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VINCENZO PLASTINO
da "La Basilicata nel Mondo" (1924-1927)

Non si può evocare, attraverso uno spazio di tempo, la memoria di Lui, come quella di un dimenticato.

Piuttosto come quella di uno sconosciuto, che vuole e deve affermarsi, perdonando ai suoi fratelli di non averlo visto e compreso in mezzo alla folla. Forse perché troppo mite, perché troppo modesto, perché alieno dal farsi strada a gomitate o battendo la grancassa.

Incompreso e sconosciuto per i più, che affrettatamente vivono la vita; ma non per le anime, che sentono ancora il bisogno di respirare un alito di poesia, d’arte, di sogno, di dimenticare la febbrilità della moderna esistenza, in un’oasi di pace e d’idealità.

Vincenzo Plastino di Antonio nacque a Rionero in Vulture, appartenne alla feconda terra lucana, e bevve a grandi sorsi l’aria, che gli alito intorno, riscaldando la sua giovane vita. Studiò prima a Melfi, indi a Napoli, dove si formò una cultura, che, poi, da solo, ampliò. E forse la freschezza e l’originalità dei suoi versi è dovuta appunto all’aver studiato e fatto molto da se.

Scrisse parecchie poesie, che sgorgarono spontanee dall’animo suo, in quel canto che irrompeva veemente dall’anima giovanile. E pare quasi che vita e poesia vi siano fuse in una sola forza, piena e sentita. In contrasto questa sua esuberanza interna con l’apparenza esteriore, dolce, tranquilla, pacata.

Poeta umile e dolce, egli senti con purità e passione tutte le cose vive o morte del piccolo mondo di sogno e di fatalità, che volle cantare sulla sua buona lira. E, quasi inconsapevolmente, raccolse un bel fascio di melodia, non per sé ma per gli altri. E la sua materia sonora egli seppe animare e plasmare con tale nobiltà di spirito e di forma, da avvicinare idealmente questo nostro piccolo, ma non povero poeta, all’evangelismo cristianissimo ed umanissimo della grande poesia di Giovanni Pascoli, il solo poeta italico, nel tempo più vicino a noi, che abbia saputo dire alla umanità intera una parola nuova di arte, di fede, di vita, e restituire alla gloria della poesia la vergiliana purità dei campi.

Vincenzo Plastino amò le forme della sua arte, con un entusiasmo bambino, che in lui era animato da una spiritualità fervente e da uno sconfinato bisogno di credere nell’ideale e di rifugiarvisi tutto, con tutto il suo sogno di bontà e di perfezionamento umano.

Di profonda coltura, pubblicò nel 1903 un fascicolo di densi studi di “Critica sociale,, una raccolta di versi “Fogli e fiori,, un romanzo “Osanna,, e lasciò inediti due interessanti studi d’indole critica “1’Ideale pedagogico nella rivoluzione francese,, e “Principi di autroposofia ,,. Fu incoraggiato e protetto dal suo concittadino, il senatore Giustino Fortunato, che col suo acume aveva scorto in lui un essere degno d’osservazione, un frutto allora acerbo, ma che si sarebbe fatto certamente maturo. Nobile e veneranda figura quella del senatore Fortunato, che anche oggi con 1’aristocratica forma, rivelatrice d’aristocratica anima, accoglie, consiglia, incoraggia tutti quei volonterosi, che, passano nel suo studio, godendo di un’ora spirituale accanto a lui. Ma il lavoro, che annovera il Plastino fra i poeti, è la sua raccolta — piccola di mole, ma densa di anime e di pensiero e tutta sfavillante di immagini, e varia di ritmi e di movenze poetiche, dalle più antiche alle più nuove, poliforme e policorde —“ Il Poema dei Fati,, (edito a Melfi nel 1902). Ricorda la vetta che gli diè i natali.

 

Cullato nel suo dolce paganesimo cantò per sé, ma la sua voce si sarebbe fatta intendere alta, se le Parche, in uno dei loro folli capricci, non avessero tagliato il filo della vita al loro amatore.

Ché, poeta egli era, in quel senso più nobile e più ardente della parola, che vuol dire: creatore. E la sua opera fu, infatti, di creazione. Tutto ch’egli vide e cantò, plasmò secondo il suo cuore e il suo sangue, e tutto ch’egli ha lasciato vive della sua personalità interiore e del suo più occulto travaglio e tormento spirituale. Non era un vagabondo dell’anima. Era un sacerdote del pensiero. L’umanità migliore era in cima alla sua passione: e questo suo culto comunicò al suo canto. Ma non era, purtroppo, un’aquila per lasciare tracce di fuoco sulla via del cielo battuta dalle sue ali. E perciò, quando la morte rapi Lui, il suo canto divenne muto ed inerte. E fu sepolto dall’oblio inesorabile degli uomini, assai più grave della terra dei cimiteri.

Precocemente tolto alla famiglia, alla società, alla sua terra fervida d’amore e di sole, alla vetta del Vulture, sentinella compiacente di tanti spiriti superiori, oggi, in queste righe, rievoco con riverente ammirazione la memoria di Vincenzo Plastino, esortando gli amatori del bello a conoscere ed apprezzare i lavori di questo umile poeta sconosciuto, che sarebbe certamente stato uno dei buoni poeti moderni, se la morte prematura non ne avesse stroncato 1’estro.

 Perché i figli di Basilicata, possano andar superbi di uno dei loro fratelli più buoni, più dolci, più miti. E accendere nei loro cuori e sulle cime delle loro montagne la lampada sacra della rimembranza, per questo poeta nostro, tutto nostro, che passò rapidamente dalla vita alla morte, e in questa disparve, come uno che ha fretta di chiudersi, di raccogliersi tutto nell’infinito mistero.

 

MARGHERITA MAZZONI
 

da "La Basilicata nel Mondo" (1924-1927)

 

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