Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Giovanni Caserta

 

da: "Dopo Sinisgalli e Scotellaro" pag. 386

in: "Storia della letteratura Lucana"

 

Un po' diversa è la posizione di Pasquale Totaro-Ziella, nato a Senise nel 1950, insegnante di lettere nel suo paese e autore di non poche raccolte poetiche, quali Solamente questo paese (Moliterno, Porfidio, 1976), A canne a pietre a posti fatati Lagonegro, Zaccara, 1979), Autocritica di un uomo (Catanzaro, Istituto Editoriale Universale, 1981), Corale accorato corale (Catan­zaro, Carello, 1981), Clena (Francavilla sul Sinni, Capuano Ed., 1984). Aveva cominciato con liriche dedicate al suo paese e al mondo lucano, attingendo note di malinconia assorta e ampia. Nelle ultime raccolte, però, si è allontanato dai temi sociali e tipicamente lucani, per cantare la sua solitudine e la sua angoscia; non rinuncia tuttavia alla sua volontà di comunicare, per quanto difficile ciò possa essere, quando si parte da una confessata professione di incomunicabilità. Il suo sperimentalismo, perciò. si traduce in un uso libero di registri linguistici diversi, sicché, come ha scritto Antonio Lotierzo, in lui è possibile trovare «ora registri... scotellariani ora una misura pavesiana, comunque più ampia e fluente». Su Pasquale Totaro-Ziella incide certamente la sua costante permanenza nel paese e il contatto diretto con un mondo che, a Senise, è ancora in gran parte contadino.

 

Giovanni Caserta     

 

 

Pasquale Totaro-Ziella e la poesia della terra

 

Tra Pasquale Totaro-Ziella e Senise c’è un rapporto ombellicale, che porta ad una sorta di identificazione. Senise, anzi, non è il paese con le sue tradizioni, i suoi costumi, i volti dei suoi uomini e delle sue donne. E’, invece, qualcosa di più e di più profondo: è l’aria, il clima, la terra, anzi il respiro e l’anima di questa. Di qui il carattere di coralità, quale si poteva rintracciare negli antichi rapsodi, poi cantambanchi, poi poeti latino-americani e cantastorie popolari che, fino a qualche tempo fa, circolavano per i paesi meridionali, durante le fiere e le feste. La poesia, insomma, tende a farsi canto. Perché questo possa verificarsi, bisogna che l’orecchio sia abituato alle nenie, ma anche alla fabulosità leggendaria che è propria dei racconti popolari. E Totaro-Ziella si porta nell’orecchio il suono della voce dei narratori che, nella sua infanzia, gli raccontarono storie della sua terra. Di qui il tono evocativo, spesso in prima persona plurale, che è un ripercorrere, in chiave epico-elagiaco, lontani ricordi. Si legga il volume A canne a pietre a posti fatati, che, già nel titolo, dà il senso del mitico, cioé del fatato, legato ad angoli piante luoghi del proprio paese. Proprio ricercando il timbro della cantilena popolare, Pasquale Totaro-Ziella fa spesso ricorso alla ripetizione. Nella raccolta appena citata, come in un lungo carmen continuum, molte delle liriche cominciano con uno stesso lungo verso, che può portare e porta in l’eco della poesia-racconto di Pavese, ma anche del verso di traduzione che fu del Quasimodo neorealista: “Come posso scordare la mia fanciullezza ”.

Come si vede dalla parola “scordare”, una simile poesia, così poco ermetica e così poco affidata al frammento, anche se sempre sovraccarica di elementi simbolici, proprio come accade nella letteratura popolare, non può non far ricorso alla parola mutuata dal parlar quotidiano. Questo può essere spiegato dal fatto che Pasquale Totaro-Ziella, stanti la solitudine e l’isolamento del suo paese, obiettivamente tagliato fuori dai grandi collegamenti con la città e con i posti che contano, sa che non gli rimane, come alternativa alla fuga e alla emigrazione, se non il rapporto profondo ed empatico col paese stesso. E si spiegano così anche le sue contemporanee incursioni nel campo della saggistica, cui appartengono, in particolare, gli studi su Nicola Sole, poeta senisese dell’Ottocento, anche lui sensibile ai ritmi della poesia popolare, al punto da scrivere e pubblicare una sua Arpa lucana.

