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LA CATTEDRALE DI VENOSA

St. Andrew's cathedral is one of the most important proofs of the many century ecclesiastical presence in Venosa and one of the main monuments of the town's architectural and artistic heritage. The first part of the essey offers a synthesis of the stages of the cathedral's complex genesis with many references to the written and iconographical sources. The second part explains the characteristics of its architectural aspect with references also to the belltower and to the episcopate. Special emphasis is put on the relationship with the urban context in which the cathedral is placed, on its constructive and stylistical solutions and on the relevant works of art which adorn its interior and exterior.

Insieme al complesso abbaziale della SS. Trinità e al castello, la cattedrale di Sant'Andrea costituisce una delle maggiori testimonianze monumentali del patrimonio artistico e religioso di Venosa. Situata in posizione mediana rispetto al pianoro collinare allungato sul quale nel corso dei secoli è venuta stratificandosi la città "storica", la sua imponente mole, affiancata dal volume slanciato del campanile, domina incontrastata la piazza omonima di cui occupa il lato nord-occidentale, emergendo nettamente rispetto al contesto edilizio circostante e costituendo inoltre un primario episodio di riferimento paesaggistico anche dalla lunga distanza (1) . Annesso alla cattedrale è il palazzo vescovile che con altri edifici contigui delimita una piazzetta più raccolta e più intima, ma strettamente relazionata al grande invaso della piazza della cattedrale sul quale si affaccia anche il settecentesco palazzo Calvino (ora sede del Municipio). Per la sua localizzazione e per la sua notevole dimensione, la piazza della cattedrale costituisce uno spazio pubblico cruciale della struttura urbana di antica formazione, in quanto attraversata dalla principale direttrice viaria della città (l'attuale corso Vittorio Emanuele) e luogo di confluenza di un altro importante percorso di rilevanza urbana (l'attuale asse via Garibaldi-via De Luca).
Espressioni emblematiche del potere ecclesiastico venosino, cattedrale, campanile ed episcopio costituiscono pertanto un complesso monumentale inscindibile che nel corso dei secoli ha subordinato alla sua preminenza dimensionale e funzionale, e al suo significato simbolico, i numerosi altri insediamenti religiosi (chiese, conventi, cappelle, ecc.) disseminati nella città (2) .
Come riferiscono concordemente le fonti storiche, la cattedrale di S. Andrea fu iniziata a costruire nel 1470 dal feudatario Pirro del Balzo (3) , il quale si era impegnato a realizzare l'opera dopo aver ottenuto dal vescovo Nicola Geronimo Porfido (1459-1493) il consenso di demolire il preesistente duomo medievale per edificarvi il suo nuovo castello (4) . Le vicende relative all'edificazione del nuovo edificio di culto, che costituì la terza chiesa cattedrale nella storia religiosa di Venosa (5) , non procedettero tuttavia speditamente. Pirro del Balzo cercò infatti di procrastinare la realizzazione dell'opera, tentando persino di offrire al vescovo, quale soluzione meno onerosa, la chiesa del convento di San Domenico che fece ricostruire a proprie spese in quegli stessi anni (6) . Ma il titolare della diocesi venosina non accettò questo tentativo di compromesso e, sotto minaccia di scomunica, ottenne che Pirro onorasse il suo impegno finanziando la costruzione di una cattedrale completamente nuova. Le sventure politiche che travagliarono la tarda esistenza del feudatario (7) rallentarono tuttavia l'esecuzione dei lavori, tanto che la cattedrale poté essere consacrata solo il 12 marzo 1531, festività di San Gregorio, dal vescovo Ferdinando Serone (1528-42) (8) . Pirro riuscì comunque a decidere, come riferisce il Cenna, di collocare la cattedrale "nel meglio (mezzo) della città, dove all'hora vi era un'altra piazza"9 e, probabilmente per evitare di ostruire la principale direttrice di percorrenza urbana, l'asse longitudinale dell'edificio fu orientato in direzione pressappoco parallela all'andamento dei valloni (il Ruscello a nord-ovest e il Reale a sud-est) che modellano la morfologia naturale del pianoro collinare fusiforme. Insieme allo spianamento di "alcune ferrarie e molte poteghe" (10) , la costruzione del nuovo grande edificio sacro comportò inoltre la demolizione della chiesetta di rito greco di S. Basilio (11) , i cui resti sono stati individuati in corrispondenza della parte absidale. L'edificazione della nuova cattedrale, contestuale alla creazione della piazza, si tradusse pertanto in una ristrutturazione tardo quattrocentesca-primo cinquecentesca operata in un contesto urbano medievale formatosi a sua volta sui resti della città romana.
