutilazione fisica (il taglio del naso, ad
esempio, era la punizione per chi commetteva adulterio). Tali
mutilazioni giudiziarie si possono forse considerare la causa principale
dell'introduzione di interventi di chirurgia plastica finalizzati a
riparare orecchie o nasi sfigurati. Súsruta descrive l'otoplastica in
dettaglio: «Un chirurgo esperto nella conoscenza della chirurgia deve
incidere parzialmente un pezzo di carne viva dalla guancia di una
persona, in modo che abbia uno dei lati attaccati alla sua sede
originaria [la guancia]. Poi, nel punto in cui bisogna creare il lobo
artificiale la parte va leggermente scarificata [con un coltello] e la
carne viva, piena di sangue e recisa nel modo descritto sopra, va
attaccata ad essa [così da somigliare nella forma ad un lobo naturale]».
Più avanti, prescrive che la parte deve essere unta con miele e burro
chiarificato, coperta con una benda di cotone o di lino, legata né
troppo lenta né troppo stretta e cosparsa di polvere di terracotta. Egli
fornisce istruzioni dettagliate sulle cure postoperatorie e per dare
forma al nuovo lobo.
La malattia viene così definita da Súsruta: «L'uomo è il ricettacolo di
ogni tipo di malattie e ciò che si rivela per lui fonte di tormento o di
dolore è denominato malattia. Vi sono quattro tipi di malattia:
traumatica o di origine estranea, corporea, mentale e naturale».
La malattia può essere spiegata anche come la conseguenza di una
possessione demoniaca o di un peccato commesso in un'esistenza
precedente (gli Indù credono nella trasmigrazione delle anime) e i
sintomi indicano perdita, assenza, o sconvolgimento degli umori. Era
infatti credenza comune che il corpo fosse costituito da sette elementi:
linfa, sangue, carne, grasso, ossa, midollo e seme e che ciascuno di
essi si trasformasse in quello successivo ogni cinque giorni.
Come osserva Keith: «La straordinaria analogia in parecchi punti tra i
sistemi medici greco e indiano è nota da tempo. In entrambi ritroviamo
la dottrina degli umori, il cui sconvolgimento spiega l'insorgere delle
malattie, i tre stadi della febbre e altri disturbi corrispondenti».
Mentre i presagi, buoni e cattivi, erano considerati importanti dai medici
indù, Súsruta fornisce indicazioni circostanziate sulla diagnosi,
sostenendo che bisogna in particolare interrogare il paziente,
esaminarlo utilizzando tutti e cinque i sensi e analizzarne le
pulsazioni. L'assaggio dell'urina, per determinare la presenza del
diabete in base al grado di dolcezza, era una pratica comune tra i
medici indù già mille anni prima che gli Europei scoprissero questo
metodo.
I medici indù erano anche dei buoni osservatori, in quanto determinavano
la costituzione di una persona facendo dei paragoni tra le varie
proporzioni del corpo, e arrivavano alla prognosi non solo attraverso i
presagi ma anche in base alle caratteristiche del paziente. Nella
Súsruta-samhiti(4)
la descrizione di un paziente morente che si aggrappa alle lenzuola è
molto simile alla descrizione classica che si trova nella Prognostica di
Ippocrate.
Gli scritti del celebre chirurgo indiano contengono anche eccellenti
descrizioni della tubercolosi polmonare, delle malattie della pelle tra
cui la lebbra, del diabete, delle malattie urinarie, dell'idropisia con
riferimento alla cirrosi epatica e delle febbri. I dottori indù
conoscevano l'epilessia e altri disturbi convulsivi, il tetano,
l'emiplegia, l'elefantiasi, gli ascessi, l'osteomielite e la febbre
puerperale; conoscevano la scrofola e il gozzo, e ci hanno lasciato
anche descrizioni di malattie veneree. Súsruta cita in tutto non meno di
1120 malattie.
Nella medicina indù le terapie comprendevano sempre preghiere e
incantesimi. Si ricorreva a procedimenti di 'purificazione' con sostanze
catartiche, emetiche e flebotomie; ma si era al tempo stesso consapevoli
dei pericoli che tali pratiche comportavano. Anche la dieta era
considerata importante, e Súsruta sembra avvicinarsi molto ai moderni
concetti nutrizionali quando afferma: «Le piante vanno considerate come
contenenti le virtù della terra nella quale crescono».
