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IL SANTUARIO DELLA MADONNA DI PICCIANO

The church of the Virgin Mary of Picciano is located on a hill on the boundary between Lucania and Puglia.
In the Middle Age the anchorites moved to this hill, founding a monastery which was the creator of the building of the Roman church.
In the XIII century a group of Templari moved next to the monastery, then the Gerosolimitani substituted them building a Commenda, which lasted till the beginníng of the XIX century.
The oratory is the only lasting part of the ancient building, and the church still has the old front door where it is possible to find hínts of the ancient rose-windows.

Il santuario della Madonna di Picciano sorge su una delle numerose colline che fanno da passaggio tra l'ambiente semi-montuoso della Lucania nord-orientale e l'altopiano delle Murge.
Il toponimo, di probabile origine prediale (1), designa non solamente il colle ma anche la contrada circostante, sommariamente circoscritta dalla fiumara, detta "Gravina di Picciano" e dal Canale S. Stefano. La contrada si trova in posizione privilegiata, per quanto riguarda la viabilità, attraversata da un importante tratturo preistorico, divenuto successivamente un prolungamento dell'asse viario che, lungo la valle del Bradano, collegava la costa ionica e le città dell'entroterra dell'area Appulo-Lucana (2).
Le più antiche tracce di presenza umana sul posto sono state rinvenute ai piedi del colle, nelle grotte lungo la gravina, rifugio naturale e particolarmente adatto ad attività di scavo e di modellamento. I reperti archeologici - i più antichi risalenti al Paleolitico Medio-Inferiore (circa 300.000 anni fa) - attestano una immemorabile attività litica e, successivamente, pastorale.



STORIA
Gli antichi cronisti locali affermano che la chiesa e il primitivo insediamento monastico di Picciano era sito lungo la gravina, nel luogo di basso detto il "grottolino" e che, successivamente, si trasferì sul colle (3). In effetti, fin dall'Alto Medioevo, i "grottolini" di Picciano furono riutilizzati da qualche eremita o piccola comunità religiosa di tipo lauriotico, anche se difficilmente è ipotizzabile che si trattasse di una comunità benedettina (4). Segno superstite di questa antica presenza religiosa, alle falde del colle, è la cosiddetta "cappella dei Grottini", sulla sponda destra del torrente.
La notizia documentaria più antica sulla presenza di una comunità monastica a Picciano si trova in un documento del 1219 in cui, tra i sottoscrittori, figura un tale "Gulielmus Abbas Monasterii S. Mariae de Picciano, VI milliaribus ab eadem urbe dissiti" (5). Altri documenti, anche se frammentari, mostrano la crescita e l'importanza del monastero: in una bolla di Gregorio IX, nel 1238, l'abate di Picciano è tra i visitatori designati dal papa per verificare la burrascosa situazione del monastero di Ognissanti di Cuti (6); nel 1252, papa Innocenzo IV incarica l'arcivescovo di Trani di verificare le modalità canoniche dell'elezione e l'idoneità della persona di fra Andrea, eletto abate del monastero di S. Maria di Picciano (7).
La metà del sec. XIII è un momento di floridezza economica del monastero, così come ci è attestato da una serie di donazioni, compravendite ed acquisizioni di diritti ed immunità (8). Nel 1273, il monaco Giovanni, già cellerario del monastero, viene eletto abate di Picciano e papa Gregorio X dà incarico ai vescovi di Conversano, Bitetto e Ruvo di verificare la canonicità dell'elezione ed eventualmente confermarla con il conferimento della benedizione abbaziale (9).