La nuova chiesa cattedrale, sotto la cui giurisdizione diocesana ricadevano Spinazzola, Forenza e Maschito (casale di Venosa), fu dedicata a Sant'Andrea Apostolo (12), del quale il clero venosino riuscì a trasportare in città e a conservare in duomo, come reliquia, un dito della sua mano (13) . La sede vescovile fu per lungo tempo dotata di ventiquattro canonici tra cui quattro "dignità" (ossia l'Arcidiacono, l'Arciprete, il Cantore e il Primicerio) (14) , e di un numero elevato di preti, cappellani e chierici (più di quaranta ai tempi del Cappellano (15)).
Non si posseggono notizie circa l'identità di eventuali progettisti o di capimastri che sovrintesero all'esecuzione dei lavori edilizi. Si sa solo che il portale dell'ingresso principale, come ricorda un'iscrizione, fu realizzato nel 1512 dal mastro lapicida Cola di Conza (16) . Insieme a quello coevo del castello, il cantiere della cattedrale dovette tuttavia costituire l'impresa costruttiva più grande ed impegnativa dell'epoca e richiedere pertanto il lavoro di un elevato numero di maestranze.
In sintonia con altre esperienze, precedenti o coeve, riscontrabili in numerosi centri periferici del Meridione, l'edificio religioso fu modellato in forme semplici e disadorne, ma grandi e spaziose, utilizzando, soprattutto all'interno, soluzioni strutturali e figurali di evidente matrice tardogotica. Solo nei decenni successivi, sempre prevalentemente all'interno, furono realizzati complementi ornamentali ispirati invece alla cultura artistica rinascimentale.
Descrizioni più o meno vivide e dettagliate della cattedrale, delle cappelle e dei numerosi manufatti artistici che gradualmente la adornarono sono contenute nelle fonti storiche sia laiche che religiose attraverso le quali è oggi possibile ricostruire le tappe di una genesi costruttiva segnata da ripetute integrazioni, trasformazioni, mutilazioni, rifacimenti.
Nel 1584, nel riferire che "la chiesa è moderna, fatta da cento anni in qua (...)", che essa "sta in isola benché vi sia attaccato il Palazzo del Vescovo (...)", che inoltre "è grande et spaciosa (...)" ed "è bellissima per quanto oggi nel Regno ve ne siano", il Cappellano aggiunge che "vi sono due porte, una grande e l'altra mediocre.
Nella grande vi si veggono doi leoni di pietra uno da l'un lato et l'altro da l'altro lato della porta, assai belli, et un altro leone grande che fa da cantone nella prospettiva della chiesa la quale è bellissima" (17) . Secondo una consuetudine di antica origine e che rimarrà operante anche nei decenni e secoli successivi, una descrizione molto più minuziosa è invece riservata dal Cappellano alle "infinite reliquie di diversi et gloriosi santi", alle "onorate cappelle", nonché alle opere d'arte sacra (pittoriche, scultoree, lignee, di oreficeria) che ornavano l'interno della chiesa. Un riferimento è anche alla "Confraternita del SS.mo et preciosissimo Corpo di Cristo" che aveva sede nella cattedrale e che si distingueva dalle numerose altre presenti a Venosa per essere formata soprattutto dal ceto dei "galantuomini" (18) . Anche il Cenna, nella sua Cronaca completata nel 1640 circa, si sofferma con la consueta diligenza sulla descrizione delle numerose cappelle e dei numerosi manufatti complementari che adornano l'interno della cattedrale, precisando che per la fattura della "superbissima custodia di palmi quindici di altezza incirca" destinata a contenere le sacre reliquie e collocata presso l'altare maggiore "spese l'Università di Venosa docati quarantaquattro a mastro Nicola Marciano di Bitonto, oltra il vitto, stanza e letto, che ad esso e suoi discepoli administrò per mesi sei e giorni dieci, cominciati dal 1° ottobre 1587, per tutti li 10 di aprile 1588" (19). Lo stesso Cenna fornisce preziose informazioni circa la genesi edilizia del campanile che fu iniziato a costruire dal dinamico vescovo Pietro Rodolfo (1587-1591), il