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CAPITOLO V

Il Monastero del Sagittario Vita severa del Beato Giovanni nel Monastero.

Dopo che il Beato Giovanni ebbe lasciato l'Eremo di San Saba, andò nella solitudine del Sagittario. Quest'eremo è posto in un luogo in pendio che guarda a settentrione; dista sei miglia da Chiaromonte nel cui territorio è situato.
L'eremo del Sagittario è ricco di molte erbe nobili, utilissime alla medicina. Lì crescono, infatti, come ho appreso dagli erbari: il citiso(l), la dragada(2), il cardo che secerne il mastice, il tragio(4), il dittamo cretese(5), il camaleonte ibrido(6), l'imperatoria(7), il rabarbaro(8), la stellaria(9), il piretro(10), il nardo celtico(11), il turbit(12), l'anonide(13), il peucèdano(14), l'anemone(15), la mano di Cristo(16), la paride(17), l'iperico(18), la sassifraga(19), la garofolaria(20), la dentaria(21), la valeriana(22), la pionica(23), la bistorta(24), l'abrotano(25), la lingua del passero(26), l'agrifugina(27), l'issopo montano(28), la salvia(29), il polipodio della quercia(30), il capello di Venere(31), la sanguinaria(32), la palma di Cristo o morso del diavolo(33), la lunaria(34),la lupatoria(35), la betonica(36), la lingua del cervo(37), la serpentaria(38), l'angelica(39), il testicolo della volpe(40) e molte altre(41).
Vi sono, poi, sparsi qua e là alberi che producono frutti utilissimi all'allevamento dei maiali, come i castagni(41bis), i faggi(42), le querce, i cerri e gli elci(43). Vi sono abeti e boschi utili alla fabbrica delle case e alla costruzione delle navi(44). Vi sono arbusti selvatici e, sparsi per ogni dove, alberi da frutto utili all'alimentazione degli uomini: viti, noci, nocciuoli, ciliegi, peri, meli, fichi, ed altre specie di frutti, osservando i quali si è presi da meraviglia, notando come spontaneamente, senza alcuna fatica da parte dell'uomo, quel suolo felice li abbia prodotti e li produca ancora di giorno in giorno(45).
Il nome Sagittario deriva da un cacciatore armato di freccia (sagitta)(46) che inseguendo in quel luogo una cerva e cercando di colpirla con la freccia (allora, infatti, non c'era ancora nessun'arma specifica per questo tipo di caccia) tese l'arco contro di essa una prima, una seconda e una terza volta, e sempre la freccia ritornò indietro colpendolo senza, però, ferirlo. Il cacciatore si lanciò, allora, per afferrare la cerva, ma questa, movendosi con passo lento e piacevole, grazioso e allegro(47), arrivò in un luogo ove, nel tronco cavo di un albero di castagno, da poco aveva trovato posto (né ancora era noto ai fedeli) una statua miracolosamente eretta, della Immacolata e Gloriosissima Vergine e Madre di Dio. Il cacciatore, non pensando più alla cerva che frattanto nel luogo sacro alla Vergine era sparita dai suoi occhi, visto e considerato il miracolo, preso da timore e letizia, rimase frastornato; poi, dopo essersi fermato a venerare con grandissima devozione la Santissima Madre di Dio, si affrettò a ritornare a Chiaromonte per dire al Vescovo(48), al clero e al popolo ciò che gli era capitato. Commossi da tanto miracolo, i Chiaromontesi, sia ecclesiastici che laici, piccoli e grandi, formarono una lunghissima processione, i nobili misti ai plebei, e i secolari con quelli del clero, e si mossero con indicibile celerità e con grandissima devozione, soprattutto perché l'immagine era volata dalla Chiesa di Chiaromonte fino all'Eremo né l'avevano potuta ritrovare sebbene l'avessero ricercata con molto accanimento in lungo e in largo(49). Finalmente arrivarono al luogo della Gloriosa e Beatissima Vergine Maria. Con grandissima umiltà e devozione si inginocchiarono, non senza l'effusione di molte lacrime, che sgorgavano, si può dire, dal cuore di tanti innumerevoli fedeli; poi, lodando Dio Ottimo e Massimo e rendendo grazie alla Vergine Madre, riportarono la sua sacrosanta immagine nella Chiesa di Chiaromonte dalla quale si era allontanata. Ma essa il giorno seguente fu ritrovata, in modo straordinario e mirabile, nello stesso luogo che si era scelto(50). I cittadini di Chiaromonte capirono, allora, che lì bisognava costruire una chiesa per la Vergine Madre di Dio. Cosa che il Conte della stessa città(51) comandò che si facesse, concedendo, per questo, con grande liberalità, molti beni e privilegi. E siccome era d'inverno e, soprattutto, siccome c'era moltissima neve che impediva l'accesso ai devoti e non permetteva il culto alla Vergine Madre, un uomo devotissimo, chiamato Tancredo Murrino, costruì alle falde dell'Eremo, tra i fiumi Signo e Frido (proprio nel luogo in cui si trova la Grancia(52) detta Ventrile appartenente allo stesso Monastero) un Monastero con una chiesa e si interessò di far portare lì la statua della Vergine, affidandone il culto ai Padri dell'Ordine Benedettino, intorno all'anno 1060. Di questo Tancredo Murrino fa memoria Papa Onorio III(53), nel diploma concesso su richiesta dell'Abate e dei Frati del Sagittario, dato Nel Laterano per mano di Guglielmo Notaio della Santa Romana Chiesa, il 14 prima delle calende di ottobre(54), 4° indizione, nell'anno 1216 dall'Incarnazione del Signore, nell'anno primo del Pontificato del nostro Signore il Papa Onorio III, che noi abbiamo pubblicato(55), trattando della venuta del B. Giovanni Gioacchino presso il Papa Lucio III(56). E ricorda il predetto Vecchio Sagittario, per l'anno 1248, mese di aprile, 6° indizione, Giacomo di Chiaromonte(57), in un privilegio concesso al Nuovo Monastero del Sagittario, che noi stessi abbiamo pubblicato nel luogo citato a pag. 35, lett. E. Ma poiché, per i peccati, il predetto Cenobio fu abbandonato dai monaci e cadde in rovina, e la statua della Vergine fu riposta nel tempio dell'Eremo che all'inizio era stato per lei costruito, il Conte di Chiaromonte(58) della illustrissima famiglia di Chiaromonte, devotissimo della Gloriosissima Vergine, nel tempo in cui risplendeva il Dottore mellifluo Bernardo di Chiaravalle(59), ottenne una colonia di monaci dall'Abbazia di Casamari dell'Ordine Cistercense(60), e con il consenso, anzi per espressa concessione del Vescovo di Anglona, al censo annuale fissato a un bisante(61), la chiesa di S. Maria di Lauro Sita nel teni- mento di Rotonda del Mare, il vecchio Monastero del Sagittario con tutte le sue pertinenze e le altre sue chiese e possessioni. Il Vescovo era, forse, quel Guglielmo a cui non solo personalmente ma anche per i suoi successori nell'episcopato di Anglona, il Re Guglielmo Secondo, che fu il terzo re di Sicilia(62), concesse, in suffragio di Guglielmo suo padre, il castello di Nocara(63) con tutti i suoi legittimi possedimenti e pertinenze, nell'anno del Signore 1167, mese di ottobre, prima indizione(64). (Non ho osato riferire il nome del Vescovo che concesse ai Cistercensi il vecchio Sagittario insieme con la Chiesa di S. Maria di Lauro con tutte le dipendenze dello stesso antico Monastero per la perdita dei documenti di concessione e di conferma apostolica che facevano espressa menzione di questi fatti, prima che il Cistercense Roberto della stessa Abbazia del Sagittario, fosse elevato alla Cattedra di Anglona(65) e concordasse con i Monaci del Sagittario i diritti su S. Maria di Lauro, sotto il Pontificato di Gregorio IX(66) nel mese di febbraio dell'anno del Signore 1241. Di questa convenzione e di questo accordo abbiamo ricordato il documento dell'Archivio del Sagittario nel luogo sopra citato, a pg. 41).
Dopo aver portato per la prima volta i Monaci di Casamari nel territorio di Chiaromonte, nell'Eremo presso la Chiesa della Vergine, il Conte stabilì di costruire un'Abbazia. Ma, tuttavia, non si fondò subito il Monastero lì presso la Chiesa della Vergine. I Cistercensi, infatti, vedendo, allora, quella solitudine troppo rigida, scelsero per se stessi e per la Vergine un'altra sede, certamente nella stessa Contea di Chiaromonte, ma in territorio detto, volgarmente, Sicileo(67), distante otto miglia dal sacrosanto tempio della Vergine e cinque dall'abbandonato Monastero del Sagittario; proprio nel luogo dove, in seguito, nell'anno 1203, Reginaldo del Guasto(68) edificò, per i figli del Sagittario un Monastero sotto il titolo di S. Maria di Bonavalle, che, dopo un certo tempo, per l'insalubrità dell'aria fu abbandonato dagli abitanti e incorporato, nei possedimenti e nei diritti, ai Padri del Sagittario. Edificati, dunque, con somma celerità, a Sicileo, la Chiesa e il Cenobio, subito vi portarono la Statua della Vergine; ma inutilmente. Infatti, la mattina seguente non fu trovata nella Cappella; la si trovò, invece, come se mai ne fosse stata rimossa, nella vecchia sede. Né, per questo, i Cistercensi capirono che dovevano conformarsi alla volontà di Maria, anzi di Dio. Infatti, sebbene, dopo aver visto il miracolo, salissero subito all'Eremo del Sagittario, non volevano, tuttavia, fermarsi stabilmente presso la Casa della Madre di Dio. Desiderando, dunque, ardentemente i Padri di costruirsi un Monastero in un luogo che fosse esposto a mezzogiorno e non presso la Casa della Madre di Dio che guardava a settentrione (tanto allora era orrida la solitudine) furono gettate le fondamenta in un luogo sovrastante il fiume Frido sopra il ponte del torrente Turno, lì dove, affisso agli alberi, è venerato un segno di saluto, in memoria di questa sacra storia, nel luogo che è comunemente chiamato Lo Monasterio Vecchio(69), che dista dalla sacra Casa mille e cinquecento passi(70). Costruirono, dunque, una specie di chiesetta, e vi trasportarono l'immagine della Vergine. Ma la mattina seguente non vi trovarono la statua, perciò, nuovamente sorpresi da un fatto tanto straordinario, decisero di costruire l'odierno Sagittario presso la sacrosanta Casa della Vergine dove avevano trasportato la statua e dove l'avevano ritrovata: era l'anno dell'Incarnazione del Signore 1152, come attesta un'iscrizione alla base della colonna a destra dell'altare maggiore, dedicato all'Assunzione, nella stessa Chiesa, con poche parole, in questa forma: QUESTO MANASTERO FU FONDATO NELL'ANNO 1152(71). Un Autore Anonimo, in un manoscritto, senza che faccia nessuna menzione circa la triplice fondazione del Sagittario, afferma che l'Abbazia fu costruita nell'anno 1200 e narra la sacra vicenda con queste parole(72). Anno 1200. Miracolosamente fu fondata e costruita questa Abbazia di S. Maria del Sagittario, dell'Ordine Cistercense, nella Diocesi di Anglona nella Provincia di Basilicata, presso la città di Chiaromonte. Andando un cacciatore per le terre di quella selva (infatti intorno a questa Abbazia vi è un bosco fitto e densissimo di piante selvatiche, come abeti, castagni, faggi, arbusti, cornioli e altri alberi di questo tipo e di boscaglia e, per questo, è ottimo per la caccia), il cacciatore, tendendo insidie alle fiere, volle scagliare una saetta contro un cervo; come un altro Eustachio(73) ammonito dal cervo, anch'egli fu colpito dall'ammonizione del cervo, perché quando la saetta che aveva scagliato ritornò contro di lui colpendolo ma senza ferirlo, ecco che vide una statua della Beatissima Vergine in piedi presso le radici di un albero di castagno. Come ebbe questa visione, andò dal Vescovo di Anglona, il quale insieme con il clero volle subito che si edificasse una Chiesa da dedicare alla Beatissima Vergine e che fosse affidata al nostro Ordine. Questa Abbazia fiorì e fu in grande devozione per il popolo, accresciuta e magnificamente arricchita dai Conti di Chiaromonte e da altri Principi e in modo meraviglioso dotata dai Vescovi di Anglona di privilegi e di beni.
Ma vi è un altro documento che, per il modo in cui è scritto, ha un sapore più antico: fu presentato, a nome del Monastero, dal suo Abate e dai Frati, a Carlo V, imperatore dei Romani e Re delle due Sicilie(74), quando il 5 novembre del 1535 fece solennemente il suo ingresso a Napoli(75), per chiedere la conferma dei privilegi, delle grazie delle esenzioni, delle libertà ecc. Nella semplicità dell'eloquio comincia così(76):

