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LE CATACOMBE EBRAICHE DI VENOSA

A seguito della diaspora sotto Tito, nel 70 d.C., e della distruzione del Tempio di Gerusalemme, gli Ebrei, originari dell'Asia ed appartenenti al gruppo semitico, si dispersero dappertutto(1), tanto che le loro tracce sono state riscontrate anche a Venosa.
Venosa, città di oraziana memoria, ubicata lungo la via Appia, "regina viarum", ha ospitato una numerosissima colonia ebraica. (2)
A testimonianza di questo evento, vanno menzionate le molte iscrizioni datate tra il IV ed il IX secolo d.C. (3)
Ma il Munkacsi (4) tramanda che, già alla fine dell'età repubblicana, vivevano a Venosa liberi commercianti ebrei. A questi si sarebbero aggiunti, sotto Tito ed Adriano, gruppi di prigionieri provenienti dalla Giudea ed avrebbero dato vita ad una vera e propria comunità organizzata.
Dallo studio delle epigrafi emerge un dato rilevante che, il nucleo di Ebrei venosini non era di origine palestinese e mesopotamico, ma apparteneva all'area linguistica e culturale ebreo-ellenistica. Pertanto il gruppo esiguo di Ebrei, giunto sotto Tito e Adriano, sarebbe stato assimilato dal gruppo di origine ellenistica, già presente a Venosa o che si sarebbe stabilito in seguito. (5) Tra la fine del III e gli inizi del IV ssecolo d.C. si è registrata a Venosa una forte immigrazione di Ebrei, dovuta alla naturale prosperità economica della città. (6)
Venosa, per la favorevole posizione viaria, (7) divenne un rilevante centro di raccolta e di distribuzione della produzione granaria ed olearia, destinata alla vendita in tutta la zona. (8)
Dalle stesse iscrizioni apprendiamo che gli Ebrei residenti a Venosa erano cultori di scienze mediche, dediti al commercio e all'artigianato locale, (9) praticavano il proprio culto con loro sacerdoti e propri templi. (10)
Essi, come maiores della città venosina, ricoprivano cariche determinanti nell'amministrazione cittadina, quali maiores civitatis e vir laudabilis, (11)tanto da far pensare ad una città ebraica o ebraicizzata. (12)
A conferma di una consolidata organizzazione civile, politica e religiosa, raggiunta dagli ebrei venosini, sono le diverse cariche ricoperte nella comunità, riscontrate pure nei testi delle iscrizioni.
I patres della Sinagoga avevano un tale titolo di carattere reverenziale e di rispetto; il senato civile era presieduto da giudici che prendevano il nome di arconti; i seniores erano i presbiteri della Sinagoga (anziani).
Secondo alcuni gli arconti "tòu laòu" (principes civitatis) governavano le colonie presiedute da due consigli superiori: per gli affari religiosi (Sinagoga) e per quelli civili (senato, gherusia) con rispettivi presidenti: un pater sinagogae o archisinagogo ed un pater sinedrii o gerusiarca (seniores), capo del consiglio degli Anziani. A questi si aggiungono altri "collegia", scribi (insegnanti), rabbini (maestri, dottori della legge, ecc.).
Purtroppo di questa fiorente comunità ebraica non è stata ritrovata la Sinagoga e nemmeno indicata la sua eventuale ubicazione nel contesto urbano. (13)
