Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Gatta MIRASCKA
da un cunto di zio Francesco

 

 

.....continuazione (2)

 

Hanno dormito per tutta la notte e la mattina, ben presto, si sono svegliate. Si sono alzate, era una bella giornata di sole, e si sono avviate alla fiera, sono andate alla fiera. La fiera era lontana lontana e hanno camminato, hanno fatto tanta via.

Cammina cammina, cammina cammina, cammina cammina, sono arrivate alla fiera, comare volpe Tolla e comare gatta Mirascka. Sono arrivate alla fiera. La fiera era una bella fiera grande con baracche e baracchelle. C’era tutto alla fiera: finimenti e pannamenti. scarpari e bastai, spottaie e spasaie, pecorai e caprai, vaccari e porcanri, foresi e salariati, bonagente e mariuoli, mercanti e sensali. C’erano montoni pecore e pecorucci, capretti capre e caproni con le corna attorcigliate, vitelli buoi e vacche, asini cavalli e muli, muletti cavallucci e asinelli, pulcini galline e galli, papere tacchini e paperelle, scrofe porcelli e porci. C’erano fischiefti, trombette e nocelle. C’era tutto, c’era di tutto. Era una fiera.

Comare volpe e comare gatta hanno comprato un bel pecoruccio bianco bianco, bianco bianco, come la neve, l’hanno legato con una cordicella al collo e se lo sono portato a casa.

Al ritorno camminavano e andavano una dietro l’altra: Tolla avanti, il pecoruccio dietro la volpe e gatta Mirascka dietro il pecoruccio.

Camminavano così per paura di perdere il pecoruccio, per paura che rubavano il pecoruccio. Avevano paura di incontrare qualche animale selvaggio che si poteva mangiare il pecoruccio.

Via via il pecoruccio belava, voleva mangiare, aveva fame. Si fermava ogni tanto dov’era l’erba, ma Tolla la volpe lo tirava e gatta Mirascka lo spingeva.

Il pecoruccio si fermava e la volpe lo tirava e la gatta lo spingeva. Il pecoruccio s’impuntava e la volpe lo tirava e la gatta lo spingeva fino a quando sono arrivati, dopo una giornata sana sana, facendo notte alla casa.

Po’, era tardi e gatta Mirascka e Tolla la volpe non hanno potuto pascere lontano dalla casa.

Così la volpe e la gatta hanno pasciuto il pecoruccio nelle vicinanze, attorno la casa, dietro la casa, di là, in quelle frasche, nelle macchie, in quelle spine.

Sempre la gatta faceva il dietropiede, non le piaceva, non le incozzava di andare a pascere. Comare gatta Mirascka era abituata a fare la signorina nella casa della signora, era abituata a essere servita, a essere lisciata, a non fare niente.

Mò a gatta Mirascka pareva brutto, pesava fare qualcosa. Faceva la regina della casa della signora, lei era la signorina.

E’ arrivata la volpe, intramentre che pascevano, e ha detto a gatta Mirascka.

«Be’! Uè comare! Be’! Uè comare! Mò dobbiamo fare un patto!

Mò dobbiamo decidere quando dobbiamo andare a pascere il pecoruccio?

Che ci mettiamo a fare tutt’e due dietro il pecoruccio, come due infatuati, come due babbasonni, come due babballuti!

Andiamo una volta ciascuno a pascere: una volta io e una volta tu, una volta io e una volta tu.»

Ha detto comare Tolla che voleva fare la furba con comare gatta Mirascka e la voleva burlare. Alla volpe pure suonava la fatica. La volpe l’andava inseguendo la fatica, pure la scansava quanto più poteva la fatica. Le correva appresso e mai la raggiungeva. La volpe si stancava a correre dietro la fatica. La fatica avanti e lei appresso, la fatica avanti e lei appresso.

«E sì, è meglio come dici. E’ meglio cosi. Così è meglio. E’ inutile che andiamo tutt’e due appresso al pecoruccio.»

Ha detto gatta Mirascka intratanto che stavano.

«Ma come dobbiamo fare?

Un patto, un accordo lo dobbiamo fare ! Una decisione la dobbiamo prendere!» Insisteva la volpe che non vedeva l’ora di gabbare la gatta, che cercava il modo per non andare a pascere.

«Be’, uè comare! be’, uè comare!»

Ha continuato la gatta Mirascka, dopo che ha pensato, ha alliffato e ha intorcigliato i baffi.

«Mo ci devi stare alla parola mia! Mo alla parola mia ci devi stare!

Tu vai a pascere il pecoruccio quando piove e io vado quando fà buon tempo.»

«E sì. Dobbiamo fare così. Il patto è giusto. Io vado a pascere quando piove e tu vai a pascere quando è bel tempo.»