S.  C.  E.  C.  M.  (77)

Lo venerabile Monasterio, Abbati e Frati de Santa Maria del Sagictario delo Ordine Cistercense oraturi perpetui de V. Maestà humilmente le fanno intendere, che circa anne seicento, che stando in veneranda exstimazione una antiqua immagine de la intemerata Vergine Matre del Redemptore nostro Iesu Cristo, in una terra chiamata Clarimonte: tale immagine non travàndose al loco dove stava, per le Citadine de dicta terra(78) in trovarla fu facta deligentissima investigatione et como piacque al Summo Creatore, andando cacciando un cacciatore in uno appennino(79) de longo circa setti miglia da dicta terra, sagictando una Cerva, quella fugendo se nascose in uno loco dove era dicta divinissima immagine, quale così miracolosamente trovata, andao subito ad rivelarla alle citadine, che cercandola andavano, quale stupide(80) tutte de tal miracolo, insieme con le Signure che in tando dominavano(81) con devotissime processioni andarono in tal loco (e il resto)(82) che, per evitare prolissità, non si riporta.
Il 1535 è, dunque, l'anno della venuta di Carlo V in Napoli; lo attesta anche nella sua storia(83) il Notaio Gregorio Ruffo il quale come eletto del popolo napoletano insieme con gli altri eletti dei Nobili lo aveva accolto in Napoli il 25 di novembre. Anche D. Camillo Tutino Napoletano cita questa storia nella sua opera sull'Origine e la fondazione dei Seggi di Napoli(84). Se, dunque, dal numero degli anni 1535 si tolgono seicento anni da quando fu miracolosamente trovata la Statua della Vergine Madre di Dio, come attesta la supplica presentata a Carlo V, in forza del calcolo dobbiamo giungere all'anno del Signore 935 e conseguentemente dobbiamo dire che intorno a quest'anno fu eretta sull'Eremo, per la prima volta la sacrosanta casa.
Silvestro Viola Napoletano, nella sua storia che ha per titolo:Regno di Napoli sacro, nel lib. II, cap.3, cui premette questo titolo: Grandezze della Vergine gloriosa sotto il titolo di S. Maria del Sagittario presso la terra di Chiaromonte, anno del Signore 1654, sembra che dica senza alcun dubbio le stesse cose che noi ora abbiamo dedotte dal testo della supplica, con queste parole(85):
Distante dalla Terra di Chiaromonte di Basilicata da sei miglia in circa presso il fiume Sinno tra il paese di Sinisi e Noia, scorgesi un vago e antico Monasterio di Frati Cistercensi di S. Bernardo di Chiaravalle nominato Santa Maria del Sagittario per un miracoloso caso ivi successo, il quale raccontasi essere questo. Andando a caccia un gentiluomo, che forse sino a quest'anno 1654 sono trascorsi più di 600 anni, per avventura si imbattè in una cerva , alla quale tirandoli tre frecciate con l'arco, niuna gli colse, ma le frecce ritornarono in dietro: ed ecco che si accorse di una bellissima figura di Maria relevata in altezza di palmi quattro(86), che stava dentro un folto e grosso albero di castagna. Altri dissero che andando i Cacciatori di Chiaromonte a cacciare in detta montagna fu ritrovata da cani una cerva di bellissima sembianza, e i cani e veltri(87) se li gittarono a' piedi distesi in terra e sommessi con lambire la detta cerva e con farli vezzi conie a' costume di cani a' loro Signori: e quantunque li cacciatori havessero tirato delle saette per ammazzarla, e finirla, contuttociò le saette e spiedi cadevano in terra senza punto colpire la cerva. Onde atterriti i Cacciatori, credendo ciò essere cosa sopranaturale, li diedero addosso alla Cerva, la quale non fu vista più; ma si bene una figura della Vergine Madre in un tronco di castagno in una cassetta(88) tanto capace quanto la sacra figura di palmi quattro. Ritornati i Cacciatori pieni di meraviglie in Chiaromonte, confessando il loro errore, subito senza punto tardare, fu ordinata una devota processione, e scalzi e battendosi andarono nel luogo della caccia, e fu trovata la sacra figura di Maria riposta dentro il troncone del castagno. Presero li cittadini di Chiaromonte questa santa figura e la condussero nella loro Terra, e la mattina seguente si trovò nel luogo da dove era stata presa nel bosco. Un Conte poi volendoli fare, come già li fece una bellissima Chiesa in un luogo detto Bella Valle, e in processione ve la fè condurre; e la mattina seguente si ritrovò nel primiero luogo. Il che visto, e considerato da tutti, vollero ivi ademplire la volontà della Vergine, edificarono il Tempio e Monasterio nelle Motagne di sopra, territorio di Chiaromonte. Da molte persone poi li furono concessi e donati molti territori e montagne come sono il Sicilio, le Zimeride, li Territori di Ventrile(89), li Molini di Chiaromomte(90), la Montagna chiamata la Grottola e un'altra chiamata Cascia nova, un'altra chiamata lazzo della Puma, Magnano montagna(91) e altri territori di vigne grandissime, con alcune difese(92) e giardini che si possedono da detti Monaci Cistercensi negri(93). Si celebra la sua festa il 15 di Agosto con gran concorso di tutti li popoli della Provincia e con molta veneratione e devotione.
Fin qui la storia di Silvestro Viola, il cui manoscritto originale è conservato presso l'eruditissimo conoscitore di quasi tutta la storia del Regno Napoletano e vanto della città di Napoli, l'Illustrissimo Signore Nicola Caputo, figlio di Marino e di Baetrice Coppola, le cui eccelse virtù d'animo saranno proclamate dalla posterità non invidiosa soprattutto quando saranno pubblicati e conosciuti i ricchissimi ed eloquentissimi volumi sul Regno di Napoli che quest'uomo eruditissimo ha già composti(94).
Ma comunque siano andate le cose circa l'asserito tempo della fondazione della Chiesa nel luogo che Silvestro chiama Bella Valle e dei territori e dei monti concessi alla Sacra Casa, in cui
per l'ignoranza dei documenti e per la mancanza di tradizione degli abitanti, potè facilmente ingannarsi, anche se si dice che la prima Chiesa fu fondata dai Chiaromontesi un secolo dopo il 935, anche così fu facile al Vecchio Monastero del Sagittario ampliarsi con tante chiese e tanti altri beni fino al pontificato di Papa Alessandro 1195 quanti ne ricorda il Papa Onorio III nel suo privilegio di conferma sopra riportato(96). E c'è da notare che il Papa Onorio III confermò, nel diploma citato, solo le chiese che all'Abate e ai Frati del Monastero del Sagittario avevano confermate, prima di lui, i Romani Pontefici Alessandro II, Gregorio VII(97), Urbano II(98), Pasquale II(99) e Callisto II(100), e diede ai Monaci del Sagittario un privilegio uguale a quelli precedenti, senza far quasi menzione alcuna delle altre Chiese che si aggiunsero al Sagittario dopo la venuta dei Cistercensi: quali la Chiesa di S. Maria di Lauro, Sita nel tenimento di Rotonda del Mare, di cui parlarono Roberto(101) e Leonardo(102) del nostro Ordine, Vescovi di Anglona, nei privilegi sopra ricordati(103), la Chiesa di Sant'Agata, tra Malvito(104) e Sangineto, in Calabria, data da Rinaldo del Guasto, conte di San Marco(105), per concessione del Vescovo Diocesano, che fu confermata al Sagittario da Gregorio Crescenzio Romano Diacono Cardinale di S. Teodoro, Legato della Sede Apostolica, sotto la data di Palermo il quarto giorno delle Idi di Ottobre(106), Indizione 13 nel dodicesimo anno del Papa Nostro Signore Innocenzo III(107)come si può vedere(108). Così la Chiesa del Monastero di S. Maria di Bonavalle, sua filiazione, eretta, intorno all'anno 1203, dallo stesso Rinaldo del Guasto, da Agnese sua moglie, e da Riccardo, marito di sua sorella, figli di Ugo di Chiaromonte(109), come attesta un documento scritto su pergamena e firmato dalla loro propria mano; un esemplare del quale, così come si trova, vogliamo qui presentare dall'Archivio del Sagittario, affinchè resti almeno il ricordo di questo Monastero di cui appena, oggi, resiste qualche pezzo di muro, e affinchè più pienamente siano noti all'Illustrissimo e reverendissimo Signor Commendatario(110) e alle popolazioni vicine i diritti del feudo del Sicileo.
Nel nome della Santa e individua Trinità. Amen. Concessione fatta da noi Rinaldo del Guasto, Agnese nostra moglie e Riccardo nostro cognato, figli del defunto Ugone di Chiaromonte, a voi, Venerabili Fratelli Monaci del Monastero di Santa Maria di Buona Valle, e a tutti quelli che canonicamente vi succederanno in perpetuo. Sbattuti nei flutti delle colpe e naufraghi nel mare dei peccati, abbiamo scelto, dopo il Signore, quasi tavola di salvezza per noi, il rifugio della Santa Madre di Dio Maria, sperando di evitare, in essa, il pericolo che la procella della coscienza ci minaccia. Affidandoci, dunque, al suo patrocinio, noi ci siamo accorti che molto spesso saremmo stati sommersi nel profondo se Lei non avesse tenuto la mano della nostra destra e non ci avesse tenuti sotto la sua protezione.(111) Perciò a mostrare, per quanto possibile, la gratitudine per i benefici ricevuti, ad onore di Dio e della Beata Vergine Maria, abbiamo fondato, con il suo aiuto, una Chiesa nel territorio di Sicelio(112); e in essa, per mandato e concessione del Papa, il Signore nostro Innocenzo, e per gratuita nostra volontà e sincera inclinazione del cuore, si è deciso di stabilirvi come Abate e Religiosi gli uomini giusti del Venerabile Ordine Cistercense, per la cui riverenza di grazia e l'affetto della nostra devozione abbiamo dato e concesso alla stessa Chiesa, all'Abate e ai Frati in essa stabiliti tutto il tenimento di Sicilio, così come si trova nel privilegio di scambio che con noi fece Ugone di Sicilio e Mabilia sua moglie; privilegio che abbiamo dato alla stessa Chiesa. E affinchè il monastero stesso godesse di vera e piena libertà, lo abbiamo, insieme agli altri beni che gli abbiamo dato e gli daremo in futuro, del tutto separato da ogni diritto e dalla potestà nostra e dei nostri eredi, né abbiamo riservato alcunchè nello stesso Monastero, nei tenimenti e nelle sue cose, per noi e per i nostri eredi. Perciò il Monastero stesso sia libero; lo abbiamo, infatti, costituito libero e sicuro da ogni diritto e potere nostro e dei nostri successori(113). E abbiamo concesso che voi, Venerabili Fratelli dello stesso Monastero e quelli che canonicamente vi succederanno in perpetuo nello stesso Monastero secondo la regola del Beato Benedetto, Padre e Dottore di tutti i Monaci, viviate religiosamente secondo la consuetudine del vostro Ordine Cistercense, radunando lì le assemblee della Religione, eleggendovi gli Abati tra i vostri confratelli, chiunque vogliate, liberamente, secondo l'Ordine Cistercense e la vostra libertà. Abbiamo anche concesso e abbiamo donato alla stessa Chiesa ventiquattro buoi da lavoro, una metà dell'armento delle nostre vacche, cinquecento pecore e dieci giumenti(114). E vi chiediamo con molta devozione, Venerabili Fratelli in Cristo stabiliti nello stesso Monastero, che vogliate pregare per la remissione dei nostri peccati e di quelli dei nostri genitori; che facendo il calcolo degli anni, ricordiate gli anniversari dei nostri antenati, e similmente preghiate per noi e per i nostri eredi, quando Dio vorrà farci uscire da questo mondo(115). Se poi noi stessi o i nostri eredi, spinti da consiglio diabolico tentassimo di tornare indietro e di vanificare in tutto o in parte le cose dette, o diminuirle, pagheremo alla Regia Curia, cento reali d'oro(116) e altrettanti alla parte dello stesso Monastero, restando, d'altra parte, questa concessione ferma e stabile. Per la cui sicurezza, memoria e perpetua stabilità facemmo stendere questo scritto per mano del presbitero Nicola nostro Cappellano, e lo rafforzammo con la sottoscrizione delle nostre mani e
con la testimonianza di altri sottoscrittori e con il nostro sigillo di cera.
Nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1203. Nel sesto anno di regno del nostro Signore Federico(117), per grazia di Dio Magnifico Re di Sicilia, del Ducato di Puglia, Del Principato di Capua. Felicemente.
Amen.
+ Segno della mia propria mano di Rinaldo del Guasto.
+ Segno della mia mano di Agnese, moglie del Sigmor Rinaldo del Guasto.
+ Segno della mia mano di Riccardo.
____________________________(118)

+ Io Baiada di Tagana sono testimone.
E con un altro carattere, che non indica la stessa antichità, a tergo del privilegio è scritto: Il giorno tre del mese di ottobre, della nona indizione il presente privilegio risulta presentato al Signore Giovanni de Urlandis, Regio Commissario per la reintegrazione dei feudi e delle terre del Serenissimo Signore il Principe di Bisignano per il Frate Tommaso, Priore del Monastero di cui si parla. Il documento è stato ricevuto e accettato, e ne resta copia presso la Curia.
Più sotto, poi, segue una rubrica(119) che odora di antichità non minore del privilegio; ed è questa: Privilegio del Sicelio, fatto dal defunto Conte Rinaldo del Guasto a Santa Maria di Bonavalle dei Frati di Santa Maria del Sagittario dell'Ordine Cistercense con tutti i diritti, e in quesi diritti è compresa la fida e la diffida(120).
Né Rinaldo del Guasto e Agnese sua moglie concessero solo questi beni al Monastero di Santa Maria di Bonavalle, filiazione del Sagittario, ma anche il tenimento di Pellicorio(121) della cui concessione e privilegio il contenuto è il seguente:
+ Io Rinaldo del Guasto per grazia di Dio Conte di San Marco confermo questo.
+ Io Agnese contessa di San Marco questo voglio e concedo.
Nel nome della Santa e Indivua Trinità. Amen.
Nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1214, nel mese di marzo, della seconda indizione. Bisogna che ognuno abbia fedele provvidenza, affinchè dopo l'aiuto di questo mondo si edifichi una casa perpetua nella patria eterna, come vediamo ogni giorno che non si può possedere questo mondo, ma tutto ciò che qui si possiede, bisogna lasciarlo come cosa vana, perciò conviene, se si è saggi, fabbricarsi una casa nel cielo dove si possa solo da Dio avere un premio che occhio non vide, né orecchio udì, né entrò nel desiderio dell'uomo. Perciò noi Rinaldo del Guasto, per grazia di Dio Conte di S. Marco, insieme con la Signora Agnese nobilissima Contessa, carissima nostra sposa, comprendendo che il Signore per la sua benignità e non per i nostri meriti, ma per sua grazia ci ha esaltati in questo mondo e con ottimi suoi doni e ricche elargizioni a noi fatte si è degnato onorarci fra molti, al nostro Signore che guarda con occhio benevolo non la quantità, ma che accetta volentieri l'offerta che proviene da un cuore contrito e umiliato, vogliamo rendere una piccolissima parte, affinchè se lo vuole Lui, dal quale procede ogni bene, possiamo ottenere, con i suoi servi dei servi, un piccolo posto del suo Regno(122). E siccome ci è sembrato che nulla è tanto grato a Dio quanto l'onorare ed esaltare la sua Chiesa, concediamo e doniamo di nostra volontà generosa e disinteressata, a rimedio delle nostre anime, concediamo e doniamo a Dio Onnipotente e alla Chiesa di Santa Maria del Sagittario, Sita nel territorio di Sicelio(123) un tenimento sito nel territorio della nostra terra di Pellicorio(124), cioè nella zona marittima; e di questo tenimento i confini sono i seguenti: dalla parte orientale c'è la via pubblica che viene dal mulino che appartiene alla nostra Curia e va verso il tenimento della terra dell'Ospizio, svolta verso la strada pubblica che viene dal Pantano(125) e per la stessa strada e per il termine della terra di S. Basilio(126) fino al Vallone di S. Gregorio, e va, di colle in colle(127), fino alla terra che teneva Costanzio nostro Camerario(128), e arriva, per il colle, fino alla Pietra Stirea. Dalla parte meridionale vi è il canale dei nostri mulini(129) e il Pantano; dalla parte settentrionale vi è il predetto Vallone di S. Gregorio; e così è delimitato il tenimento nei suoi confini. Questo tenimento, dunque, concediamo e doniamo alla predetta Chiesa di Santa Maria del Sagittario Sita nel territorio di Sicelio con la sua entrata ed uscita e tutto ciò che in esso si trova e si contiene, che lo tenga e possieda da questo momento e per tutto il tempo futuro, in modo libero e completo senza nessuna molestia, contrarietà e richiesta da parte nostra e dei nostri eredi o di qualsiasi altra persona. Se poi qualcuno osasse, temerariamente annullare o vanificare questa nostra donazione, sia tenuto a pagare a detta Chiesa una libbra d'oro puro(130), e questa nostra concessione e donazione resti sempre stabile e inviolabile. Perciò a conferma e sicurezza della stessa Chiesa, abbiamo ordinato che il presente scritto fosse redatto per mano di Giovanni, nostro fedele curiale, Notaio di Pellicorio, che fosse contrassegnato dal sigillo proprio delle nostre mani e confermato dai Giudici(131) e uomini probi della nostra terra di Pollicorio.

