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Venosa - da: la Basilicata ('900)

La patria di Orazio sorge sopra una collina a dominio di due valli soleate dalle acque del Dauno.

Città antichissima, forse anche più antica di Roma, nel terzo secolo avanti Cristo era caduta nelle mani dei Sanniti ai quali fu tolta dal console Lucio Postumio, che fece strage dei cittadini.

L'anno dopo, il Senato vi mandò una colonia di circa ventimila uomini, che divenne ben presto una delle più forti e delle più importanti di quante ne abbia volute la politica romana.

Dopo la battaglia di Canne, il console Terenzio Varrone si rifugiò a Venosa con solo settecento cavalieri. Sette anni più tardi, mentre tutte le colonie romane ormai stanche dei sacrifici e delle fatiche della guerra coi cartaginesi si rifiutavano di proseguirla, Venosa fu una delle pochissime che si dichiararono disposte a dare quanto occorresse di uomini e di denaro fino alla vittoria.

Riordinato l'esercito Romano e ripresa la guerra contro Annibale, il console Claudio Nerone si accampò con le sue truppe nelle campagne di Venosa, poco discosto dagli accampamenti di Annibale, che evitata di dare battaglia, un po’ anche perché voleva prendere tempo e dar modo al fratello Asdrubale di raggiungerlo.

Una notte, poco lontano da Venosa, le sentinelle romane, poste a guardia del campo, videro sei persone che trascinavano carponi per sfuggire ad ogni vigilanza. Senza indugio, si precipitarono loro addosso e le presero a viva forza. Erano sei numidi, che Asdrubale mandava al fratello con lettere nelle quali gli dava conto della sua marcia e del punto in cui si sarebbe congiunto a lui col suo esercito.

Il console romano fu subito informato. Senza perdere tempo, scelse il fiore dei suoi soldati e con essi partì segretamente di notte verso il luogo ove era l'esercito dell'altro console Livio Salinatore, col quale mosse incontro ad Asdrubale sulle rive del Metauro.

La battaglia fu aspra e sanguinosissima. L'esercito cartaginese fu quasi completamente distrutto e lo stesso Asdrubale fu ucciso. I romani ne raccolsero il corpo sul campo, e lo portarono con se al loro accampamento di Venosa.

In una mattinata piovosa, sull'alto d'una collina che si chiama anche oggi Tempa Dolente, il capo del condottiero cartaginese ucciso sul Metauro, conficcato sulla punta di una lancia, fu levato quasi ad ammonire il nemico, e poco dopo fu lanciato con una freccia nel campo di Annibale.

Quando questi riconobbe nel sanguinante trofeo la testa del fratello, scoppiò in lacrime, e capì che l'unica salvezza sua e del suo esercito era nel ritiro delle truppe dall'Italia.

Finita la guerra punica e le altre che seguirono, Venosa, fedelissima a Roma, cadde nella più dura miseria.

Autore: tratto da "LA BASILICATA" di F. Di Sanzo (primi del '900)

 

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