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GIOVANNI MICHELE SARACENO

Visita pastorale all'Arcidiocesi di Acerenza e Matera (1543-1544)

In coincidenza coll'inizio delle celebrazioni per il IX Centenario della Cattedrale di Acerenza, ha visto la luce il volume curato da padre Antonio Grillo dal titolo Acerenza e Matera. La Visita Pastorale nella Diocesi. 1543-1544 (Finiguerra Arti Grafiche di Lavello, maggio 1994, pp.191). Il lavoro presenta il testo, tagliato in più punti e tradotto in italiano, di un voluminoso manoscritto seicentesco conservato nell'archivio arcivescovile di Acerenza, contenente una copia del resoconto della lunga visita pastorale compiuta nell'arcidiocesi di. Acerenza e Matera da mons. Giovanni Michele Saraceno dal novembre del 1543 al settembre del 1544 (1).
Fra le pochissime visite Pastorali del XVI secolo che si conservano in Basilicata (2), quella compiuta dal Saraceno riveste un indiscutibile interesse come fonte storica. (3) Da qualcuno definito "vescovo tridentino ante litteram" (4), questo esponente di nobile famiglia napoletana entrò nella diocesi assegnatagli con l'intento di porre mano alla riorganizzazione interna delle strutture ecclesiastiche e alla riaffermazione del ruolo centrale della Chiesa nell'ambito della stessa compagine civile. (5) Portatore di una spiritualità non devozionale, con un ideale di Chiesa universale da perseguire attraverso l'oggettivazione prescrittiva della norma, il nuovo arcivescovo stese dapprima i capitoli sinodali in lingua volgare, per dare poi inizio, il 23 novembre del 1543, alla lunga e faticosa visita pastorale della diocesi.
Acerenza fu visitata dal 23 al 30 novembre; dopo tale data il Saraceno si recò a Matera per tornare nella zona "alta" della diocesi nell'aprile dell'anno successivo.
A dorso di cavalla, accompagnato da una piccola corte, l'arcivescovo si accinse al "gravissimo ministero" per raggiungere paesi arroccati sulle montagne, spesso raggiungibili solo attraverso scoscese mulattiere. (6)
Nel corso della visita il controllo del vescovo si esercita su tre prevalenti direttrici: sullo stato materiale delle chiese - condizioni di conservazione degli edifici sacri, dei sacramenti e delle suppellettili, dei paramenti e della biancheria - sullo stato della proprietà ecclesiastica e sulla preparazione del clero. (7)
Più sullo sfondo appare l'incontro con la popolazione locale, visitata attraverso il rito - celebrazione dell'Eucarestia, dei sacramenti della Confessione e della Confermazione - e la predicazione, forse proprio a correzione di altre tendenze emergenti nella manifestazione della religiosità popolare. (8) Maggiormente aperti al mondo dei fedeli e alla società civile sono invece i 46 capitoli sinodali, dei quali ben 26 riguardano reati in materia civile o penale.
Questi due importanti documenti ci permettono di penetrare in quel suggestivo mondo della pietà popolare che caratterizza la Basilicata del XVI secolo. Nei capitoli sinodali si fa ad esempio: riferimento all'antica usanza del lamento funebre; sono dichiarati scomunicati dall'arcivescovo coloro che andassero piangendo disordinatamente, e forte appresso li corpi morti impedendo l'offcio sì nelle chiese come nel cammino. (9)
Nello stesso documento si accenna o certo uso improprio dei sacramenti, laddove si scomunicano coloro che di essi procurassero "far altro, che quello se statuisce": il Saraceno ordina pertanto ai sacerdoti e ai responsabili delle chiese di "conservare diligentemente tutti sacramenti, e robe sacre sotto fide custodia, et chiavature in loro lochi condecente, et atti, con la continua lume secondo serveria avante lo santissimo et gloriosissimo sacramento del corpo di nostro signore Iesu Christo." (10)
Lo stesso tema ricorre con frequenza nella visita pastorale: in ogni chiesa il Saraceno controlla le condizioni di conservazione dei sacramenti - l'olio santo, il santo crisma, l'olio degli infermi e, soprattutto, l'Eucurestia - ogni volta raccomandandosi che: essi fossero consegnati soltanto "illis presbiteris qui eis utuntur, videlicet: sacramentum corpus Domini pro comunicandis infirmis, sancturn chrisma et oleum sanctum pro baptizandis pueris et oleum infirmorum pro infirmis." (11)
Ci viene qui in mente quel diffusissimo uso paraliturgico di sacramenti e sacramentali lamentato da tanti vescovi del Mezzogiorno sino al XIX secolo, come l'applicazione sulle parti malate del corpo di batuffoli di ovatta impregnati dell'olio dell'estrema unzione o della stessa ostia consacrata: gesti rientranti in quella vasta richiesta del miracolo "propria dei tempi e dei luoghi - scrive Gabriele De Rosa - caratterizzati da strutture arcaiche, dove l'uomo e impotente a fronteggiare le morti improvvise, le epidemie, le disgrazie naturali"(12).
Frequentemente ricorrenti anche i casi di magia: nei capitoli sinodali, ad un certo punto, il Saraceno dichiara scomunicate "streghe, fatochiare, et masciare" che usassero "arte diabolica" per procurare l'impotenza dei mariti, per impedire il concepimento nel seno di una donna o per procurare l'aborto.
In rarissimi casi, invece, i verbali di Santa visita ci forniscono notizie dirette sulla particolare devozione esistente intorno ad un centro di culto: a proposito della chiesa di Santa Maria del Vetere di Acerenza, ad esempio, ci viene riferito della presenza di una "cona" e di sedici "linteaminibus ex voto paratis".
Ma nulla ci dice l'asciutto resoconto notarile circa l'intensa devozione che circondava la cappella della Madonna del Cupo di Acerenza o quello della Madonna del Belvedere di Oppido, tacciono gli atti visitali quando il vescovo entra nella chiesa di Santa Maria della Seta di Anzi, nella cappella di Santa Maria Vallis Ursonis di Pietrapertosa o in quella di Santa Maria de Cenapura di Castelmezzano. Attraverso le dedicazioni di chiese e altari, tuttavia, riusciamo a disegnare una mappa abbastanza attendibile dei culti più diffusi. (13) Significativi sono i primi dati rilevabili per la zona "alta" della diocesi. Nelle dedicazioni di altari il primato spetta sicuramente alla vergine cui ne sono consacrati ben 35, con prevalenza di titoli "canonici", facenti riferimento al ruolo di interceditrice o ai misteri della sua vita.