+ Segno della mano del Giudice Arverio.
+ Segno della mano del Giudice Guglielmo.
+ Segno della mano del Siro(132) Giovanni di Grannano Giudice di Policorio(133)
+ Segno della mano del Siro Giovanni Terentino Giudice di Pellicorio
+ Segno della mano del Sire Roberto di Policorio.
+ Segno della mano del Sire Francabio(134).
+ Io Pietro Vescovo sono testimone(135).
+ Segno della mano del Sire Nicola di Vitale.

Vi sono sottoscritti i nomi di altri cinque testimoni.
Il predetto territorio di Pellicorio fu una volta tolto al Monastero del Sagittario e occupato dal Signore Guglielmo Malabranca, ma ad istanza dell'Abate del Sagittario, il Re Carlo II(136)impose a Giovanni di Laya, giustiziere della Terra d'Otranto, di costringerlo alla restituzione del tenimento occupato. Come risulta segnato nel Regesto del Re Carlo II, nell'Archivio della Regia scia, 1306 e 1307, lett. D, foglio 244, al tergo: Dato a Napoli per Nicola Frizzia di Ravello nell'anno del Signore 1307, il giorno 2 di ottobre; Indizione 5. Ma nell'anno 1334, 26° anno del regno di Roberto Re di Gerusalemme e di Sicilia(137), nel mese di giugno, il primo giorno dello stesso mese 20 Indizione, Ruggiero Abate del Sagittario, cambiò alcuni pezzi delle terre dello stesso tenimento di Pellicorio, che si trovavano nella contrada denominata Marittima, con terre incolte e coperte di boschi del notaio Nicola del Giudice Giovanni di Cosenza, nella contrada detta Costeria, come risulta dallo strumento sopra ciò redatto e conservato nell'Archivio del Sagittario. Lo stesso per la Chiesa di S. Costantino, sito nel territorio della Terra di Noha(138).
Questa Chiesa, insieme con i suoi beni, fu data in enfiteusi da Giacomo, Abate del Sagittario, al nobile Gilberto del Signore Nicheta di Senise, valletto e siniscalco del nobilissimo Signore di Chiaromonte, e al suo primogenito, con il solo obbligo di pagare, nella festa del mercato di S.Giovanni di Senise(139), quindici tareni d'oro, come risulta dalla concessione originale scritta su pergamena, di cui volentieri trascriviamo il testo, perché si conservi memoria del fatto
Nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1266, regnando il Signore nostro Manfredi(140),per grazia di Dio Illustrissimo Re di Sicila, nell'ottavo anno del suo Regno felicemente. Amen.
Il giorni 15 martedì del mese di settembre, nona Indizione, presso Noha. Noi fra Giacomo, umile Abate del Monastero di Santa Maria del Sagittario dell'Ordine Cistercense, e la Comunità dello stesso Monastero, con il presente scritto pubblico facciamo noto a tutti i presenti e futuri che noi, prestando attenzione alle cose grate e agli accetti servizi che tu, nobile Gilberto del Signore Nicheta di Senise, valletto e siniscalco dell'Illustrissimo Signore Enrico di Rivello Signore di Chiaromonte, di recente hai prestato al nostro predetto Monastero e a quelli che in futuro potrai dare, mossi non da violenza o da inganno ma con nostra spontanea e libera volontà , in presenza di Nicola di Sire Roberto e di Benedetto, giudici di Noha, di Pietro, pubblico notaio della stessa terra, e dei testimoni sottoscritti, per questo esplicitamente chia-mati e invitati, fin d'ora concediamo e affidiamo in enfiteusi a te, predetto nobile Gilberto e al tuo solo figlio primogenito la nostra Chiesa di San Costantino, Sita nel territorio di Noha, con le case, le vigne, i tenimenti, le rendite, le terre coltivate e incolte, e con i diritti e le pertinenze che di ragione le spettano di qui ad anni venti(141)..., in modo che tu o il tuo erede teniate la stessa Chiesa con tutte le sue pertinenze, come è stato stabilito dal Monastero e per il Monastero sopradetto, e rendiate a noi, per la parte del detto Monastero del Sagittario, o ai nostri successori, nel giorno festivo del mercato di San Giovanni di Senise, che si fa ogni anno nell'ultima settimana del mese di luglio(142), quindici tareni(143) d'oro ben ponderati, e che siate tenuti a mantenere e a curare la stessa Chiesa e le sue possessioni, facendovi opportuni miglioramenti, in modo che la stessa Chiesa sembri aumentata con le possessioni e migliorata di bene in meglio; e se per caso cessaste per un biennio di dare a noi o ai nostri successori il censo predetto(144) e se non miglioraste la stessa Chiesa e le sue possessioni, dopo essere stato ammonito due o tre volte da noi o dai nostri successori circa i miglioramenti(145) della Chiesa e delle sue possessioni, e non aveste intenzioni di apportare i miglioramenti, sia lecito a noi e ai nostri successori, con autorità propria, togliervi il possesso della detta Chiesa e riportarla al diritto, al dominio e alla proprietà dello stesso Monastero; e, terminati gli anni stabiliti, se la predetta Chiesa e i suoi possedimenti saranno stati migliorati, la stessa Chiesa con le sue possessioni e i benefici ivi effettuati ritornino nel possesso libero e nel dominio del Monastero. Perché, poi, la nostra concessione e locazione abbiano forza di stabilità, ne abbiamo fatto redigere per te questo pubblico strumento per mano del predetto Pietro, pubblico notaio di Noha, autenticato con il segno dello stesso, dei predetti giudici e dei testimoni sottoscritti, con il nostro sigillo pendente, con sottoscritta la nostra testificazione e con i segni e la sottoscrizione della predetta Comunità(146)
Io stesso, Pietro, pubblico notaio di Noha, l'ho scritto di mia mano, per mandato dello stesso Abate e della Comunità, autenticandolo con il mio consueto contrassegno(147), perché fui presente, nell'Anno, Mese e Indizione già scritti.
+ Io fra Giacomo umile Abate concedo e confermo.
+ Io fra Assuero ho sottoscritto e testifico.
+ Io fra Nicola Monaco e Diacono ho segnato con la mia mano.
+ Io fra Ruggiero monaco sono testimone.
+ Io fra Guglielmo di Chiaromonte monaco del Sagittario confermo e concedo
+ Io fra Nicola monaco concedo e confermo.
+ Io fra Ruggiero di Chiaromonte concedo e confermo.

Così della Chiesa di Sant'Atanasio, presso la Terra di Vianello(148), con le vigne e le terre poste presso la stessa Chiesa, di San Nicola di Pertusio, Sita nel territorio di Rocca Imperiale(149); di San Nicola di Salza nel tenimento di Senise, con le vigne vicino alla stessa Chiesa, come risulta dall'Archivio della Regia Sicla, fascicolo segnato con il numero 41, foglio 51, sotto il Re Carlo II, dove si ricorda che in quel tempo era Abate del Sagittario un certo venerabile Angelo.
Sotto lo stesso Re Carlo II, alla predetta Chiesa di San Nicola di Salza, su richiesta del Signore Nicola, venerabile Abate del Monastero del Sagittario(150) e di fra Giovanni, monaco dello stesso Monastero e Priore, il presbitero Pietro Miniani e Basilio Miniani, fratelli germani della terra di Senise, confermarono e concessero un pezzo di terra dato alla stessa Chiesa dai loro genitori, Sita tra il territorio della predetta Terra di Senise nel luogo chiamato San Nicola di Salza, della quale terra i confini sono i seguenti(151): da Oriente la vigna che allora apparteneva allo stesso Signore Pietro Miniani presbitero, da Occidente la terra della stessa Chiesa di San Nicola di Salza, da Borea la terra che allora era dello stesso Presbitero Pietro e dal Mezzogiorno una via stretta, come risulta dal documento firmato dalla propria mano dei donatori nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1309, sotto il Regno dell'Illustrissimo Signore Carlo II Re di Gerusalemme e di Sicilia, del Ducato di Puglia e del Principato di Capua, della Provenza e di Focalquier, e Conte del Piemonte(152) nel 25° anno del suo Regno, il 21 del mese di gennaio, settima Indizione, presso Senise.
Così la Chiesa di Santa Ginapura(153), con le terre e le vigne poste presso la stessa Chiesa, come dal fascicolo 51 a tergo e foglio 52(154), sotto il Re Carlo I(155), dove si trova anche che i beni del Sagittario che si trovano nella Terra(156) e nel territorio della Terra di Senise, essendo burgensatici(157) e franchi(158) non furono restituiti al Signore Riccardo di Chiaromonte, quando, dopo la prima venuta di Carlo I nel Regno, gli fu restituita la terra di Senise. Lo stesso per la Chiesa di San Nicola de Frassi presso la Terra di Oriolo(159), con la vigna, i vignali e le terre coltivate e incolte. Il confine di uno dei vignali erano questi: ad Oriente la vigna della predetta Chiesa, a Occidente la sorgente detta della Salina, a Borea la vigna di Giovanni Fiore della Terra di Roseto(160), e a Mezzogiorno un terreno della stessa Chiesa di San Nicola de Frassi. Ruggiero, Abate del Sagittario, la concesse a Ruggiero di Terza, della Terra di Roseto e ai suoi eredi e successori con l'obbligo di pagare la decima dei mosti provenienti dalla stessa vigna, nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1329, il giorno 10 settembre, 13° Indizione, nell'anno 21° del Regno di Roberto I, Re di Gerusalemme e di Sicilia, del Ducato di Puglia(161) e del Principato di Capua della Provenza, di Forcalquier e conte del Piemonte, come dallo strumento di concessione scritto per mano di Rinaldo di Soccorto della Terra di Senise pubblico notaio. E che la Chiesa di San Nicola de Frassi sia esistita come una filiazione dell'Abbazia del Sagittario lo fa capire lo stesso Abate Ruggiero sia nel già citato strumento che in un altro che si può leggere nell'Archivio del Sagittario in questi termini:
Nel nome di Dio. Amen. Nell'anno della sua Incarnazione 1338, il giorno 10 del mese di gennaio, sesta Indizione, presso Roseto. Regnando il Serenissimo Signore nostro Roberto, per grazia di Dio Re di Gerusalemme e di Sicilia, del Ducato di Puglia e del Principato di Capua, della Provenza, di Forcalquier e Conte di Piemonte, nell'anno 29° del suo Regno felicemente. Amen. Noi Guglielmo di Testa, Regio Giudice della detta Terra di Roseto per lo stesso anno della sesta Indizione, Marino di Baldino, pubblico notaio, per autorità Regia, per tutto il giustiziariato di Calabria, della Valle del Crati(162), della Terra di Giodano(163), della Basilicata e della Terra d'Otranto, e i testimoni sottoscritti, invitati e pregati proprio per questo, facciamo noto con il presente pubblico strumento, e attestiamo che Frate Ruggiero di Senise, Abate del Sagittario, costituito in nostra presenza, asserì che la Chiesa, ovvero Monastero, di San Nicola di Frassi tiene e possiede i sottoelencati beni stabili siti e posti nella Terra di Senise e nel Territorio della detta Terra di Roseto, appartenenti alla stessa Chiesa di San Nicola di Frassi di pieno diritto, come ha detto lo stesso Abate Ruggiero. Di questi beni stabili lo stesso Abate Ruggiero chiese che noi, già menzionati Giudice, Notaio e testimoni sottoscritti facessimo un pubblico strumento affinchè ciò che al presente riconosce dei predetti beni stabili si mostri per memoria, in futuro, a tutti chiaro, a cautela della stessa Chiesa. E questi beni stabili sono i seguenti: due case siti nella stessa Terra di Roseto presso il castello della stessa Terra(164), confinanti dalla parte orientale con la casa dell'Eminente de Graziano, ad Occidente con la via pubblica, a Mezzogiorno similmente con la via pubblica e con il vicolo delle stesse case, a Borea con la casa degli eredi del defunto Pietro di Baldino. Inoltre un'altra casa nella stessa Terra, confi-nante ad Oriente con la casa del defunto Giovanni Falcone, che ora possiedono i suoi eredi, ad Occidente vi è il vico della stessa casa e la via pubblica, a Mezzogiorno la via pubblica, a Borea la casa degli eredi di Giovanni Cumba(165). Inoltre una vigna che si trova nella contrada di Santa Croce, i cui confini sono questi: ad Oriente la vigna del Notaio Giovanni di Costantino, ad Occidente un corso d'acqua, a Mezzogiorno la vigna di Nicola di Sire Confrido e di suo fratello, a Borea un grande canale. Inoltre, un 'altra vigna nella contrada Pasticio confinante a Oriente con la vigna del defunto Giudice Enrico, ad Occidente con la via pubblica, a Mezzogiorno similmente con la via pubblica, a Borea con la vigna del Signore Costanzo di Madio. Un'altra vigna nella contrada Sant'Elia, confinante a Oriente con la vigna di Giovanni Craco, a Occidente con la vigna che tiene Marino di Alicastro da parte di sua moglie, a Mezzogiorno con la vigna di Nicola di Costantino, a Borea con la via pubblica. E così questi sono, lì, i confini dei beni stabili, come ci ha detto lo stesso frate Ruggiero, Abate del Sagittario, insieme con i testimoni presenti con lui. E siccome a noi risulta con chiarezza che questi beni stabili, così definiti nei loro confini, appartengono alla Chiesa o Monastero di San Nicola di Frassi che è sotto il Monastero del Sagittario, a memoria di ciò e perché ne sia perpetua sicurezza e cautela, è stato fatto, per la già ricordata Chiesa o Monastero di San Nicola, questo pubblico strumento per mano di me, come sopra detto, Notaio Marino, e autenticato con il nostro consueto contrassegno e con la sottoscrizione solita e i segni dei nostri, sopra indicati, Giudice e testimoni sottoscriti, che fummo presenti a quanto detto.
+ Segno di Croce della mano propria di Guglielmo Testa, Regio Giudice(166), come detto sopra, della Terra di Roseto.
+ Io Signore Noviello di Roseto attesto.
+ Io Cataldo di Maturano attesto..

