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Venosa - da: la Basilicata nel Mondo

VENOSA LA PATRIA DI ORAZIO

Venosa, fondata da Diomede, e che a Roma contende la priorità della sua fondazione, occupa la spianata di un colle, che fa da promontario nell'ampia vallata della Fiumana. Fu stazione di prim’ordine, fra Roma e 1’Oriente, passandovi la più grande arteria militare , la via Appia. Per questa speciale sua privilegiata posizione, è stata contesa in ogni tempo dai popoli invasori, è stata molte volte distrutta ed anche molte volte riedificata, ma è sempre risorta sulle proprie rovine. Sorge a 412 m. sul livello del mare, ed è contornata da due valli, ove scorrono due ruscelli, portanti frescura e verde quasi perenne, ove in primavera l’aria è allietata dal melodioso canto dell’usignuolo, ed ove il continuo movimento dei flebili venticelli rimuove continuamente l’aria, imbalsamandola del profumo delle viole. A ridosso, la città degrada verso una dolce catena di monti, lussureggianti di verde, cime su cime a perdita di occhio, sotto 1’infinito del cielo.

Fornita a dovizia di acqua potabile purissima, che scende giù dal Sele, sbuffante da interminabili gallerie, biforcatisi a Venosa per le Puglie e per la Capitanata; riccamente pavimentata in tutti i suoi corsi principali, e nelle sue vaste piazze; illuminata a profusione, con straordinario lusso di luce fino allo scalo ferroviario, fornita da due società elettriche, fra loro in concorrenza; ricca di monumenti antichi e recenti; fornita di ogni conforto,. per cui largamente ha provveduto 1’intelligente ed instancabile attività dell’amministrazione straordinaria attuale; ricca di ricordi gloriosi, essa è davvero sito di amene villeggiature, e di studio.

Ad occidente, i monti si accordano con la catena del Vulture maestoso, cosparso di ville e di vegetazione ubertosa. L’ulivo e i più squisiti e variati frutti coprono i monti, e sotto di questi vegeta rigogliosa la vite, che dà ogni specie di uve, da quelle mangerecce, delicatissime, all’aglianico rubino, che dà mosto dolcissimo, e poi vino profumato, che, a vagoni interminabili, in autunno, viene spedito nelle cantine dell’Italia del Nord, ove dà colore e fragranza ai ricercati vini del Piemonte e della Lombardia.

A sud, 1’occhio si spazia in una interminabile pianura, nel famoso Tavoliere di Puglia, quasi privo di alberi, la cui terra fertilissima partorisce ogni anno al colono laborioso grano in abbondanza, ed ogni altra specie di cereali.

Or che sarà dato inizio ai lavori delle fognature, per le quali sarà speso circa un milione; or che si è proceduto alla ripulitura e all’imbianchimento di tutte le case, e che in ogni piazza sorge un monumento, Venosa è una città che veramente merita di essere visitata.

Lo studioso ripensa qui i suoi ricordi storici di ogni tempo. Legge su ogni muro e in ogni angolo di strada qualche lapide antichissima, che ricorda un avvenimento glorioso o un personaggio insigne, estintosi tra queste mura. Rivede il luogo ove, in una imboscata, cadde il sommo condottiero romano M. C. Marcello, ne ammira le ceneri, che, rinvenute in una urna di zinco, murata nei ruderi della. sua sepoltura, sono ora gelosamente custodite nel palazzo del Comune; rivede le mura della città, che diede asilo a Terenzio Varrone e ai suoi cavalieri, scampati dall’eccidio di Canne, ed ove successivamente Roma, ai tempi del secondo triumvirato, stabili una colonia di Veterani. Vede i ruderi di una casa, certamente “auditorium,, romano, che una tradizione, perdendosi nella notte dei tempi, chiama Casa di Orazio, ed ove, il 65 avanti Cristo, vide la luce il lirico immortale, al quale i concittadini, molto tardi, hanno eretto un maestoso monumento, opera dell’insigne scultore prof. D’Orsi, contornato da una ringhiera di magnifica concezione e fattura, sostenuta da fasci littoni, che, fin dal 1902, epoca della inaugurazione, par che avessero auspicato all'avvento del Fascismo.