La presenza benedettina sul monte di Picciano segna l'inizio dell'importanza del luogo e dà l'avvio ufficiale alla devozione della Madonna, sotto il cui titolo era stato edificato il monastero. Furono i benedettini, probabilmente, ad avviare la costruzione di un dignitoso oratorio, con il bel portale d'ingresso, scolpito a motivi geometrici, treccia e reticolato, sormontato da un piccolo rosone. L'interno, a navata unica longitudinale, era in stile romanico, come si può ancor oggi vedere, con filari di tufo bicromo, giallo e bianco. Il fondale, rivolto ad oriente, terminava con un piccolo abside, di sobria ma graziosa bellezza.
Nel sec. XIV ai monaci successero i cavalieri. Ancora oggi non sono del tutto chiare le modalità del passaggio del luogo dalla comunità monastica all'ordine Templare prima e ai Cavalieri di Malta poi. Gli autori locali hanno formulato varie ipotesi, tutte però prive di un'attendibile documentazione storica (10). Di certo è che alla fine del '300 i Cavalieri di Malta possedevano il colle e un tal "frater Ludovicus" è detto "Praeceptor Picciani" (11).
Nei circa quattro secoli di esistenza, la Commenda di S. Maria di Picciano estese notevolmente i suoi beni in numerosi centri della Puglia e della Basilicata (12). La presenza dei cavalieri determinò una profonda trasformazione del colle. La costituzione di un feudo comportò la presenza di ambienti adatti ad un tipo di economia curtense, con palazzo commendatale, magazzini per attrezzi agricoli, depositi per derrate, fosse frumentarie, stalle, officine etc.; inoltre, il colle venne fortificato con una cinta muraria ed una torre campanile con postazione di balestriere.
Lavori di ampliamento e ristrutturazioni furono effettuati anche nell'oratorio, con la probabile modifica del soffitto e la realizzazione di un grande affresco absidale raffigurante la scena evangelica dell'Annunciazione.
Verso la fine del sec. XVI, forse per il prevalere di esigenze pratiche su teorie simboliche, si invertì l'orientamento della chiesa, con lo sfondamento dell'abside e la collocazione del presbiterio a ridosso dell'antico portale d'ingresso. Dell'affresco absidale fu salvata, con una rudimentale tecnica di scucitura dei tufi, l'effigie della Vergine, la quale fu collocata in un altare laterale. La rischiosa operazione indusse il commendatore Giangirolamo Carafa, sotto il quale furono realizzati questi lavori, a far dipingere una copia del quadro che tenne poi per sè a Matera, a Barletta e infine a Malta.
Il completamento dei lavori, in modo più dignitoso, si deve al commendatore fra Silvio Zurla di Crema (1642-1685) che fece costruire sul nuovo altare maggiore un ancòna di pietra, intagliata con figure a rilievo, e vi fece trasportare la sacra immagine della Vergine, proteggendola con un gran cristallo fatto venire da Venezia (13). Inoltre, lo Zurla completò la navata laterale a sinistra dell'altare maggiore, con la costruzione di due altari devozionali, intonacò e imbiancò tutta la chiesa, aggiunse le vetrate alle finestre e rifece il pavimento in mattoni. La chiesa ebbe il suo aspetto definitivo nel 1794 allorché il commendatore fra Pierantonio Gaetani vi aggiunse una terza navata a destra di quella centrale (14).
Nel territorio del feudo di Picciano, il commendatore godeva i diritti di esenzione e di giurisdizione civile e criminale (15), che amministrava specie nei giorni delle festività della Madonna, quando il colle veniva visitato da numerosi pellegrini. Inoltre, il commendatore nominava anche i cappellani, in numero di quattro, che godevano, a loro volta, di tutte quelle esenzioni e privilegi spettanti ai frati cappellani della religione del Sovrano Ordine; essi dipendevano dal commendatore come loro ordinario (16).
La Commenda di S. Maria di Picciano ebbe vita fino al 18 giugno 1807, data di abolizione di tutte le prelature, commende, legati, cappellanie e benefici ecclesiastici, e di incameramento dei loro beni da parte dello Stato. Un'appendice si ebbe allorché, con decreto regio n. 331 del 16 aprile 1816, il re di Napoli restituì la Commenda di Picciano al balì Giuseppe Caracciolo di Santeramo in cambio di quella di Casal Trinità, che restò indemaniata (17).