+ Io Presbitero Corrado Fanuele attesto.
+ Io Tribus Fanuele attesto.
+ Io Ruggiero di Fanuele attesto.
+ Io Giudice di Pesare attesto.
+ Io Ruggiero Fagogenio attesto.
+ Io Presbitero Roberto di Roseto detto Marturano attesto.
+ Io Angelo del Giudice Corrado di Roseto attesto
+ Io Marino di Baldino, per autorità Regia pubblico Notaio per ogni luogo del predetto Giustizierato, come sopra detto, richiesto a quanto premesso, sono stato presente, ho scritto e mi sono sottoscritto

E c'è, infine, un'altra Chiesa sotto il titolo di San Costantino, Sita presso la rocca di Colobraro, di cui fa menzione un altro antico documento conservato nello steso Archivio del Sagittario, che non si riporta per evitare lungaggini. Del resto sia delle Chiese nominate sia di quelle non nominate nel citato diploma di Onorio III, niente esiste per il turbine delle Commende(167), mentre i loro beni, se si eccettua il feudo del Sicileo, sono passati in beneficio dei secolari(168). Anzi pure questo stesso Feudo del Sicileo fu occupato dai Principi secolari, come troviamo in una sentenza del Sacro Regio Consiglio che suona così:
Nel nome di Dio. Amen. Visto il memoriale presentato all'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore già Vicerè da parte del Signore Girolamo Virgallito, Abate del Venerabile Monastero di Santa Maria del Sagittario, contro l'Illustrissimo Principe di Noia, il cui tenore è v.3. Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore ecc(169). Visti, infine i documenti che bisognava vedere per questa nostra definitiva sentenza, diciamo, pronunciamo, sentenziamo(170), stabiliamo e dichiariamo, per comando del nostro Sacro Consiglio, che bisogna restituire al detto Abate del Venerabile Monastero del Sagittario, da parte del Principe di Noia(171), e che sia dentro questi confini, come vengono disegnati con duplice linea nella mappa allegata agli Atti(172) cioè dal Vallone di Mineo per il fiume Sinni, fino al Vallone di Rubbio, salendo al piano Luparelli tra il piano stesso e il piano di San Nicola, e di qui in linea retta alla serra del Coltello, in mezzo alla Serra, tagliando la via con cui si va a Noia, e continua per il Vallone, lì dov'è chiamato l'Abbeveraturo(173), per il Valloncello ov'è la Trattarea(174) che viene da Sant'Elena e andando per il detto Vallone viene al Castello diroccato e poi al Vallone Scannagatta e ritorna al detto Vallone di Mineo e al fiume Sinni, e così, in linea retta, siano delimitati i confini. E si ordina così come porre i confini; né le parti li mutino o li distruggano, sotto pena di mille ducati. Letta e data il giorno 14 di luglio 1603.
Mistanza(175) ecc.

In questo feudo, vi era un Castello da non disprezzare con una Parrocchia(176) sotto il titolo di Santa Maria del Sicileo, e sebbene il Castello e la Parrocchia siano deperiti e quasi del tutto abbandonati dalla fine del secolo decimoquinto per le violenze e la paura di uomini scellerati che agivano per il mandato di un Principe (il cui nome per onestà bisogna tacere(177)), come attesta in una sua indagine un uomo egregio, il Notaio Domenico Vertunno di Chiaromonte, Capitano dello stesso Castello di Sicileo, a ciò deputato dallo stesso Commendatario di allora, che aveva condannato alcuni alla tortura e altri alla forca per i debiti; nondimeno, tuttavia, fino a questi tempi (in cui è Vescovo della Chiesa di Anglona l'Illustrissimo e Reverendissimo Signore Don Francesco Antonio De Luca(178), di famiglia non ultima fra le più nobili e ricche di Melfi, uomo adorno non solo di lettere, ma di umanità che può dirsi singolare e di prudenza e di giustizia nell'agire, uomo di animo invitto e acerrimo difensore della giurisdizione, immunità e libertà: a lui è giusto augurare lunga vita, perché da lui uomini di ambedue i fori(179) aspettano un'amministrazione, per la nobile Chiesa di Anglona(180), fausta e nobilissima(181)) ogni anno nella festa della Natività della Vergine Madre di Dio, il Vescovo di Anglona esige l'obbedienza(182) dal Parroco di Santa Maria del Castello di Sicileo come dagli altri Parroci delle Chiese che di fatto ancora esistono e non esistono di Rubbio e di Agromonte, luoghi della sua Diocesi(183). E qui non vogliamo ricordare le Grance dello stesso Monastero del Sagittario: quella della Visitazione, di Sant'Onofrio, di Sant'Anna e di San Bernardo di Chiaravalle nella terra e nel Territorio di Chiaromonte, della Santa Croce nell'abitato di Senise e di San Vito ad Episcopia, per quanto riguarda la Diocesi di Anglona, e, per quanto riguarda la Diocesi di Cassano(184), quella di Sant'Anna, a Castelluccio, e della Santissima Annunziata, a Rotonda, perché furono erette molto tempo dopo l'accordo raggiunto, nell'anno 1573, circa le spese sia per le suppellettili della Chiesa e la riparazione del detto Monastero e della sua Chiesa, sia per il sostentamento, il vitto e il vestito dei Monaci dello stesso Monastero, con il Signore don Girolamo Virgallito che allora era l'Abate Commendatario. Il quale, seguendo le orme dei suoi predecessori, negava ai Monaci del Sagittario anche il necessario. Ne era nata una lite lunga e controversa, che, finalmente, per volere di Dio, fu definita amichevolmente, concordata e convenuta; e questa convenzione e concordia fu confermata dal Papa Gregorio XIII(185) mediante una sua lettera che comincia con le parole: Dalla solita clemenza della Sede Apostolica e affinchè, tolti i motivi delle liti e delle controversie di qualsiasi persona, ma soprattutto di quelle che servono l'Altissimo sotto il giogo della Religione.. .ecc.
Sotto la data di Roma, presso S. Pietro, nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1575... Alle Idi di dicembre(186) quarto anno del Pontificato. Ma c'è un fatto strano che sempre mi ha meravigliato e mi meraviglia, ed è che il Monastero del Sagittario, se si eccettua il sacro Tempio, ha pochissimi segni di antichità; cosa da attribuirsi, forse, allo spirito dei primi Monaci che, contenti di piccole celle fatte ingegnosamente di sottili tavole e di travi incastrate, a imitazione dei Santi Padri dell'Egitto e dell'Itria(187), disprezzavano gli edifici alti e sontuosi e offrivano al Signore un umilissimo servizio da un'umile abitazione. Il suo sacro Tempio non è tanto ricco esteriormente quanto di più nelle cose spirituali, come risulta dalla concessione di indulgenze dei Romani Pontefici, del Vescovo di Anglona e di altri Vescovi, delle quali è rimasta solo la fama, in quanto tutti i diplomi sono andati perduti, ad eccezione di uno soltanto spedito da Giovanni(188), allora Vescovo di Cassano, da Merimagno(189) nell'Anno del Signore 1316, 15° Indizione, primo anno del Pontificato di Giovanni XXI o XXII(189), il 26 del mese di giugno, che trascrivo dall'originale in pergamena, autenticato da un sigillo in cera rossa, pendente da una cordicella; si legge così: Giovanni per misericordia di Dio Vescovo di Cassano: A tutti i fedeli cristiani che leggeranno questa lettera salute e sincero affetto nel Signore. La gloriosa Vergine Madre di Dio, la Verga bellissima(191), ricca di fiori, la cui bellezza guardano con ammirazione il Sole e la Luna e alle cui preghiere rimane stupito il popolo cristiano, ha prodotto con la cooperazione ineffabile dello Spirito Santo il Fiore immarcescibile ed eterno Gesù Cristo Redentore del genero umano; perciò i luoghi costruiti in onore della Vergine sono sacri per tutti i Cristiani, perché aiutati dalla sua pia intercessione possano meritare di avere i premi dell'eterna retribuzione. Preghiamo, perciò, tutti voi ed esort(iamo)(192)... per la remissione dei peccati, ingiungendo che vi avviciniate al Monastero della Beata Maria del Sagittario della Diocesi di Anglona, in umiltà di spirito, per implorare dal Signore il perdono dei vostri peccati. E noi, quasi per invitare vantaggiosamente ai meriti i fedeli Cristiani, dalla misericordia di Dio Onnipotente, confidando nell'autorità dei Beati Pietro e Paolo suoi Apostoli, a tutti quelli che, ogni anno, per devozione, andranno nella detta Chiesa nella festa della Natività, dell'Annunciazione, della Purificazione, dell'Assunzione e nelle altre feste della stessa Vergine, e per gli otto giorni che le seguono, misericordiosamente concediamo l'assoluzione di quaranta giorni delle penitenze loro imposte; così pure, volta per volta, a quelli che si saranno prestati in aiuto per i lavori alla fabbrica dello stesso Monastero(193). Purchè a questo si aggiunga il consenso del Vescovo Diocesano dello stesso Monastero. In testimonianza di ciò abbiamo fatto scrivere questa lettera e l'abbiamo fatta munire del nostro sigillo appeso, a conferma di quanto detto. Dato a Merignano nell'anno del Signore 1316, XV Indizione; nel primo anno di Pontificato del nostro Signore il Papa Giovanni, il giorno 26 del mese di giugno.
Gli storici non sono d'accordo circa l'anno e il modo dell'elezione di questo Romano Pontefice: alcuni. il 7, altri 1'8 delle Idi di agosto(194) dell'anno 1315; alcuni dicono del 1316, altri del 1317. Alcuni, come il Panvino(195) e altri, scrissero che fu eletto da 23 cardinali dopo lunga disputa; Giovanni Villani e altri affermano che, con un compromesso, fu il Papa a eleggere se stesso(196). Il diploma presentato dice, con più sicurezza, che Giovanni fu eletto nel 1315. Non badando alla data di questo diploma, noi nell'esposizione dei Vaticini, Vat. 9, pag.27, E, dicemmo che Giovanni XXII era salito al soglio di Pietro nel 1316, mentre veramente bisognava dire che vi salì nel 1315. Ma ritorniamo a noi(197). Del cacciatore del Sagittario, di cui facemmo menzione all'inizio di questo capitolo, si conservano nello stesso sacrosanto Tempio della Beata Maria del Sagittario, fino ad oggi, in ricordo di un così grande miracolo, la faretra e due frecce. Ma fra le memorie dello stesso Monastero non trovo vera e sicura opinione né circa l'anno, né circa il mese di quel grande ritrovamento(198). Tuttavia l'annuale dedicazione della stessa Chiesa si celebra con rito solenne il giorno 13 del mese di luglio. Chi può narrare le cose straordinarie che in questo Sacratissimo Tempio del Sagittario opera ogni giorno l'Altissimo per intercessione della sua santissima Madre? E chi potrà avvicinarsi solo a una minima parte di essi? Questo luogo che la Vergine Maria volle scegliersi è un deserto, ma è ricolmo di delizie quasi fosse una terra promessa. Questo luogo, che pure si trova fra monti aspri e scoscesi, non è secondo a nessun altro (nemmeno a Tempe(199)), per l'amena bellezza; nel Sagittario non si dà la morte ma la vita(200) e la salute; e perciò è straordinaria la moltitudine dei fedeli e dei devoti che vi accorrono(201).
Sull'altare della Beatissima Vergine, recentemente riportato, sotto la nostra guida(202), a un aspetto più bello, un devoto ha messo, a lode della stessa Vergine del Sagittario, questi versi:
RESPINGE DA REGINA CON L'ARCO I NEMICI, DA MADRE I FIGLI NUTRE AL SENO, ADORNA CHI É CASTO Dl FIORI(203).
Ad un luogo, dunque, della detta solitudine, ora chiamato il Romitorio del B. Giovanni, non molto lontano dal sacro Cenobio, arrivò Giovanni, umile servo di Dio; e lì con i rami degli alberi si costruì, sul fianco di una grande roccia, un piccolo, strettissimo e corto tugurio. E qui, sempre dedito all'orazione e alla contemplazione(204), affliggeva il suo corpo nel modo più duro con digiuni, astinenze e discipline(205).
Si nutriva sempre con le stesse erbe senza condimento e con le acque sorgive che prendeva da una fonte che scaturiva sotto il suo misero tugurio(206). E volendo concedere alle torturate membra del suo corpo un riposo per quanto possibile breve, si adagiava sulla dura roccia di cui ho parlato, sulla quale poteva giacere solo se si contraeva, e la pietra stessa lo dimostra: è, infatti, un grande masso stabile e scosceso da tutti i lati, fatta eccezione soltanto di quella parte su cui, secondo una fama sempre continua, si dice dormisse; e come tale da tutti quella roccia è
venerata.

 

Note

1. E' una specie di trifoglio, ed è una delle erbe più note e di cui più si parla non solo dagli antichi scrittori greci e latini, ma anche dai poeti italiani fino al Pascoli e al D'Annunzio. Ecco ciò che del citiso dice il medico greco Dioscoride, nella traduzione del Mattioli (I discorsi... di P. A. Mattioli, Venezia 1557). II citiso è una pianta tutta bianca...(Le foglie) trite con le dita, spirano odore di ruchetta, e gustate sono simili a ceci..., peste e impastate con pane, risolvono i tumori, che cominciano; la decottione bevuta provoca l'orina. (pag. 530).

2. Forse è la dragontea (Dracunculus vulgaris) pianta tipica delle regioni mediterranee, alta circa un metro, con inflorescenze dall'odore nauseante. Dalla radice si preparava un decotto per curare l'asma e il catarro.