Né mancano, nell’attività intellettuale di Pasquale Totaro-Ziella interventi critici sull’arte pittorica, prevalentemente orientata verso il figurativo. Qui può essere la spiegazione di una lunga e affettuosa consuetudine con il pittore Luigi Guerricchio, interprete anche lui dell’anima lucana attraverso i colori. Proprio a Guerricchio, anzi, Pasquale Totaro-Ziella ha dedicato quella che, forse, è l’ultima sua composizione poetica, vero e proprio canto andaluso o lamento. Canto per Luigi è, appunto, il titolo di questa lunga lirica, “familiarefin nel titolo, che ripercorre alcune tappe ideali, ma anche geografiche, che Luigi Guerricchio, negli ultimi anni, andò componendo da rapsodo egli pure, alla ricerca di un religioso e definitivo oblio nella sua terra, quasi a volersi annullare in essa e sopravvivere con essa. Esplicito appare il richiamo a Garcia Lorca. Come un “refrain”, infatti, per dodici volte ricorre la strofa “Alle dieci della sera per amore/alle dieci della sera distratto ti sei scordato di noi /alle dieci della sera ti sei ammentato un’amnesia/alle dieci della sera beffardo ti sei scordato di vivere/alle dieci della sera alla sprovvista sei andato via”.

Non è meraviglia che, dopo queste promesse di poetica, ma anche sociali ed etiche, Pasquale Totaro-Ziella si sia cimentato, alla fine, con racconti che ritraggono aspetti e ambienti della sua terra. Il meglio, in tal senso, l’ha dato nella rievocazione-rinfacimento delcuntoGatta Mirascka, sentito tante volte raccontare attraverso la bocca di zio Francesco. Ela storia di una gatta che, cacciata di casa dalla sua padrona, fa lega con una volpe. Insieme decidono di allevare un agnello. Presto, però, sperimentando quanto sia difficile salvaguardare la loro proprietàdalle aggressioni dei nemici, saggiamente, con una saggezza tutta meridionale che non vuol rischiare, decidono di vendere l’agnello e dividersi il denaro ricavato. Così ebbero modo di vivere felici e contente.

Il racconto si sviluppa in un lessico largamente derivato dal dialetto; ma ben più interessante è il ritmo narrativo complessivo, che, ricorrendo agli anacoluti, alle ripetizioni, alle formule e stilemi tipici del narrar popolare, riproduce quel che di altalenante è in esso, e che è anche malinconia, fatalismo e rassegnazione. Ed è rassegnazione soprattutto all’individualismo, che ha reso impossibile una vita di cooperazione e, quindi, di sviluppo nel Sud. Gatta Mirascka è un essere inaffidabile. Il suo nome allude, appunto, alla sua abitudine di graffiare, anche a tradimento, persino la propria padrona, che è anche la sua benefattrice. “Una volta - comincia infatti il racconto - c’era una signora che aveva una bella gatta chiamata Mirascka e la teneva tanto custodita, c'era tanto affezionata e la teneva tanto cara, ma tanto cara che era più cara della vista degli occhi …”. Ciò non basta perché la gatta, trovatasi di fronte all’arrosto preparato dalla signora per il signore, decida di farsene proprio cibo. Infatti, “arrivata al focolare …, sopra la gratiglia, catatruppete e catatrappete, catatruppete catatrappete, così così, catatruppete catatrappete, e, per farla breve, la carne, l’ha mangiata in un boccone, tutta quanta in un boccone, in un boccone solo, l’ha ingoiata sana sana …”.

E con chi può far società una simile gatta, se non, come nel Pinocchio, con la volpe? E la società si rompe, seguendo la legge dell’utile immediato, che è egoismo e opportunismo. Di qui il tono triste e amaro del racconto, che - riteniamo - é tra le prove più felici di Pasquale Totaro-Ziella, perché è quella in cui meglio si è trasfuso il sentimento per la sua terra e della sua terra, con la quale il racconto ansima e si rode.

 

Giovanni Caserta       

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