Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Antonio Lotierzo

 

 

dalla Prefazione a: "Solamente questo paese"

 

"Il descrittivismo elegiaco e la favola gridata di Totaro-Ziella"

 

 

Si potrebbe dire anche neorealismo, se non fosse per queste scomposizioni chagalliane, questo descrittivismo armonico, che si gioca tutto fra il respiro del penoso e lusinghiero reale e la musicalità ridondante dei versi saponosi. Somiglianze, e forse anche derivazioni, con Sinisgalli, Scotellaro e Pierro accrescono la beltà di questa fanciullezza di sogno, del paesaggio arso e sconfortante di Senise ottobrina e no, delle visioni ora immaginifiche ora di impegno civile, forse troppo gridato.

Lo sfaldarsi concreto dei nostri paesi, il crollo come categoria ideale dell'anima lucana, fondata su sgretolantisi verità e di continuo alla ricerca di nuovi equilibri interiori e l'amore, autunnale e desertico, carenza bisogno innocenza e tormento, costituiscono i temi d'un poetare solitario che cerca gli altri per comunicarsi «in un rigo di sangue».

Il legame col circostante è tutto emotivo , più incerto il rapporto sociale, più netto quello con la natura o il paese («Via Madonna di Viggiano» è già un pezzo da antologia). Nessuna sperimentazione stilistica, la versificazione si tesse d'immagini senza tempo (qui l'aria è ferma, unica dimensione è non l'eterno tanto reclamato ma l'atemporalità della favola che si piega ad elegia, quando la storia non assume precise connotazioni di classe ma si sfuma in suggestioni di tenera nostalgia e struggente sospensione).

L'orizzonte, anche intellettuale, in cui ci si muove è periferico, provinciale. La poesia vi assume il segno di un'esperienza totale, in cui si riassorbono e da cui partono le contraddizioni dell'esistere umano.

Tuttavia il disagio e la perplessità nascono dalla fatalità, remota enigmatica se non anche nascosta, che non riesce a farsi razionale accettazione e provocazione della realtà storica in cui siamo immersi e da cui siamo come agìti. Le lettere scritte per l'uomo testimoniano il differimento collettivo dell'azione, dove l'intellettuale demotico oltre ad impersonare la crisi la subisce da succube in prima persona. E tuttavia amiamo questi versi che ci riportano l'aria ed il suono di cose profondamente radicate dentro il nostro essere.

 

Antonio Lotierzo      

 

 

 

da: "Sequenze della poesia lucana del Novecento"

in: "La svolta della rivolta" pag. 20- 23

in: "La poesia in Basilicata" pag. 85-87

 

Pasquale Totaro-Ziella è un poeta degli anni Settanta, fa parte d'una generazione diversa rispetto a quella di Sinisgalli, Scotellaro e Pierro.

Sia in "Solamente questo paese" che in "A canne a pietre a posti fatati" la tendenza affabulatoria e la ripresa d'un discorso memoriale caratterizzano Totaro-Ziella, a cui i versi si allungano in mano come le favole ad un cantastorie o ad un anziano in cantina fra gli amici. Totaro-Ziella è il poeta di Senise, la patria di Nicola Sole, che un secolo dopo ci dà queste storie di un poeta-ragazzo (sempre polivalente ed ambiguo) che ritorna a visitare i luoghi della sua fanciullezza, eternandoli in maniera proustiana.

 

I

 

Come posso scordare la mia fanciullezza

con i miei compagni gridavamo alla strada

al naso correva quel maledetto muco a giornate

battevamo a linguate la mosca alla bocca

al braccio pulivamo il labbro lucente a chiocciola.

Appostavamo a vita coperti il sole alle vergogne

ai piedi nudi misuravamo le crepe ai mattoni.

Incollavamo alle facce affiatate le fughe al sudore

alle canne cavalcavamo il nitrito al galoppo

contavamo ai segni del morso il tempo al polso.

A rioni a cannate facevamo le battaglie a sassate

festeggiavamo la vittoria assanguata a Rotalupo

alla terra rivoltata schiantavamo la danza agli ulivi

passavamo alle ortiche i prigionieri allo scherno

alla malva cotta sanavamo le ferite all'orina.