quale "avendo recuperato docati tricento, che se dovevano dalla Regia Corte per le campane disfatte al tempo della fortificatione, diede principio a detto campanile e vi pose la prima pietra nell'anno 1589, a dì 17 di settembre" (20) . Il Rodolfo, che peraltro accentuò il centralismo della sede vescovile sopprimendo dalle parrocchie venosine la fonte battesimale ed ordinando che tutti i neonati fossero battezzati esclusivamente in cattedrale (21), fece inoltre realizzare, come riferisce sempre il Cenna, la "cappella delle SS. Reliquie" (accanto all'abside) e "diede principio alla reforma delle case del palagio vescovale" ossia riaccorpò e ristrutturò le abitazioni preesistenti per farne un edificio più unitario e dignitoso. Avendo però speso ingenti risorse per la realizzazione delle fondamenta, il Rodolfo lasciò il campanile "con il primo cordone più di sei palmi di sopra la terra" (22) . A proseguire l'opera fu il vescovo Vincenzo Calceo (1591-1598) che lo elevò di "altri quattro palmi" (23) . Un intervento decisivo fu attuato nel 1614, come si legge nell'iscrizione con pregevole stemma inserita nel primo piano della costruzione, dal vescovo Andrea Perbenedetto (1610-1635) che nello stesso anno fece collocare le campane (24) . Il medesimo Perbenedetto, sotto il cui episcopato furono tra l'altro eseguiti interventi sulle cappelle (25) , "ornò la cattedrale" (26), arricchendola soprattutto di reliquie, "e la restaurò a proprie spese" (27) , facendola inoltre, nel mese di aprile del 1625, "bianchire di fuora" (28) , ossia verosimilmente scialbare a calce, conferendo al monumento la candida veste esteriore che si è conservata, come attestano i documenti iconografici, fino ai recenti restauri che hanno riportato a faccia vista il paramento murario in pietra.
L'energico prelato fece anche erigere nel 1620 e nel 1623, all'esterno della chiesa, le due colonne granitiche sormontate da croci che ancora oggi costituiscono pregevoli episodi dell'arredo urbano della piazza: la prima "avanti la porta maggiore", la seconda accanto alla "porta piccola" (29) . Inoltre ingrandì il palazzo vescovile, che fu ulteriormente adornato nel 1648 dal vescovo Antonio Pavonello (1648-1654) (30) . Il campanile fu tuttavia completato solo su iniziativa del vescovo Placido Scoppa (1699-1711), come si legge nell'iscrizione inserita nel secondo piano della costruzione che peraltro riporta (forse erroneamente) come data di completamento il 1714, anno in cui il prelato era già morto (31).
Nel corso del Seicento e del Settecento, altri vescovi si adoperarono nel completare lavori già iniziati, nel restaurare la fabbrica o nell'arricchirla con opere d'arte. Tra di essi, Giacinto Taurusio (1654-1674) nel 1668 completò i lavori di restauro alla cattedrale intrapresi in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo della peste del 1656 (32); Giovanni Francesco de Laurentiis (1685-1698) nel 1689 fece ricostruire quasi integralmente l'episcopio che era stato pesantemente danneggiato dal terremoto del 1683 (33); Giovanni Michele Teroni (1713-1726) fece eseguire non meglio identificati altri lavori (34) (forse di manutenzione); Giovanni Tommaso Giusti (1743-1764) promosse un ennesimo radicale restauro della cattedrale e dell'episcopio. Si legge infatti nel suo testamento vergato il 7 settembre del 1762: "della mia Catedrale moro col piacere d'averla modernata tutta ed anche interamente soffittata ed ornata ed imbiancata di stucco, e guarnita di pitture con porte nuove, atrio nuovo, finanche i scanni per sedersi nelle prediche con coretto che dal palazzo corrisponde in detta Chiesa. Ridotto l'Episcopio ad una commoda abitazione d'un Vescovo. Mi compiaccio d'aver fatto tutto ciò, che da tre secoli e più che è stata edificata e fabricata la Cattedrale e l'Episcopio, niuno dei miei antecessori ha avuto il coraggio di metterci mano (...)"(35).