Subito dopo quelli mariani, a grandissima distanza, seguono i 6 altari dedicati al Corpo di Cristo, devozione fortemente incrementata dalle confraternite laicali cui molto spesso tali altari venivano concessi. Oscillanti fra 1 e 3, infine, gli altari dedicati a vari santi e sante per lo più non locali.
Altrettanto significativi appaiono i dati relativi alle dedicazioni delle chiese: la Vergine, da solo, riesce ad aggiudicarsene ben 31. Prevalgono, in questo caso, le intitolazioni di origine locale, espressioni di culti antichissimi: Santa Maria dello Stuffo, di Casalmare, del Cupo e del Vetere ad Acerenza, de Petino a Tolve, de la Porta a Pietragalla, de Tufulo a Cancellara, ecc. ecc. Vengono poi le chiese, più di 130, intitolate a santi e a sante: un dato piuttosto interessante e costituito dalla diffusa presenza di santi taumaturghi o ausiliatori con 30 chiese, quelle dedicate a San Giovanni Battista, San Rocco, San Sebastiano (14), San Biagio, Sant'Antonio abate, Santo Stefano, San Martino, San Vito, San Lorenzo.
Raggiungono la trentina anche le dedicazioni rimandanti a culti di area bizantina: quelle di Santa Sofia, San Nicola, Sant'Elia, San Teodoro, Santa Caterina d'Alessandria, Sant'Anastasia e San Calogero. Seguono gli apostoli con 18 chiese. Non mancano gli edifici intitolati a sante donne, i quali, messi insieme, raggiungono il non trascurabile numero di 15 dedicazioni (Santa Lucia, la penitente Maria Maddalena, Santa Anastasia, Santa Caterina, Santa Margherita, Santo Domenica). Non diffusissimo il culto micaelico, presente con le due intitolazioni di Acerenza e con quelle di Pietragalla, Tolve, Calvello e Castelmezzano. Non c'e da stupirsi della quasi totale assenza di santi francescani, presenti in pochi centri con Sant'Antonio da Padova: nella maggior parte dei casi, essi erano oggetto di venerazione nelle chiese dei loro conventi, non visitati dal vescovo perché non direttamente sottoposti alla sua giurisdizione. Ben poche, per finire, pure le intitolazioni incentrate sui Misteri di Cristo o facenti riferimento a santi locali.
La visita del Saraceno, ancora, ci permette di gettare uno sguardo su quel complesso mondo dei sodalizi laicali, frequentemente percorso da uno stato di tensione nei rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, in particolare per quello che riguardava la gestione di forme associate di culto, come le feste, i cortei funebri e le processioni, gestione che le confraternite tendevano ad avocare direttamente a se. (15) Sia visitando la cappella di San Giovanni Battista che la chiesa di San Laverio, il Saraceno raccomanda ai confratelli che li si riunivano di rimettersi "obedienti e reverendissimi domini archiepiscopi et vicarii acheruntini in processionibus faciendis et aliis prout solitum erat (16) ".
Il fine devozionale, per tali aggregazioni laicali, sembra essere più sentito di quello caritativo: mentre i confratelli di San Giovanni Battista, pur avendo riattato la cappella, si erano ben guardati dal riedificare l'annesso ospedale, P; confratelli e le consorelle del Rosario "ex eorum devotione tempore celebrationis misse" si limitavano a fare "aliquam elemosinam".
Continuando a leggere l'apparentemente freddo resoconto della visita compiuta nella zona "alta", ricaviamo molte altre informazioni utili per la storia dell'arte e dell'architettura sacra. Colpisce, ad esempio, la presenza, anche nei più piccoli centri, di un altissimo numero di chiese e cappelle conservanti imagines sanctorum parietibus depictas. A sculture si fa invece riferimento quando si parla di imagines ad opus relevatum: le rilevazioni compiute dai visitatori rivestono una particolare importanza perché permettono di retrodatare di almeno un secolo sculture lignee sinora attribuite al Seicento: é il caso, ad esempio, della statua lignea di San Biagio nell'omonima chiesa di Anzi, nel passato oggetto di particolare venerazione da parte della popolazione locale (18).
Alla presenza di trittici o polittici ci rimanda, ancora, l'espressione "cona di tavole": nella chiesa di Sant'Elia di Tolve, in particolare, si parla di una "cona de tabulis cum aliquibus sanctorum imaginibus deauratis, que cona dicunt esse maioris ecciesie" (19). Si tratta, assai probabilmente, del polittico oggi attribuito a Stefano Sparano da Caiazzo e conservato, appunto, nella chiesa madre di San Nicola (20).
Altrettanto interessanti si rivelano i lunghi inventari di arredi sacri e di beni mobili, quali in alcuni casi forniscono una descrizione di antichi oggetti giunti sino a noi mutili o trasformati, oppure ci attestano la presenza di oggetti liturgici o di culto oggi scomparsi. Nel lungo inventario stilato nella sacrestia della cattedrale di Acerenza viene ad esempio per la prima volta attestata la croce "christallina cum multis reliquiis in pede ipsius ac ligno Santissime Crucis" (21) donata al capitolo della cattedrale dalla contessa Maria Balsa (22). Lo stesso inventario fa pure riferimento al prezioso bacolo pastorale "ex ebore dicto de avoleo inauratum et cum manica argentea multis adactatum" (23) del XIV secolo, venduto verso la fine dello scorso secolo ed ora a Firenze (24). Anche manoscritti e codici liturgici in pergamena vengono citati nel tesoro della cattedrale, tra cui il graduale trecentesco e l'evangeliario del XII secolo (25) giunto sino a noi privo dello copertina: dal resoconto della visita apprendiamo che esso era costituita da "tabulis copertis de argento in quo ab uno latere est figura Crucifixi Domini nostri, ab alio figura domini nostri Salvatoris et quatuor evangeliste" (26).
Notevolissima, dunque, la mole d'informazioni forniteci dal manoscritto: di evidente interesse, pertanto, e assai auspicabile, la sua integrale pubblicazione.