Ha detto, ha ripetuto Tolla la furba, la volpe. «E si, è meglio così. Una va quando c’è l’acqua e l ‘altra quando c’è il sole.»

Se la rideva sotto i baffi Tolla, se la rideva. Se la rideva e pensava che aveva burlato gatta Mirascka, che gatta Mirascka s’era burlata lei stessa, con le mani sue stesse s’era burlata.

‘Mò, mò può piovere tutti i giorni?’

 

Tolla la furba ha pensato nella sua testa. ‘Mò, non può piovere sempre.

Il buon tempo è sempre più assai. Mo, non può piovere sempre.

E ha ceduto la volpe, ha accettato l’accordo di gatta Mirascka e sono rimaste così.

Si sono messe d’accordo.

Ragionando ragionando è fatto scuro, la volpe e la gatta sono entrate in casa dopo che avevano chiuso il pecoruccio nello stalluccio. Dopo che hanno messo, attente attente, il pecoruccio nello stalluccio, gatta Mirascka e la volpe Tolla hanno messo qualcosa sul fuoco. La volpe e la gatta hanno mangiato due ossarelle, hanno spolpato due ossarelle e sono andate a coricarsi.

Era notte e sono andate a dormire una vicina all’altra sulla paglia.

Tolla la furba e gatta Mirascka erano stanche e hanno dormito una tirata, hanno fatto un solo sonno.

E la notte è passata così.

Mò, la mattina appresso, la gatta ha aperto appena appena gli occhi, ha spiato; con l’orecchio attento, teso ha sentito se pioveva. Pioveva, si sentiva l’acqua nelle frasche appena appena, pioveva fino fino, ma pioveva. Pioveva e non faceva pozzanghere. Appena la luce s’è fatta più chiara, fatto giorno, ha detto la gatta Mirascka.

«Comare.’ Alzati.! Comare! Alzati! Che devi andare a pascere il pecoruccio! Alzati.’ Che piove! Alzati! Che piove! Tocca a te! Piove! Tocca a te! Piove!» «E mò mi alzo! E mo mi alzo! Mo mi alzo!» «E mò mi alzo)! E mò mi alzo! Mo mi alzo!» Ha detto Tolla, la furba, con gli occhi pieni di sonno.

La volpe si rincresceva, ma il patto era patto e s’è dovuta alzare.

Si è alzata la volpe, si è lavata, ha fatto tutti i bisogni suoi belli belli, con tutto il suo comodo ed è uscita davanti la porta; e gatta Mirascka s’è girata dall’altra parte e ha continuato a dormire.

Pioveva e alla volpe non diceva d’andare a pascene, si rincresceva, ma ci doveva andare. Il patto era patto. Doveva andare pure se pioveva.

E pioveva e il mondo era bagnato, era bagnato tutto, era tutto bagnato fradicio, tutto era pieno d’acqua e la spara di sole che prima c’era mò non c’era più.

E’ uscita la volpe; ha preso, ha cacciato il pecoruccio dallo stalluccio e ha detto, ha pensato tra sé e sé.

‘Mo, non so dove andare a pascere!

Se vado nelle terre della gente è bagnalo e se la gente mi prende mi fà sale pestato, mi rompe le ossa.

Mo me ne vado nel bosco. Pascio il pecoruccio e io mi nascondo sotto un albero. Mi nascondo sotto una quercia, sotto un pioppo e mi riparo e non mi bagno.

Ha pensato la volpe Tolla e così ha fatto. S’è avviata piano piano la volpe. Il pecoruccio avanti e lei appresso, comare Tolla appresso e il pecoruccio avanti.

Via via, pietra pietra, ripa ripa, frasca frasca macchia macchia, limite limite, erba erba, costa costa Tolla la volpe e il pecoruccio sono andati al bosco.

Sono arrivati e sono entrati nel bosco. Era tutto bagnato, c’era un mare d’acqua. Sono entrati nel bosco, in mezzo a tanti alberi alti alti, grandi grandi, chiusi chiusi, e la volpe ha trovato un bello spiazzo con l’erba, tenera tenera, rada rada, e si sono fermati. Era inverno e l’erba era scarsa e non si poteva cercare tanto, non si poteva avere l’erba buona e assai.

La volpe era già fortunata a trovare quel poco d’erba, bruciata bruciata, ma era erba. La campagna era vuota, c’era solo la miseria e la pezzenteria, e faceva freddo, un freddo che aveva seccato la campagna, aveva allevantato ogni cosa.

La volpe e il pecoruccio si sono fermati, si sono fermati e hanno guardato attorno, non c’era nessuno, nemmeno l’angelo.

Tolla si è messa sotto un albero con un tronco grande grande, dove non ci pioveva e il pecoruccio mangiava l’erba.