3. Non si può dire a quale pianta specifica l'Autore si riferisca; con il nome generico di cardo, infatti, sono indicate moltissime piante; ma siccome qui si dice che questo cardo secerne il mastice, cioè una resina balsamica, potrebbe anche trattarsi di piante indicate con altri nomi, ad es. il lentisco. Di questa pianta, infatti, Dioscoride dice (nella trad. citata di Mattioli, pag. 78). Produce il lentisco una ragia, la quale alcuni chiamano Lentiscina, e altri, la dinandano mastice. Questa bevuta vale al rigettare del sangue, e alla tosse vecchia; è utile allo stomaco ma commuove rutti.

4. II termine tragion è usato da Plinio ed è inteso, in genere, come riferito all'iperico, ma siccome questa pianta verrà subito nominata in questo elenco, il tragion non può essere, ovviamente, la stessa cosa, a meno che per ragion non si voglia indicare una varietà particolare dell'iperico, che comprende circa 300 specie, di cui 20 solo in Italia.

5. E' l'origanum dictamus (non il più comune dittamo bianco) originario dell'isola di Creta. E' simile al puleggio e gli si attribuivano, anticamente, virtù vulnerarie, cioè di cicatrizzante delle ferite. Con queste caratteristiche lo presenta Virgilio (Eneide,XII, 411 sg.), Ariosto (Orlando furioso, 19,22) e altri poeti.

6. Con ogni probabilità non si tratta del comune camaleone, cioè della così detta carlina, ma della camelea, una specie di ulivo selvatico molto basso (il suo nome deriva dal greco camai, che significa a terra, ed elaia, cioè ulivo) ed infatti Mattioli (o.c., pag. 573) dice: La camelea è pianta sarmentosa e fa i suoi rami una spanna, le quali gustate mordono la lingua e scorticano il gorgozzule.

7. E' il peucedanium ostruthium, detta erba imperatoria, quasi a dire potentissima, perché ritenuta molto efficace contro vari mali. Era usata come stimolante, eupeptico, antispasmodico, diuretico e per il mal di denti. (Mattioli, o.c. pg. 384).

8. Nota pianta erbacea di origine asiatica, ma conosciuta già nei tempi antichi. Dal rizoma si ricava un succo amaro dalle qualità digestive e lassative. Ci sono molte specie di rabarbaro.

9. E' una pianta delle cariofillacee diffusa in tutto il mondo in un centinaio di specie. La stellaria è una pianta che nasce per lo pù nei prati delle montagne: le cui fronde si rassembrano assai a quelle della malva. ...e sono i suoi cantoni... per tutto dentati, di modo che quando le fronde sono bene aperte, si rassembrano veramente ad una stella...E' mirabile per saldare le ferite tanto interiori, quanto esteriori. (Mattioli, o.c. pg. 536).

10. Qui, certamente, non si tratta della pianta da cui si estrae il noto insetticida, ma, probabilmente, dell'anacyclus pyrethrum, detto, comunemente, piretro di levante o piretro romano: Dai Latini si chiamava salivare... La radice è grossa un pollice, lunga, di ferventissimo sapore... lavando la bocca con la sua decottione fatta nell'aceto giova ai dolori dei denti. (Mattioli,o.c., pg. 389).

11. E' la valeriana celtica, comune nei pascoli delle zone collinari e montane. Le sue radici venivano usate come antispasmodiche e febbrifughe Col nome di nardo si intendeva anche, in Italia, la comune lavanda detta spesso dai letterati spigo o spiganardo.

12. Si tratta del convolvolo, in particolare il convolvalus turphetum, di cui, proprio con il nome di turbit, si usava la corteccia come drastico purgante.

13. O Ononide, nome che indica una settantina di specie. Comune, in queste zone dell'Italia maridionale, è la Ononis spinosa, un arbusto alto una settantina di cm. infestante nei luoghi aridi e nei prati. E' detta anche bulimaca. Le sue radici hanno proprietà diuretiche.

14. Con questo nome si indicano un centinaio fra erbe ed arbusti delle ombrellifere. In Italia sono presenti una decina di specie, fra cui le più note sono il peucedanum orseolinum, detto anche prezzemolone (l'infuso delle sue radici era usato per l'azione diuretica e depurativa) e il peucedanum officinale, detto anche finocchio porcino (la cui radice era usata per le sue qualità astringenti, broncosedative ed eupeptiche). Si noti che nel genere del peucedano entra anche la così detta erba imperatoria, di cui si è già trattato.

15. Nome con cui si indicano piante ranuncolacee che comprendono un centinaio di specie. La più comune è l'anemone coronaria, con fiori simili a quelli del papavero. Gli si attribuivano varie proprietà nella medicina popolare. Mattioli (o.c. pag. 312) notava: La radice... cotta in vino passo e applicato in forma di linimento, medica le infiammagioni, le debolezze e le cicatrici degli occhi, e modifica l'ulcere sordide. Il Mattioli è vissuto in un'epoca vicina a quella del De Lauro, perciò le sue note mediche sono particolarmente interessanti.

16. Forse è la marruca (paliurus spinachristi), ma con il nome specifico di manuschristi usato dall'Autore, non si conosce nessuna pianta; c'è, invece, una pianta chiamata mani della Madonna, che è la potentilla reptans, conosciuta anche con il nome di Lonicera al cui genere appartiene anche il caprifoglio o madreselva.

17. E' una pianta delle liliacee di varie specie, la più nota delle quali è la Paris quadrifolia, detta anche uva di volpe, che è una pianta velenosa abbastanza comune in Italia, specialmente nei luoghi ombrosi. Dalle foglie e dai frutti anticamente si estraeva un unguento usato per guarire le infiammazioni degli occhi. II nome della pianta deriva dal mitico eroe troiano invitato a scegliere tra Giunone, Minerva e Venere chi fosse la più bella cui dare la mela d'oro che la dea della discordia aveva lanciato sulla tavola del banchetto nelle nozze di Peleo e Tetide, con la scritta: alla più bella; il frutto della pianta di cui si tratta è, infatti, una bacca simile a una mela circondata da quattro foglie, in cui si son voluti vedere i quattro personaggi dell'antico mito troiano.

18. E', probabilmente, l'hipericon perforatum, detto anche erba di S. Giovanni. E' una pianta erbacea a rizoma ramificato propria delle zone temperate e calde. E' ricca di tannino. I rami fioriti hanno proprietà analgesiche e vasodilatatorie.

19. Nome comune di circa 300 specie di piante erbacee. II nome deriva dal fatto che le sue radici si diramano nella roccia spezzandola: per questa caratteristica si credeva che avesse la proprietà di rompere e far espellere i calcoli renali.

20. E' la cariofillata (geum urbanum), erba rosacea dalle radici che odorano di garofano; le quali, ricche di tannino, si usavano come astringente e medicamento tonico.

21. E' una pianta delle crocifere detta dentaria perché ha il rizoma squamoso (a denti). Si pensava che avesse proprietà astringenti e cicatrizzanti delle ferite.

22. E', forse, la più conosciuta delle piante officinali e certamente la più usata, ancora oggi, anche nella farmacopea ufficiale. Di valeriane si conoscono più di 300 specie, ma le più note sono la valeriana officinalis, detta anche valeriana minore o silvestre, e la valeriana montana o maggiore o ortense. Dalle radici e dal rizoma della valeriana si estrae un olio essenziale comunemente usato per la sua blanda azione sedativa sul sistema nervoso.

23. Così dice il testo, ma è certamente da intendere (erba) peonica, cioè la peonia (peonia officinalis) che non solo è spontanea nei boschi, ma viene anche coltivata nei giardini per i suoi bei fiori simili alle rose. Nell'antica farmacopea si pensava che fosse utile come sedativo e che curasse persino l'epilessia; del resto il nome deriva da Peone, ritenuto, nella mitologia greca, il medico degli dei che aveva guarito Ares, ferito da Diomede, ed Ade, trafitto da Eracle.

24. E' un'erba propria dei luoghi umidi, dal rizoma contorto su se stesso, donde il nome, e ricco di tannino, da cui si ricavava una sostanza astringente.

25. E' un arbusto delle composite (artemisia abrotanum) usata come astringente. Molto noto nell'antichità classica, ne parlarono, tra gli altri, Orazio, Celso e Plinio il Vecchio.

26. Così era chiamato dal popolo il meliloto (melilothus officinalis) per le sue radici filiformi. Ha fiori profumati gialli o bianchi e frutti a legume. Le florescenze venivano usate per le qualità antispasmodiche e diuretiche di cui sono dotate. E' una pianta ricca di cumarina. In certe zone viene coltivata come foraggio per gli animali.

27. Forse l' Autore intende l'agrifoglio (ilex aquifolium) le cui radici sono dotate di qualità diuretiche.

28. L'issopo è una pianta delle labiate (hissopus officinalis) le cui proprietà espettoranti ed eupeptiche erano note fin dall'antichità classica. Ma l'issopo di cui si parla tante volte nella Bibbia non può essere identificato con la pianta officinale di cui qui si tratta, perché questa non è presente in Palestina. La Bibbia parla dell'issopo come di una pianta usata nei riti di purificazione, e pare che sia da identificare con l'origano siriaco.

29. E' la notissima pianta aromatica delle labiate. Ci sono circa 700 specie di salvia; in Italia circa una decina allo stato spontaneo come la salvia pratensis, la salvia verbenacea, la più comune salvia officinalis o maggiore o degli uccelli. Oggi usata solo in cucina, era, una volta, usata come rimedio astringente, digestivo, stimolante e antidiaforetico.

30. E' il polipodium vulgare o felce quercina o felce dolce. E' comune nei boschi e sulle rocce. Il rizoma ha un sapore simile a quello della liquirizia (perciò la pianta è detta anche felce dolce o felce liquirizia) ed ha un'azione emolliente, colagoga e vermifuga.

31. E' appunto il capelvenere (adiantum capillus Veneris) un tipo di felce profumata delle polipodiacee, diffusa, nelle nostre zone meridionali, sui muri e sulle rupi e molto coltivato per la sua bellezza. Veniva usato, una volta, per fare decotti e infusi efficaci a combattere il raffreddore.

32. A varie erbe si dà questo nome. Il nostro Autore vuole alludere, con ogni probabilità, al geranium sanguineum con fiori color porpora o viola, usato nella medicina popolare per le qualità astringenti, vulnerarie e iposecretive. Ma potrebbe anche intendere la digitaria sanguinalis, dal colore rosso-violaceo, comune nei prati e coltivato come foraggio. Ma certamente non poteva riferirsi, perché non ancora conosciuto in queste zone quando lui scriveva, alla sanguinaria canadensis, un'erba, come dice il nome, spontanea nelle pianure del Canada, dalle cui radici gli Indiani d'America estraevano un succo per tingersi la faccia onde difendersi dalle punture degli insetti. I colonizzatori europei li chiamarono pellirosse.

33. E' la scabiosa succisa, un'erba con rizoma che sembra troncato , donde il nome popolare usato dall'Autore. Serviva a preparare infusi e decotti contro eczemi (perciò scabiosa) tigna, broncopolmonite, metralgia e dolori di ventre in genere. Non so perché qui venga chiamata anche palma di Cristo (a meno che non voglia significare che la vittoria, palma, di Cristo è addentata dal diavolo) perché il nome, forse anch'esso di origine popolare, non si trova usato esplicitamente per nessuna pianta. C'è, invece, una palma di S. Pietro, ma è un'altra cosa: indica la palma nana, cioè la camerope, unica palma spontanea nell'Europa meridionale, ma non è pianta medicinale.

34. E' l'erba lunaria o lumaria minore, cioè, il botrychium lunaria. La virtù della pianta è veramente mirabile in sanare le ferite e parimenti tutte le rotture intrinseche ed estrinseche e però molto si loda nelle crepature intestinali. ..Chiamanla sferra cavallo perciochè (secondo che si dice) tutti i cavalli, che la state si mettono all'herba, dove ella nasce, agevolmente si sferrano. (Mattioli, o.c. pg. 436).

35. E' l'erba luparia (aconitum lycoctonum) che si credeva velenosa per i lupi, che numerosissimi una volta su tutte le zone appenniniche costituivano un grave pericolo per le greggi. La luparia era usata per preparare bocconcini mortiferi. Dice il Mattioli (o.c. pg. 504) ...trite le sue radici ammazzano le volpi, i lupi, i cani, i gatti, e tutti gli animali che nascono come ciechi, che se la mangiano con la carne.

36. E' una delle piante più conosciute nella medicina popolare, tanto da diventare proverbiale: conosciuto più della betonica, avere le virtù della betonica. Il nome deriva da Bettones o Vettones, antico popolo della Lusitania, l'attuale Portogallo. E' una pianta delle labiate (betonica o stachys officinalis) comune nei luoghi boscosi ed erbosi dell'Europa e dell'Asia. Fino al secolo XVI e oltre, le si attribuivano le qualità più straordinarie e incredibili. Scriveva il Mattioli: La pianta tutta è dotata d'infinite virtudi... Dicesi che è di tanta possanza che cava fuori ancora le ossa rotte. (o.c. pg. 453) E non solo le si attribuivano le qualità più straordinarie nella cura delle malattie, ma ancora: Custodisce ella l'anime e i corpi degli uomini, e i viaggi notturni dai pericoli e malefici. Assicura e difende i luoghi sacri e i cimiteri dalle visioni che inducono visioni e paure.(Mattioli, o.c. pg. 453).

37. E' una felce delle polipodiacee (phillitis scolopendrium) che era usata come diuretico e sudorifero.

38. E' la dragontea (dracunculus vulgaris) che nell'aspetto del gambo liscio e macchiato fa pensare a un serpente. Secondo il Mattioli (o.c. pg. 302) Il succo del seme distilIato nelle orecchie mitiga i dolori di quelle; messo nel naso con la lana, ne stirpafuori i polipi, e ferma i cancheri applicatovi suso.

39. E' l'angelica officinalis, pianta delle ombrellifere. Dai frutti e dalle radici si estrae un olio essenziale, detto olio di angelica, usato anche nella preparazione di liquori come la chartreuse. Le si attribuivano molte qualità; fra l'altro: Vale nei difetti del cuore; fa ritornare l'appetito perduto; libera da morsi dei cani rabbiosi e parimenti delle serpi. (Mattioli, o.c. pg. 533).

40. E' un'orchidea. II termine, ovviamente, di origine popolare, è dovuto alla forma del bulbo della pianta; è usato ancora in Toscana per indicare vari tipi di orchidea,  come il coeloglossum viride, l'himantoglossum hircinum, la platanthera bifolia, e altri. La famiglia delle orchidacee è suddivisa in 20000 specie e 700 generi diversi. Dalle orchidee si estraevano varie sostanze medicinali.

