Chiesa di S. Antonio e Convento

 

Il complesso conventuale nasce, in epoca medievale, all'esterno del centro urbano e viene dedicato a Santa Maria Maddalena; l'impianto esistente è costruito nella seconda metà del XVI sec. nelle tipologie d'oltralpe post riforma. 
A planimetria quadrangolare l'edificio ha la chiesa inglobata in corrispondenza del lato Nord, un chiostro con porticato aperto a volte con pilastri a base quadrata, nella parte centrale del fabbricato; i locali comunitari sono al piano terra ed il primo livello è destinato ad usi residenziali; la completa ricostruzione dell'ala Ovest in seguito ad un crollo ed altri interventi hanno prodotto notevoli trasformazioni. 
La chiesa ha navata unica e volta a botte lunettata su lesene; la zona presbiteriale è rialzata ed ha un altare barocco proveniente dalla Cattedrale. A sinistra dell'ingresso si trova una cappella laterale con volta a vela; la sacrestia è situata alle spalle del presbiterio ed ha una volta a botte lunettata. La chiesa ha la facciata ben inserita nel prospetto del Convento, è sottolineata da un semplice portale con arco a tutto sesto e due finestre con timpano sovrastante; sulla parete Nord della stessa si vedono due contrafforti, tracce di lesene in muratura e quattro monofore dell'impianto più antico; gli altri varchi luce sono stati aperti in tempi recenti. Sotto la sacrestia si trova un succorpo che si collega ad un elemento architettonico esterno. 
La chiesa medievale aveva orientamento opposto a quella attuale per la presenza, sotto il pavimento dell'ingresso, delle fondazioni di un elemento con abside semicircolare. 
L'ingresso al Convento è sul medesimo lato Est della facciata della chiesa ed ha un grande portone ad arco. Entrando in quest'ultimo si trova, a destra, la scala per il primo piano e avanti si apre il chiostro. Nei locali del convento è stato sistemato un Museo di legni intagliati della famiglia Di Trani. 
Lasciato il Convento si imbocca la via Vittorio Emanuele e si può raggiungere il centro storico della cittadina. 
      

Testo tratto da "Itinerari di Federico II " A. Borghini, 2000 

 

 

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