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IL MONDO INCANTATO DEI "CIARALLI"

II "ciaralle" era una figura emblematica della cultura popolare materana, di un mondo divenuto ormai evanescente. Un uomo in carne e ossa, come tanti altri, che era stato però segnato dal destino. Vedeva la luce dopo una sequela ininterrotta di sei figli dello stesso sesso. Lui era il settimo; e questo era il segno che lo distingueva già dagli altri uomini. Madre natura, per renderlo ancora più riconoscibile, gli imprimeva anche, sotto la lingua, un serpentello.
II "ciaralle" può essere uomo o donna: ma i suoi poteri soprannaturali sono gli stessi. Sa incantare i serpenti, predire il futuro, riconoscere le fatture, e toglierle, e guadagnare facilmente denaro (1). II "ciaralle" non é però figura esclusiva del mondo contadino materano. Lo ritroviamo infatti con lo stesso nome e le stesse prerogative soprannaturali in Puglia, in Molise e in Abruzzo.
L'Abruzzo, e in particolar modo Cocullo e Pretoro, é terra di serpari. II loro protettore é S. Domenico Abate, che dimorò a Villalago e a Cocullo, terre particolarmente infestate da rettili velenosi, sui quali avrebbe esercitato il suo potere affascinatore. La sua virtù, osserva il Panza, "sarebbe stata originata non dalla santità inerente alla vita di lui, ma da una eredità remota, rappresentata dai vecchi relitti del paganesimo rurale" (2).
A questo mondo rurale, ci tramanda il Febronio, apparteneva un certo Paolo Ciarallo, arciprete della terra di Bisegna, che, insieme con i componenti della sua famiglia, si vantava dì discendere dai Morsi, e questi, da Morso, un eroe che la leggenda vuole figlio di Circe. I Morsi avevano infatti dimestichezza con i serpenti e conoscevano le proprietà del loro veleno, a cui erano immuni; godevano inoltre fama di guaritori e si credeva che la loro saliva avesse virtù terapeutiche.
Se torniamo di nuovo a Matera e da essa ci allontaniamo prendendo la strada verso sud, ecco che a Nuova Sirí ci imbattiamo nel "céragulé" o "ciravular," (3) omologo del "ciaralle" materano. Queste denominazioni ci avvertono che siamo già quasi ai confini con la Calabria.
La Calabria li conosce infatti come "cerauli" e "ceraulari"; ma anche come "sampaulari". I "sampaulari" vantano il patrocinio di S. Paolo e, secondo un'antica tradizione, dell'Apostolo delle genti avrebbero ricevuto in dono le loro virtù soprannaturali. (4)
La Calabria é una testa di ponte della Sicilia, ed é qui che originò e allignò la tradizione paolina dei "cirauli" o "ciaravuli". Alla verità storica si é aggiunta la verità popolare, scaturita più dal sentimento che dal raziocinio. Se gli Atti degli Apostoli (28,1-10) ci narrano della breve permanenza di S. Paolo a Malta, dove diede prova di non soccombere al veleno mortifero della vipera che gli si era avventata alla mano destra mentre era intento a buttare un fascio di legna sul fuoco attorno al quale la popolazione del luogo aveva riunito i naufraghi, e della visita di Paolo a Siracusa, il quale voleva rendersi conto dello stato della chiesa nascente, la tradizione popolare ci tramanda che egli volle spingersi nell'entroterra, visitando le cittadine di Solarino e Palazzolo. Qui, in cambio della calorosa ospitalità ricevuta, avrebbe lasciato in eredità ai figli maschi di alcune famiglie - ancora riconoscibili perché portano il cognome Ceraolo - le "mirabili facoltà", per dirla col Pitré, cui abbiamo accennato più sopra.
La credenza siciliana raggiunse anche la Toscana dove questi "ciurmatori" furono detti "pauliani" o "ceraldi". Nella novella 229 del Sacchetti, lacopo da Pistoia si spaccia per "essere della casa di S. Paulo". Raffaele Frianoro intitola "Delli Pauliani" un capitolo del "Trattato de' bianti over pitocchi, e birboni" (1619) e spiega che "questi "pauliani" dicono trar l'origine da S Paolo Apostolo... e in segno di ciò scacciano serpenti e bevono e mangiano cose velenose senza nocumento...". E aggiunge: "Mentre ch'io ero giovinetto in Roma, mi ricordo aver sentito dire con le proprie orecchie da un saltimbanco gran ciurmatore, che San Paolo aveva concesso grazia alle persone d'una casa dell'isola di malta che fosse secura con tutti i suoi discendenti da' veleni e che con certa terra data a bere potessero risanare e preservare ciascheduno da' morsi de' serpenti." (5)