L'ORATORIO
L'attuale oratorio-santuario si presenta esternamente come un edificio rettangolare, lungo circa mt. 30,80 e largo mt. 20,85, coperto da un tetto a spioventi. Detto in precedenza dell'inversione dell'orientamento della chiesa, a fine '500, va tenuto presente che l'antica copertura del sacello era a cupole, in numero di due o tre, sul tipo iconografico di altre chiese benedettine in terra di Bari (18). Crollate le cupole, a causa di terremoti, nel '600 si pensò bene di non ricostruirle preferendo la più semplice e sicura volta a botte, ampiamente diffusa sul territorio.
L'attuale facciata della chiesa, sul lato di levante, si presenta con un corpo centrale quadrangolare, in corrispondenza della navata centrale, con a fianco, ribassati, gli spioventi della copertura delle due navate laterali; agli estremi del corpo centrale della facciata si ergono due modesti campanili a vela. La forma inconsueta della facciata è dovuta al riadattamento del corpo centrale, maggiormente elevato, il quale corrispondeva a un lato dell'antico tiburio che sosteneva la cupola del presbiterio (19).
Sul lato di ponente, il santuario è affiancato da una costruzione postuma la quale forma una specie di deambulatorio, con volta a botte, che passa dietro l'attuale presbiterio, dinanzi all'antico portale d'ingresso. Da questo deambulatorio, in cui è riposta la statua della Madonna di Picciano, è possibile accedere alla cappella della Pietà, alla Sacrestia e ad un altro locale di servizio.
In passato, sul lato di meridione, si apriva un'altra porta che immetteva al centro del santuario, chiusa in tempi recenti e, accanto ad essa, in corrispondenza di una cisterna d'acqua piovana, sorgeva anche una fontana per i pellegrini.
L'interno dell'oratorio è di tipo basilicale, a tre navate coperte da volte a botte, con quella centrale maggiormente acuta. Le navate sono divise da basse e lunghe arcate che s'impostano su grandi pilastri a base rettangolare; al centro delle arcate, poi, si aprono delle strette finestrelle strombate, rimesse in luce durante i restauri degli anni '90. Lungo le pareti perimetrali dell'oratorio sono disposte delle arcate cieche, la cui funzione più che per esigenze di statica pare essere quella di ricavare spazi devozionali.
Il vano presbiterale, di notevoli dimensioni, è rivolto verso ovest ed occupa lo spazio dove sorgeva il primitivo oratorio. Esso si presenta sopraelevato di due gradini ed è chiuso da quattro spessi pilastri, vestigia delle antiche mura, nei quali sono stati aperti dei fornici. La parete di fondo del presbiterio è occupata dal dossale di pietra del vecchio altare, di pregevole fattura, della scuola di Altobello Persio. Questa macchina d'altare, in origine simile ad un vero arco di trionfo, era costituita da una complessa intelaiatura architettonica di paraste e cornici, suddivisa in più registri contenenti altorilievi e statue. Purtroppo, negli anni '50, è stata ridotta di due partiture laterali, per cui oggi non ha più il medesimo effetto monumentale a causa del dimezzamento delle statue e dei rilievi. Un arco centrale, all'interno del quale si apre il vecchio portale d'ingresso dell'oratorio, separa le due restanti partiture. Il registro inferiore è occupato dagli emblemi dei cavalieri gerosolimitani, croce bianca in campo rosso, mentre nel registro successivo sono scolpiti a mezzo busto i profeti minori, dei quali sono rimasti solo sei. Nel terzo registro, all'interno di nicchie valvate, sono collocate le statue olosome di due profeti maggiori nell'atto di aprire un rotolo sul quale sono scritte le lodi a Maria. La parte centrale di questo registro contiene la Sacra Effige della Madonna di Picciano. La Vergine, a mezzo busto in posizione assiale, guarda i fedeli con il capo rivolto verso destra; le braccia sono ripiegate all'altezza del petto e le palme delle mani aperte, in atteggiamento di preghiera. Indossa una tunica rossa, orlata al collo e ai polsi, sulla quale si distende il maphorion celeste, orlato di ricami dorati e disegni geometrici. L'affresco si staglia su un fondo bipartito da una larga banda superiore rossa e una inferiore gialla. Nello spazio che separa le statue dei profeti maggiori da quelli minori, durante i recenti restauri, è stata rimessa in luce parte dell'iscrizione dedicatoria, che se da una parte sembra che ci permetta d'individuare la committenza e la datazione di quest'opera d'arte, dall'altra pone nuovi problemi (20). Sotto il profeta a sinistra si legge: PRO DUCE FERNANDO URSINO QUOD VOVERAT OLIM / SANS(E)VERINA TIBI FOELIX DUX VIRGO PEREGIT (La duchessa Felice Sanseverino ha sciolto a te, o Vergine, il voto che in passato aveva fatto per il duca Fernando Orsini); sotto il profeta a destra si legge: HINC PIETATE TUA LONGUM DIGNERIS IN AEVUM / SERVARE INCOLUME(S) NATU (M) CHARAMQ (UE) PARENTEM (Da qui degnati per la tua bontà di proteggere a lungo il fanciullo nato e l'affettuosa genitrice). L'iscrizione ci dice che la duchessa Felicia Sanseverino dei Principi di Bisignano, vedova del duca Antonio Orsini, porta a compimento un voto alla Madonna fatto in passato dal duca Fernando Orsini e chiede protezione alla Vergine per il figlioletto orfano e per se stessa.