Pestavamo a gioco continuo i lavinari alla pioggia

al rosolaccio alitavamo il cuore alla fronte

scoppiavamo al petalo rosso la mano chiusa al velo.

Alle bocche sfamavamo pane tondo e olio a fette

e apposta il vento a richiamo pensava al sale.

 

Le danze, i rami, i giochi, i luoghi, nella ritrovata civiltà contadina delle stradine senisesi, con le grandi vecchie nere a sorvegliare la socializzazione dell'infanzia nei vicoli appesi e di bianca terra e polvere riarsa. Questo noi corale si sposa al dativo continuo del dialetto ed in quindici sezioni dà spazio al moralismo di Totaro-Ziella, magnifico conservatore che riporta a galla il rimosso ed il dimenticato, dando colore e vita a Senise.

 

IV

 

Come posso scordare la mia fanciullezza

con i miei compagni scaldavamo ai sacconi fruscianti

al mattone bollente i geloni chiatrati alla lana avvolta.

Adoravamo alle tombe la menta ai passeri morti

alla bocca tornivamo la pannocchia cotta al torso

inventavamo al gambo gli elefanti bianchi alle melanzane

agli occhi della fava morsicavamo gli anelli al dito

impastavamo ai mostri d'animali la creta al sole cocente

a strisce avvitate scorticavamo i salici rossi ai temperini

intagliavamo a ruote dentate i rocchetti sfilati ai carretti.

Alla calza felpata vuotavamo l'arancia alla befana

seguivamo ai fichi aperti i confetti forti alla mandorla

e a me portava il ricino mia madre al naso chiuso.

Saltavamo ai mottetti mascherati le verghe alle porte

alla mano bagnata intonavamo le salsicce alla cannuccia.

Chiudevamo ai lanci spezzati il gioco sfegatato alla mira

al tiro bipunte centravamo la mazza al cerchio puntato

fissavamo al braccio teso le distanze contate ai passi scartati.

A salvapunte inchiodavamo le prime scarpe e a salvatacchi

succhiavamo ai polsi incisi i giuramenti segreti al sangue.

 

Una straordinaria attenzione ai dati del comportamento sociale, immersi in un codice intrisi di meraviglia e di stimoli ad osservare il reale con ampia puntualità. Totaro-Ziella dà voce all'irrequietezza del passaggio che solo ad un occhio distratto può sembrare calmo in queste valli dove sinuoso si muove il Serrapotamo o dove giace immobile la diga di Senise. Le feste, la religione popolare (ballavamo con i ceri per la Madonna di Viggiano), la distruzione delle nidiate, le danze indiavolate delle tarantole, le fiere, i giochi con i cerchioni, la caccia alle rane ed alle lucciole, gli scherzi con i folletti, il sarto ubriaco e la piazza quadrata, le canne, la trottola ed il fumo con la paglia sono le tessere magiche di un passato che Totaro-Ziella riesce a fare rivivere con impressionante capacità di trascrizione in versi che ricordano gli americani o Pavese, ma che sono affannati, gonfi, affastellanti vita e morte, come un torrente lucano in piena invernale.

La poesia di Totaro-Ziella è andata crescendo d'intensità simbolica, come nodosi rami diversificati, con "Autocritica di un uomo" (1981), con "Corale accorato corale" (1981), con due saggi su Nicola Sole e con "Clena" (1994), dedicata alla moglie e alla figlioletta.

Di intimismo e idillio amoroso parla Tito Spinelli a proposito di "Clena", in cui l'andamento è sempre più ossessivo e tambureggiante, vocativo e ripetitivo, cerchi e nastri intessuti intorno alla sposa, una poesia della gravidanza, dell'attesa della paternità, vissuta con sintomatica passione e intrecciata peso angoscioso della carne e apre una nuova moralità epicurea, che fa filtrare nuovi comportamenti in un Sud troppo caricato di dolore, morte e pietà.