Nel "Morgante", il Pulci definisce Gano di Maganza "serpe di ceraldo": "Guarda se sa ancor far la bagattella, o se questa é ben serpe di ceraldo" (XXIV 127, 2-3). E lo stesso scrittore toscano ci dice, nel suo "Vocabulista", che chiamansi "ceraldi" quelli che dicono: "I' sono della casa di San Pagolo. (6)
II Panza contesta l'attribuzione di questa istituzione sia a S. Paolo sia a S. Domenico e insiste sul fatto che i due santi appartengono a un contesto abbastanza ampio di "santi debellatori di serpenti", che trova riscontro in una credenza tutta orientale che attribuiva a "certi esseri privilegiati il potere sui rettili." (7)
Torniamo ancora una volta in Basilicata, e precisamente nel Potentino, dove ci imbattiamo nella figura del "giaravele", un essere immaginario, intangibile, inventato dagli adulti per mettere paura ai bambini, ma anche, forse, per esorcizzare le proprie. II Riviello ne scrive cosi: "Erano spiriti e malombre che apparivano a controra, cioè nelle prime ore vespertine, aggirandosi per valli, macchie e luoghi ombrosi... Come i leggendari vampiri succhiavano il sangue dei fanciulli, ne divoravano le carni, o li facevano in modo qualsiasi scomparire. !e madri poi ad intimidire i figli, per non farli piccoli vagare per la campagna incontro a pericoli, li spaventavano col dire: Pi l'amore di Dio, avissiva gi pi fora? Ca gni so li giaravoli, ca vi pigliano! .... Quelli più grandetti, che uniti si spingevano fuori... tra siepi e dirupi, appena sentivano: li giaravoli, li giaravoli!... subito via, sbrancandosi paurosi ed affannati di qua e di là; e pigliavano fiato, solo quando fossero giunti in luogo aperto e sicuro. Forse col nome di giaravoli si volle indicare anche brutti ceffi ed assassini, o girovaghi che in tempi oscuri e lontani scorressero per le nostre contrade per razzia di fanciulli." (8)
li Riviello crede che il loro nome derivi dall'"accoppiamento" dei verbi "gira" e "vola", ma probabilmente si sbaglia. A nostro avviso, e lo vedremo meglio quando tratteremo dell'etimologia, il "giuravele" appartiene alla stessa famiglia lessicale di "ciaralle" e "ciraulu", un parente povero, se si vuole, staccatosi, sotto il profilo semantico, da questi per la perdita d'identità.
Il primo ad affrontare la questione etimologica fu il dotto siciliano Francesco Pasqualino in un vocabolario manoscritto ampliato e pubblicato dal figlio Michele, nel decennio 178595, col titolo di "Vocabolario siciliano etimologico, italiano, e latino" - nel quale troviamo che "ciraulu" viene dal greco "kerayles", che significa "suonatore di tromba", in quanto "prima di ciarlare suole convocare il popolo colla tromba". Etimologia che viene ripresa e accettata dagli studiosi posteriori fino ai giorni nostri: Traina, Pitré, De Gregorio (che corregge in suonatore di corno"), Rohlfs, Bigalke, De Felice (con qualche riserva) e Vàrvaro.
Fra tanta unanimità si eleva discorde la voce dell'Alessio, il quale si dice convinto che il greco "kerayles" non c'entra per niente. (9) La base di partenza deve essere pertanto, come l'antico italiano "ceraldo", il francese antico "charaut" o "charaude", che significano "sortilegio, magia", che a loro volta derivano da "character'', scrittura, attraverso il significato di "scrittura magica" e "formula magica affidata allo scritto". L'Alessio ribadisce la stessa tesi in uno scritto ulteriore, nei quale aggiunge che la palatizzazione di ca- iniziale esclude un'origine normanna. (10)
In una posizione ambigua sta invece il Migliorini: infatti, se in "Parole nuove" accetta, anche se con qualche riserva, l'etimo greco, in "Storia della lingua italiana" si pronuncia per l'etimologia romanza e trae "ceraldo" da "charaut", mignotta.
In realtà, anche il Vàrvaro, prendendo in esame la voce siciliana "ciraudu" (11), il cognome "Ciaredi" e il molfettese "ceràute" (viso sempre ingrugnito, musone) si chiede se "siano tracce di un'influenza della famiglia gallo-romanza". Osservazione che concilia le due tesi, la greca e la francese, per cui possiamo anche supporre che l'etimo greco stia alla base del tipo ciraulu/ceragule, mentre quello romanzo alla base del tipo ceraldo/ ciaralle. (12)
E veniamo, da ultimo, a "giaravele", di cui possiamo dire che, se si esclude la consonante iniziale, coincide perfettamente con il tipo "ciaravulu/ceragule", che è anche di area campana. (13) Per quanto attiene al mutamento di c- in g-, é da supporre un incrocio con "gyrovagus", perché tale era considerata questa categoria di cerretani.



