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IL PARCO ARCHEOLOGICO STORICO NATURALE DELLE CHIESE RUPESTRI DEL MATERANO

Geograficamente l'area murgica, perimetrata nell'ambito del Parco Regionale, comprende le contrade poste tra la S.S. 7, le S.P. Matera-Ginosa-Montescaglioso e la S.S. 175. Un territorio compatto intersecato da una spettacolare "gravina" che dai bonificati ristagni paludosi posti a nord della città, giunge fin sotto la collina di Montescaglioso. Ad ovest di Matera, il perimetro del Parco corre su di una ristretta fascia lungo il corso della "gravina" di Picciano che partendo dall'omonimo colle giunge alla confluenza del fiume Bradano ove si allaccia all'oasi di protezione naturale di San Giuliano.
L'intero areale si presenta complessivamente, ad un primo colpo d'occhio, nudo ed aspro, inciso dalle profonde "gravine" di fecce, dai valloni della Femmina, del Prete, delle Tre Porte, della Loe, di Serritello, San Bruno-Malpasso e resa ostile da scoscesi strapiombi come quello di Tempa Rossa. Ma in questa orografia, pure così accidentata, nasconde ampie zone boscate e di macchia mediterranea.
Geologicamente la Murgia è formata da un blocco roccioso costituito da calcari dell'era secondaria con prevalenza del cretaceo superiore disposti a strati orizzontali o leggermente inclinati, alternati da veli sottilissimi di terra rossa nei calcari più recenti, bruna o nerastra nei calcari più antichi. Un humus ricchissimo, che asportato dalle piogge, colma le "vallatene", offrendo terreni fertili sui quali si sono sviluppatele scarse coltivazioni erbacee.
Perla natura stessa dei terreni, scarsi sono i corsi d'acqua superficiali: il torrente Gravina di Matera, che costeggia il lato orientale della città, il torrente Gravina di Picciano che scorre lungo le ultime propaggini murgiche come un vero e proprio limite di confine con le terre bradaniche ed il torrente Jesce che alimenta, nel suo tratto terminale, un ampio bacino, incavato nella roccia, chiamato "Jurio".
La vegetazione arborea si sviluppa anche sulla roccia calcarea, per sua natura fessurata, che consente alle radici di penetrare offrendo la possibilità di trarre prezioso alimento dai sottili depositi di terra frapposta tra gli strati della roccia stessa. Per questa particolare struttura geologica la Murgia, nei tempi andati, era rivestita da un manto arboreo di alto fusto e da una rigogliosa macchia mediterranea. Di notevole importanza economica il pascolo roccioso ove tra pietre e rocce, sporge la vegetazione interrotta da cespugli composti da perazzo, rovo, marruca, ginestrella ecc. II manto erboso costituisce una cotica protettiva dal quale spunta il cardo, l'asfodelo; il trifoglio ed altre erbe mediche oltre a diverse specie di graminacee. La cotica erbosa ha rappresentato, nel corso dei secoli, l'unica difesa all'erosione del sottile strato di terreno parantoctono che le attuali conduzioni agricole stanno distruggendo condannando (intero creale ad una sicura desertificazione. Le erbe officinali ed i prodotti del sottobosco rappresentano un notevole patrimonio che merita di essere conosciuto per le sue essenze particolari.
Una ricchezza nell'ambito del Parco, di particolare valore medicamentoso per tante malattie e di aromi per una cucina semplice, ma gustosa. Basta ricordare il Timo, la Salvia, il Rosmarino, l'Origano, la Menta, la Malva solo per citarne alcune fra le più conosciute. Un patrimonio che offre all'olfatto un insieme di profumi che identificano il territorio murgico.
Tra gli alberi ricordiamo il Leccio, la Roverella, il Fragno, l'Acero minore e l'Orniello, tra gli arbusti il Biancospino, l'Alaterno, la Rosa selvatica, il Terebindo, la Fillirea ed il Lentisco.
L'altopiano murgico dispiega una straordinaria ricchezza di paesaggi vegetali, ora ampiamente aperti sui ripiani calcarei, ora racchiusi in aspre solitudini tra le impervie "gravine". L'ambiente rupestre costituisce la sede di elezione di autentici "tesori" della flora mediterranea grazie alle sue rigorose condizioni ambientali sopportabili esclusivamente da specie altamente specializzate che qui possono sopravvivere favorite dalla scarsa concorrenza di altre specie ecologicamente più esigenti. Ricordiamo la Campanula lucida, l'Eliatempo jonico e la Violaciocca minore.