Il quarto registro è formato da un ampio arco a tutto sesto, con l'archivolto scolpito a cassettoni e gli intradossi con bassorilievo dei volti dei cherubini; gli scomparti laterali sono sagomati a profilati a coda di sirena, terminanti con busti di angeli.
Sulla cimasa, in una nicchia tra due angioletti a bassorilievo, in funzione di cariatidi, c'è il busto dell'Eterno Padre benedicente e con il libro aperto, sul quale è posta l'arma del Commendatore fra Silvio Zurla, tre merli bianchi su fondo azzurro.
Sulla parete destra del presbiterio è collocato un Cristo Crocifisso di pregevole fattura. Nel Cabreo del 1674 si legge: "A man sinistra, vicino al predetto altare, vi è un'altro braccio di detta chiesa nel quale vi è un altare con Nostro Signore Deo Crocifisso..." (21). Si tratta probabilmente della stessa opera, eseguita da un buon intagliatore locale che ha caricato di "pathos" popolare la rappresentazione pur senza farla scadere di valore estetico. Incerta la datazione, anche se non dovrebbe essere anteriore al sec. XVI.
Al centro del presbiterio è collocato l'altare, la cui mensa è sostenuta da due plinti, modellati a busto di angioletti, che già facevano parte dell'antico altare maggiore addossato alla parete.
Nella navata di sinistra, sul fondo, si trova la pietra tombale, con epitaffio, del Commendatore fra Pietro Zurla. In origine, la tomba del cavaliere era stata ricavata nella parete a sinistra del presbiterio (22); a metà anni '50, la tomba fu aperta e la pietra tombale con Tarme del cavaliere furono affissi nella navata laterale.
Le pareti e la volta del santuario si presentano con tufo a vista, liberate dal vecchio intonaco durante i restauri a metà anni '70; in alcune parti è ben visibile la bicromia dovuta all'alternanza di filari di tufo bianco e carparo ocra.
Nell'attuale controfacciata, sul lato orientale, sono contenuti i resti dell'antica abside, sfondata per ricavarne la porta d'ingresso; è possibile ammirare un grazioso catino absidale, a filari di tufo bicromo e lacerti dell'antico affresco retrostante l'altare. Esso avrebbe dovuto rappresentare la grande scena dell'Annunciazione, delimitata in alto da un tendaggio e ai lati da paraste con grottesche, inserita in un ampio paesaggio. I frammenti contengono molte scritte graffite a carattere devozionale, nomi di persone, date, etc., testimonianze di fedeli e pellegrini dei tempi passati. Di questo affresco absidale faceva parte, con molta probabilità, l'immagine della Vergine di Picciano che, distaccata e posta inizialmente in un altare laterale, si trova ora al centro del dossale dell'altare maggiore. Il dipinto, datato alla fine del sec. XV, è attribuito ad un pittore meridionale, di cultura adriatica, di buona tecnica (23).
Nella navata destra, sulla parete di fondo, sono affissi due stemmi di pietra: il primo porta l'arme del Commendatore fra Silvio Zurla, indicato anche dall'iscrizione: E(QUITES) SILVIUS ZURLA / COMEN(DATOR) 1607; il secondo, un ovale quadripartiro, riporta le insegne dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme. In questa navata è collocato anche un pregevole organo meccanico a canne, costruito dalla ditta Anselmi-Tamburini nel 1991. La sua funzione è quella di accompagnare e dare risalto alle grandi funzioni liturgiche che si svolgono nel santuario in particolari momenti dell'anno, nonché di essere utilizzato per manifestazioni musicali, specie durante il mese di maggio. Sempre nella navata destra, sul primo pilastro della prima campata, in corrispondenza dell'acquasantiera, è collocato un interessante ex voto in tufo sul quale è scolpita l'effigie della Madonna di Picciano, all'interno di ghirlande floreali, nell'atto di apparire in una selva di arbusti.
Nel deambulatorio dietro il presbiterio è stata ricavata una cappella per la devozione alla statua della Madonna di Picciano. Tale statua devozionale, il cui uso si potrebbe datare agli inizi del '700, non è menzionata dalle fonti più antiche e si può supporre che sia stata introdotta da pastori abruzzesi, in transumanza sul territorio, che poi divennero i gestori ufficiali della festa popolare. Sul modello della sacra icone, la statua riproduce la Vergine a mezzo busto, in atteggiamento orante, collocata su una nuvoletta, simbolo del mondo trascendente in cui è stata assunta la Madre di Dio. Nel 1953 un incendio danneggiò gravemente l'antico simulacro della Vergine, per cui fu necessario commissionare una nuova statua, che fu realizzata dai fratelli Pentasuglia di Matera.