Il pecoruccio faceva andare l’erba una meraviglia. Al pecoruccio quell’erba sapeva come lo zucchero. Il pecoruccio mangiava piano piano e la volpe stava sotto l’albero e lo guardava. Il pecoruccio mangiava e Tolla guardava, comare volpe guardava e il pecoruccio mangiava.

Quando è stato verso mezzogiorno, tutt’una volta, all’intrasatta, la volpe ha sentito un rumore, un fruscio di frasche, si è girata e ha visto le macchie che si muovevano e s’aprivano e dalle macchie è comparso un lupo.

Che fame aveva il lupo, chi sa da quanto tempo non mangiava, chi sa quanta fame aveva.

C’erano rimaste solo le ossa. Era tutto pelle e ossa, ossa e pelle il lupo.

Si vedevano solo le sanne, solo le sanne si vedevano e una bava bianca che gli colava dalla bocca per la fame.

Per la fame il lupo aveva gli occhi rossi, aveva gli occhi di sangue e la lingua gli penzolava dalla bocca.

Il lupo non stava fermo, si muoveva in continuazione, smaniava. Il lupo guardava il pecoruccio bianco bianco e ingoiava a vuoto.

Avanti e indietro, avanti e indietro faceva la canna del lupo.

La povera volpe a vedere quella sorta di animale, quella sorta di lupo s’è impaurita.

Comare Tolla s’è fatta un pizzico, piccola piccola, e ha avuto paura, ma tanta paura che s’è messa a tremare.

Lo vedeva e non lo vedeva, lo vedeva e non lo vedeva il pecoruccio, comare volpe. Il pecoruccio era già nella bocca del lupo, lo vedeva già nelle sanne del lupo, comare volpe. Quelli, i lupi, vanno sempre attorno alle pecore, sono abbramati di pecore, vanno sempre in cerca di pecore e di pecorucci, po’ gli saltano addosso, li scannano, li straziano, li squartano e li mangiano in un boccone, in un solo boccone, ne fanno un boccone e, po’, li lasciano a terra scannati quando non ne vogliono più. Il fatto è che i lupi non si saziano mai, più mangiano e più vogliono mangiare, più mangiano e più vogliono mangiare; i lupi sono ingordi, hanno sempre la fame arretrata. S’è impaurita la volpe del lupo e nel tremore diceva tra sé e sé.

‘Mo se lo mangia il pecoruccio! Mo se lo mangia il pecoruccio! Mo se lo mangia il pecoruccio! Il pecorucdio mò se lo mangia!

Marumè! Oh marumè!

Che devo dire a comare gatta Mirascka?

Marumè! Oh marumè! Marumè! Oh marumè!

Stasera quando mi vede?

Marumè! Oh marumèt Marumè! Oh marumè!

Che devo dire?

Marumè! Oh marumè! Marumè! Oh marumè!

A comare gatta Mirascka?

Maruniè! Oh marumè! Marumè! Oh marumè!

Quando mi vede stasera?

Marumè.’ Oh marumè! Oh marumè! Marumè!

Còme devo dire a comare gatta Mirascka stasera?

Oh marumè! Marumè! Oh marumè! Marumè!

Che il pecoruccio se l’è mangiato il lupo?

Oh maruniè! Marumè! Oh marumè! Marumè!

Come devo dire? Come lo dico?

Oh maruniè! Marumè.’ Oh marumè! Marumè!

A comare gatta Mirascka stasera?

Oh marumè! Marumè! Oh marumè! Marumè!

Che il pecoruccio se l ‘è mangiato il lupo?

Oh marumè! Marumè!’

Comare, Tolla la furba ripeteva tra sé e sé, tra sé e sé, e guardava il lupo che si avvicinava al pecoruccio. Guardava il lupo che mangiava il pecoruccio con gli occhi e intratanto tremava. A comare Tolla era venuto un freddo nelle ossa che non riusciva a stare ferma e quieta, batteva i denti e si sginocchiava, sola sola.

Intramentre che pensava Tolla, la furba, si è fatta coraggio e si è avvicinata al lupo senza far vedere che aveva paura e l’ha salutato, ha detto

«Buongiorno! Buongiorno, compare lupo! Buongiorno, compare lupo!

Buongiorno, compare lupo! Buongiorno compare!» con reverenza, con rispetto e sottomessa. «Buongiorno! Compare lupo. Come mai da queste parti? Con questo tempo?»

Si è scappellata, si è inchinata la volpe; intratanto il pecoruccio mangiava.

Ha fatto, timida timida, comare volpe. «Ma quale buongiorno e buonasera! Ma quale buongiorno e buonasera! Ma quale buongiorno!»

Ha detto il lupo tutto affamato, inferocito, che non aveva quiete, che non sapeva stare a rifino tant’era la fame.

«Che ho una fame che non ti vedo!

Sono giorni e giorni che non metto niente sotto i denti!

Vado per valli e valloni, la pancia mia è ancora digiuna!