NOTE

1 La primo parte del manoscritto contiene le annotazioni, dal 1603 al 1646, dei censi di varia natura riscossi dal capitolo della chiesa metropolitana d'Acerenza; da c. 89 ha inizio, col seguente titolo, il resoconto della visita del Saraceno: Inventarium generale / introituum archiepiscopalis / mensae, capitulorumque, ac particularium / beneficiorum acherontine diocesis, cum visitatione / illustrissimi domini cardinalis Saraceni bone memorie / confectum in anno 1543. Una copia cinquecentesca della stessa visita é conservata nell'archivio vescovile di Matera.

2 Si ricordino le due visite compiute a Potenza nel 1566 e nel 1571 dal vescovo Tiberio Carrafa e la visita compiuta nel 1588 dal vescovo di Tricarico Giovan Battista Santonio: cfr. G. Messina, Sui sentieri della Riforma, Potenza, 1991, pp. 11-108; C. Biscaglia, il patrimonio archivistico di Tricarico, in "Rassegna storica lucana", 11, giugno 1990, p. 92.

3 Sull'utilizzazione storica delle visite pastorali cfr. G. De Rosa, La regestazione delle visite pastorali e la loro utilizzazione come fonte storica, in Vescovi, popolo e magia nel Sud, Guida, Napoli, 1983 (seconda ediz.), pp. 423-447; A. Turchini, Studio, inventario, regesto cit., vol. cit., pp. 97-148.

