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LE MASSERIE DELLA COLLINA MATERANA

Per molti secoli, le masserie agro-pastorali della Basilicata hanno costituito gli unici importanti centri della vita economica della Regione. I grandi possidenti agrari incrementavano le loro ricchezze grazie all'operato dei massari, abili nello sfruttare le risorse del latifondo. Le masserie, infatti, per lungo tempo hanno costituito le uniche importanti sedi in cui si concentrava la produzione. Per questa ragione esse rappresentano le sedi privilegiate per studiare il rapporto uomo-territorio, ma sono altresì importanti per approfondire la relazione tra lavoro e ruralità. Dall'analisi del mondo che viveva dentro e intorno alle masserie emerge un mondo complesso e articolato che richiederebbe un maggiore approfondimento. Un lavoro di ricerca in grado di fare emergere i molteplici saperi che la cultura agro-pastorale ha espresso nel suo più che bimillenario percorso evolutivo.
Una maggiore conoscenza delle modalità di sfruttamento della terra e una nuova consapevolezza dell'organizzazione del lavoro all'interno delle masserie, rappresentano un indubbio contributo all'eliminazione di alcuni stereotipi che ancora oggi persistono intorno al mondo rurale, considerato, a torto, come una fase del nostro passato conchiusa nelle coordinate dell'arretratezza e del sottosviluppo. Ad una più attenta lettura, invece, si scopre che quella realtà non è apparentabile tout court solo a fattori negativi ma è altresì portatrice di modelli che nella società postindustriale sono di estrema attualità. L'articolato organigramma di un'azienda di oggi, ad esempio, appare molto più vicino di quanto non s'immagini a quello di una masseria del passato. La differenziazione degli ambiti produttivi e la capillare attribuzione delle competenze costituivano i due pilastri portanti della struttura organizzativa della masseria: ovvero di quel modello di impresa agrozootecnica molto diffusa in Lucania fino a qualche decennio fa.
Ma non solo nell'organizzazione del lavoro è possibile ravvisare dei modelli funzionali alla contemporaneità; è soprattutto nel campo delle relazioni sociali che possiamo intravedere quanto la nostra civiltà è carente, in termini di "valori", rispetto alla società rurale del passato. Solidarietà, onestà, fiducia, rispetto tra gli individui e per l'ambiente, per citarne solo alcuni, rappresentano alcuni, di questi tanto decantati "valori", che nella società attuale, di gran lunga più complessa e lontana dalla elementarità della vita del passato, sovente si stenta a riconoscere.
È necessario, a questo punto, un recupero o un riesame di un passato affrettatamente scomunicato o interdetto da una radicale equazione che associava l'arcaicità alla rozzezza e quindi alla negatività. Tuttavia, l'atteggiamento verso il passato deve procedere senza facili entusiasmi e senza cadere nel sentimentalismo o nel pittoresco. L'approccio ai valori del mondo rurale deve avvenire nel rispetto di un serio metodo d'indagine al fine di proporre, senza alcun timore, modelli di supporto ad una modernità che appiattisce e impoverisce l'esistenza. Senza un giusto rapporto con la memoria non può esserci nè speranza ne un valido progetto per il futuro.
Lo studio sulle masserie della Collina Materana, da me condotto negli anni `90, propone una sintesi interdisciplinare tra i diversi ambiti coinvolti nella ricerca. In esso, infatti, la realtà delle masserie è affrontata da un punto di vista antropologico, linguistico, sociologico, economico, storico e geografico.
Percorrendo le aree più interne della Lucania -quelle comprese tra le fiumare Agri-Sauro e Cavone-Salandrella- è possibile scorgere innumerevoli masserie. Osservate attentamente sembrano antichi fortilizi in disarmo. Svettano dalla cima dei poggi o, ben mimetizzate, s'incuneano nei declivi dominando sulla proprietà fondiaria. Nel passato, molti di questi edifici -soprattutto quelli dislocati lungo la valle del Sauro- dalle loro postazioni controllavano le vie della transumanza che si snodavano attraverso i Regi Tratturi.
Risalendo, infatti, lungo le rotabili che fiancheggiano l'Agri-Sauro è possibile scorgere, sui due crinali opposti all'arteria fluviale, le sagome di imponenti masserie: Gannano di Fortunato che svetta dalla cima di un poggio, con le sue quattro torri angolari; Caputo, sulla sponda destra, che si erge su una balza come un antico maniero medioevale dominato dalla quadrangolare torre neogotica, Monticchio e poi Marra, sulla sponda opposta. Quest'ultima, perfettamente mimetizzata quando i campi sono appena arati, si presenta come interessante esempio di masseria composita. Volgendo lo sguardo ancora a destra, sui crinali che vanno progressivamente elevandosi, in primo piano appare la masseria più antica del comprensorio: la Grangia di S. Martino gestita, a partire dal XV secolo, dai frati della Certosa di Padula. Attualmente ridotta in uno stato di penoso degrado. Nei declivi o sulle cime dei poggi più interni s'intravedono i profili di due tra i più straordinari esempi di masserie "palazzo" presenti nel territorio della Collina Materana: Tempa Rossa e Palazzo di S. Spirito. Questa seconda costruzione senza alcun dubbio rappresenta l'esempio più interessante di residenza di campagna della grande proprietà agraria e di centro logistico delle attività produttive. Prima di abbandonare i campi brulli e addentrarsi, attraverso la Valle Carbone, nel territorio dei comuni del potentino, è opportuno segnalare qualche altro edificio rurale che lo sguardo può facilmente percepire dal fondovalle: la masseria Trifoglione che si staglia verso il cielo, abbarbicata su calanchi cretacei e la masseria Arboreto. Quest'ultima, aggrappata ad un instabile pendio, continua a sopravvivere solo grazie ad un piccolo presidio di macchia mediterranea che le impedisce di scivolare a valle. Entrambe le costruzioni si presentano sulla sponda destra del Sauro. Risalendo il letto di questo torrente fino alla confluenza di tre dei suoi principali tributari, è possibile incontrare altri complessi rurali degni di attenzione: la masseria Castiglione, in agro di Missanello, e più avanti di fronte al centro abitato di Guardia Perticara, il complesso rurale di Difesa d'Ischia, recentemente restaurato e riconvertito in azienda agrituristica. Unico esempio, nel circondario, di eccellente opera di recupero architettonico.