41. L' Autore ha esplicitamente elencato ben quaranta piante officinali, che, dice, con molte altre che crescono colà sono utilissime nella cura delle malattie; e questo ci fa pensare non solo che il posto fosse ricchissimo di specie botaniche di gran pregio, ma anche che queste piante ed erbe fossero trattate e lavorate sul posto, e che, quindi, nel Sagittario, come in tanti altri monasteri, fosse attivo un laboratorio farmaceutico, utile, ovviamente, non solo ai monaci ma anche alle popolazioni dei dintorni. L'elenco è, inoltre, quanto mai utile per avere un'idea della ricchezza della flora naturale in una zona che, ormai, non solo il naturale scorrere del tempo ma, soprattutto, la cieca devastazione degli uomini ha depauperato, in qualche punto, in modo irreparabile.

41bis. In certe zone di collina c'erano interi boschi di castagni, ambiente ideale per l'allevamento di animali allo stato brado.

42. il frutto del faggio é detto faggina o fagginola ed é cibo gradito non solo ai maiali ma anche ad altri animali.

43. Sono tutti alberi che producono ghiande, come notava a proposito dell'allevamento dei maiali, anche il Mattioli: Sono altri alberi assai, oltre alla quercia, all'elice e al faggio, che abbondantemete producono le ghiande, come i cerri, i soveri, le ischie, le farnie... Nelle selve alle lor ghiande s'ingrassano infinitissimi branchi di porci. (o.c., pg. 127). Anche G. Antonini (La Lucania, Napoli 1795) parlando di queste contrade, nota: Le montagne poi sono tutte coverte di faggi, di querce, cerri, elci, e noci; e di varia sorte di cacciaggione abbondano. In alcune di queste montagne, specialmente in quella chiamata dell'Alpi... e nell'altra di Cervati e del Sagittario diversi utili semplici, e rare erbe si trovano (o.c. pg. 26). E in una nota della stessa pagina, specifica meglio: De' semplici della montagna del Sagittario lungo catalogo fa l'Abate De Lauro nella vita del B. Giovanni da Caramola al cap 5.

44. Le quali come si sa, erano di legno, tanto che questa parola in alcuni dialetti della zona (come, del resto, nella stessa lingua letteraria) era sinonimo di nave, così a Senise si diceva u lignu per dire la nave.

45. Termina qui la descrizione della fertilità, della bellezza, della ricchezza del luogo ove sorgeva il Monastero del Sagittario. Anche se, forse, almeno in parte è una visione arcaica e sognata di una specie di paradiso terrestre, non può, tuttavia, essere tutta inventata; almeno nelle linee generali rispecchia certamente la realtà di una contrada oramai, purtroppo, totalmente mutata.

46. E' il racconto, più o meno comune a tanti santuari mariani, dell'origine leggendaria (qui di tipo eponimo) del Monastero del Sagittario che era anche un santuario mariano.

47. Molto efficace e artisticamente ben riuscita questa specie di danza della cerva che, quasi scherzando, guida il cacciatore sbalordito alla scoperta dell'immagine miracolosa che darà origine al Monastero del Sagittario. L'Autore dimentica per un po' l'argomento principale del suo racconto, la vita del Beato, per parlare del Monastero di cui era Abate.

48. Siamo ancora a fatti puramente leggendari circa l'origine del Santuario mariano, ma è senz'altro interessante come nel racconto risulti un fatto ovvio la presenza del Vescovo a Chiaromonte, centro che, pur non avendo mai avuto il titolo di sede episcopale, ha, tuttavia, avuto da secoli un palazzo come sede estiva del Vescovo di Tursi. Quando è stato costruito il palazzo? L'Ughelli (o.c. 103-104) dice che Bernardo Giustiniani (che era stato eletto vescovo di Anglona il 15 marzo 1609 e che morirà a 43 anni a Chiaromonte, ove venne sepolto nella cappella del S.S. Sacramento nella Chiesa di S. Giovanni Battista) restaurò il palazzo presso Chiaromonte, che era quasi distrutto. Se, dunque, nel 1609 il palazzo era, ormai, totalmente rovinato, significa che era già molto antico. Si può pensare, non avendosi in proposito notizie specifiche, che quando, per l'avanzare delle zone malariche, ci si accorse dell'insalubrità dell'aria a Tursi, i Vescovi preferirono, nel periodo estivo, fermarsi a Chiaromonte.

49. Dunque, l'immagine vista dal cacciatore era la stessa che si venerava nella Chiesa Madre di Chiaromonte, dalla quale misteriosamente era passata all'Eremo (ma questo termine non era stato usato nel racconto della cerva) cioè nella zona pro- fonda del bosco ove era avvenuto il miracolo.

50. Anche questi miracolosi spostamenti di immagini sacre sono abbastanza frequenti nelle storie e nelle leggende sulle origini degli antichi santuari. Per quanto riguarda questa stessa zona, si può ricordare l'immagine della Madonna di Orsoleo presso Sant'Arcangelo, che si dice fosse, in origine, nella Chiesa di Carbone, anche se in questo caso si trovano riferimenti storici più sicuri; cfr. L. Branco, Memorie di S. Maria di Orsoleo, Matera 1993, pag. 23.

51. Probabilmente un Boemondo della famiglia normanna dei Chiaromonte.

52. Grancia (o Grangia) dall'antico francese granche (granaio) indicava o un deposito di grano oppure una comunità agraria (una specie di masseria) negli antichi monasteri benedettini. Per Chiaromonte, cfr, in proposito, G. Percoco, o.c. pag. 48.

53. Cencio Savelli, papa dal 1216 al 1227. Approvò gli Ordini Mendicanti di S. Francesco e S. Domenico.

54. Il 18 di settembre.

55. Nota marginale dell'Autore: Hergesiarum Alethia Apologetica, cap. 15, pag 3, Lett: D.

56. E' il cistercense Ubaldo Allucingoli, di Lucca, papa dal 1181 al 1185. Dopo una breve permanenza a Roma fu costretto dall'ostilità dei cittadini a vivere in vari centri del Lazio; e fu proprio in una di queste città, a Veroli, che si recò Gioacchino da Fiore per chiedere al Papa l'autorizzazione a mettere in scritto la sua interpretazione della Sacra Scrittura. L'abate calabrese si trovava, allora, in un monastero molto vicino a Veroli, nell' Abbazia di Casamari, ove fu ospite negli anni 1182-1183.

57. I Conti di Chiaromonte erano di origine normanna e costituirono, per secoli, una delle più illustri e potenti famiglie del Meridione d'Italia. Il primo documento sicuro riguardante la famiglia è del 1099. Cfr., in proposito, L. R. Ménager, Inventaire des familles normandes et franques emigrées en Italie méridionale et Sicile, in Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Bari, 1991, in particolare actes relatifs aux Chiaromonte, pg. 295, sg. Il nome stesso Chiaromonte dato al paese deriverebbe, secondo il Ménanger (pag 303) dalla famiglia che portava già dalla Francia questa denominazione e che fece della fortezza costruita sul colle alla sinistra del Sinni la sua sede in Italia.

58. E' Giacomo Sanseverino conte di Tricarico, che sposando Margherita, figlia di Giacomo di Chiaromonte, divenne Conte di Chiaromonte iniziando, nelle contea, il dominio dei Sanseverino. Il privilegio di cui si parla è del 1320.

59. E' il grande dottore della Chiesa S. Beranardo di Chiaravalle, nato nel 1090, morto nel 1153. Monaco cistercense, riformò l'Ordine, tanto da esserne considerato il vero fondatore. Fondò molti monasteri, primo fra tutti Chiaravalle. Fu scrittore elegantissimo„ detto, perciò, Mellifluo, e mistico profondo. Ebbe enorme influsso sulla vita della Chiesa (papa Eugenio III era suo discepolo) e sulla politica dell'Europa del suo tempo.

60. L'Ordine cistercense era stato fondato nel 1098 a Citeaux (lat. Cistercium, donde cistercensi) nella Francia Orientale da S. Roberto da Molesme, ma fu animato e reso celebre da S. Bernardo. Casamari è una celebre abbazia nella Diocesi di Veroli nel Lazio, la cui origine risale al 1005, ad opera di quattro preti di Veroli che poi divennero benedettini. Nel 1162, ad opera di Eugenio III Casamari entrò nell'Ordine Cistercense e nella Congregazione di Chiaravalle.

61. Era una moneta d'oro bizantina (donde il nome) in uso in tutto il bacino del Mediterraneo.

62. E' il normanno Guglielmo II, detto il Buono, figlio e successore di Guglielmo I detto il Malo. Regnò dal 1166 al 1189.

63. E' un piccolo centro in provincia di Cosenza a 859 m. sul livello del mare. Fino alla ristrutturazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, avvenuta nel 1976, ha fatto parte della vecchia Diocesi di Anglona-Tursi.

64. Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio della stessa Chiesa Episcopale. II documento di cui si parla è riportato da F. Ughelli in o.c., 79.

65. Resse la Diocesi fino al 1253. II documento di cui parla il De Lauro è riportato dall'Ughelli (o.c. 83-84) il quale dice Roberto uomo di costumi egregi e chiaro di ingegno.

66. Ugolino dei Conti de Segni, nato ad Anagni nel 1170; fu papa dal 1227 al 1241. Fu avversario di Federico II che scomunicò due volte: nel 1227 e nel 1239.

67. Il nome potrebbe derivare dal greco siche, che vuol dire fico e ile, che significa, generalmente, selva. Di una terra ton sichelòn si parla in due documenti greci del monastero di Carbone; uno del 1092, l'altro del 1154. Pare che Sicileo sia stato un centro abitato fino agli inizi del sec. XIV (Cfr. B. Cappelli, o.c. pg. 308-309).

68. La famiglia feudale dei Del Guasto era, forse, originaria della zona del Vulture. Reginaldo Del Guasto, signore di S. Marco, aveva sposato Agnese di Chiaromonte, mentre Riccardo, fratello di Agnese, aveva sposato la sorella di Reginaldo.

69. Così, in italiano, nel testo originale.

70. Cioè un miglio e mezzo. Il passo come unità di misura, ha avuto un valore diverso secondo i tempi e i luoghi: il passo romano antico valeva m. 1,479; quello napoletano, prima dell'unità nazionale, m. 1,845; secondo la misura antica, dunque, la distanza in questione sarebbe stata di km. 2,185; secondo la misura del vecchio Regno di Napoli, di km. 2,7675.

71. Ovviamente l'iscrizione originale riportata dall'Autore è in latino; e siccome si tratta di un'iscrizione, naturalmente perduta con la rovina del Monastero, è conveniente riportarla così com'era: HOC MONASTERIUM FUIT FUNDATUM ANNO MCXXXXXII.

72. F. Ughelli, che riporta il documento (o.c. VII, 80) vi premette queste parole: Nell'anno 1200, poco prima dell'elezione di questo presule (si tratta del Cantore della Chiesa di Tricarico, di cui non si conosce il nome) in questa Diocesi, presso la città di Chiaromonte, ebbe inizio la celebre Abbazia dell'Ordine dei Cistercensi, di S. Maria del Sagittario, la cui origine è così descritta in un vecchio documento dello stesso Cenobio...

73. E' un santo martire che, insieme con la moglie e due figli, sarebbe morto al tempo dell'Imperatore Adriano. Di lui non si ha alcuna notizia certa. Secondo un'antica tradizione, era un pagano che, durante una partita di caccia, avrebbe visto un cervo con l'immagine del Crocifisso tra le corna (di qui il riferimento del testo) cosa che lo avrebbe spinto alla conversione.

74. Fu così detto, da Alfonso V il Magnanimo, il regno sorto dall'unificazione del Regno di Napoli con il Regno di Sicilia, dopo la vittoria di Alfonso stesso contro gli Angioini. Alla morte di Alfonso (1458) i due regni tornarono a dividersi: la Sicilia passò a Giovanni II d'Aragona, Napoli ad un figlio naturale di Alfonso, Ferdinando (Re Ferrante). AI tempo di Carlo V, perciò, il Regno delle due Sicilie era già morto (risorgerà con lo stesso nome con la legge del 22 dicembre 1816, al ritorno a Napoli di Ferdinando IV di Borbone); qui, tuttavia, è detto ancora delle due Sicilie, perchè Carlo V, di fatto, aveva in suo potere ambedue i regni.

75. Carlo V ritornava dalla vittoria contro i Musulmani dell'Africa settentrionale, e attraversò tutto il Regno. Circa le accoglienze, che divennero famose, tributategli da P. A. Sanseverino principe di Bisignano, che era signore del feudo di Chiaromonte, cfr. L. Branco, La storia del Monastero di Carbone, o.c. pag. 131.

76. Si riproduce qui fedelmente, così come viene dato dal De Lauro, il testo originale
in italiano, di cui, però, l'Autore riporta solo l'inizio.

77. La sigla è da intendere: Sacra Cesarea e Cattolica Maestà. Il titolo di Re Cattolici fu dato (e rimase, poi, come titolo qualificante ai successivi sovrani di Spagna) dalla S. Sede a Frdinando d'Aragona e alla moglie Isabella di Castiglia quando, con la presa di Granada, il 2 di febbraio del 1492, completarono la Reconquista liberando definitivamente tutta la penisola iberica dalla multisecolare dominazione musulmana.

78. Dai cittadini di detto paese.

79. Si intende su un monte.

80. I quali stupiti.

81. I signori che in quel periodo dominavano.

82. etc. dice il testo, che chiude qui l'unico pezzo, quello introduttivo, riportato della lettera a Carlo V. Il brano, tolto qualche lieve segno di punteggiatura, è stato ricopiato con scrupolosa fedeltà; e rivela, se si paragona ad altri testi italiani dello stesso periodo, una non elevata abilità letteraria nel monaco che lo ha scritto: cosa, del resto, comprensibile se si tien conto dell'estrema perifericità in cui sorgeva il Cenobio, nel quale, certamente, era tenuto in maggior conto lo scrivere in latino che il comporre in italiano.

83. Nota marginale dell'Autore: N. Gregorio Ruffo nella sua storia, pg. 113.

84. Nota marginale dell'Autore: D. Camillo Tutino Napoletano, nell'Opera intitolata Dell'Origine e fondazione dei Seggi di Napoli, cap. 9, pg. 93. — Il titolo dell'opera è in italiano nel testo.

85. In italiano nel testo, come anche il titolo seguente e tutto il brano che descrive il miracolo della cerva e il ritrovamento della statua nel tronco del castagno: è la trascrizione che il De Lauro fa del capitolo dell'opera del Viola pubblicata in italiano. Qui si è conservato fedelmente il testo (con qualche lieve ritoccamento in qualche segno di punteggiatura) comprese le maiuscole che noi non useremmo tanto spesso e per i nomi comuni.