Descrizioni della cattedrale di notevole interesse sono contenute negli "apprezzi di feudo" che vengono redatti nel corso del Seicento e del Settecento in circostanze legate ad operazioni di compravendita (36) . Dall'apprezzo eseguito nel 1696 dal "primario" Don Antonio Caracciolo, si apprende ad esempio che "la detta chiesa è grande a tre navi coverta a tetti sopra tavole con il suo campanile grande di pietre vive, con quattro campane, due grandi, e due piccole e con due porte; in testa vi è l'altare maggiore con custodia sontuosa e grande di legno indorato, dove si conserva il Santissimo; dietro di esso altare vi è il coro di figura circolare con sedili e spalliere di noce intagliate; alli lati della nave grande, vi sono molte cappelle sfondate, et altari con cone e quadri di buone pitture (...)" (37) . Anche il vescovo Pietro Antonio Corsignani (1727-1738), autore peraltro di un dotto studio storico-religioso su Venosa, fornisce una descrizione sintetica e consuetamente enfatica ma che illustra con acume i caratteri architettonici e stilistici dell'edificio: "la struttura, infatti, di questa chiesa è meravigliosa per lunghezza e larghezza notevole, risplendendo così per decoro e convenienza. Costruita, tuttavia, all'uso dei Goti, eccelle per la sua mirabile forma, onde basta accennarvi. L'edificio è diviso da tre archi e fu eretto gloriosamente affinché si creda che porti seco ogni grave umana pena, e fu sempre l'immortale monumento della grandezza venosina (...)"(38). Altre fonti, che pure sorvolano sulla descrizione della cattedrale, forniscono preziose informazioni sullo stato del contesto urbano in cui essa è inserita. Nella sua relazione del 1735, Giustino Rapolla registra ad esempio che la cattedrale è situata "nella parte più bassa della città, e la più diruta inverso Greco" (39). Peraltro, tale condizione, esito di un processo avviatosi nei secoli precedenti e i cui effetti sono ancora oggi visibili nella marcata rarefazione edilizia che caratterizza la parte nord-orientale del promontorio, è documentata in maniera evidente nell'affresco della città di Venusium eseguito nel 1709 su una delle volte del palazzo arcivescovile di Matera (40). In questa pregevole raffigurazione la cattedrale appare infatti ergersi al limite tra l'area urbana densamente edificata gravitante intorno al castello e l'area che verso la porta orientale (in primo piano) risulta priva di costruzioni.
Mediante un linguaggio grafico improntato ad immediatezza illustrativa, la fisionomia architettonica della cattedrale, la cui facciata è rivolta verso il punto di osservazione, è però riassunta nell'immagine convenzionale e falsata di una basilica a tre navate (di cui quella centrale notevolmente più alta), accampata davanti alla sagoma svettante del campanile che emerge rispetto a tutti gli altri episodi edilizi.
Un'altra raffigurazione della cattedrale, ancor più sintetica ed ideografica è delineata, insieme al centro urbano, nella Topografia e misura di tutto il territorio della città di Venosa..., una mappa del territorio comunale eseguita tra il 1726 e il 1728 dagli agrimensori della Dogana delle Pecore di Foggia (41).
La progressiva perdita di peso urbano che interessa l'area che si estende a nord-est della cattedrale non scalfisce lo status di crescente preminenza della diocesi venosina (alla quale peraltro nel 1818 viene aggregata la soppressa sede vescovile di Lavello (42)), che si accompagna, nel corso del Settecento e dell'Ottocento, ad altri interventi di restauro sull'edificio sacro, che tuttavia non sempre riscuotono l'apprezzamento dei contemporanei dotati di cosmopolita cultura artistica.
Il viaggiatore inglese Edward Lear, che nel 1847 visita Venosa per qualche giorno, osserva ad esempio nel suo giornale di viaggio che "i moderni 'restauri' hanno ridotto (l'antica cattedrale) ad un impiastricciamento a calce, lasciando intatto solo un bellissimo arco" (43). Nonostante i continui restauri, il precario stato di conservazione del monumento (dovuto ad eventi sismici, fatiscenza dei materiali, ecc.) permane anche nei decenni successivi, tanto che nel 1894 il canonico Di Ciesco nel riferire che "la forma architettonica di questo vastissimo tempio, composto di tre navate a stile gotico, è bella e maestosa" aggiunge che "però richiede moltissimi e necessari restauri" (44). Tali ulteriori interventi furono promossi nell'ultimo decennio dell'Ottocento dal vescovo Lorenzo Antonelli (45), il quale fece coprire di intonaco le pitture parietali cinquecentesche e le decorazioni a stucco settecentesche che sono state riportate alla luce nel corso dei restauri condotti negli anni Settanta ed Ottanta dalla locale Soprintendenza (46).