In tutta l'Italia Meridionale le catacombe venosine rappresentano un patrimonio importante di attestazione funeraria nel contesto ebraico e costituiscono una rilevante documentazione epigrafica giudaica così vasta e continua che copre sei secoli. (14)
Per una ricostruzione culturale e storico-archeologica degli Ebrei presenti a Venosa è indispensabile fare riferimento alle catacombe situate sulla collina, in contrada "la Maddalena".
Questo complesso catacombale, costituito da una serie di ipogei (da gallerie e da cunicoli), è stato scoperto ufficialmente nel 1853, ma sarebbe già stato visitato dal D'Aloe (15) nel 1842, che in seguito ne trascriverà le iscrizioni visibili. Il D'Aloe ritenne che la serie di catacombe sia identificabile con le grotte di Santa Rufina, appartenuta ai saraceni, stanziatisi a Venosa nel IX secolo d.C. e riportata sulle mappe del baliaggio della SS. Trinità di Venosa eseguite nel 1773. (16)
La catacomba ebraica di Venosa, scavata nel tufo granulare vulcanico, della collina "La Maddalena", sorge a circa un miglio da Venosa in direzione N-NE. (17)
Una serie di cubiculi separati da pilastri sono dislocati in lunghezza. Ogni piano è costituito da strati argillosi o da depositi sabbiosi e ciottolosi. (18)
Ed è proprio lo scavo nelle pareti e la natura del terreno che ha provocato il crollo delle pareti e il conseguente abbandono dell'ipogeo. (19)
Da una ricognizione effettuata dal Colafemmina nel 1974, venne alla luce un nuovo settore, che sarebbe stato il risultato della fusione dell'incontro di almeno tre sepolcreti sotterranei. Questo nuovo settore presenta un arcosolio affrescato con i simboli propri del patrimonio religioso ed iconografico ebraico, la cosiddetta menorah, candelabro a sette braccia, alla cui destra è raffigurato lo shofar, corno, e il lulav, palma e a sinistra l'etrog, cedro, e l'anfora di olio. (20)
Il suono del corno sveglierà i defunti per la resurrezione finale, ma servirà anche ad implorare il perdono nel ricordo del sacrificio di Isacco; nella palma e nel cedro piante fruttifere, invece, sono ravvisabili i meriti del defunto. (21) La tomba presenta un particolare unico nella catacomba, consistente nei rivestimento in marmo.
Questo elemento ha fatto presupporre che la tomba fosse appartenuta ad una personalità di riguardo. (22) Il rinvenimento, accanto all'arcosolio, di un'iscrizione con data consolare (521), anno in cui fu console Valerio, è un buon riferimento per la cronologia delle epigrafi della catacomba. (23)
In questa epigrafe vengono citate per la prima volta altre comunità ebraiche, presenti a Venosa, come quella di Lypiae, l'odierna Lecce e Anciasmos, oggi Saranda, situata nell'Albania meridionale, poco a nord di Corfù. (24)
Ma l'assenza di simboli giudaici nell'ipogeo, rinvenuto a poche decine di metri di distanza dalle catacombe, non pregiudica affatto l'importanza esercitata dallo stesso per la conoscenza dell'ebraismo venosino.
Anzi esso è parte integrante della comunità ebraica locale. (25)