Ma la Murgia materana, oltre ad una originale natura, conserva le più affascinanti vestigia della civiltà rupestre presenti in Italia offrendo una varietà di elementi storici che consentono di distinguere le culture diverse che si sono succedute nel corso dei millenni. Culture tutte ancorate ad un ambiente naturale particolare che ha formato e condizionato l'identità delle stesse.
Il popolamento della Murgia risale a tempi molto antichi e non mancano a conferma, stazioni risalenti al Paleolitico e al Neolitico. Nell'area del Parco sono presenti esempi di grande importanza come la "grotta dei pipistrelli" ed i villaggi fortificati ubicati nelle contrade della Murgecchia, Murgia Timone e Tirlecchia. Ma la Murgia era, nei tempi andati, il regno dei pastori e dei mandriani, una vera e propria classe sociale che con i suoi riti e tradizioni offriva un notevole contributo alla "civiltà contadina" e più in generale a tutta la civiltà rupestre che oggigiorno, attraverso lo studio e la ricerca, acquista il valore storico che le compete. Una civiltà che ha avuto la sua massima espressione nel fenomeno delle chiese rupestri che rendono la Murgia partecipe, unitamente alla Cappadocia con le sue valli di Goréme ed Ilhara, della Siria, della Tunisia o del lontano Tigrai, del grande fenomeno rupestre del bacino del Mediterraneo.
Un patrimonio considerato un "unicum" nel suo genere, largamente conosciuto attraverso l'opera del Circolo "La Scaletta" di Matera, fin dal lontano 1958. Una battaglia oggi parzialmente vinta, ma con perdite dolorose seminate lungo il difficile percorso della tutela durante questi ultimi anni. Chiese rupestri rase al suolo o orribilmente saccheggiate, affreschi asportati o vandalicamente deturpati, jazzi o masserie storiche ridotti in rovina per incuria o abbandono o, il più delle volte oggetto di atti vandalici, cave aperte in spregio di ogni valore paesaggistico, tante violente ed antieconomiche modifiche colturali e tante piccole discariche abusive. Questo lo spettacolo che ci viene incontro compiuto nei tempi brevi intercorsi dalla prima richiesta di tutela ad oggi. In trenta anni un patrimonio che si era conservato quasi intatto per secoli, dimezzato nelle sue preziosità naturali e storiche.
È del 1978 la legge regionale che individuava, per questa area murgica, la realizzazione di un Parco, unico strumento in grado di offrire, in equilibrio, tutela e sviluppo. Una legge che pur esprimendo una volontà di protezione, non consentiva per le carenze tecniche insite nella norma, la nascita di un Parco. Tuttavia pur nella insufficienza che la rendeva inapplicabile, la legge era un passo avanti nel considerare il rapporto uomo-territorio: il massimo Ente territoriale riconosceva la preziosità storico-naturale della Murgia materana ed esprimeva una volontà chiara ed inequivocabile di tutela.
Dovevano trascorrere altri dodici anni ed il 3 aprile 1990 la Regione emanava una nuova Legge, la n. 11 avente un titolo, forse leggermente ampolloso e certamente poco pratico di "Istituzione del Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano". Era il primo atto positivo nella difesa dell'area murgica che veniva sottoposta ad una serie di norme restrittive nel suo utilizzo con un elenco di specifici divieti. Norme intese a congelare lo stato di fatto fino alla redazione di un Piano Quadro, unico strumento per dare all'area protetta un assetto definitivo. Un Piano Quadro la cui elaborazione ed approvazione era delegata ai due Comuni territorialmente interessati: Matera e Montescaglioso.
Trascorrono altri tre anni di inerzia e, nel luglio del 1993, l'Amministrazione Comunale di Matera nomina un gruppo di esperti, attinenti le singole discipline, dando il via alla elaborazione del "Progetto Parco". Contemporaneamente la Regione, sulla base di quanto previsto dalla Legge dello Stato n. 394 del 6 dicembre 1991, emanava la L.R. 28 del giugno '94 con la quale stabiliva caratteristiche e norme generali per la individuazione e gestione sia dei Parchi regionali che delle aree protette in genere.
