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CIVILTÀ RUPESTRE AL VILLAGGIO SARACENO

La Murgia materana offre materia di riflessione in campo geolico, archeologico, faunistico, floristico (è di poco tempo fa la scoperta sul posto di un ibrido di orchidea, la Ophrys mateolana), nonché nello studio dello sfruttamento e dell'uso delle sue risorse. Essa racchiude tanti aspetti e pregi ancora da scoprire, studiare, amare.
Abitata fin dal Paleolitico, ci sono prove tangibili ed abbondanti dell'uso del tufo nel Neolitico: oltre agli attrezzi litici ed ai reperti fittili, si trovano trincee, a difesa dei nuclei abitati, e tombe scavate nella roccia tufacea.
L'utilizzo del tufo è continuato nei millenni successivi ed il suo uso si è sempre più raffinato, fino ad arrivare alla grandiosità delle costruzioni che oggi ammiriamo; parlo delle chiese, dei castelli, delle torri, dei palazzi nobiliari.
La cultura dell'uso dell'immediatamente reperibile in natura ha portato l'Uomo a soddisfare le proprie necessità quotidiane utilizzando il tufo, poiché si è trovato in una realtà ricca di tale materiale.
II suo continuo impiego ha dato origine e sviluppo alla "Civiltà Rupestre" che, fra l'altro, ha usato anche altro materiale: bestie (ossi, pelle, peli, interiora), legno (grezzo e/o lavorato), oltre alla "pietra viva", calcare duro e compatto, spesso stratificato sotto il manto tufaceo. L'abitante della Murgia ha scavato per ottenere le case-grotte ed ha utilizzato lo stesso metodo per ricavare elementi ausiliari quali cisterne, cucine, letti, togliendo dalla tenera roccia "il di più", senza mai edificare, ma "scolpendo" il masso tufaceo.
Le testimonianze di quanto detto si offrono allo sguardo del visitatore sulla Murgia, poiché in città spesso il costruito ha annichilito la presenza rupestre, anche se di tanto in tanto ne spunta fuori qualche residuo.
La Murgia materana è oggi conosciuta quasi esclusivamente per le chiese rupestri e le Masserie, ma oltre ai luoghi di culto ed all'edificato essa presenta vistose testimonianze dello "scavato", dell'abitare in grotta, perché specie nel Medioevo, era abitata da comunità laiche che vi risiedevano stabilmente nei Casali che erano insiemi di abitazioni.
Queste erano dimora dei lavoratori legati all'economia agricola, del ceto più basso della popolazione, le cui case erano grotte e perciò i Casali erano complessi grottali.
I sodalizi abitativi erano numerosi nel materano, una cinquantina. Addossati ad una parete della Gravina, o in un vallone secondario o in una lama, mostrano due ingressi per accedervi dal pianoro e un passaggio verso il basso per raggiungere il fondo del burrone.
I Casali, una volta abbandonato l'uso abitativo, sono stati utilizzati per l'allevamento del bestiame, con modifiche a volte radicali dell'impianto primitivo, che rendono ardua la ricerca e la lettura degli accessori rupestri indispensabili alla vita quotidiana.
II Villaggio Saraceno è uno di questi agglomerati e deve il suo nome alla nobile ed estinta famiglia materana Saraceno, proprietaria della zona. L'ex Casale, in contrada Vitisciulo, offre una visione spaziosa verso l'interno della nostra regione, ma contemporaneamente è nascosto alla vista, perché posto in un valloncello affluente del torrente Gravina.
II visitatore è colpito dal numero abbondante delle grotte, oltre 60, la maggior parte delle quali esposte a sud-est, col chiaro intento di recepire quanto più calore solare possibile, il che serve a fugare l'umidità assorbita dal tufo, ottimo isolante perché composto da miriadi di canaletti, ma anche fortemente igroscopico.
Un paio di ingressi sono stati architravati successivamente con tufi a incastro e altri sono caratterizzati da escavazioni usate per porre chiusure rudimentali. L'interno delle abitazioni è provvisto di varie nicchie e di boccole per appendere lucerne o animali da scuoiare e mensole o grate in legno per riporre derrate alimentari fuori dalla portata delle bestie. Un arco a tutto sesto, a volte con cornice, immette nella "camera da letto": un piccolo spazio dove è visibile su una parete la serie di fori per infilare bastoni, la cui altra estremità poggiava su un asse trasversale. Vi è pure un esempio di letto rupestre. In una grotta è visibile la tecnica utilizzata per ricavare i blocchi di tufo: si scavavano delle profonde incisioni parallele e trasversali, quindi si incuneavano con forza dei sassi che, affogando nelle scanalature, provocavano lo staccamento del pezzo.