LA DEVOZIONE ALLA MADONNA DI PICCIANO
Una delle più antiche descrizioni delle manifestazioni devozionali alla Madonna sul colle di Picciano ci è fornita dal cronista materano Eustachio Verricelli. Nella sua cronaca del 1595 scrive che "il di" della Nonciata a 25 di marzo se fa la festività con molto concurso dei forastieri per Ili grandissimi miracoli che fa ..." (24)
La data della festività, il 25 marzo, il gran concorso di fedeli e i moltissimi miracoli continui e noti trovano conferma nel Cabreo del 1596 (25). Più tardi, il Cabreo del 1674 registra l'aumentata devozione e quantifica a dodicimila anime il numero dei pellegrini che salgono al santuario il giorno della festa (26). E specificato che i fedeli non sono solo materani, ma provengono da tutte le provincie circonvicine (27). In modo particolare grande è la devozione che spinge molti abruzzesi a recarsi al santuario per la festività dell'Annunziata continuando una plurisecolare tradizione, sedimentata nel tempo da generazioni di pastori in transumanza sul territorio materano. Furono proprio costoro i più fervidi promotori della devozione e gli organizzatori dei festeggiamenti. A loro risale, tra il sec. XVII e il XVIII, la storia popolare, fissatasi nella cantilena, che narra del vaccaro abruzzese il quale, alla ricerca dei buoi smarriti, riceve l'apparizione della Vergine che gli confida di voler un tempio in suo onore sul colle. Impegnatosi alla ricerca di fondi e non riuscendo a concretizzare nulla presso i materani, a causa di una cattiva annata, il buon uomo si recò a questuare nelle contrade abruzzesi ove racimolò il necessario per la costruzione del santuario che sorse, come d'incanto, nel 1722.
Tralasciando quanto è frutto della fantasia popolare, alcuni elementi di questa canzoncina popolare meritano di essere presi in considerazione come l'accenno al solenne pellegrinaggio di popolo e di clero guidato dal vescovo di Matera per la consacrazione ufficiale del luogo di culto. L'evento sancisce il passaggio da ciò che è semplicemente devozione popolare a culto ufficiale della chiesa locale.
Il Cabreo del 1699 ci informa che in occasione della festività i fedeli sono assistiti da dieci sacerdoti confessori e da altrettanti preti che cantano le litanie. Sempre il giorno della festività del 25 marzo, nel cortile di Picciano, esenti da tasse governative, mercanti ed altre persone vendono roba e danno luogo ad una piccola fiera (28). Il tutto avviene sotto la giurisdizione del commendatore che riceve l'affitto dei luoghi utilizzati e controlla pesi e misure; in più, per comodità della gente che concorre alla festa, si fa preparare un'osteria nella quale si vende pane, vino ed altre robe commestibili (29).
Nella sua cronaca del 1751, il Nelli ci informa di "un'infinità di popolo, non solo materano, ma forestieri anche da paesi lontani" (30). Il loro numero raggiunge le quindicimila e più persone (31). Succede allora che "le gentaglie stanno dentro il bosco che vi è all'intorno di detto monte, ed altri che non possino avere stanze vanno ad alloggiare in qualche massaria ivi vicina" (32).
L'afflusso dei pellegrini, oltre che per la solennità del 25 marzo, continua anche per tutto il mese di maggio e in altre feste mariane dell'anno. I fedeli che salgono al santuario lasciano offerte votive, donativi vari e denaro per messe e litanie, nonché per l'acquisto di cera, olio, vasi sacri etc...
La devozione alla Madonna di Picciano non è viva solo nel cuore delle classi popolari, ma è sentita anche dai ceti più elevati, che concorrono con munifici donativi e opere varie. Si è già accennato alla devozione del commendatore Gian Girolamo Carafa che nel 1601 fece fare una riproduzione della sacra effigie a grandezza naturale e la tenne sempre con sè (33). Nel 1609 Angelo Peres, "seu Donato de' Peres", lasciò per legato testamentario alla cappella della Bruna duecento ducati per la realizzazione di una piastra d'argento con l'immagine della Madonna di Picciano (34). Di probabile origine ecclesiastica è la committenza dell'affresco che riproduce, in un periodo di tempo piuttosto tardivo, la Madonna di Picciano sulla parete sinistra della chiesa rupestre materana di S. Maria de Idris al Sasso Barisano. Sapore più popolare ha l'affresco che si ritrova nel Convicinio di S. Antonio Abate, al Sasso Caveoso, e che s'ispira alla tarda tradizione dell'apparizione della Madonna al vaccaro abruzzese.
Come già accennato in precedenza, ad un periodo piuttosto tardivo, forse inizio del sec. XVIII, si deve la costruzione e l'uso della statua processionale della Madonna. Di essa non si ha menzione alcuna nelle fonti antiche ed è presumibile che sia stata introdotta da pastori abruzzesi, divenuti gestori ufficiali della festa, almeno fino alla fine del '700.
II Copeti, cronista materano, ci dà notizia di un dispaccio del 1785 che interdice agli abruzzesi la colletta per l'organizzazione della festa; l'incarico allora passò ai materani, anch'essi, per lo più gualani e pastori (35). A questa notizia si può collegare l'episodio che si racconta a Castel del Monte (prov. dell'Aquila, allorchè, in conseguenza di un presunto torto subito, un signorotto del luogo indusse i pastori a prendersi la statua lignea della Madonna di Picciano, fatta costruire a loro spese, e a trasportarla a tappe nel loro paese, ove fu riposta nella chiesa di S. Caterina. La grande devozione della gente del luogo portò anche alla costituzione, nel 1791, della Congregazione della SS. Annunziata detta di Picciano, con sede nella chiesa di S. Caterina di Castel del Monte (36).
Un'altra Confraternita di S. Maria dell'Annunziata di Picciano si formò, ai primi dell'800, anche a Matera. Essa era costituita dai devoti dei paesi del circondario, in modo particolare Grassano e Montescaglioso. La Confraternita fu approvata con regio decreto il 3 maggio 1835 e, il 13 settembre 1836, ebbe l'autorizzazione del Balì fra Giuseppe Caracciolo di officiare nella chiesa materana Mater Domini appartenente ancora alla medesima Commenda.
Dello svolgimento della festa e delle manifestazioni devozionali di questo periodo il conte Giuseppe Gattini ci offre una vivace descrizione. I pellegrini affluivano in gran numero il giorno della vigilia e accendevano falò attorno ai quali stazionavano con canti e gozzoviglie tutta la notte. "Ciò non impediva come tuttavia si facessero l'indomani le funzioni in chiesa ed una processione all'aperto con una lunga ed ordinata fila di uomini, donne e bambini. Talora per penitenza scalzi, con grossi ceri incartocciati in cima onde riparare la fiamma e serbarne gli sgoccioli, alternando il rosario e cantando le litanie, o più spesso una sconclusionata canzoncina mezza italiana e mezza vernacola e senza metro per sì accennare, tra l'altro, alla leggenda dei ritrovamento dell'antica immagine" (37).