Quel pecoruccio ... di chi è? Di chi è ... quel pecoruccio?

Quel pecoruccio che pascola tanto tranquillo! Quel pecoruccio bello bello! Bianco bianco.

Quel pecoruccio pieno pieno! Trifolo trifolo. Quel pecoruccio tenero tenero! Delicato, delicato.

Quel pecoruccio gentile gentile! Signorino signorino.

Che me lo devo mangiare!

Comare mia, me lo devo mangiare! Me lo devo mangiare sano sano!

Me lo devo fare fino fino!

Quelle ossarelle me le devo far giovare fino alle unghie dei piedi.’»

«Oh! Compare mio. Oh! Compare mio! Mangiatelo! Mangiatelo!

Con tutto il piacere! Con tutto il piacere!» Ha detto Tolla, la volpe.

L’aveva preso un tremore che non dico.

Ma, po’, comare volpe si è fatta coraggio e ha detto.

«Con tutto il piacere! Con tutto il piacere! Con tutto il piacere!

Però li devo dire una cosa che devi sapere. La devi sapere questa cosa.

Io non sono la padrona del pecoruccio! Il pecoruccio non è il mio!

Io non sono la padrona del pecoruccio! La padrona è comare gatta Mirascka! Comare gatta Mirascka è la padrona! La padrona è comare gatta Mirascka! Lei è la padrona!

La padrona è gatta Mirascka e gatta Mirascka tiene sette palmi e mezzo di mustaccio! Sette palmi e mezzo di mustaccio tiene! Sette palmi e mezzo!

E mi ha detto, stamatitna quando sono partita, quando sono partita con il pecoruccio, che dove ti trova, ti scanna!

Ti fà lenza lenza! In un lampo!»

Il lupo ha ascoltato, ha sentito quelle parole, quelle minacce e si è spaventato.

Si è spaventato e ha detto.

«Ma! Ma! E' possibile mai?

Una gatta con sette palmi e mezzo di mustaccio? E che gatta è!»

Intratanto che diceva, il lupo s’allontanava dal pecoruccio e faceva mente s’aveva mai incontrata gatta Mirascka e aveva avuto a che dirci. «Chi la conosce questa gatta Mirascka? Io non ho fatto niente alla gatta, a questa gatta Mirascka!

Da dove è venuta questa minaccia? Io non ho fatto niente a gatta Mirascka» «Compare mio! Che ti voglio dire! Tiene sette palmi e mezzo di mustaccio!»

Faceva la volpe con le braccia aperte e con le mani.

«Oh compare mio! Compare mio! M’ha detto che ti deve squartare! Oh compare mio! Compare mio! Che ne so io dei fatti vostri! Che ne so, che le hai fatto!»

Diceva la volpe, Tolla la furba, con le dita che sventolavano la grandezza del mustaccio nell’aria.

«E che ti voglio dire io! Compare mio!

Io che ci posso fare! Io poverella! La padrona è lei del pecoruccio. Lei è la padrona del pecoruccio. Il pecoruccio è il suo! Compare. Il pecoruccio non è il mio! Così fu ha detto e così ti ho detto, compare mio!

Compare mio, io te l’ho detto!

Io non so e non voglio sapere niente, compare mio!

E ti devo dire un‘altra cosa, compare mio! Un ‘altra cosa ti devo dire, compare mio! Stai attento, compare mio ch‘è colore di terra.’

E’ come la terra, compare mio! Compare mio, t’è addosso e non lo sai! Ti salta addosso, compare mio! Ti trovi scancato, compare mio, e non lo sai! Ti trovi morto senza saperlo, compare mio!» A quelle parole il lupo si è messo veramente paura e si guardava attorno. Pensava che, da un momento all’altro, dal bosco usciva gatta Mirascka.

Intratanto che la volpe e il lupo parlavano, il pecoruccio pasceva, pasceva il pecoruccio innocente.

Il pecoruccio pasceva tranquillo tranquillo. Il pecoruccio pensava solo a mangiare e non ha alzato per niente la testa da terra. Il pecoruccio mangiava solo, placidamente. Veramente il lupo si è impaurito e ha lasciato il pecoruccio. Il lupo aveva fame, ma ha lasciato il pecoruccio. Il lupo non si capacitava delle minacce: senza che conosceva gatta Mirascka, gatta Mirascka lo minacciava e lo minacciava.

Il lupo ha lasciato il pecoruccio ed è entrato un’altra volta nel bosco, è scomparso negli alberi, è sparito nel bosco. Com’era venuto così se n’è andato, così è scomparso nel bosco, il lupo.

La volpe ha continuato a pascere il pecoruccio sino alla sera e facendo notte, facendo scuro, ha preso il pecoruccio e s e ritirata a casa, da comare gatta Mirascka.