Vari farmaci derivati dal regno vegetale, animale e minerale erano
largamente impiegati. Súsruta cita nonmeno di 760 farmaci vegetali;
Charaka circa 500, ma gli Indù avevano anche un'approfondita conoscenza
dei veleni ed erano specialisti nella cura dei morsi di serpente.
Nei testi medici indù non viene mai menzionato alcun anestetico generale,
per cui si può dedurre che a quel tempo non ne conoscessero; Súsruta
tuttavia raccomanda chiaramente che «prima di un operazione venga usato
il vino, per provocare insensibilità al dolore dell'operazione». In
epoca molto antica, gli Indù inalavano come anestetico i fumi della
canapa indiana (cannabis) mentre bruciava.
Súsruta descrive chiaramente il raffreddore da fieno con questa frase: «A
volte i pollini di fiori o di erbe velenose, trascinati dai venti,
invadono una città o un villaggio e causano una sorta di epidemia di
tosse, asma, catarro o febbre, la quale non dipende dalle peculiarità
costituzionali o dagli umori corporei perturbati».
Nel suo commento alla versione inglese di Kashikar dell'Indische Medizin
del dott. Julius Jolly, J. Filliozat afferma: «La medicina indiana ha
svolto in Asia lo stesso ruolo che la medicina greca ha svolto in
Occidente: si è diffusa in Indocina, in Indonesia, in Tibet, in Asia
centrale e perfino in Giappone, esattamente come la medicina greca si è
diffusa in Europa e nei paesi arabi [...]. L'importanza della medicina
indiana era stata capita dai Greci già i tempi di Alessandro [331
a.C.]».
Tuttavia, a causa della continua connessione con la teologia, la medicina
indù ebbe la tendenza a rimanere statica; a differenza della medicina
greca, che ebbe una maggiore influenza a livello mondiale perché i Greci
la elaborarono utilizzando un approccio completamente laico alla nuova
scienza. Per concludere, si può affermare che, dato che le samhitàs di
Charaka e di Súsruta furono tradotte in persiano e in arabo nell'800
d.C. e, dato che la medicina araba rappresentò la principale autorità in
Europa fino al XVII secolo, indubbiamente le idee indiane penetrarono
indirettamente nella moderna medicina occidentale. In ogni caso è certo
che ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali, i medici inglesi
appresero l'arte della rinoplastica dai chirurghi indiani.
NOTE
1 -
Lasciava il cadavere in acqua corrente per 20 giorni affinché si
disgregasse e ne aiutava il disfacimento soffregandolo con un mazzetto
di crini.
2 -
Interessanti sono alcune delle affermazioni di carattere generale; così
ad esempio il detto: «colui che conosce un ramo solo della sua arte,
somiglia ad un uccello con un'ala sola» meriterebbe forse di essere
meditato dallo specialista moderno. Inoltre, i doveri del medico
militare sono precisati nel brano citato da E. T. Withington (Medical
History from the Earliest Times, 1894): «Quando il re muove con il suo
esercito [...] conduca seco un medico esperto, il quale [...] sorvegli
il cibo, l'acqua, il legno, i luoghi scelti per gli accampamenti. Se
trova veleno, lo deve eliminare e salvare così l'esercito dalla morte e
dalla distruzione. La sua tenda sarà vicina a quella del re e sopra vi
sarà un vessillo, perché i malati, gli avvelenati e i feriti lo possano
trovare presto».
3 -
Dal più antico documento in sanscrito, il Rig Veda, possiamo desumere
che, a quell'epoca (circa 1500 a.C.), erano così curate «Il medico
prende una foglia che corrisponde alla grandezza del naso e collocata la
foglia sulla fronte taglia un pezzo di pelle attaccata al viso da una
parte. Dopo aver raschiato la superficie del naso, egli la copre con il
pezzo di pelle, tenendola ferma con le bende; poi passa due tubi
attraverso la pelle e versa su di essa sandalo fresco».
"La Medicina nell'Antico Egitto"
SEGUE >>
|