APPENDICE

L'ipogeo Lauridia.

L'ipogeo, scoperto dal proprietario del terreno cavaliere Giuseppe Lauridia, era in ottime condizioni fino al tempo del podestà, generale Felice Cancellara.
La struttura catacombale è composta da una galleria d'ingresso A, che fa angolo con quella B, più lunga e che, a sua volta, fa angolo con quella C incompiuta.
L'ingresso A è il più alto dell'ipogeo, nel quale bisognava scendere circa un metro, ed è adornato con architrave, costituito da metopa e triglifi, a fianco una colonnina non intera, scolpita con fregi militari, come lancia e fulmini a zig zag, ecc.
L'altezza nella galleria A è di m. 2.15, nelle altre di m. 2.33.
Gii arcosoli sono scavati accuratamente; nel suolo, a destra, lungo il lato NE, si trova la tomba di un ragazzo di 15 anni:

"MARCUS TEUSENES QUI VIXIT ANNIS QUINDECiM HIC RECEPTUS EST. IN PAC...".
(Marco Teuseno che visse 15 anni qui è stato accolto. In pace...).

L'epigrafe di sette righe, scritta con lettere rosse, su lastra lapidea, è ormai scomparsa. La formula receptus est. In pac(e) è del tutto nuova in venosa.
Di fronte, lungo il lato SO, 2 arcosolii, anch'essi a 2 posti, sono senza epitaffi.
Lungo il lato SE è ubicata la galleria B con 3 arcosoli, 2 dei quali, 6 e 7 nella parete di destra, ed uno nella parete opposta con una sola tomba con lastra di marmo su cui erano incise belle lettere greche.
Oggi purtroppo non resta alcun frammento. Nelle due iscrizioni, databili all'V-V secolo d.C., è riscontrato, per la prima volta almeno a Venosa, il titolo di pater patrum et patronus.
Il testo deile due iscrizioni recita:

QDE KEITE MAKELLOS PATHR PATRPQN THSPOLEOS
(Qui giace Marcello padre dei padri e patrono della città).

Arcosolio 6; 2 posti. Su lastra di marmo c'era:

QLE KEITE MAKELLOS PATHR PATPRQN KAI PATPQN THS POLEQS
(Qui giace Aussanio padre e patrono della città). (26)

Arcosolio 7; tre tombe, senza epitaffi.
È noto che il titolo di patrono della città, come nel caso dei personaggi Aussanio e Marcello, menzionati nelle due epigrafi, è attribuito a personaggi ricchi ed influenti della città e del municipio. (27)
Mentre il pater pateron, nel caso specifico di Venosa, può essere spiegato con ii fatto che, forse gli Ebrei, stabilitisi a Venosa, avevano subito un isolamento dai connazionali di altre città, come i Sefarditi (Spagnoli odierni) dagli Aschenziti (Tedeschi) e ricoprivano cariche con nuove denominazioni.
Ai tempi dei Gregorio I si assiste ad un cambiamento di cariche, il Curator rei publicae (pubbiico procuratore) diventa patronus (patrono) civitatis (della città), detto anche maior populi. (28)
L'appellativo maior populi è riportato in un epitaffio venosino, scritto in latino barbarico con alcune parole ebraiche, databile al Vl sec. d.C. e dedicato ad una defunta quattordicenne di nome Faustina, i cui congiunti erano stati maiores civitatis. (29)
L'epitaffio recita: "qui riposa Faustina, unica figlia di Faustino padre, pronipote di Faustino, nipote di Bito e di Asello che furono i maggiorenti della città. Visse 14 anni e 5 mesi. Funerali molto solenni con presenza di 2 apostoli e di 2 rabbini. Provocò qrande dolore ai congiunti e alla città" (30)
Nel 438 le leggi romane esclusero gli Ebrei dagli honores, ma nonostante ciò si continuò nella carica di curatores in perifeeria, dove in genere le leggi non trovavano rigido rispetto. (31) L'analisi delle iscrizioni venosine consente di evidenziare la loro importanza linguistica per l'utilizzo e la coesistenza di lingue, quali il latino, il greco e l'ebraico; ma anche l'attestazione di molti epitaffi bilingui in greco-ebraico e latino-ebraico.

NOTE

1) Cfr. (a cura di) G. SOLFAROLI Camillocci - Civiltà Antiche, Torino, 1987, pp. 147-148.
La Bibbia narra che il lungo peregrinare degli Ebrei ha avuto inizio nel 1900 a.C., quando il loro capostipite Abramo e la sua tribù giunsero in Palestina. Essi, come altri pastori nomadi, facevano parte di un movimento d'infiltrazione in Palestina. Verso il 1300 a.C. gli Ebrei si stabilirono in Egitto, ma nel 1250 a.C. si verificò la fuga dall'Egitto verso la Terra Promessa, guidati da Mosè. Questo avvenimento determinò una prima unificazione delle varie tribù ebree sotto il nome di "Israele", "forte con Dio".

2) M. SALVATORE, Venosa: un parco archeologico e un museo. Come e perché. Venosa, 1984, p. 88; N. ACOBONE, La patria di Orazio, Venosa, centro stradale dell'Apulia e della Lucania: lapigia, 6, 1935, pp. 307-332, C. COLAFEMMINA, Apulia Cristiana - Venosa, Bari, 1973, p. 11

3) M. SALVATORE, op. cit., p. 88.