86. II palmo era una unità di misura molto comune e variava da zona a zona; equivaleva, più o meno, a 25 cm.

87. Sono cani di forme snelle, velocissimi nella corsa, adoperati nella caccia per inseguire la selvaggina.

88. Nicchia.

89. E' la Grancia di Ventrile già ricordata.

90. I mulini, sempre mossi ad acqua in queste zone, erano una delle più sicure fonti di ricchezza.

91. Alcuni di questi nomi sono ancora vivi nella contrada.

92. Si chiamavano difese i luoghi ove erano interdetti gli usi civili, cioè ove era proibito andare a prendere legna, raccogliere frutti selvatici, pascolare e cose simili, perché i luoghi erano riserva dei padroni feudali e, come tali, difesi.

93 .Erano così chiamati i monaci che vestivano di nero, perché alcuni avevano il saio bianco altri nero.

94. Che la lunga e, in verità, non proprio necessaria citazione del Viola sia stata qui messa solo perché desse all'Autore motivo di questa sperticata adulazione ad un uomo che, del resto, non ha niente a che fare con l'argomento trattato?

95. Anselmo da Baggio, papa dal 1061 al 1073.

96. Nota marginale dell' Autore: Sopra nella vita del Beato Gioacchino Abate, cap. 15, pag. 38, lett. D.

97. E' il grande Ildebrando di Soana, papa dal 1073 al 1085.

98. Ottone di Lagery, papa dal 1088 al 1099, beato. E' il papa che bandì la prima Crociata.

99. Raniero di Pieda, papa dal 1099 al 1118. Continuò la lotta per le investiture.

100. Guido di Borgogna, papa dal 1119 al 1124. Stipulò con Enrico V il Concordato di Worms.

101. E' stato già incontrato.

102. Di lui l'UgheIIi (o.c.) dice che fioriva nell'anno 1269, in cui confermò secondo le regole alcune convenzioni e patti già stipulati tra l'Abate e i Monaci del Sagittario e Roberto allora vescovo di Anglona, e riporta (col. 86) il documento in questione, stipulato nel Castello di Nocara nel mese di nov. del 1269.

103. Nota marginale dell'Autore: Nel luogo appena citato, pg. 41 lett. B e 42 lett. E.

104. In provincia di Cosenza. Fu antica sede vescovile (sec. X) trasferita, poi, a San Marco Argentano.

105. Centro che fu fortezza di Robertro il Guiscardo. Sede episcopale fin dal sec. XI, fu unita, nel 1818, alla sede di Bisignano.

106. Il 12 ottobre.

107. Lotario dei Conti di Segni, papa dal 1198 al 1216. Assertore della supremazia della Chiesa sul potere politico.

108. Nota marginale dell'Autore: Ibidem, pag. 44, A.

109. Questo Ugo (o Ugone) di Chiaromonte è il nipote di Ugo detto Monocolo (1074—1102) e di Gimarca; figlio di Riccardo, fu padre, appunto, di Agnese che sposò Rinaldo (qualcuno dice Riccardo) Lo Guasto signore di S. Marco, e di Riccardo che sposò la sorella del conte Lo Guasto.

110. Si diceva Commendatario l'Abate titolare ma non residenziale; abitualmente un cardinale o, comunque, quasi sempre, un nobile, che, senza aver obblighi specifici, percepiva le rendite legate al Monastero.

111. Sono formule che si ripetono, più o meno, in tutti i documenti notarili del medioevo; ma rivelano, proprio nell'uniformità dei modelli, la mentalità cristiana che permeava tutta la società del tempo. Ed è per questo che fanno impressione e danno un certo fastidio nei tempi moderni, ormai totalmente laicizzati e, a livello di vita pubblica, purtroppo, scristianizzati.

112. Così nel testo; questo nome, infatti, come tanti altri, si trova diversamente trascitto nei vari documenti.

113. Il Conte benefattore insiste sull'assoluta indipendenza anche giuridica del Sicileo e sulla piena sua libertà, ma in genere, per tradizione, il fondatore conservava sempre una specie di diritto di protezione sulla Chiesa e sul Monastero che aveva costruiti e dotati: quello che si chiamò il Giuspatronato.

114. Era il necessario perchè potesse andare avanti un'azienda agricola vera e propria come di fatto diventava ogni monastero, e perché si avesse il necessario per vivere in un sistema economico ancora di tipo chiuso e autonomo.

115. Anche queste erano formule consuete negli atti di donazione o di fondazione di opere pie nel medioevo cristiano; come pure le formule di autocondanna in caso di inadempimento dei propositi fatti.

116. E' strano che in questo atto, che è del 1203, si parli di reali. Queste monete d'oro, infatti, saranno coniate da Carlo d'Angiò nella seconda metà del sec. XIII, prima a Barletta, poi a Messina, in sostituzione dell'augustale, così chiamato dall'Imperatore (Augusto) Federico II, che l'aveva fatto coniare nel 1231. Come si può, dunque, parlare di reali, nel 1203? Che sia questo un segno della non autenticità dell'atto? A meno che, per reale, non si voglia genericamente intendere una moneta del Re.

117. E' il piccolo Federico, figlio di Enrico VI di Hohenstaufen e Costanza di Altavilla; il quale, nato a lesi nel 1194, aveva, nel 1203, quando viene steso il documento qui riportato solo nove anni. Ma era, tuttavia, veramente nel sesto anno del suo regno, avendo avuto il titolo di re di Sicilia nel 1196, quando aveva solo due anni. Sarà il grande imperatore Federico II.

118. Rigo vuoto nel testo.

119. Indicava, in genere, una nota, un'osservazione che per attrarre l'attenzione del lettore, era scritta con inchiostro rosso, donde il termine.

120. La fida indicava il luogo e il diritto di far pascolare le proprie greggi. La diffida, la proibizione del diritto di pascolo ad estranei in un dato territorio.

121. Così nel testo, Pellicorio, per Policoro. Di questo territorio si parla in molti documenti non solo del periodo di cui qui si tratta, ma anche di epoche posteriori.

122. La solita introduzione, che, come già notato, si ripeteva più o meno uguale in tutti gli atti notarili del tempo, è, questa volta, più lunga del solito e, in verità, nemmeno completa, perché subito si riprenderà con espressioni più o meno simili.

123. S'intende alla Chiesa del Sicileo che appartiene a Santa Maria del Sagittario.

124. Cioè, Policoro. Il toponimo è certamente di origine bizantina (in epoca greca classica la città che fiorì nella zona si chiamava Siris o Eraclea) Polichoros. Vuol dire spazioso, vasto. La zona, già ricca e fiorente, abbandonata dagli antichi abitanti, perchè invasa dalla palude e dalla malaria, fu di molti proprietari di non facile identificazione, soprattutto per i primi tempi del medioevo, sia per l'incertezza dei confini, sia, soprattutto, perchè quella terra sul mare ma senza alcuna possibilità di approdo per qualsiasi tipo di nave, malarica e tutta coperta di boschi, aveva solo per qualche tratto possibilità di sfruttamento e, quindi, di interesse per qualcuno. Nel 1125 i signori di Chiaromonte, Alessandro e suo fratello Riccardo, confermarono a Nilo, Abate del monastero di Carbone, i privilegi con cui Riccardo Siniscalco e Albereda sua moglie gli avevano donato il monastero di Policoro con i campi e la Chiesa di S. Maria di Scanzano (Cfr. Trinchera, Syllabus graecarum membranarum, Napoli 1865, pag. 125, XCVII). Nel 1131 gli stessi privilegi vengono confermati da Ruggiero, Re di Sicilia. Si trattava, certamente, non di tutto Policoro, ma di una parte presso Scanzano. L'atto di cui si parla in relazione al Sagittario è del 1214; e siccome Policoro risulta di Rinaldo del Guasto, dobbiamo pensare che lo avesse avuto tramite la moglie Agnese di Chiaromonte.

125. E' il famoso bosco pantano di Policoro, tipica foresta alluvionale, di cui resta solo un piccolo, insignificante ricordo. Fino agli anni '50 del sec. XX , era lungo 7 km. e largo 2.

126. II nome, come il successivo S. Gregorio, fa pensare a qualche stanziamento bizantino.

127. II testo dice per Gigonem Gigonem, che non ho trovato in nessun altro documento e che penso si debba interpretare per passaggio sulle colline, il che ci fa pensare che le terre di cui si tratta non fossero proprio quelle vicine al mare, tutte malariche, ma un po' più verso l'interno.

128. Era l'amministratore dei beni del Feudatario.

129. Doveva trattarsi di qualche canale derivato dall'Agri o dal Sinni per azionare la macina dei mulini, che, in queste zone, erano tutti mossi dall'acqua dei fiumi.

130. Cioè non in monete coniate, ma a peso. Una libbra equivaleva, più o meno, a circa 330 grammi.

131. Questi così detti giudici sono da intendere come membri di quella che oggi potrebbe chiamarsi giuria popolare. Sembra, del resto, che siano tutti analfabeti, perché si sottoscrivono con il segno della croce (segno della mano di...), solo il Vescovo dirà: Io ecc.

132. Così nel testo; è da intendersi signore.

133. Così Policorio, mentre prima s'era sempre scritto Pellicorio.

134. Lettura incerta del testo.

135. Nota marginale dell'Autore: Lo stesso Pietro Vescovo di Anglona, che intervenne in questo privilegio come testimone, nell'anno 1219 fu deposto da Onorio II come profanatore della dignità e dilapidatore dei beni della sua Chiesa. Come inquisitori dei suoi misfatti, il terzo giorno prima delle idi di novembre, lo stesso Pontefice, nel primo anno del suo pontificato, aveva delegato l'Arcivescovo di Cosenza, il Vescovo di Bisignano e l'Abate della Sambucina, del nostro Ordine, come si rileva dal regesto dello stesso Romano Pontefice. Ma non avendo il Vescovo deposto di che vivere, fu reintegrato solo in quei benifici che aveva prima che ottenesse la dignità della Chiesa di Anglona; e questo ottenne per grazia speciale dello stesso Onorio, come si può vedere dalla lettera dell'Arcivescovo di Acerenza, data il quinto giorno prima delle Calende di Aprile, nell'anno sesto del suo Pontificato, 319° nell'elenco delle lettere di Onorio.
Le stesse notizie ci dà l'Ughelli (o.c. VII, 80-81) aggiungendo, però, altri fatti che ci fanno capire come questo inizio del sec. XIII dovette essere uno dei più tristi per la nostra Diocesi. Ecco, dunque, ciò che aggiunge l'UghelIi: Nell'anno 1219, nello stesso Regesto si trova, dello stesso Onorio, un'altra lettera (n. 559, fol. 226, in data Lat. 3 prima delle none di sett., anno 4) allo stesso Arcivescovo di Cosenza, perché inquisisca circa l'elezione della Chiesa di Anglona, in quanto una parte, e la migliore, aveva eletto Vescovo Nicola, Arcidiacono della stessa Chiesa, uomo idoneo, il quale aveva rinunciato all'elezione ricevuta per paura di morire, mentre un'altra parte, con il favore del Conte di Gravina e di altri nobili, aveva nominato un certo prete di Brindisi, simoniaco, il quale, contro la giustizia e il diritto di appello, aveva ricevuto l'ufficio di consacrazione dall'Arcivescovo di Acerenza. Ma, nota lo stesso Ughelli, non si sa che fine ebbe la controversia, perché non c'è scritto nei registri; né si conosce il nome del Vescovo che, in realtà, successe a Pietro che era stato deposto.

136. E' Carlo II d'Angiò, figlio e successore di Carlo I; re dal 1285 al 1309.

137. E' Roberto, detto il Saggio, figlio e successore di Carlo II; regnò dal 1309 al 1343. Fu amico del Petrarca.

138. Sorgeva dove, nella prima metà del secolo XVI, da una colonia di Albanesi che fuggivano dalla loro terra occupata dai Turchi musulmani, sarà fondato il paese che porta Io stesso nome.

139. E' una nota di grande interesse per la storia sociale ed economica di queste zone, perché parla esplicitamente di una fiera (festa del mercato) che si celebrava a Senise nel secolo XIII. E', senza dubbio, la fiera più antica della Regione e meriterebbe uno studio e un interessamento particolare. In quei tempi c'erano, certamente, mercati un po' ovunque, ma questa fiera di Senise pare che durasse venti giorni e fosse molto ricca e affollata. Di fiere di questo tipo si ha notizia, per quei tempi, in alcuni paesi della Francia. Sulla fiera di Senise parla ampiamente F. Bastanzio (o.c. pg. 43-44) il quale pone il documento che tratta della Chiesa di S. Costantino al
1276, mentre il testo dice 1266.

140. E' il celebre figlio di Federico II e di Bianca Lancia, che fu dal 1250 al 1252, reggente di Sicilia per il fratellastro Corrado IV e poi, dal 1254, per il nipote Corradino; contro i diritti di quest'ultimo fu proclamato re nel 1258. Perciò il nostro documento, redatto nel 1266, dice nell'ottavo anno del suo Regno. Sconfitto da Carlo d'Angiò nella battaglia di Benevento, vi morì nello stesso anno 1266. Dante lo ricorda con parole commosse nel Canto III, vv. 103 sg del Purgatorio.

141. Qui nel testo c'è un'interruzione: ad annos vig. .. che potrebbe essere viginti, cioè venti, ma potrebbe indicare anche un numero superiore.

142. Durando, come già si è detto, venti giorni, arrivava fino ad agosto ed era, per questo, indicata come fiera di agosto; era una delle due grandi fiere di Senise, l'altra era la fiera di maggio: i proventi di questa andavano al principe, quelli della fiera di agosto, all'Università, cioè alla comunità dei cittadini. La fiera di Santa Lucia, sempre a Senise, è nata più tardi.

143. Lo stesso che tari. Era, in origine, una moneta d'oro coniata dagli Arabi conquistatori della Sicilia; pesava circa un grammo. Fu poi imitato dai Normanni e dagli Svevi, ed era comunemente usato nell'Italia Meridionale. Il testo del documento dice che le monete d'oro dovevano essere ben ponderate, cioè di peso giusto; infatti le monete d'oro si falsificavano facendole più leggiere.

144. Ancora oggi, infatti, per enfiteusi si intende il diritto di godimento su un terreno o, comunque, un bene altrui, con l'obbligo di effettuarci miglioramento e di pagare un canone.