NOTE

1 Mauro Padula, "Sopravvivono in Lucania le credenze popolari?" in Bollettino della Biblioteca Prov.le di Matera, 1988, n. 14, mette in risalto le difficoltà di reperire, anche fra le persone anziane, notizie al riguardo.

2 Giovanni Panza, "Miti leggende superstizioni (scritti inediti e rari)", L'Aquila, 1979, pag. 78.

3 Rainer Bigalke, "Dizionario dialettale della Basilicata", Heidelberg, 1980. II Bigalke non registra però "ciaralle".

4 Vincenzo Dorso, "La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze popolari della Calabria Citeriore", Bologna, 1983 (1884)

5 Franco Ageno in "Lingua Nostra", Firenze, marzo 1968.

6 Bruno Migliorini in "Lingua Nostra", Firenze, marzo 1968.

7 G. Panza, op. cit., pag. 76.

8 Raffaele Riviello, "Costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino", Matera, 1979 (1893).

9 Giovanni Alessio, "L'elemento greco nella toponomastica della Sicilia" in "Bollettino del Centro di Studi Filologici e linguistici Siciliani (BCSFLS), Palermo, 1956/4.

10 G. Alessio, "Normandismi e francesismi antichi nei dialetti romanzi e romaici dell'Italia meridionale" in "BCSLFS", 1980/4.

11 II cinquecentesco "Vocabolarium Nebrissense ex siciliensí sermone in latinum troduclum" di L. C. Scobar registra tanto "cheraulu" quanto "chiraudu/cheraudu".

12 II passaggio di -id- a -II- si riscontra, oltre che nella Lucania orientale, anche nell'Umbria meridionale, nel Lazio, in Abruzzo, nel Tarantino, etc. (G. Rohlfs, "Grammatica storico della lingua italiana e dei suoi dialetti", §152).

13 Antonio Salzano, "Vocabolario Napoletano-Italiano", Napoli, 1989 s. v. "ciaravulo" = "ciarlatano, impostore. V. anche Emidio De Felice, "Dizionario dei cognomi italiani", Milano, 1978, s. c. "Ceràulo".


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1994"

Autore: Testo di Sebastiano Rizza

 

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