Fino ai primi anni `50, in queste masserie si concentrava gran parte della popolazione della Collina Materana e dei paesi limitrofi del potentino, che qui giungevano in concomitanza dei grandi impegni stagionali (raccolta delle olive, sarchiatura, mietitura e trebbiatura).
Il modello della grande masseria lucana -rimasto in vigore fino alla Legge Stralcio dei primi anni Cinquanta- era costituito da una masseria principale, adibita a centro logistico delle attività produttive e a residenza di campagna del signorotto, chiamata enfaticamente "capitale", da alcune masserie di campo (destinate alle colture cerealicole), da una porcilaia per l'allevamento dei suini, da un vaccariccio per il ricovero della mandria di bovini e da alcuni ovili (in gergo detti jazzi, il più importante dei quali fungeva da capo-jazzo), per l'allevamento degli ovicaprini.
A differenza delle aree costiere, quelle per intenderci del metapontino, caratterizzate dalla presenza di un cospicuo numero di masserie "villaggio", nelle aree interne della Lucania prevalgono due modelli tipologici di strutture rurali di grandi e medie proporzioni: la masseria "palazzo" e la masseria "composita". Si tratta, in genere, di edifici fortificati contornati da garitte e torri angolari, a forma tonda o quadrata, nelle cui murature esterne è possibile ravvisare innumerevoli feritoie: segni di un passato gravido di conflitti. Molti di questi fabbricati, infatti, sono stati edificati nella seconda metà del secolo scorso, in un periodo storico caratterizzato dalla grande diffusione del brigantaggio. Nelle fortificazioni, inoltre, si possono intravedere degli stretti legami con gli antichi fortilizi medievali dei quali le masserie rappresentano una naturale evoluzione.
Il termine masseria, pur presentando in tutto il Mezzogiorno un'ampia valenza semantica, nell'accezione più comune evoca un grande complesso rurale sede di un'economia agropastorale dominante sul latifondo. Fin dal suo sorgere, la masseria ha risposto ad un concetto insiemistico: raccogliere intorno ad un nucleo principale una serie di volumi comprendenti l'abitazione del proprietario e dei salariati, i ricoveri degli animali (le stalle, lo jazzo, la porcilaia, la colombaia, il pollaio, la mandra e il zàccano), e i locali di servizio (il magazzino, il trappéto, la casera, il forno, la rimessa e la cappella).
Le unità produttive, presenti in una stessa proprietà agraria e dislocate in diversi punti del latifondo, erano gestite da distinte figure di massari (quello di campo, di pecore, di porci e di vacche). Ognuno di questi personaggi, in relazione alle molteplici attività che si presentavano nel corso dell'anno, assegnava le competenze ai suoi subalterni e coordinava le attività lavorative. L'organizzazione del lavoro era estremamente analitica e strutturata in modo verticistico. Nello jazzo, ad esempio l'organigramma presentava al vertice il massaro di pecore cui faceva seguito il casiero, il capo morriere, il 1 °, 2° e 3° morriere, il montonaro, il capraro, l'agnellaro, lo sciaortaro, lo sterparulo, e, infine, i butteri. Questi ultimi non avevano in custodia uno specifico gregge di ovicaprini ma partecipavano alle attività in veste di aiutanti. Nelle masserie di campo, invece, alla figura del massaro faceva immediatamente seguito quella del sottomassaro, del gualano (il custode dei buoi da lavoro), del giumentaro (il guardiano delle giumente) e dei fonesi. I massari, dalla cui abilità dipendeva il buon andamento dei raccolti, l'incremento degli allevamenti e la buona riuscita dei latticini, erano i veri artefici della produzione. 1 proprietari, infatti, rappresentati da vecchi esponenti dell'aristocrazia e dalla emergente borghesia agraria, che lo Stato unitario aveva varato dopo il suo insediamento, vivevano per lungo tempo a Napoli e quindi si occupavano poco dei loro possedimenti.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, seguito nelle campagne meridionali da forti tensioni sociali culminate con la occupazione delle terre, prendeva avvio un lungo dibattito parlamentare che, all'inizio degli anni Cinquanta, culminò con la Riforma Fondiaria.
La frammentazione dell'antico latifondo prima, l'abbandono delle campagne e la meccanizzazione delle operazioni agricole dopo, contribuirono a far collassare queste antiche costruzioni riducendole, in molti casi, a ruderi silenti in balia dei venti e della pioggia.
Quale futuro si può ipotizzare per le masserie? In primo luogo occorre arrestare il processo di degrado prima che raggiunga uno stadio irreversibile. Ma, perché tale intervento si realizzi è necessario che i proprietari terrieri maturino una nuova coscienza, un diverso modo di sentire l'appartenenza alla terra e alla campagna: non più esperita come luogo da sfruttare ma come spazio da coltivare, nel senso antico del termine, e da ri-qualificare ai nuovi bisogni di una società sempre più urbanizzata e desiderosa di svago e di natura.



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tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000"

Autore: Testo di MIMMO CERERE

 

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