Intratanto che andava a casa, per la via, la comare Tolla ha portato il pecoruccio al torrente a bere, a un bel torrente con l’acqua fresca fresca, limpida limpida che si vedevano le pietre nel fondo.

Il pecoruccio si è abbeverato, si è saziato d’acqua, s’è riempito la pancia tanto che stava bene tutta la notte; e, po’, si sono avviati uno appresso all’altra.

Frasca frasca, costa costa, erba erba, limite limite, macchia macchia, pietra pietra, ripa ripa via via la volpe e il pecoruccio sono tornati a casa con tanti guai e bestemmie.

La volpe a ogni costa si fermava e guardava, a ogni macchia si fermava e con il bastone la muoveva, a ogni via si fermava e spiava. La volpe aveva sempre paura e spavento, aveva il palpito nel cuore di incontrare un altro animale feroce che voleva mangiare il pecoruccio.

Tolla la furba se l’era vista brutta e stava sempre spaventata, stava con gli occhi aperti, con lo schiantacore.

E così si sono ritirati: una avanti e l’altro appresso, una avanti e l’altro appresso, uno appresso all’altra.

La volpe non ce la faceva più dalla paura, tremava tutta quanta, aveva quasi la febbre, batteva i denti.

La volpe si andava girando e voltando, si girava e si voltava a ogni minimo rumore. Tolla la furba si è ritirata con la speranza che non doveva piovere più, che non doveva più andare a pascere e non ha raccontato niente alla gatta del giorno. Del fatto la volpe non ha detto niente a gatta Mirascka. La volpe non ha detto niente del lupo alla gatta.

La gatta non ha domandato e la volpe non ha detto niente del lupo che voleva mangiare il pecoruccio; non ha fatto parola della giornata. Zitta tu e zitta io, zitta tu e zitta io.

La comare volpe e la comare gatta si guardavano, ma non parlavano, mangiavano.

Gatta Mirascka e la volpe Tolla hanno mangiato qualcosa, due ossarelle di sorcio talpone e due lucertole. Quello ha trovato la gatta cercando nella giornata attorno alla casa e quello hanno mangiato.

La gatta e la volpe hanno mangiato e sono andate a dormire nella paglia.

Si sono coricate e hanno fatto un sonno lungo quanto tutta la nottata.

Comare volpe s’è ammasonnata. Era proprio stanca della giornata, aveva preso tanta acqua, era intinta d’acqua e di paura, il lupo le aveva fatto venire il trema trema, e non se la fidava, gli occhi si chiudevano da soli. La povera volpe dormiva in piedi, stanca e sfrutta s’è gettata sulla paglia.

Gatta Mirascka s’è andata a coricare e sentiva la comare Tolla che nel sonno si lamentava.

«Comare! Che hai? Non ti senti bene?» Diceva gatta Mirascka «Comare! Che hai? Non ti senti bene?» intratanto che spingeva «Comare! Che hai?»

ma la volpe, stanca, non rispondeva, dormiva e si lamentava, si lamentava e dormiva. La volpe, la comare furba, si è lagnata tutta la notte, non c’è stata per niente zitta e quieta; s’è lamentata tutta la notte, non’ è stata per niente a rifino, ha fatto una continuazione.

La mattina dopo, un’altra volta, gatta Mirascka s’è svegliata, ha ascoltato il tempo, ha sentito fuori, ha spiato per la finestrella. Una volta apriva un occhio comare gatta, una volta apriva l’altro. Si stendeva nella paglia, si girava dall’altra parte, comare gatta. Non doveva pascere gatta Mirascka quella mattina, pure quella mattina l’aveva scampata. Pioveva. E come pioveva! Non aveva smesso per niente di piovere. Notte e giorno pioveva una continuazione.

Il cielo era chiuso e non s’allargava, e il tempo non s’ariava. Il tempo era chiuso e non s’allargava, e il cielo non s’ariava. L’aria era ad acqua, il cielo era d’acqua, il tempo era acqua. Una lucerella, morta morta, entrava e non entrava nella casa, la volpe non s’alzava. La volpe non si muoveva, Tolla la furba dormiva. La comare Mirascka ha aspettato che la comarre Tolla s’alzasse per andare a pascere; è stata un momento e due e tre; e po’, ha visto che la volpe non si decideva, l’ha mossa e l’ha spinta; e po’, non ci ha visto più, l’ha cataspinta.

«Comare! Alzati! Che ancora piove! Piove, devi andare a pascere il pecoruccio! Tocca a te portare il pecoruccio a pascere! Un’altra volta tu devi uscire!

E muovili! Comare! Muoviti!

Che devi andare a pascere il pecoruccio, comare!

Il pecoruccio vuole pasciuto! Comare! Alzati! Comare! Comare mia! Alzati!» Spinta dopo spinta, spinta e cataspinta, cataspinta e spinta Tolla la volpe s’è svegliata. S’è svegliata.