145. Nel testo latino c'è un meliore che penso debba intendersi meliorare, perchè abbia un significato; comunque il senso del pensiero è, senza dubbio, quello proposto.

146. Conventus, dice il testo latino, cioè l'insieme dei frati del Monastero.

147. Ogni notaio, a chiusura dell'atto, disegnava un suo monogramma distintivo, uguale in tutti i documenti da lui redatti.

148. Si tratta certamente di Viggianello (Bianellum).

149. Rocca Imperiale (così denominata per il castello fatto costruire dall'imperatore Federico II) fino al 1976 faceva parte della Diocesi di Tursi; ora è di Cassano Ionio.

150. Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio del Sagittario.

151. Si comprende l'importanza della descrizione dei confini per chi volesse interessarsi con particolare cura delle vicende della storia locale; oltre al fatto suggestivo di vedere, dopo secoli, come viva l'attività economica, civile e religiosa di questi luoghi che, pur avendo subito tanti cambiamenti, conservano ancora, molte volte, gli stessi nomi e le stesse indicazioni.

152. Gli Angioini di Napoli avevano la Provenza e Forcalquier per il matrimonio di Carlo d'Angiò con Beatrice di Provenza; tutti gli altri territori per le conquiste di Carlo o perché nominalmente legati alla corona di Napoli.

153. Per alcuni il nome sarebbe una corruzione popolare per Regina pura, per altri (Racioppi, o.c. pg. 63) starebbe per Acinapura e deriverebbe dal greco a-cheinopoieo nel significato di Acheropita, cioè non dipinta da mano d'uomo.

154. Nota marginale dell'Autore: Dall'Archivio della Regia Sicla.

155. E' Carlo d'Angiò (Carlo I come re di Napoli) figlio di Luigi VIII, fratello di Luigi IX, il Santo. Era nato nel 1226; conte d'Angiò e di Provenza dal 1246. Invitato dal Papa Clemente IV, scese in Italia nel 1265. Dopo la sconfitta di Manfredi nella battaglia di Benevento, Carlo si impadronì del Regno di Sicilia. La rivolta dei Vespri lo costrinse alla guerra contro Pietro III d'Aragona e lo fermò nei suoi sogni di conquista. Morì nel 1285.

156. Il termine Terra indicava il centro abitato.

157. Si dicevano burgensatici o allodiali i beni liberi da vincoli feudali.

158. Cioè esenti da imposizioni o prestazioni.

159. In provincia di Cosenza; fino al 1976 faceva parte della Diocesi di Tursi.

160. E' Roseto Capospulico in provincia di Cosenza. Fino al 1976 appartenne alla Diocesi di Tursi.

161. Roberto cominciò a regnare nel 1309.

162. II Crati, che dà il nome al dipartimento, è il fiume che bagna Cosenza e la piana di Sibari.

163. E' l'attuale Montegiordano, che negli antichi documenti bizantini era detto Cora lordanu, cioè Terra di Giordano. E' in provincia di Cosenza, ma sul confine calabro-lucano, e anch'esso, fino al 1976, della Diocesi di Tursi.

164. Il castello di Roseto, posto in bellissima posizione sul mare, era stato, come tanti altri, voluto da Federico II; ma quello che attualmente ancora si ammira risale al sec. XVI.

165. Come già notato, desta una certa emozione vedere, dopo circa sette secoli, descritti con tanti particolari i confini delle case in un paesino sul confine calabro-lucano; e potrebbe essere interessante, per gli odierni abitanti del luogo, una indagine specifica sui nomi e sulla pianta stessa del paese antico.

166. Il quale, evidentemente, non sapeva scrivere; né c'è da meravigliarsi, perché in quei tempi, tolti gli uomini di Chiesa, solo pochissimi conoscevano le lettere.

167. Interessante e comprensibile questa triste annotazione sul turbine delle Commende, che, in realtà, fu, per secoli, una delle piaghe più dolorose, nell'amministrazione dei beni ecclesiastici, anche se, certamente, con la dovuta eccezione di qualche singolo Commendatario particolarmente illuminato e generoso.

168. Cioè in beneficio di Signori laici.

169. In italiano nel testo: sono le prime parole del memoriale, scritto in lingua volgare, che l'Abate del Sagittario aveva presentato, contro il Principe di Noia, al Vicerè di Napoli, che in quel periodo doveva essere il Conte di Lemos Ferdinando Ruiz de Castro, che governò dal 1599 al 1601 quando morì. Prima che, il 6 aprile 1603, prendesse la carica il nuovo Vicerè fin Alonso Pimentel de Herrera, Conte di Benavente, tenne l'interinato il figlio del primo Conte de Lemos, Francisco de Castro. Siccome il documento qui presentato porta la data del 14 luglio 1603 e si dice presentato all'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore già Vicerè, è da pensare che questo Eccellentissimo Signore fosse, appunto, il primo Conte di Lemos.

170. II testo dice sentiamus, ma è un evidente refuso per sententiamus.

171. Non si dice che cosa il Principe di Noia debba restituire all'Abate, perché ciò che l'Abate voleva era scritto chiaramente nella protesta presentata al Vicerè, di cui è stato riportato solo l'inizio.

172. Appare evidente che l'Abate Virgallita aveva accluso alla sua protesta un schizzo in cui si evidenziavano graficamente i luoghi usurpati dal Principe.

173. Così nel testo, che, com'è ovvio, cita i luoghi così come la gente li chiamava.

174. Si tratta, probabilmente, di una strada, un tratturo.

175. E', forse, il nome del funzionario o del magistrato addetto a questi atti ufficiali.

176. Il termine è interessante, perché, in genere, non usato, in questo periodo, nell'Italia Meridionale. Qui indica, certamente, una Chiesa per la cura di anime fuori del centro abitato.

177. Sarebbe interessante sapere a quale signorotto locale I' Autore alluda.

178. Di Melfi; fu Vescovo dal 1654. Molto devoto di San Filippo Neri (che era stato canonizzato solo 32 anni prima, il 12 maggio 1622) fece costruire in suo onore la bella chiesa che ancora si ammira in Tursi. Da allora il Santo è Patrono della Città e della Diocesi. Il Vescovo De Luca fu molto attivo; fra l'altro tenne un Sinodo diocesano, i cui atti furono stampati a Venezia nel 1656. Il 7 febbraio 1667 passò alla Diocesi di Nazaret, titolo unito alla sede di Trani e Barletta. Cfr. Ughelli, o.c. VII, 106 sg.

179. Cioè gli uomini periti nel diritto ecclesiastico e nel diritto civile; con termine tecnico si dicevano dottori in utroque iure.

180. Ma già dal 1546 Paolo III aveva unificato i titoli di Anglona e Tursi e fissato a Tursi la sede del Vescovo.

181. Spiegabile, forse, per la particolare situazione qui descritta, non fa bella impressione questo lungo elogio dovuto, certamente, ad adulazione e piaggeria, anche se per un uomo degno e per un buon Vescovo.

182. Si vede che l'otto settembre, festa della Madonna di Anglona, patrona principale della Diocesi, la cerimonia dell'obbedienza dei Parroci al Vescovo.

183. Questo lunghissimo e ingarbugliato periodo tendeva solo a questo: dimostrare che, sebbene quasi deserto di abitanti e con una chiesa in rovina, il centro di Sicileo era, giuridicamente, una parrocchia a tutti gli effetti.

184. Il Monastero del Sagittario era sul confine delle due diocesi, ma dopo la ristrutturazione del 1976, i centri della Diocesi di Cassano che si trovavano in provincia di Potenza, sono passati all'attuale Diocesi di Tursi-Lagonegro.

185. E' Ugo Boncompagni, di Bologna, papa dal 1572 al 1585. E' ricordato soprattutto per la riforma del calendario (1582) che da lui si disse gregoriano. Fu rigido sostenitore della controriforma cattolica.

186. Il 13 di dicembre.

187. Si tratta, certamente, della già summenzionata Valle della Nitria a sud-est di Alessandria d'Egitto, abitata intorno al IV secolo da molti eremiti.

188. E' Giovanni, quarto vescovo di Cassano Jonio con questo nome; resse la Diocesi dal 1316 al 1329. Da Mormanno, dove allora si trovava, il 3 luglio 1325, con una sua lettera annunciava al Papa Giovanni XXII di aver, secondo il desiderio del Papa stesso, pubblicato il processo di scomunica contro Ludovico il Bavaro. Su questo Vescovo Giovanni Cfr. L. Russo, Storia della Diocesi di Cassano al Ionio, Napoli 1967, vol. 111,pag. 59.

189. E' l'attuale Mormanno in prov. di Cosenza.

190. Il dubbio se XXI o XXII è dovuto al fatto che Giovanni XV (papa dal 985 al 996) è ricordato in alcuni elenchi come Giovanni XVI, avendo inserito prima di lui per errore un altro Giovanni XV, donde l'accrescimento di una unità per tutti i papi fino a Giovanni XIX, e la mancanza di un Giovanni XX; ma il papa di cui qui si parla è Giovanni XXII.

191. Il termine è in relazione alla verga fiorita di Aronne (Nm. 17, 16 sg) e al virgulto di Isaia 11,1: un germoglio spunterà dal tronco di Jesse. Maria è il ramo (la verga) bellissimo da cui spunterà il fiore che è Cristo.

192. Il testo è interrotto già nella parola hortamur (esortiamo) di cui è scritta solo la prima parte hort... cui seguono puntini sospensivi, segno che la pergamena originale che il De Lauro leggeva aveva qui un'interruzione o parole illegibili. Per questo la frase che segue non è del tutto chiara. Ma, in genere, tutto il documento è piuttosto confuso e involuto.

193. E' bello questo rispetto vicendevole e il legame stesso del Monastero con la Diocesi, al contrario di quanto avveniva con il Monastero di Carbone, che spesso era in lotta con il Vescovo.

194. Il 7 o il 6 di agosto.

195. E' Giacomo Panvinio (non Panvino come dice il testo) che si chiamò Onofrio quando entrò tra gli Eremitani di S. Agostino. Grande storico ed erudito, era nato a Verona nel 1530, morì a Palermo, a 38 anni, nel 1568. Scrisse, fra l'altro (ed è certamente l'opera cui allude l'Autore) un elenco critico di Papi e Cardinali.

196. In una nota marginale l'Autore, oltre al Panvinio e a Giovanni Villani, il celebre cronista fiorentino, cita vari altri storici che hanno trattato dell'elezione di Giovanni XXII. II quale (J. Duèse) fu in realtà eletto a Lione il 7 di agosto del 1316, dopo che la sede pontificia, alla morte di Clemente V (primo papa avignonese) era rimasta vacante per più di due anni. Fu incoronato a Lione il 5 di settembre del 1316. Come il suo predecessore rimase ad Avignone, ove morì il 4 dicembre 1334.

197. Ed era tempo, perché, in verità, molte delle cose dette, mentre sono certamente utili per conoscere la storia del Sagittario, e non solo, non interessano se non molto marginalmente la vita del Beato Giovanni, che verrà ripresa solo con il prossimo capitolo, per subire, poi, molte altre interruzioni.

198. Cioè del ritrovamento della statua della Madonna nel tronco del castagno.

199. E', in Grecia, il nome di una stretta gola, lunga circa 8 km. e larga, in qualche punto, solo 40 metri, tra il monte Olimpo e il fiume Peneo, tra pareti a picco di oltre 500 metri di altezza, in un paesaggio di una bellezza orrida e suggestiva, celebrata da antichi scrittori e viaggiatori moderni. Era centro di un particolare culto di Apollo.

200. Allusione ai tanti fatti di guerre che svolsero a Tempe: nel 480 a.C. i Greci vi inviarono diecimila uomini per ostacolare l'invasione di Serse. Nel 336 a.C. i Tessali qui si opposero ad Alessandro Magno. Durante la guerra lamiaca (323 a.C.) vi passò Antipatro. Nel 171 se ne impadronì Perseo, che poi sarà sconfitto dai Romani. L'attraversò anche Cesare poco prima della battaglia di Farsalo (48 a.C.).

201. Certamente per devozione, ma forse anche perché il Sagittario doveva essere pure, come tutti i monasteri del tempo, un centro di lavorazione delle erbe officinali, altrimenti perchè elencarne ben quaranta all'inizio di questo capitolo?

202. Non si dimentichi che il De Lauro era Abate del Sagittario.

203. Il devoto sconosciuto (devotus quidam, dice il testo) è, senza dubbio alcuno, l'Autore stesso, Gregorio De Lauro, che aveva tanta padronanza della lingua latina da comporre qui due esametri che piace riportare nella lingua originale: Pellit, alit, lustrat Regnatrix, Innula Virgo-hostes, natos, castos, arcubus, ubere, flore. Sono veramente belli per robustezza di lingua, per pregnanza di significato, per sicurezza di tecnica metrica, per la simmetrica eleganza nella collocazione delle parole: prima i tre verbi, poi i tre sostantivi che fanno da soggetto, quindi i tre complementi diretti, infine i tre complementi indiretti. Per quanto riguarda, in particolare, la padronanza nell'uso della lingua latina, c'è da notare che l'Autore inventa anche una parola, innula che non si trova registrata in nessun dizionario latino, ma che non è stato difficile spiegare stando, appunto, alla già notata simmetria nella composizione: deriva, certamente, dal verbo alo, che vuol dire nutrire, rafforzato da in. Nella traduzione si è cercato di interpretare con chiarezza il pensiero e di rendere (usando la tecnica detta barbara del Carducci) il ritmo dell'esametro, sacrificando la traduzione letterale: non si è tradotta la parola Virgo=Vergine.

204. E' l'immersione della mente in Dio e nelle cose soprannaturali.

205. Si diceva, in senso specifico, disciplina un mazzo di funicelle intrecciate con cui ci si flagellava; in senso generico si intendeva una severa regola di vita. La severità con se stessi, lo spirito di sacrificio, l'amore della sofferenza sono sempre stati una nota tipica e caratteristica dei Santi di tutti i tempi, anche se in maniera particolarmente chiara soprattutto nei primi tempi della Chiesa (i monaci egiziani ne sono un esempio) e nel periodo medioevale. Anche se oggi non si comprende da parte di molti, non si può, tuttavia, accettare che se ne parli con sufficienza e, soprattutto, che si guardi con un sentimento di disprezzo e di commiserazione ad uomini eccezionali, non solo forti di carattere, ma spesso dotati di alto intelletto e di estrema sensibilità, e capaci di azioni generose a favore dei fratelli più miseri.

206. Nota marginale dell'Autore: Dalla tradizione degli antichi Cistercensi.