4) E. MUNKACSI, Der Jude Von Neapel. Die Historischen un kunstgeschicht/ichen Denkmaler des suditalienischen Judentums, Zurich, 1939, p. 84.

5) V. GOLORNI, L'uso del greco nella liturgia del Giudaismo ellenistico e la novella 146 di Giustiniano, Milano, 1964, pp. 10-14, G. COLAFEMMINA, op. cit., pp. 9-10, M. SALVATORE op. cit. p. 88, G. COLAFEMMINA Gli Ebrei in Basilicata, in "Boll. Storico della Basilicata", 7, Roma, 1991, pp. 9-10.

6) Idem, Apulia..., p. 10.

7) Idem Gii Ebrei, in "Boll. Storico della Basilicata, p. 9; Idem, Apulia.., p.5 (Venosa, ubicata al confine tra la Puglia e la Lucania, ma appartenente all'Apulia, secondo la suddivisione territoriale augustea, era attraversata dalla via Appia e l'Erculia che si inoltrava nella parte interna della Lucania).

8)L. LEVI, Ricerche di epigrafia ebraica nell'ltalia meridionale: Rassegna mensile di Israel - scritti in memoria di Federico Luzatto, Roma, 1962, pp. 142-144; C. COLAFEMMINA, Apulia..., pp. 10-11.

9) Ibidem, p. 31.

10) T. PEDIO, La storia, in "Venosa", Venosa, 1992, p. 84.

11) M. SALVATORE, op. cit., p. 88.

12) T. PEDIO, op. cit., p. 84.

13) M. SALVATORE, Catacombe ebraiche e cristiane, in "Splendida Venosa", Venosa, 1990.

14) C. COLAFEMMINA, Archeologia ed epigrafia nell'ltalia meridionale, in "Italia Judaica". Atti del I convegno internazionale di Bari, (18-22 Maggio 1981), Roma, 1983, pp. 199-210; idem, Gli Ebrei..., p. 9.

15) S. D'ALOE, Storia profana e sacra dell'antica Siponto e della metropolia di Manfredonia, Napoli, 1877, p. 61; M. Saivatore, op. cit., p. 88.

16) G. PINTO, Giacomo Cenna e la sua Cronaca Venosina, Trani, 1902, pp. 208-209; C. COLAFEMMINA, Gli Ebrei.., p. 1O.

17) Ibidem, p. 10; idem, Apulia.., p. 53.

18) M. SALVATORE, op. cit., p. 88.

19) C. COLAFEMMINA, Apulia..., p. 57.

20) M. SALVATORE, op. cit., p. 89.

21) G. ANNIBALDIS, All'ultima meta nudi nella terra nuda - luce perpetua da un candelabro a sette bracci, in "La Gazzetta del Mezzogiorno del 25.9.1992, p. 21.

22) C. COLAFEMMINA, Gli Ebrei..., p. 13.

23) M. SALVATORE, op. cit., p. 89; C. COLAFEMMINA, Gli Ebrei..., p. 11.

24) C. COLAFEMMINA, Gli Ebrei..., p. Il.

25) Ibidem, pp. 12-13.

26) Cfr. Cllud 619 b - d; C. COLAFEMMINA, Gli Ebrei..., p. 14.

27) Ibidem, p. 14.

28) Gregori I Registrum Epistolarum, in M. G. H., I - Il, ed. P. EWALD - L. HARTMANN, Berolini 1957, Il. 47, 53 76: l. 11, pp. 74, 78, 93-94, C. Colafemmina, Gli Ebrei..., p. 14.

29) Cfr. Cllud 611, C. COLAFEMMINA, Gli Ebrei..., p. 14.

30) Cfr. Cllud 611.

31) I curatores avevano il privilegio di stabiiire il prezzo delle merci ai mercati senza alcun intervento dei discussores é dei moderatores cristiani.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie", 1995

Autore: Testo di Angela G. R. Catarinella

 

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