L'immagine della cattedrale tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento è documentata dalle rare fotografie dell'epoca che oggi costituiscono fonti preziose per lo studio storico dell'architettura e della città in generale. In una di queste, scattata dal piazzale sterrato antistante il convento di S. Agostino, la cattedrale e il campanile appaiono emergere in tutta la loro vetusta e grandiosa monumentalità rispetto alle modeste e rade abitazioni e alle figure umane fissate dall'obbiettivo nei loro lenti movimenti. In un'altra immagine fotografica pubblicata dal De Lorenzo nel 1906, la facciata della cattedrale, rivestita di intonaco, appare coronata da una curiosa merlatura decorativa costituita da una serie di manufatti piramidali a gradoni e da due fastigi più elaborati posti simmetricamente ai lati. Tale coronamento viene eliminato negli anni successivi, come si osserva in un'altra immagine fotografica databile agli anni Trenta. In una fotografia aerea scattata da Aldo La Capra nel 1964, il campanile appare invece privo della cuspide piramidale, distrutta probabilmente da un fulmine.
Nonostante la genesi segnata dai numerosi interventi di integrazione, restauro e rimaneggiamento che si è cercato succintamente di delineare e documentare, la fisionomia tardo quattrocentesca-primo cinquecentesca della cattedrale si è in gran parte conservata. È possibile pertanto ammirarne i suoi caratteri architettonici salienti che, come del resto indicano le fonti più eterogenee, risiedono soprattutto nella semplicità di impianto, nella notevole grandiosità esterna e spaziosità interna, e nell'aura stilistico-costruttiva tardogotica. Tali caratteri non sempre hanno suscitato l'entusiasmo nella critica artistica più colta. Il Berteaux, ad esempio, pioniere degli studi sull'arte dell'Italia meridionale, liquida l'opera giudicandola "una grande costruzione d'un gotico invecchiato ed impoverito, senza volte, con un campanile pesante dal lato dell'abside" (47). Si tratta di un giudizio sbrigativo e ingeneroso che implica la condanna dell'adozione di uno stile che all'epoca di costruzione della chiesa era ormai desueto, senza considerare che, non solo nelle province più lontane e isolate ma anche in aree molto più colte e pronte nel recepire le nuove tendenze stilistiche, il tardogotico rappresentò per tutta la seconda metà del Quattrocento e oltre una formidabile resistenza alla penetrazione del linguaggio rinascimentale (48).
Notevolmente sviluppata in lunghezza, ampiezza ed altezza, esternamente la cattedrale non presenta particolari episodi di qualificazione morfologica, anzi si distingue per il suo aspetto semplice e disadorno. Generata da un impianto planimetrico pressappoco rettangolare, privo di transetto, la mole dell'edificio si eleva a configurare il tipico schema formale "a capannone".
Oltre al campanile, gli unici episodi che ne arricchiscono ed articolano la stereometria, creando giochi di masse e forti contrasti chiaroscurali, sono costituiti dalla grande abside a perimetro poligonale, notevolmente sviluppata in altezza, e dalle numerose cappelle addossate alle pareti della zona presbiteriale, aventi forme e dimensioni varie. La cattedrale possiede quindi una fisionomia essenziale ed austera, che si impone sugli edifici circostanti più per la sua supremazia dimensionale che per la sua ricercatezza o complessità formale. La qualità architettonica dell'esterno risiede soprattutto nell'effetto di marcata tangibilità fisica e di calda vibrazione cromatica prodotto dal paramento in bozze di pietra calcarea che gli ultimi restauri hanno lasciato a faccia vista evidenziando la differente dimensione dei conci e la loro disposizione in corsi pressappoco orizzontali. Tale paramento, che come da consuetudine inserisce negli spigoli e nei contorni delle aperture blocchi più grandi e sagomati a squadro, istituisce, nei valori tattili e di superficie, una relazione intima con la pavimentazione della piazza che è realizzata con la stessa pietra calcarea, un materiale che quindi conferisce alla cattedrale e allo spazio pubblico che la accoglie la sua impronta peculiare.
Anche la facciata, visibilmente alterata rispetto alla sua configurazione originaria "a capanna", è di linee assai semplici ed è risolta mediante una grande ed ermetica parete quadrangolare nella quale le rade aperture sono collocate in posizione simmetrica e l'asse centrale è accentuato figurativamente dalla cuspide triangolare che increspa il rettilineo profilo modanato del coronamento.