Autenticamente innovativa è l'apertura ulteriore che Totaro-Ziella è riuscito a conferire alla sua poesia con "I piantatori di pesce", poesia apparsa sulla rivista fiorentina Stazione di posta (n.2, nov. 1984), lungo scavo etico-sociale sui gravi problemi umani di Senise dopo la costruzione della diga.

I contadini vedono "annegare" le terre dei padri, una storia violenta (più feroce dell'argilla assassina) si rovescia sul comprensorio e l'ironia amara sa far vedere le nuove coltivazioni possibili, non più le famose verdure senisesi ma i fatidici pesci di Senise, mentre s'avverte d'essere collettivamente sempre più schiacciati, "schiantati", succubi d'una volontà di morte. Qui il dialetto si mescola con la lingua in un pasticcio che lascia emergere, per analogia linguistica, il traviamento del potere, la rabbia per l'impotenza, l'ingiustizia per l'ultimo e letale sopruso che la comunità senisese subisce senza risarcimenti reali, che non siano quelli della sottomessa mediazione del potere politico. Un dialogo fra Rocco ed il poeta (o altro contadino) illustra la nuova situazione, in cui la meditazione politica si fa riflessione metafisica sulla tragicità della condizione delle aree interne del Sud. Un poemetto che spazia in orizzontale ma che contiene non pochi nuclei scavanti una realtà inutilmente contrastata e carica di significato storico più in generale.

 

Antonio Lotierzo           

 

 

 

da: "Pasquale Totaro-Ziella" pag. 28-31

in "La parola e i frantumi" e in "La poesia in Basilicata"

 

Nato a Senise(PZ) nel 1950, Totaro-Ziella è una delle voci più originali e drammatiche della poesia meridionale: Mentre si laureava in lettere moderne a Bari, con una tesi su Nicola Sole, il poeta democratico risorgimentale, noto per «L'Arpa lucana» ed il «Salmo pel tremuoto in Lucania», senisese anch'egli e perciò illustre paesano del nostro, Totaro-Ziella pubblicò, nel 1976, «Solamente questo paese» (Porfidio R. ed., Moliterno, 1976).

Quasi ad accentuare, fin dal titolo, una sorta di provincialismo acuto. Sennonché con questi versi egli si colloca bene nel panorama dei libri stampati nella regione e presenta spunti e contraddizioni che svilupperà nel testo successivo. Le trentadue poesie che compongono «Solamente questo paese» non sono tutte omogeneamente valide, in alcune riaffiora il meridionalismo retorico e piagnone, in altre un vacuo sentimento d'amore e l'incapacità sia di denunziare che di superare le posizioni adolescenziali. E, tuttavia, qui v'è un nucleo di poesie importanti, il gruppo degli undici testi che dà il titolo all'intera raccolta e che preludono all'impegno futuro. L'originalità di Totaro-Ziella consiste nel sentimento d'amore con cui scopre e descrive il proprio paese, anzi gli offre, animalisticamente, un amore palpitante e lo riscopre freddo, pietrificato, lontano, immobile. Sarebbe interessante fornire una lettura psicoanalitica, giocata sul disvelamento del simbolo Paese-Madre-Terra. Il poeta resta, poi, sconfortato dal fatto che Senise ama solo il cielo e si confonde con gli uccelli per raggiungere il suo scopo.

 

Ottobre. Senise si sgretola

in queste giornate di noia

gli serpeggia dentro un sonno

che lo lascia senza pazienza

e senza tempo.

............

Questo paese si sfa lentamente

come le trecce che mia madre

scioglie lungamente allo specchio

nelle piccole albe al focolare.

(Solamente questo paese, pag. 39)

 

Leggiamo pure l'incontro del paese con il cielo:

 

(...) Ti sei incorato indimenticabilmente

con gli uccelli del cielo

mentre il sole li scaraventa

ombrosi sulle pietre delle strade.

 

T'ho sorpreso in amore con il cielo

che dicevi solo barbare parole.

(In amore col cielo pag. 44)

 

E, più avanti, si dice che forse è lo stesso paese a disamorarsi, a non amare se stesso:

 

O disperato paese

mi passi sotto cieli ardenti

come un mostro roccioso

e t'annoi inerme alla consumazione.