IL RITORNO DEI MONACI BENEDETTINI
La scomparsa della Commenda, e quindi della possibilità di assistenza continua del santuario, l'evolversi della situazione politica, l'accentuarsi della Questione Meridionale, il brigantaggio e tutta una serie di eventi aggravati dai conflitti bellici, furono la causa di un lento ma inesorabile abbandono del luogo e delle antiche tradizioni. Non che la vita religiosa sul colle e il flusso dei pellegrini fossero del tutto scomparsi, ma c'era stato un notevole diradamento. Inoltre, con le leggi eversive e la demanializzazione dei benefici ecclesiastici e delle commende il santuario, divenuto possedimento comunale (38), fu affidato ad un custode e la cura delle anime ad un cappellano di nomina regia.
Nella seconda metà del nostro secolo si pongono le premesse per la ripresa della vita del santuario. Nel 1954 il Comune di Matera fa atto di donazione di 6 ettari di terreno per opere sociali. La ripresa ha come programma di massima la sistemazione della viabilità, la costruzione di locali d'accoglienza e l'allestimento di servizi vitali quali l'acqua e la luce (39). Nel 1956 hanno inizio i lavori per la costruzione di un grande edificio destinato all'accoglienza dei pellegrini e che diverrà in seguito, non senza problemi logistici, la sede della nuova comunità monastica; lo stesso anno il Santuario ottiene il riconoscimento della personalità giuridica (40). Al 1960 datano le trattative tra l'allora Arcivescovo di Matera, mons. Palombella, e la Congregazione Benedettina di Monte Oliveto per l'insediamento sul colle di una comunità monastica al servizio del Santuario. L'11 febbraio 1962 viene firmata la convenzione tra l'Arcidiocesi di Matera e la Congregazione Olivetana che prevedeva la cessione, in forma canonica, del Santuario e degli annessi locali e l'accettazione, da parte dei monaci Olivetani, con l'impegno della costituzione di una comunità per l'assistenza al Santuario (41).
Il terreno per la comunità monastica fu preparato dal monaco-pioniere d. Casimiro M. Masetti il cui lavoro, durato cinque anni di dure fatiche, permise l'installazione del primo nucleo di monaci il 2 ottobre 1966. La domenica successiva, 9 ottobre, si svolse la solenne cerimonia dell'Incoronazione dell'icona della Madonna di Picciano con grande partecipazione di clero e di popolo (42).
I monaci, nello spirito della loro tradizione caratterizzato dalla preghiera e dal lavoro, attuano una vera e propria ristrutturazione materiale del colle onde meglio svolgere una efficace attività spirituale. Viene finalmente sistemata la viabilità e ridata una certa configurazione al territorio, è completata la costruzione della "casa", si dà inizio a una serie di restauri, s'impianta un seminario monastico, s'incrementa la devozione mariana con missioni, pellegrinaggi e attività pastorale.
Oggi il santuario è ridiventato meta di un flusso continuo non solo di pellegrini devoti della Madonna, ma anche di numerosi gruppi di cristiani alla ricerca di un'oasi di pace dove rifocillare lo spirito e trovare una rinnovata carica di spiritualità.
La presenza stabile di una comunità ha nuovamente favorito l'assistenza continua ai pellegrini e un servizio costante per l'amministrazione dei sacramenti, specie quello della riconciliazione (43). Le celebrazioni liturgiche, svolte in modo decoroso e con la possibilità di un'attiva partecipazione di tutti, mirano ad educare i fedeli ad una sincera pietà cristiana ed a una corretta visione della devozione mariana, finalizzata all'accrescimento della fede e dell'amore di Dio.
Accanto alla comunità monastica maschile, da alcuni anni, vive ed opera anche una comunità di suore benedettine sotto il titolo dell'Annunziata. Approvata "ad experimentum" con decreto vescovile nel 1980 la piccola comunità svolge opera di servizio, accoglienza e animazione di preghiera. All'ombre delle due comunità religiose si è formato, come è tradizione dei monasteri, anche una scuola di spiritualità: gli Oblati Benedettini. Sono costoro dei laici che pur conducendo una normale vita nel mondo e nelle attività secolari, sì sforzano di vivere spiritualmente alla luce della Regola di S. Benedetto e, limitatamente alle loro possibilità, di coadiuvare il monastero nelle sue iniziative.
La comunità monastica promuove anche iniziative culturali con la pubblicazione di un periodico trimestrale e libri d'interesse locale nonché con l'organizzazione di incontri, convegni di studi e manifestazioni musicali.
Dopo i lavori di consolidamento e di restauro del santuario, effettuati dal Provveditorato alle Opere Pubbliche agli inizi degli anni '90, sono ora in corso i lavori per il Grande Giubileo del 2000, che tentano di dare un assetto più razionale e funzionale al monastero e alle strutture di accoglienza. La speranza è che si ottenga il fine desiderato e che la solerte opera iniziata un millennio addietro, dai primi nuclei monastici alle falde della collina prima e sul colle poi, possa trovare nei monaci benedettini di Monte Oliveto dei degni continuatori che rendano Picciano sempre più luogo di preghiera, di ascolto della Parola e di accoglienza dei fratelli.