Il portale di Cola di Conza riflette, nella configurazione e nel modellato, la cultura degli artefici catalani attivi nell'entroterra napoletano nei decenni precedenti (49). Il sagrato, poco profondo e leggermente rialzato rispetto al piano della piazza, è delimitato, come in altre chiese di Venosa, da una cancellata in ferro di fattura ottocentesca. Nel suo basamento sono inserite pietre che modellano a bassorilievo motivi naturalistici, geometrici od oggetti d'arte sacra (incensieri, pastorali, aspersori), che il Lauridia ritiene siano state prelevate da tombe pavimentali che si trovavano all'interno della chiesa (50). Al di là del suo valore intrinseco, questo episodio testimonia, insieme a numerosi altri riscontrabili nell'ambiente urbano, la consuetudine profondamente radicata nella tradizione costruttiva venosina e negli orientamenti di gusto della committenza sia laica che ecclesiastica, di recuperare manufatti pregevoli di epoche storiche anteriori e di riutilizzarli in maniera ora più colta ora più ingenua, sempre però secondo una esplicita intenzionalità estetica (51).
Anche nel campanile, realizzato con blocchi lapidei più grandi e squadrati provenienti probabilmente dai grandi edifici pubblici di epoca romana che per secoli hanno costituito una fonte di approvvigionamento di materiale comoda e a buon mercato, le pietre di spoglio figurate inserite nel paramento murario senza una logica apparente contribuiscono, insieme alle iscrizioni e agli stemmi che ricordano le fasi di avanzamento dei lavori promossi dai vescovi, a rendere l'opera molto più colta e raffinata, "soprattutto nei suoi valori di superficie" (52). Situato in corrispondenza della parte presbiteriale ed alto 42 metri, il campanile è l'emergenza architettonica più elevata della città e costituisce tutt'oggi un primario episodio di riferimento paesaggistico sia a scala urbana che territoriale, richiamando emblematicamente la presenza del maggiore polo ecclesiastico venosino. La costruzione si eleva su cinque blocchi: i primi tre, più grandi e solidi, hanno pianta quadrangolare e sono separati semplicemente da cornici modanate a toro; gli ultimi due, sovrapposti "a telescopio", hanno pianta ottagonale e sono rifiniti superiormente da cornici con modanature più elaborate, affini a quella che circonda il lembo superiore della parte basamentale. Aperture arcuate dalle quali si diffonde il suono delle campane sono collocate in asse, mentre il coronamento è formato da una cuspide piramidale che sostiene una sfera con croce.
L'interno della cattedrale, le cui pareti sono intonacate e dipinte di bianco, è un vasto spazio individuato da una parte anteriore riservata ai fedeli e da un ampio presbiterio riservato al clero. La zona destinata alla comunità dei devoti è suddivisa in tre navate mediante archeggiature a sesto acuto notevolmente ampie che poggiano su semplici pilastri a sezione rettangolare mediante l'interposizione di un manufatto assai piatto che richiama l'idea di un capitello dorico. La morfologia degli archi, che nel concio di chiave conservano lo stemma gentilizio degli Orsini del Balzo (53), costituisce l'episodio più appariscente del linguaggio costruttivo tardogotico adottato nella cattedrale di Venosa. In realtà il gotico della cattedrale venosina, come peraltro ampia parte del gotico dell'architettura meridionale ed italiana in generale, è interpretato in maniera del tutto particolare.
Si tratta cioè di un gotico che alle accentuazioni verticalistiche oppone la dilatazione spaziale in ampiezza, alla fitta e complessa iterazione delle membrature sostituisce l'essenzialità delle linee strutturali salienti, alla diafanizzazione della parete e all'abbondanza luministica predilige la massa muraria chiusa e l'atmosfera piuttosto buia. Al di là di questi caratteri, la cattedrale di Venosa ne possiede però ancora uno di indubbia singolarità, ossia la pressoché identica altezza delle tre navate che configurano un organismo spaziale riconducibile alla tipologia delle 'chiese a sala', conosciuta in area germanica con la denominazione di hallenkirche.
La zona riservata ai fedeli è nettamente separata dal presbiterio con tre archi anch'essi a sesto acuto i quali, anche nel riproporre la gerarchia di ampiezza tra quello centrale (poggiante su semicolonne dai capitelli eterodossi) e quelli laterali (su peducci), alludono visibilmente alla configurazione canonica dell'arco di trionfo romano, recuperando una tradizione di origine paleocristiana perdurata anche in epoca romanica e gotica. Prima di accedere al presbiterio, leggermente rialzato, due scale simmetriche addossate alle pareti laterali (ripristinate nel corso dell'ultimo restauro)(54) conducono a corridoi interrati dai quali si raggiunge la cripta che si estende sotto parte della zona presbiteriale e sotto l'abside.