 

E forse tu non ti ami

paese soltanto pietrificato.

(E forse tu non ti ami, pag. 47)

 

Ma dopo tanto richiedere e non incontrare amore nel paese Totaro-Ziella scopre l'orrenda realtà: con la fine della civiltà contadina, di cui non parla, ecco la nuova realtà: i rapporti sociali nel paese sono mutati, l'incomunicabilità e l'insensibilità, che credevamo valori societari, occupano la comunità lucana, la disgregazione ha prodotto questo male orribile.

Ecco: «muri che crollano per scoperchiare/ i morti che non si amano» (pag. 43). E perciò:

 

Mi resti incomprensibile

paese solamente amato.

(Mi duole chiamarti sereno, pag. 43)

 

E, classicamente, scrive il poeta, citando il fiume limitrofo:

 

e tu dio Seràpo amaramente ti accorgi

della nostra incomunicabilità.

(Colloquio, pag. 42)

 

L'incomunicabilità manifesta e sottende altre categorie spirituali: franamento e la pietrificazione fredda del tutto, umano-naturale. L'«amaro Senise» pullula di uomini che non si amano e non vivificano il paese. Da questa «desolazione instancabile» nasce la liquefazione geografica di quest'area, che scivola, si sgretola, si sfibra, si rende pietrosa. Nessun poeta lucano ha descritto, ad eccezione di Albino Pierro, con altrettanta tenacia e capacità, questa condizione archetipica ed ontologica di carenza dell'Essere(-Paese), questa metafisica nostalgia delle origini (intrauterine), accoppiata con la maturità intesa come lacerazione, come perdita dell'innocenza infantile, come rottura dell'affettività delle radici corali.

In questa poetica confluiscono stilemi ermetico-concettuali, con qualche eco da Sinisgalli e Quasimodo, da Scotellaro e Pavese, temi sempre non completamente fusi.

Ben più solido spessore e più profonda incisività e capacità di penetrazione acquista il dire di Totaro-Ziella in «A canne a pietre a posti fatati» del dicembre 1979 (Tip. Zaccara, Lagonegro), poesie a cura di Ida Panzardi La Colla, che così riassume la tematica: «E' la storia di un ragazzo-uomo, il poeta, che non riesce a «scordare» e ritorna nei luoghi felici della sua fanciullezza alla ricerca di qualcosa che il mondo degli adulti non sa dargli» (pag. 7). Questo poemetto in quindici quadri, segna, tematicamente e non programmaticamente, l'inizio della poetica (spesso irrazionale) della «parola innamorata» (portata avanti in Italia da M. De Angelis, E. Di Mauro, etc.) in Basilicata ed è un'ottima partenza. I quindici testi iniziano tutti con un retorico «Come posso scordare la mia fanciullezza» e vanno oltre, alla ricerca dell'inizio/stato nascente della vita, ritraendo la realtà infantile con una buona capacità di narrazione, splendide immagini, dinamicità nell'uso sapiente del dialetto (un vero e proprio tesoro terminologico) ed una esplosiva ricerca sulla creatività infantile dei suoi compagni. Con tono affabulativo, Totaro-Ziella ci guida nei luoghi magici della civiltà contadina, vista attraverso la lente della favolizzazione infantile, teorizzata come l'eden che s'oppone all'attuale noia, apatia (della maturità-storia). Ecco il testo n. XIII:

 

Come posso scordare la mia fanciullezza

con i miei compagni andavamo a pietre e a posti fatati.

Alle volantine sputate davamo il rimbalzo al taglio

sfidavamo alla Fontana Vecchia le pietrevalenti al tiro

al petto di mallo addolcivamo la noce all'acqua

frangevamo al sole spaccato le creste di gallo al palmo.

Alla Cabina Vecchia salivamo la liquirizia alla radice

frugavamo alla bocca sudicia le vene alla terra gonfia

alla creta franata mondavamo le orme assetate all'unghia

sradicavamo alla foglia la testa e piantavamo pietre alla gola.