Il Piano Quadro, ultimato nel dicembre del 1995, rispondeva, nella sua stesura, a quanto previsto sia dalla L.R. n. 11 /90 che alla successiva L.R. 28/94. Un Piano Quadro, che definiva il perimetro dell'area tutelata, individuava le varie zone a protezione diversificata, i rispettivi divieti, disponeva norme urbanistiche in grado di armonizzare l'opera economica dell'uomo con le caratteristiche pregevoli del territorio, individuava le strutture del Parco destinate a favorire un compatibile sviluppo turistico e determinava le aree di preparco previste sia dalla Legge dello Stato 394/91 che dalla L.R. 28/94. In breve un Piano che dopo l'approvazione dei rispettivi Consigli comunali assumeva il valore di piano paesistico e di piano urbanistico sostituendo, sul territorio inserito nel perimetro del Parco e nell'area di preparco i piani territoriali o urbanistici attualmente in vigore.
La presenza assidua di un funzionario della Regione, negli incontri svolti dalla Commissione per la redazione del Piano, favoriva l'iniziativa di legge per la istituzione dell'Ente Parco.
La Commissione esauriva il suo compito consegnando il Piano alle competenti amministrazioni comunali consigliando la firma di un "protocollo d'intesa" tra i due Comuni e l'Amministrazione Provinciale per dare il via, ad approvazione avvenuta, ad una gestione provvisoria" in attesa della istituzione dell'Ente Parco. Una proposta per recuperare parzialmente il tempo perduto e che, avvalendosi della presenza sia dei tecnici che dei consulenti che avevano elaborato il Piano si poteva sperimentare in concreto una gestione in grado di coniugare tutela e sviluppo. Un modello che con le dovute correzioni da effettuare nel corso della gestione, poteva consegnare al futuro Ente parco un modello vivo , e sperimentato.
Purtroppo le cose sono andate in maniera completamente diversa. Nel corso dell'approvazione del Piano, il Comune di Matera, insensatamente, sopprimeva l'area di preparco ed escludeva dal contesto una zona degradata che i consulenti, attraverso lo strumento del Parco, prospettavano di riqualificare anche per la presenza nel sito del più grande monumento dell'arte rupestre, la chiesa di Santa Maria della Valle. Queste decurtazioni comportavano nel Piano una inconcruenza: un'area di preparco presente nel territorio di Montescaglioso e l'assenza di questo "territorio cuscinetto" nel territorio di Matera, un atto che di fatto spezzava l'unicità d'impostazione del Piano stesso.
Naturalmente, come logica conseguenza della "incomunicabilità" tra i due Comuni, del protocollo d'intesa per la gestione del Parco non si è più parlato ed il Piano si è semplicemente ridotto ad uno "scatolone di carte" assolvendo solo al semplice ruolo di scavalcare i vincoli con le norme urbanistiche.
Un peccato perché come giustamente aveva più volte fatto notare Franco Tassi, Direttore del Parco Nazionale d'Abruzzo e consulente per la redazione del Piano Quadro, il Parco della Murgia Materana poteva assumere la funzione di esempio pilota per quel grande futuro Parco Nazionale della Murgia e delle Gravine che in Matera avrebbe avuto la sua capitale. Comuni come Ginosa, Laterza, Altamura e Gravina, con i quali il gruppo di consulenza aveva avuto una serie di contatti informali, attendevano l'esito e la messa in esecuzione del Piano per promuovere azioni tese ad aggregazioni che nel rispetto dei limiti e competenze amministrative, consentivano di Programmare un bacino di tutela e compatibile sviluppo turistico ad ampio respiro.
Ora non resta che attendere l'Ente Parco regionale augurandoci che nasca bene e con una valida capacità gestionale basata sul principio "dell'uomo giusto al posto giusto".


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1996"

Autore: Testo di Mario Tommaselli

 

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