Note

1 Cfr. RACIOPPI G., Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Loescher, Roma 1889, voi. II, p. 53; circa l'etimologia, l'illustre studioso lucano riporta l'opinione del Flechia.

2 Più tardi, in periodo romano, il percorso sarà un'ottima scorciatoia per immettersi dalla costa ionica sulla via Appia, che passava per la città di Silvium (l'attuale Gravina in Pugiia).

3 ARCHIVIO DI STATO DI MATERA (da ora in poi ASM, Fondo Gattini, Ab anno Domini N. S. lesu Christi 600 usque ad presentem 1747, per utriusque juris doctorem dominum Nicolam Domnicum Nelli, canonicum Metropolianae Ecclesie Matherane collectis (d'ora in poi N. D. NELLI, Descrizione della Città di Matera), cap. 28, par. 1 e 19; Volpe F. P., Memorie storiche profane e religiose sulla città di Matera, Simoniana, Napoli 1818, p. 220; Gattini G., Note storiche sulla città di Matera, Perrotti, Napoli 1882, p. 24; a p. 211, il Gattini afferma che i benedettini di Picciano erano Cassinesi.

4 II monachesimo benedettino, per vari motivi ed esigenze, non pare che abbia mai prediletto lo stanziamento rupestre, tutt'al più acquisiva possedimenti comprendenti insediamenti rupestri, ma la vita della comunità preferiva edifici subdivali. Nel caso di Picciano si può ipotizzare che i monaci del luogo, ottenuto il riconoscimento giuridico scelgono la regola di S. Benedetto e decidono di trasferirsi sul colle, dove edificano il monastero.

5 TANSI S., Historia cronologica Monasterii S. Michaelis Arcangeli Montis Caveosi Congregationis casinensis Ordinis Sancti Benedicti ab anno MLXV ad annum MCDLXXXIV, Neapoli MDCCXLVI, p. 74; lo stesso autore rettifica che il monastero fu maschile e non femminile, secondo l'erronea affermazione di Ughelli e Lubin.

6 Registri Vaticani 19, f. 33, n. 167.

7 Registri Vaticani 22, f. 199, n. 32.

8 Una serie di documenti che vanno dal 1254 al 1258 ci è fornita da C. A. GARUFI, Da Genusia romana al Castrum Genusium dei secoli XI-XIII, in ASCL, 3(1933), pp. 33-34, l'autore, però, fa confusione tra il monastero di S. Maria di Picciano di Matera e il monastero di S. Maria dei Teutonici di Ginosa.

9 Registri Vaticani 37, f. 93, n. 57.

10 Alcuni eruditi materani sostengono che il colle sia stato donato dall'Università di Matera, con la chiesa e il monastero abbandonato dai monaci, ai Templari e agli ospedalieri; cfr. NELLI N. D., op. cit., cap. 28; VOLPE F. P., op. cit., p. 221; COPETI A:, Notizie della città e di cittadini di Matera (1780), a cura di M. Padula e D. Passarelli, BMG, Matera 1982, p. 269. Un'altra versione è che si sia trattato di una donazione della famiglia Gattini ai Cavalieri di Malta; cfr. COPETI A., op. cit., p. 182.

11 TANSI S., Historia cronologica..., op. cit., p. 96.

12 Nei circa quattro secoli di esistenza, la Commenda di Picciano estende i suoi beni, con grancie e predi urbani, ad Acquaviva, Bitetto, Bitritto, Bari, Castellana, Carbonara, Ceglie, Ginosa, Gioia del Colle, Gravina, Laterza, Matera, Malta, Massafra, Miglionico, Mottola, Montescaglioso, Noia, Pomarico, Rutigliano e Spinazzola.

13 ARCHIVIO DEL MONASTERO DI PICCIANO (d'ora in poi AMP), Cabreo della Commenda S. Maria di Picciano, n. 6024, anno 1674, f. 9v.