Alle lance battevamo la forgia bilanciate all'incudine

temperavamo al manico del sambuco la lama ai coltelli

al maglio pesante torcevamo le scintille alla spoglia

nascondevamo al Fosso Spaccone le armi guerriere ai rifugi

e alle tane segrete scavava Pennadifalco-occhilucenti alle spine.

Alla pietra cotta ci stendevamo lunghi alla corrente ferma

occupavamo allo spiazzo i primi Racanello assolato all'assalto

all'acqua dolce dominavamo il largo alla carne nuda

affondavamo agli occhi sbarrati la lingua alla vipera

alla bagnarola nemica gettavamo le pozze a nidi di rospi.

 

Sono questi dativi dialettali accoppiati all'imperfetto memoriale a caratterizzare l'intero poemetto. C'è qui, ancora, da dire che Totaro-Ziella è per noi ciò che Balzac fu per Lukàcs. Questa poesia ci è data da un rigido conservatore, che vivendo a Senise ignora ancora la democrazia o la vive come una conquista, a cui resistere come in Alianello. E' proprio per sfuggire a questo senso di soffocamento della storia presente che Totaro-Ziella si è rifugiato nell'infanzia. Sarà questa l'ottica con cui proseguirà la sua ricerca poetica, riuscirà ad ignorare i mutamenti socio-antropologici che la diga di Senise pone oggi alla sua area? Non è un'alternativa: i suoi simboli possono ancora emergere dalla verità e dalla sincerità con cui scaccia la morte per riprendersi - con modalità tutte sue - la vita.

 

Antonio Lotierzo       

 

 

 

da: "Pasquale Totaro-Ziella" pag. 83

in: "La Parola e i frantumi" e in "La poesia in Basilicata"

 

Ai primi dell'80, ritorna Pasquale Totaro-Ziella con «Autocritica di un uomo» (ISTEU, Catanzaro), testo quadripartito. Nella prima sezione, "Gli uomini della Speranza", campeggiano gli infuocati paesi, il dolore della vecchiaia, il vino quale consolazione allo sconforto, l'emigrazione, la memoria delle donne. Compiutamente autobiografiche sono le venti quartine di "Autocritica di un uomo", cantilenante dall'incipit ripetuto: Potrei anche (seguito da un verbo all'infinito e da una serie di dativi, strutturati sulla parlata dialettale, con echi ermetico-sinisgalliani). Una ricercatezza verbale ed una profonda umanità si susseguono, problematizzando il personaggio-poeta, la sua umanità, religiosità, anarchia, terrestrità. Nella trama lessicale spiccano i verbi: annichilirmi, vanire, vangeliare, fiondereste, vanare, annibbiarmi, assanguerebbe, incechire, ammarmorare. La ricucitura dell'ambiente è sulle basi di una lingua sperimentale e di una serie di scarti spesso innovativi, presenti anche nelle due sezioni successive. "Quasi un madrigale", con due poesie a Sabella, e "Lettera per l'uomo", dove si amplia civilmente il discorso e di fa universale ripescando la storia del nonno fontanaro, del padre, del recente terremoto, e dove la forma assume ora registri (inconsapevolmente?) scotellariani ora una misura pavesiana, comunque più ampia e fluente, dove Totaro-Ziella si misura con problemi universali, punta molto su di un razionalismo sentimentale, facendosi taumaturgo di un mondo nuovo, reclamato con l'innocente forza della speranza.

Nel 1981 di Totaro-Ziella esce «Corale accorato corale» (Carello, Catanzaro), un'ininterrotta poesia d'amore, cantata con alcuni stilemi originali, in versi ora appena accennati ora narrativi e piani, dove si condensa un'umana epopea alla ricerca di una nuova socialità.

Totaro-Ziella, poeta dell'incomunicabilità e dell'inquieta consumazione, s'apre all'amore, che utilizza quale medium per nuove modulazioni, variamente mosse per scoprire le modificazioni del suo essere, con una cantabilità spiegata ed un'arietta allegra da desiderio allo stato nascente.

 

Antonio Lotierzo    

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