Il presbiterio è sicuramente la parte costruttivamente più audace della cattedrale. Si tratta di uno grande spazio unitario, notevolmente dilatato in ampiezza e profondità, che raggiunge inoltre un'altezza maggiore rispetto alla zona riservata ai fedeli. L'unico elemento che lo diaframma trasversalmente circa a metà, cui corrisponde anche un leggero rialzo della pavimentazione, è l'amplissimo arcotimpano a sesto acuto che regge l'orditura primaria del tetto e poggia su imposte molto basse. Si tratta di un struttura notevolmente ardita sia per concezione che per esecuzione, le cui spinte sono assorbite da contrafforti sporgenti, di cui quello sul lato verso il giardino è distintamente visibile, mentre quello sulla piazza è nascosto nelle strutture murarie che hanno in comune il campanile e l'adiacente cappella. Al centro del presbiterio si apre l'abside, il cui varco d'ingresso ripropone la soluzione dell'arco a sesto acuto il quale però poggia su due basse semicolonne a loro volta sostenute da altissimi piedistalli. Nella loro configurazione a stella, le volte del catino absidale, i cui spigoli convergono in una specchiatura circolare, sono un episodio che rivela una ricerca più elaborata di adesione alla logica formale e costruttiva tardogotica.
Sul presbiterio si affacciano anche le numerose cappelle che testimoniano, soprattutto nel modellato dei portali e nella decorazione pittorica, il felice inserimento nella chiesa di temi figurativi ispirati al repertorio stilistico rinascimentale.
Di pregevole ricercatezza formale e decorativa è il portale della cappella del Sacramento, realizzato nel 1520 da una bottega forse di origine dalmata (attiva negli anni Venti e Trenta del Cinquecento non solo a Venosa ma anche ad Acerenza, a Potenza, a Montescaglioso e Matera), nel quale lo schema compositivo, le elaborate modanature classicistiche, le candelabre sulle paraste, i profili eroici entro i medaglioni, le panoplie e i genietti funebri esprimono una marcata sensibilità antiquaria che si riflette anche nel portale della cappella che le corrisponde sul lato opposto (55).
Altre opere d'arte di notevole pregio (altari, monumenti sepolcrali, frammenti di pitture murali, dipinti su tela, oggetti liturgici, ecc.) arricchiscono l'apparato ornamentale della chiesa (56). Lo spazio a disposizione non ci consente di illustrarle approfonditamente come pure meriterebbero. Ci limiteremo a menzionare la tomba, addossata all'inizio della navata sinistra, di Maria Donata Orsini, la moglie del feudatario Pirro del Balzo che della cattedrale di Venosa fu, sebbene controvoglia, l'autoritario fondatore.

Note

1) 1 Sui rapporti spaziali e visuali tra la cattedrale e il centro urbano di Venosa cfr. Masiello 1994, pp. 277 e segg.
2 Sulla genesi degli insediamenti religiosi venosini in relazione alla loro dislocazione urbana cfr. Masiello 1994, passim.
3 Sino alla fine dell'Ottocento, all'esterno della chiesa era inserita un'iscrizione il cui testo (riportato con lievi differenze di trascrizione in Cenna (1640 ca.), p.162; Corsignani 1728, p.34; Lavista 1867, p.49; Berteaux 1897, p.48) era il seguente:
"In Anno MCCCCLXX Baucius Hanc Pyrrhus Illustris Dux Venusinus Ecclesiam Propriis Sumptibus Aedificavit".
4 Nelle intenzioni di Pirro, la nuova grande struttura fortificata doveva assicurare alla città una migliore difesa soprattutto contro i ripetuti attacchi degli Orsini, principi di Taranto, che rivendicavano il possesso di Venosa. Si veda la nota di G. Pinto in Cenna (1640 ca.), pp. 162-164.
5 Oltre alla chiesetta di San Pietro in Olivento che è tradizionalmente considerata il primo edificio cristiano ad essere stato eretto in territorio venosino e i cui resti sono attualmente inglobati nella masseria Sant'Angelicchio (Angelini, Di Vito, Groia, 1990, p. 24), la prima cattedrale della città fu edificata in forme paleocristiane con molta probabilità sui resti di un preesistente tempio pagano e le sue tracce planimetriche si conservano al livello inferiore della "chiesa vecchia" della SS. Trinità (Salvatore 1984, p. 74). Con la trasformazione di questa chiesa da cattedrale in abbaziale benedettina, sancita da papa Niccolò II con una bolla del 1059 (Salvatore 1984, p. 75), il secondo duomo della città, dedicato a San Felice, fu edificato sul sito dove successivamente fu costruito il castello che ne comportò la sua demolizione da parte di Pirro del Balzo. Resti delle sue strutture murarie sono venuti alla luce nel corso di recenti scavi archeologici. Salvatore 1984, p. 55; Capano 1995, p.28.