14 VOLPE F. P., Memorie storiche..., op. cit., p. 223.

15 IBIDEM.

16 ASM, Fondo Gattini, Raccolta di Diplomi e Carte autorevoli spettanti o direttamente o indirettamente alla Città di Matera..., ms. a cura di F. P. VOLPE, p. 287, n. 295: nel 1662, in seguito ad un giudizio mosso dall'arcivescovo di Matera G. Battista Spinola, la Congregazione per gli affari di Malta stabilisce che il cappellano e il sacrista siano esenti dalla giurisdizione del vescovo e dipendano dal Commendatore.

17 GATTINI M., I Priorati, i Baliaggi e la Commenda del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme nelle Provincie Meridionali d'Italia prima della caduta di Malta, ITEA ED., Napoli 1928, p. 31.

18 M. S. CALO, Introduzione a Insediamenti Benedettini in Puglia, Per una storia dell'arte dell'XI al XVIII secolo, Catalogo della Mostra a cura di M. S. Calò, volume li, Galatina 1981, p. XXVIII.

19 AMP, Cabreo... (1674), cit., f. 20.

20 Infatti, la datazione al tempo di donna Felicia Sanseverino (1554-58) della costruzione del dossale e della conseguente inversione dell'orientamento del santuario (cfr. M. PADULA, Un ex voto d'eccezione: il dossale del presbiterio del santuario di Picciano, in Fasci di Luce sulla storia di Picciano, BMG, Matera 1996, pp. 62-77) contrasta con la notizia del Cabreo del 1674, che fu il Commendatore fra Sivio Zurla (1642-85) a portare l'icone della Vergine sull'altare maggiore e a costruire un'ancòna di pietra intagliata con diverse figure a rilievo. Dato il carattere divulgativo del presente lavoro e le esigenze di brevità, rimando la questione ad uno studio successivo.

21 AMP, Cabreo ...(1674), cit., f. 9.

22 VOLPE F. P., Memorie storiche..., op. cit., p. 225.

23 PADULA R., La Madonna di Picciano, in Picciano e il bimillenario mariano, Tipografia Mare, Bari 1985, p. 23.

24 VERRICELLI E., Cronica de la Città di Matera..., op. cit., p. 61.

25 AMP, Cabreo._ cit., ff. 8 e 9.

26 AMP, Cabreo._ cit., f. 18.

27 VOLPE F. P., Memorie storiche..., op. cit., p. 226.

28 VERRICELLI E., Cronica de la Città..., op. cit., p. 61.

29 AMP, Cabreo del 1674, cit., f. 19r.

30 NELLI N. D., Cronaca..., op. cit, c. 28.

31 IBIDEM

32 IBIDEM

33 Alla sua morte, nel 1617, lasciò il quadro al capitolo della Chiesa Concattedrale di la Valletta, S. Giovanni Maggiore, affinché fosse esposto per la venerazione.

34 NELLI N. D., Cronaca..., op. cit., cap. 28; molto probabilmente si trattava della lamina d'argento sbalzato che lasciava scoperto solo il volto della Vergine.

35 COPETI A., Notizie della città..., op. cit., p. 269.

36 CLEMENTI A., Santa Maria di Picciano. Un'abbazia scomparsa e il suo cartulario - sec. XI, L. U. Japadre Ed., L'Aquila 1982, pp. 41-42.

37 ASM, Fondo Gattini, Della Commenda di Picciano e di Grassano. Contributo alla storia del Sovrano Militare Ordine di Malta, a cura di G. Gattini, f. 8.

38 ARCHIVIO Di STATO DI POTENZA, Prov. di Basilicata, Circ. di Matera, b. 133, Atti demaniali 1860-1863. I beni dell'antica Commenda passarono al Demanio Comunale di Matera con verbale del 24 aprile 1885.

39 I lavori di ristrutturazione furono promossi ed effettuati dal Comitato Provinciale pro Santuario Maria SS. ma di Picciano, eretto con decreto arcivescovile nel 1954.

40 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 22.02.1957, decr. n. 1640.

41 AMP, Convenzione tra la Congregazione Benedettina Olivetana e l'Arcidiocesi di Matera. Tra le altre cose si stabiliva anche la costituzione di una parrocchia rurale al servizio dei due villaggi costruiti al tempo della riforma agraria.

42 La cerimonia fu officiata dal cardinale Ferretto, alla presenza di molti vescovi della Lucania e della Puglia.

43 Negli ultimi anni, tra l'altro, si assiste ad una ripresa del pellegrinaggio a piedi al santuario, non semplicemente per motivi devozionali, ma anche con intenti penitenziali e di conversione.





Bibliografia


Fonti:
ARCHIVIO DEL MONASTERO S. MARIA DI PICCIANO, Cabrei della Commenda di S. Maria di Picciano di Matera (microfilms), n. 6023 (1596) e n. 6024 (1674).
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tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999"

Autore: Testo di DONATO GIORDANO O. S. B.

 

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