‘Ehi!. . . Ehi!. . . Ehi! Pure stamattina piove!’ Ha detto comare volpe nella mente sua. E mò, sempre piove! E mò piove sempre! Sempre piove!

Questo tempo non cambia mai! Non la finisce mai di piovere!’

«E mo mi alzo, comare! Mo mi alzo. Piove sinefine, comare!

Mo mi alzo! Basta che la finisci.»

Ha detto Tolla intratanto che si sfregoliava gli occhi, sciancava la bocca e stendeva i piedi: prima i piedi davanti e, po’, i piedi di dietro.

Si girava e rigirava e non si alzava la volpe. Si rigirava e girava e non si alzava. Aveva ancora il tremore del lupo addosso, del giorno prima, comare volpe.

Alla volpe non diceva il cuore di alzarsi con quel tempo dei malepatiti.

«Uè! uè comare, alzati!

Che il pecoruccio vuole essere pasciuto! Che il pecoruccio li sta aspettando!»

Dopo tanto la volpe Tolla s’è alzata.

Si è alzata la volpe, si è lavata la faccia intingendo due punte di dita nell’acqua del bacile e si è tolte due cacazzelle dagli occhi, s'è asciugata.

Po’ la volpe ha introgliato uno stozzo di pane e una scorzetella di formaggio in un tovagliolo e una borraccella di vino e se l’è messi nel tascapane. Il tascapane l’ha messo sulla spalla, a tracolla ed è uscita.

Tolla è uscita per andare a cacciare dallo stalluccio il pecoruccio. Era indecisa, aveva timore del lupo, un’altra volta, e così stava.

Stava e guardava avanti e indietro Tolla, a destra e a sinistra, sotto e sopra, era tutto acqua. Non sapeva che via prendere.

Stava la furba, pensava dove portare il pecoruccio a pascere, il mondo era pari pari d’acqua.

Intratanto che stava Tolla ha pensato. Mo, non ci vado nel bosco, là. Là, non voglio incontrare il lupo un‘altra volta che vuole mangiare il pecoruccio. Se vado qua c’i sono gli orti e i galliari della gente che non aspetta altro per spararmi, per inforcarmi.

Sopra ci sono le pecore, i pastori e i cani pastore che ancora mi cercano per bastonarmi, per stanarmi.

Mò me ne vado da un ‘altra parte. Porto il pecoruccio in un’altra parte del bosco. Mi nascondo sotto l’albero e il pecoruccio pasce.

Il pecoruccio pasce e io non mi bagno, lui pasce e io non mi bagno.

E così ha fatto Tolla la volpe.

La volpe si è avviata e il pecoruccio appresso.

La volpe avanti e il pecoruccio dietro. Ed è andata Tolla; via intra via, terra intra terra, siepone intra siepone, creta intra creta, frasca intra frasca, macchia intra macchia, dirupo intra dirupo, fosso intra fosso, acqua intra acqua ma non ha trovato un posto con l’erba. Gira girando. Pascola qua e pascola là, pascola qua e pascola là, pascola qua e pascola là, è andata a finire, un’altra volta, al bosco la volpe.

A cielo aperto, pioveva. S’era aperto il cielo. Pioveva. S’erano aperte le cataratte del cielo. Era un diluvio, mai era piovuto così, non s’era mai vista tant’acqua.

Il bosco era pari pari, era pieno pieno d’acqua. L’acqua andava da punta a punta.

I torrenti erano usciti dalle ripe, avevano allagato gli orti, gettavano acqua sinefine.

I piedi affondavano nella terra. Era un pantano il mondo, era tutto un lago.

E’ arrivata la volpe al bosco, un’altra volta, e s’è fermata, allo stesso punto, s’è messa sotto un albero grande e il pecoruccio pasceva.

Tuonava e lampeggiava, era il tempo dei morti di fame.

Pasceva il pecoruccio calmo calmo, zitto zitto, piano piano e la volpe stava, comare volpe guardava. Comare Tolla guardava e guardava.

E’ arrivato, un’altra volta, quand’era pure nel mezzogiorno e la volpe ha sentito un fracasso, un fragore, come un frastuono.

Le frasche cadevano dai rami, i rami si spezzavano e cadevano a terra, e i tronchi si piegavano e restavano storti.

Era una furia e non c’era vento, non c'era vento e tutto si muoveva come un terremoto; tremava tutto.

Era uno sconquasso e la volpe tribolava sotto l’acqua, scorreva sotto l’acqua.

E’ arrivato, è uscito dagli alberi il porcospino infuriato; tutto sbuffando, sgrufolando, vedevi un mantice, tutto arruffato. Il porcospino portava avanti tutto quello che trovava; incarrava tutto avanti, rivoltava radici e terra, distruggeva seminati e piantate. Era una schiantazione, l’ucciso dal lampo, il porcospino. Non lasciava niente intatto, lo schiantato, il porcospino. Quel dannato di porcospino era come una tentazione, una dannazione.