E passando al Medio Evo, nel monumento Nazionale della Trinità, trova ricordi della dominazione Normanna. Nel Tempio, Roberto il Guiscardo scelse la sua sepoltura. Ed ivi egli, con Drogone, riposa in una tomba addossata al muro di una navata laterale. Di faccia, in sarcofago di marmo, sotto elegante frontone, sostenuto da due colonnine, e sui quale è inciso il distico latino

Alberada, Giuscardi coniux, hac conditur harca; Gcenitum, si quaeris, hunc Canusinus ha bel

dorme il sonno eterno la moglie ripudiata del Guiscardo.

Le pareti erano decorate di meravigliosi affreschi, che la stolta mente di una idiota profanò coprendoli di calce, della quale qualche pittura va spogliandosi, mettendo in luce dei veri tesori di arte, tra cui una S. Caterina meravigliosa, e la testa di un putto rubicondo.

Nella metà del XIII secolo, in continuazione del vecchio edifizio, venne iniziata la costruzione di un nuovo grandioso tempio, a forma di croce latina, con materiale tolto dal distrutto anfiteatro romano, i cui immensi massi portano tutt’ora le iscrizioni dell’antico monumento pagano, fra cui delle tavole gladiatorie, e le grandi lettere frontali. Il tempio non fu mai portato a termine, e trovasi nello stesso punto, in cui venne abbandonato dai frati Benedettini, e cioè nel punto, in cui avrebbe dovuto incominciare la volta di copertura. Vi si ammirano delle colonne grandiose, dei capitelli meravigliosi, scolpiti in pietra nostrale di mirabile fattura, e due scalette a chiocciola, da cui si doveva accedere ai campanili, e dalla cui sommità si ammira il Vulture maestoso, dai sette fertilissimi colli dalle amene, limpide e salutari acque, dagl’incantevoli laghi di Monticchio, alla cui spalliera di sud sorge Rionero, patria di Giustino Fortunato, il più dotto, forbito ed elegante scrittore e il più puro ed incontaminato Uomo del Melfese, che ha saputo meravigliosamente illustrare nei suoi classici scritti. Vede pure 1’immenso Tavoliere pugliese, nei quale si scorgono Spinazzola, Palazzo S. Gervasio, Minervino Murge, lontanamente Canosa, e, più in fondo, 1’Adriatico.

Sulle pareti del Monumento, la sapiente mano del Cav. Pinto, colto Ispeùore dei Monumenti e Scavi, ha murate quante lapidi è stato possibile di raccogliere in Venosa e nei dintorni, in modo che esse sono per sé un vero museo epigrafico. All’ingresso del Tempio, due leoni in pietra bene scolpita, che un tempo ornavano 1’anfiteatro romano, fanno maestosa guardia.

Vede ancora il Castello, baluardo Medioevale, fiancheggiato da quattro torri rotonde, una meravigliosamente conservata, con caditoie molto sporgenti a somiglianza del Castel Nuovo di Napoli. Il Castello venne costruito da Pirro del Balzo nel 1522, là dove esisteva la Cattedrale Venosina, che d’allora venne ricostruita nel sito ove presentemente rattrovasi. Il grandioso Castello era protetto da un vallo largo e profondo attraversato da due ponti levatoi: all’ingresso, sono murate due belle teste di leoni, anch’ esse dell’ anfiteatro romano (di questi leoni se ne trovano da per tutto) e nell’ atrio si ammira un bellissimo porticato, sorretto da colonnine svelte ed eleganti. Nell’interno, più nulla ricorda la passata grandezza, e l'antico splendore ne resta solo un avanzo nella sala del trono, ove esiste un’arcata meravigliosa con fini intagli su pietra nostrale. Tutte le pitture e gli affreschi sono scomparsi; sotto qualche volta, sotto il fumo profanatore, in qualche raro punto, appaiono le linee delle vecchie decorazioni.

Ancor vede il bellissimo monumento dei nostri Gloriosi Caduti, portante in un dado di marmo la lunga teoria dei nostri figli che, nell’immane guerra, fecero olocausto della loro esistenza. Il monumento riuscitissimo è opera dello scultore Dantino di Roma, ed è ammirato per la sua severa semplicità. E innalzato in uno dei migliori punti della immensa Piazza Castello, in un giardinetto, ove di già vegeta il bel verde della rimembranza e della gratitudine cittadina, ed ove nel dì della inaugurazione sono state messe a dovizia corone e fasci di fiori.