6 Cenna (1640 ca.), p. 164.
7 Pirro del Balzo ebbe parte attiva nella "Congiura dei Baroni" (1485) contro gli Aragonesi, ma scoperto da re Ferrante venne rinchiuso in carcere dove morì nel 1490. Capano 1990, p.148.
8 Cenna (1640 ca.), p. 165; Corsignani 1728, p. 37.
9 Cenna (1640 ca.), p. 164.
10 Cenna (1640 ca.), p. 164.
11 Lauridia 1979, p.138. La chiesa di S. Basilio faceva parte, insieme alle chiese di S. Demetrio, S. Elena e S. Venere, di un consistente gruppo di chiese bizantine presenti a Venosa fin dall'altomedioevo. Cenna (1640 ca.), pp. 196-197; Masiello 1994, p. 54.
12 Sulla figura del santo e sul trasporto avventuroso delle sue reliquie in Italia cfr. Cattabiani 1993, pp. 62 e segg.
13 Cappellano 1584, p. 50.
14 In virtù di un privilegio accordato dalla regina Giovanna e da suo figlio Ladislao (attestato da un diploma del 1412), i canonici poterono fregiarsi per lungo tempo del titolo di nobili. Cappellano 1584, p. 51; Corsignani 1727, p. 35; Lavista 1867, p. 49.
15 Cappellano 1584, p. 51.
16 Salvatore 1984, p. 64.
17 Cappellano 1584, pp. 50-51.
18 Sulle confraternite di Venosa cfr. Santangelo 1984.
19 Cenna (1640 ca.), p. 165.
20 Cenna (1640 ca.), p. 176.
21 Cenna (1640 ca.), p. 263.
22 Cenna (1640 ca.), p. 176.
23 Cenna (1640 ca.), p. 177.
24 Cenna (1640 ca.), p. 177.
25 Cenna (1640 ca.), pp. 169-171.
26 Di Ciesco 1894, pp. 71-72.
27 Di Ciesco 1894, p. 72.
28 Cenna (1640 ca.), p. 177.
29 Cenna (1640 ca.), p. 177.
30 Di Ciesco 1894, p. 78.
31 Di Ciesco 1894, pp. 88-89.
32 Corsignani 1728, p. 35; Di Ciesco 1894, p. 80 .
33 Corsignani 1728, p. 35.
34 Di Ciesco 1894, p. 90.
35 Cit. in Di Ciesco 1894, p. 94.
36 Tango 1635, Caracciolo 1696, Di Gennaro 1712. Una sintetica disamina sugli apprezzi
sei-settecenteschi è contenuta in Capano 1991, passim.
37 Caracciolo 1696, p. 54. Il coro cui fa riferimento il Caracciolo fu fatto eseguire e montare dietro l'altare maggiore, come riferisce il Di Ciesco, dal vescovo Giovanni Geronimo Marerio (1585-1587). Di Ciesco 1894, p. 65.
38 Corsignani 1728, p. 34.
39 Rapolla 1735, p. 56.
40 Sul ciclo degli affreschi raffiguranti numerose città della Basilicata e della Puglia, eseguito probabilmente da G. B. Conversi, cfr. Pentasuglia 1987, passim.
41 Rullan 1726-28.
42 Lavista 1867, p. 67.
43 Lear 1847, p. 51.
44 Di Ciesco 1894, p. 16.
45 Lauridia 1979, p. 140.
46 Salvatore 1984, p. 64.
47 Berteaux 1897, p. 47.
48 Sulla permanenza in Basilicata di schemi e motivi stilistici medievali anche oltre i limiti cronologici fissati dalla tradizione storiografica, cfr. Prandi 1964, p. 203.
49 Grelle Iusco 1981, p. 60.
50 Lauridia 1979, p. 140.
51 Masiello 1994, pp. 313 e segg.
52 Beguinot 1960, p. 88.
53 Salvatore 1984, p. 63.
54 Salvatore 1984, p. 63.
55 Grelle Iusco 1981, pp. 77-78.
56 Lauridia 1979, pp. 140-144.

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tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie"

Autore: Testo di Emanuele Masiello

 

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