Quel bruttofatto aveva un muso brutto e fetente come la peste, con due sanne che gli uscivano da fuori, s’inancavano; aveva una schiena di peli sempre mancati; aveva certi occhi aggrottati, accigliati con certe sopracciglia piene piene, grosse grosse, attaccate una all’altra e tutte intricate di creta, tutte ingarbugliate.

Era maltempo e mangiare non se ne vedeva, il porcospino mangiava la terra, mangiava pure le pietre; pure le pietre mangiava, ruminava le pietre.

Come l’ha visto Tolla, pure quell’altro animale grosso grosso, aspro aspro, s’è spamentata.

Si è spamentata e tremava per il freddo, per la paura e per l’acqua e ha pensato.

‘Oh povera me, povera me! Chi me lo doveva dire?

Oh povera me, povera me! Chi me lo doveva dire!

Oh povera me, povera me!

E chi lo deve salvare il pecoruccio oggi? Oh che abbiamo patito oggi!

Oggi che abbianuo patito!

Oh povera me, povera me!

Qual anima del purgatorio deve salvare il pecoruccio da quelle sanne grandi!

Oh che abbiamo patito oggi! Oggi che abbiamo patito!’

Tremava, era una frasca, ma non lo faceva vedere. E tremava e stava per sginocchiarsi. Le gambe non ce la facevano più, tanto era il trema trema.

‘Oh povera me, povera me! Questo non vuole sapere ragioni! Nessuna ragione lo tiene! Oh che abbiamo patito oggi! Oggi che abbianuo patito! Oh povera me, povera me! Oh gatta Mirascka mia! Oh comare mia! Oh che abbiamo patito oggi! Oggi che abbiamo patito!

Oh povera me, povera me!

Chi deve salvare il pecoruccio da questo animale selvaggio?

Oh che abbiamo patito oggi! Oggi che abbiamo patito! Intratanto che pensava la volpe si è avvicinata al porcospino, ma non sapeva che dire a quell’animale tanto scorbutico, irsuto. La volpe, la furba, ha pensato di prenderlo con la pezza di lana.

Ha pensato che si doveva sottomettere, la volpe, e ma non sapeva come fare con quell’animale muto che non dice nemmeno una parola, che piega solo la testa e ammorgia.

La volpe non sapeva come prendere il porcospino, non sapeva come parlare al porcospino.

La volpe si faceva vedere che era interessata al porcospino e ha detto.

«Compare mio! Buongiorno! Buongiorno! Compare mio, con tutto questo freddo e con tutta quest’acqua e vai girando? Chi te lo fa fare? Compare mio! Compare mio! Chi te lo fà fare?» “E tu che fai con questo pecoruccio? Con questo pecoruccio che fai? Con questo bel pecoruccio tenero tenero, che fai?»

Ha risposto il porcospino groffolando e sbuffando.

«Con questo maltempo che vai pascendo? Che vai pascendo con questo maltempo!» «Oh compare! Oh conupare mio! Io sto sotto padrone! Sono sotto padrone! Devo andare a pascere per forza. Per forza devo pascere se no non mangio, se no non riempio la pancia.»

Il porcospino quando si è accorto che la volpe lo voleva straviare, voleva dare a chiacchiere, s’è arruffato e ha detto.

«Mò, portami il pecoruccio che lo devo mangiare!

Me lo devo mangiare il pecoruccio! Sono tre giorni che non provo un osso! Che sia un osso!

E’ mò, portamelo il pecoruccio, che mi ci devo saziare!»

Tolla la volpe ha risposto con la voce che tremava.

«Oh, compare mio! Con tutto il piacere! Oh, compare mio! Con tutto il piacere!

Mangiatelo. Mangiatelo! Con tutto il piacere! Con tutto il piacere! Ma io non sono la padrona! Io non sono la padrona!» «E’ chi è il padrone?

Chi è il padrone del pecoruccio?» Ha domandato il porcospino tutto ammussato, tutto accigliato, tutto fetente e tutto puzzolente.

«La padrona è gatta Mirascka con sette palmi e mezzo di mustaccio!

Con sette palmi e mezzo di mustaccio! E stamattina, quando sono partita, mi ha detto che, se ti vedevo, ti dovevo dire una cosa, dovevo farti un ‘ambasciata!

Ha detto, comare gatta Mirascka, che, dove ti trova, ti deve squtartare in un lampo!