4 Cfr. M. Morano, Un vescovo meridionale tra Riforma Cattolica e Controriforma: Giovanni Michele Saraceno, in Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale del Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, Atti del convegno di Maratea 19-21 giugno 1986, a cura di G. De Rosa e A. Cestaro, Edizioni Osanna Venosa, 1988, vol. I, p. 55; dello stesso autore cfr. anche Giurisdizione ecclesiastica e poteri delegati nel "Liber visitationis (1543-'45)" di G.M. Saraceno, in "Ricerche di storia sociale e religiosa", 33, gennaio-giugno 1988, pp. 131-170.

5 Cfr. M. Morano, Giurisdizione ecclesiastica e poteri delegati cit., p. 131.

6 Sulle analoghe difficoltà incontrate nel corso della visita pastorale da un vescovo meridionale del XVII secolo cfr. A. De Spirito, La visita pastorale nell'episcopato beneventano di V. M. Orsini, "Ricerche di storia sociale e religiosa", 9, gennaio-giugno 1976, p. 237.

7 Sugli analoghi fini perseguiti tramite le visite pastorali da altri vescovi sia del nord che del sud d'Italia, considerati come il Saraceno anticipatori della riforma tridentina, cfr. G. De Rosa, Le visite pastorali del vescovo. G.M. Giberti (1525-1542), "Ricerche di storia sociale e religiosa", 36, luglio-dicembre 1989, pp. 179-196; S. D'avanzo, La visita pastorale di Antonio Scarampo nella diocesi di Nola (1551-1563), "Ricerche di storia sociale e religiosa", 9, gennaio-giugno 1976, pp. 215-234.

8 Cfr. G. De Sandre Gasparini, la valutazione dei dati: qualche osservazione metodologica (area veneta, secolo XV) in Visite pastorali ed elaborazione dei dati. Esperienze e metodi, a cura di C. Nubola e A. Turchini, Bologna, il Mulino, 1993, p. 327.

9 Archivio arcivescovile di Acerenza (d'ora in poi A.A.A.), ms. cit., c. 95v.

10 A.A.A., ms. cit., c. 91.

11 A.A.A, ms. cit., c. 288.

12 G. De Rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Bari, Laterza, 1979, p. 16.

13 Bisogna tener conto, é vero, del fatto che i visitatori non si recano presso tutte le chiese e cappelle di ogni centro abitato, e che fra queste rimanevano escluse le chiese annesse a conventi e monasteri: i dati che qui si propongono, relativi alla sola "diocesi alta", vanno pertanto intesi come indicativi delle linee di tendenza emergenti nel mondo della devozione popolare locale. Su studi simili condotti su visite pastorali padovane cfr. P. Gios, Altari e santi nelle visite pastorali padovane alla fine del XV secolo e agli inizi del XVI, "Ricerche di storie sociale e religiosa", 9, gennaio-giugno 1976, pp. 297-315.

14 Anche in altri punti della visita si leggono i segnali della sovrapposizione e del successivo ecclissamento del moderno culto di san Rocco rispetto a quello medievale di san Sebastiano: cfr. M. Morano, Giurisdizione ecclesiastica e poteri delegati cit., p. 145.

15 Cfr. R. M. Abbondanza, La sociabilità religiosa del Mezzogiorno nel Sette-Ottocento: la confraternite laicali, "Ricerche di storia sociale e religiosa", 37-38, gennaio-dicembre 1990,p. 117.

16 A.A.A, ms. cit., c. 120 v.

17 cfr. M. Morano, Giurisdizione ecclesiastica e poteri delegati cit., pp. 143-144.

18 Cfr. F. Rossi, Anzi. Notizie storico-statistiche, Potenza, 1876, pp. 73-74.

19 A.A.A., ms. cit., c. 222

20 Cfr. Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle lusco, De Luca Editore, 1981, p. 67.

21 A.A.A., ms. cit., c. 125

22 La notizia del dono é riportata in un libro di legati del 1559: cfr. Ia scheda conservata presso la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Matera; cfr. Anche Arte in Basilicata cit., p. 142.

23 A.A.A, ms. cit., c. 125v.

24 Cfr. C. Muscio, Acerenza cit., pp.116-120; Arte in Basilicata cit., p. 137; Acerenza e Matera. La Visita Pastorale cit., p. 52.

25 Sull'evangeliario cfr. Lo studio di A Giganti, Un evangeliario latino del sec. XII della biblioteca di Acerenza, in Dante e la cultura sveva, Atti del I convegno di studio, Melfi 1969, Firenze, 1970, pp.59-81.

26 A.A.A., ms. cit., c. 125v-126.



tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1994"

Autore: Testo di Valeria Verrastro

 

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