Fermandosi al palazzo del Comune, che e il migliore fabbricato della Città, costruito anch’esso con pietre ricavate dall’anfiteatro romano e da altri tempi pagani, legge sulla facciata la lapide di Luigi La Vista, dettata dal De Sanctis, del glorioso giovine martire, già maturo per fortissimi studi, caduto appena ventenne, sulle barricate della Carità in Napoli, pugnando contro gli sbirri dell’abbietta dinastia borbonica; vede quella del prof. Frusci, il quale fu maestro di chirurgia ed operatore inarrivabile; ed infine quella del compianto di costui discepolo, prof. Ninni, direttore dei Pellegrini, caduto vittima del dovere, infettandosi di un male, di cui la sua mano perita aveva salvato un infermo.

Non pochi altri nomi del pari meritevoli dovrebbero essere ricordati, ed eternati nel marmo. I due Maranda, giureconsulto 1’uno, 1’altro scienziato emerito, di cui esistono due antichi volumi biografici nella biblioteca del Comune, donati da Titta Guarmi, una delle menti più elette e più colte del melfese, immaturamente, e con generale rimpianto da poco scomparso: Pasquale Del Giudice, patriota e garibaldino, che combatté al Volturno, Senatore del regno, professore del Dritto, e poi Rettore della Università di Pavia: Tansillo, poeta gentile, ed il vescovo Emanuele Virgilio, anch’ egli morto nel pieno vigore degli anni, lasciando nell’ Ogliastra opere imperiture di beneficenza e di civiltà.

Nell’ interno del palazzo, nella elegante, grande sala del consiglio, resta estatico - innanzi all’ Orazio, al Piffero, al Maranda, al Doge Veneziano, all’Ignudo del sommo Di Chirico, altra gloria venosina; ed anche osservando 1’Ora pro Ea, ed i numerosi acquarelli dell’altro insigne nostro artista Andrea Petroni. Ammira il grande quadro, a grandezza naturale, del sommo giureconsulto venosino, Cardinale De Luca, il cui monumento, per volontà del Zanardelli, orna la facciata del Palazzo di Giustizia della Capitale, mentre, a nostro disdoro, ancora manca nella patria nativa, alla quale ha pur donato opere filantropiche imperiture.

Nel mezzo della Piazza Municipio, vede il bel busto di bronzo del prof. Tangorra, testé solennemente inaugurato. Quest’altro insigne nostro concittadino deve a sé, tutta a sé, la sua luminosa carriera scientifica e politica, nella quale però giunse tardi, ma vi fece carriera rapidissima. Appena eletto Deputato, fu Sottosegretario di Stato, e, dopo la marcia su Roma, fu Ministro del Tesoro nel Governo Nazionale. Egli è tanto più grande, quanto più modesti sono stati i suoi natali.

Scendendo giù, verso lo scalo ferroviario, da una buca mezzo diruta, che par tana di volpi, si entra nelle Catacombe Ebraiche, in vari punti ostruite, e che la fantasia popolare pretende di far giungere a Roma. Quivi passarono lunghi mesi di studi il Mommsen ed il Mùller, decifrando le numerose iscrizioni ebraiche, latine e greche. Si estendono in un labirinto di gallerie e di cunicoli, ove non giunge raggio di luce, e dove, per non sperdersi, occorre essere accompagnati da persone del luogo, opera di rigenerazione della città, che ha assunto un alto grado di nettezza e di eleganza, è dovuta, dice 1’altro astro luminoso del melfese, il Comm. Federigo Severini, in un meraviglioso inno a Venosa, testé pubblicato sul Maglio, “è dovuta alla imperiosa volontà di un uomo, che, per fortuna di Venosa, è da più tempo Commissario del Comune, il Cav. Carlo Launidia.

Egli ha il grande merito d’aver con la sua mano infrante le vecchie contese di quella Venosa, che era l'aiuola feroce, e tutti i partiti s’ inchinano all’opera fervida e alla volontà di lui. Un tipo ideale insomma di Podestà, cioè un Podestà cittadino, amante del suo paese, e non di un qualunque burocratico.

Con tanta dovizia di ricordi e di monumenti, e con tanta ricchezza di Uomini illustri, e di Geni immortali, Venosa è ben degna di essere visitata ed onorata.



dalla Basilicata nel Mondo (1924 - 1927)

Autore: Dottor M. INTAGLIETTA

 

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