Ti deve distruggere in un lampo! Ti deve fare polvere! Non ci deve lasciare niente di te! Non ci deve restare niente di te! Nemmeno un fringiolo! Che è un fringiolo!» «E’ che le ho fatto io? Io che le ho fatto? Che le ho fatto, a gatta Mirascka!» Ha detto il porcospino che intramentre aveva perso la boria, tutta l’accigliatura e la malavolenza, tutta quella supponenza. «Io non le ho fatto niente! non le ho fatto niente! Non le ho fatto niente! Ma vedi tu, questa schiantata!» «A me ha detto così e così.

Catatruppete catatrappete. Catatruppete catatrappete. Catatruppete e catatrappete.

E ti voglio avvisare, ti voglio avvisare»

Ha continuato la volpe, Tolla la furba.

«ch’è a colore di terra! E’ colore di terra! Come la terra!

Ti arriva addosso e non te ne fa accorgere, non te ne fa!

Ti è sul collo all’intrasatta, senza misericordia, senza perdono!»

Il porcospino sentendo quelle parole s’è messo paura e ha lasciato il pecoruccio. Il pecoruccio non l’ha nemmeno toccato, non l’ha guardato e se n’è andato il porcospino. Se n’è andato come il vento, com’era venuto, come una furia, schiantando tutto, era una tempesta, sradicando tutto.

Tolla ha scansato pure dal porcospino, quell’altro giorno, il pecoruccio.

Se n’è andato il porcospino. E’ scomparso il porcospino come una magaria.

E la volpe ha continuato a pascere il pecoruccio per tutta la giornata.

Il pecoruccio, con la testa piegata, ha continuato a mangiare l’erba senza preoccupazione. Po’, quando stava facendo notte, la volpe l’ha preso e l’ha portato al torrente ad abbeverare.

Il pecoruccio si è abbeverato e si sono avviati verso la casa.

Acqua intra acqua, fosso intra fosso, dirupo intra dirupo, macchia intra macchia, frasca intra frasca, creta intra creta, siepone intra siepone, terra intra terra, via intra via la volpe e il pecoruccio si sono ritirati.

Si è ritirata la sera comare volpe e a comare gatta Mirascka non ha detto niente di quello che passava il giorno.

Ogni tanto si lamentava, ma non diceva niente alla gatta, ogni tanto tremava.

Comare volpe non ha detto niente del lupo e del porcospino. Del lupo e del porcospino che volevano mangiare il pecoruccio non ha detto niente Tolla la furba.

E’ stata muta, zitta zitta, non l’è scappata nemmeno una parola.

Come si è ritirata, è andata a chiudere il pecoruccio ed è entrata in casa e si è gettata su di una sedia, stanca e strutta.

Non voleva neanche mangiare tale era il tremolio nelle ossa.

La gatta, ch’era stata nella giornata attorno alla casa, domandava.

«Comare! Che hai? Non ti sentibene? Ch‘è successo? Comare mia!»

E la volpe a malapena rispondeva tra i denti. «Ohi! Ohi! Ohi! E’ l’acqua del giorno. Ohi! Ohi! E’ colpa dell’acqua che mi è entrata nelle ossa.

Ohioi! Ohioi! Ohioi! Me la sento fino al midollo.

Ohioiò! Ohioiò! Ohioiò! Mi sento le ossa tutte rotte. Ohioiò! Spezzate, Ohioiò! Macinate!

Oh comare mia! Non me la fido! Oh comare mia! Che te lo dico a fare!»

Ma delle minacce del lupo e del porcospino al pecoruccio la volpe non faceva nemmeno un accenno, niente; zitta, zitta e muta.

E po’, la sera, con tanti incoraggiamenti e dopo tante insistenze, la volpe ha mangiato.

Tolla si lamentava e mangiava, mangiava e si lamentava. Una volta toccava la fronte e una volta il fianco; una volta si toccava la spalla e una volta il gomito; una volta si toccava il ginocchio e una volta il petto. Comare Tolla era un dolore e si lamentava.

La volpe e la gatta hanno mangiato quello che la gatta era riuscita a trovare il giorno.

Gatta Mirascka aveva cucinato una minestrella, lenta lenta, leggera leggera, che più leggera di quella non c’era.

La comare gatta Mirascka aveva colto due frasche di foglie con due radichicelle di finocchi e due sterponi di cavolo e un odore d’osso che aveva trovato nella cascia, sotto tante cianfrusaglie, dove la volpe l’aveva stipato.

La gatta e la volpe hanno mangiato, hanno bevuto e si sono messe a dormire. Hanno dormito una vicina all’altra sulla paglia.

E sino a che l’è venuto il sonno, la volpe girava e si rivoltava, si rivoltava e si rigirava. Una volta si metteva su di un fianco e una volta si poggiava sull’altro fianco, una volta andava a capo del letto e una volta metteva ai piedi del letto. La comare Tolla non riusciva a prendere ricetto.

Po’ hanno fatto un sonno sino alla mattina, un solo sonno.

 

   

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