In una realtà povera di fonti come quella murgica aveva importanza vitale raccogliere e conservare l'acqua meteorica, per cui l'ex Casale è disseminato di cisterne (alcune anche a parete") intonacate, per evitare che il tufo circostante si bevesse il prezioso elemento. Una rete di canalette, a monte, convogliava il liquido nei dissabbiatori - vasche utilizzate per far decantare l'acqua e pulirla dal terriccio trasportato -. Indi le condotte portavano l'acqua ai contenitori tufacei.
Ci sono delle pile scavate in alcuni macigni e caratteristica è la presenza di grondaie, canalette ricavate sopra ed ai loti degli ingressi per impedire alla pioggia l'accesso alle abitazioni.
I camini, di forma circolare e rifiniti, sono dotati di nicchie e il fumo usciva dal soffitto mediante uno sfogo munito di canaletta per evitare l'ingresso dell'acqua all'interno.
Si è salvata dal riattamento una sola cucina rupestre. È presente pure un essiccatoio: un nicchione con due serie di fori ad altezze diverse per poggiarvi grate in legno usate come base per affumicare derrate.
Singole unità abitative sono state rese comunicanti abbattendo in un secondo momento i diaframmi di roccia che le divideva e sono state usate per l'alloggio di caprini e ovini, In alcune grotte sono ancora visibili truogoli e fossette sul pavimento per mettervi cibo per suini, Queste conchette sono abbinate a boccole per legare le bestie.
II pianoro sovrastante le grotte mostra alcune tombe con gli incavi per le pietre di copertura e coppelle da usare come lumini mettendoci del combustibile. Alcune sepolture sono per piccoli corpi, neonati o addirittura feti, a testimoniare l'avvenimento di nascite sul posto. Una tomba a nicchia, tipicamente medioevale, occupa una parete.
L'ex Casale è fornito anche di numerose scalinate, alcune con bassi parapetti sui quali si notano i fori per sopraelevare una ringhiera a ulteriore protezione.
Un aspetto della vita degli abitanti, era quello religioso e la presenza di due chiese testimonia questi momenti dell'esistenza, La cripta del Vitisciulo prende il nome della zona, Riutilizzata in seguito come ricovero umano e poi ancora come stalla, l'ipogeo conserva ben poco dell'architettura sacra: una croce latina in rilievo, qualche arco e ornamento, parte dell'abside. Attualmente vi sono ancora delle suppellettili utilizzate da un pastore che negli anni '80 (!) dimorava nel Villaggio Saraceno insieme ad un gregge di pecore. L'altra cripta si chiama S, Luca ed è un gioiellino bizantino. Essa ha una cappelletto laterale e due navate: quella di sinistra presenta una vasca battesimale ed una tomba. In quella di destra due gradini introducono nell'oratorio, dotato di panchine per far sedere i fedeli; altri due scalini immettono nel presbiterio e poi all'altare, con resti dell'inginocchiatoio davanti e croce greca sul plinto; sopra di questo c'è una escavazione con cornici, a simboleggiare una cupola. Sulle pareti si notano nicchie, finti pilastrini, decorazioni varie e resti di un paio di affreschi. Fortunatamente, questa chiesa è stata rimaneggiata pochissimo.
La testimonianza in questo agglomerato di due riti diversi fa riflettere sulla possibilità dell'esistenza di correnti religiose differenziate fra gli abitanti dell'ex Casale, ma l'ipotesi più probabile è che il rito latino si sia sovrapposto a quello bizantino, cosa successa nei primi secoli di questo millennio e pratica osservabile molto più chiaramente in altre cripte, dove affreschi di stile occidentale coprono quelli di tipo orientale.
Nelle immediate vicinanze, sulla parete a fianco dello sbocco del valloncello nella Gravina, ci sono i resti di un piccolo complesso grottale con la cripta del Saraceno (dal nome dell'ex Casale), che mostra un affresco del XIII-XIV secolo raffigurante S. Nicola.
Attualmente tutto ciò è in completo abbandono, con possibilità di atti di vandalismo o di abusivismo. Le bellezze della Murgia materana sono apprezzate ed amate da una ristretta cerchia di appassionati. Bisogna che questa fascia si allarghi il più possibile, che questi tesori diventino patrimonio culturale della comunità e non privilegio di una élite di amatori.
Per una maggiore conoscenza e divulgazione delle caratteristiche della zona è opportuno avviare iniziative tese ad aprire nuovi percorsi per afferrare meglio il valore e le preziosità della Murgia, per essere attenti custodi della sua storia, della sua importanza culturale e del suo significato umano.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1992"

Autore: Testo di Franco Moliterni

 

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