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LA CATTEDRALE DI MATERA

Located at the very top of the town, the cathedral of Matera has always been the core of the cultural and spiritual activity of the population.
Several action changed the aspect of the building in order to satisfy the changing cultural and holy wishes.
The most significant painting is that of holy Mary with the child, which is now situated in the left aisle
The style of the temple is "romanico-pugliese" and the external aspect of the temple itself is almost unchanged from the initial one.
A huge rose-window is located in the middle of the faciade, while s 1534 vice crib decorate the interior part of the cathedral.

Sull'architrave della porticina che immette sul campanile, si legge un distico leonino che dice: "Era l'anno milleduecentosettanta, quando fu completata la Casa che a guardarla, rallegra". Reggeva in quell'anno l'arcidiocesi di Acerenza e Matera l'arcivescovo Fra' Lorenzo, dei Padri Predicatori, mentre era re di Napoli Carlo I d'Angiò.
Matera, città di terra di Otranto, era legata culturalmente alla Puglia, per cui era influenzata da quella regione nei paesaggi di pittura costantinopolitana-bizantina.
Con particolarità, accanto alla stupenda arte delle chiese rupestri, si riscontra nell'antica città una attenta risposta alla fede nelle singole Chiese. In ronda per le diverse zone si ritrovano la chiesa di S. Eustachio consacrata nel 1082, che dovette funzionare da prima cattedrale; la chiesetta della Madonna de Idris; la chiesa di Santa Maria della Vaglia; la chiesa di Santa Maria della Nova, in seguito chiamata di S. Giovanni Battista; la chiesa ipogeo della Palomba.
La cattedrale, sita sul torrione dominante la città, ha significato l'espressione, fulcro dell'attività culturale e spirituale della popolazione. Nel Medioevo, la chiesa, per il riverbero in terra del Tempio celeste, ha segnato il centro, l'onfalos della città, dove trovava compimento l'attività legata alla vita spirituale, sociale e politica della stessa. Così anche la cattedrale di Matera ha costituito attraverso i secoli il punto fermo intorno al quale essa si è sviluppata progressivamente, il riferimento visivo verso il quale con immediatezza si puntano gli occhi di chiunque vive in città.
Nel tempo, il sacro edificio ha subìto una stratificazione di interventi successivi, tendenti a rinnovare il tempio e a soddisfare le mutate esigenze di culto e di cultura. Dalle tendenze riflettenti l'arte greca, come si può notare da alcuni capitelli delle colonne cilindriche che sostengono gli archi delle navate, ornate di statue a mezzo busto, all'indoratura voluta da un barocco affermatosi fortemente in città. I lavori di costruzione dell'insigne monumento, secondo quanto è affermato dal Bertaux, dovettero essere progettati "poco appresso che il Papa Innocenzo III ebbe stabilita in Matera la sede episcopale" (A.D. 1203).
Le denominazioni del tempio hanno avuto, durante gli anni, diverse vicissitudini. Principalmente esso fu chiamato di "Santa Maria di Matera", come si può leggere in uno strumento notarile del 1277. Fu in seguito anche chiamato di "Santa Maria dell'Episcopio", come si rileva dal testamento del connestabile De Bernardis del 1318. Infine, probabilmente dal 1389, è stato sempre indicato con il nome di "Santa Maria della Bruna". Diverse sono state le motivazioni date al termine "Bruna". Secondo alcuni, credo impropriamente, il termine è derivato dal colore olivastro della effigie della Madonna con il Bambino venerata nella cattedrale. Per altri dovrebbe provenire dalla riduzione dialettale della parola ebraica "Ebron", colle della Giudea dove Maria si recò a visitare Santa Elisabetta, nel ricordo della festa della Protettrice della città. Più propriamente il vocabolo deve essere interpretato nell'uso comune proprio dell'epoca medioevale. Pertanto dovrebbe derivare da "brùnja" (corrispondente al provenzale "broigne" e al tedesco "Brúnne"), che nel latino longobardo significa: "corazza", "usbergo", "difesa". Lo si rileva con competenza dalla dizione della 17° legge di Carlo Magno, che suona: "ut nullus extra regnum nostrum, brunas vendere praesumat" (perché nessuno presuma di vendere corazze al di fuori del mio regno). Allora: "Santa Maria della Bruna" deve significare: "Santa Maria della protezione", "della difesa".
Il gioiello più significativo del sacro tempio è dato proprio dall'affresco raffigurante la Madonna con il Bambino, oggi ubicato sull'altare della prima campata della navata sinistra. Un tempo era posto sulla controfacciata della chiesa, donde fu staccato nel 1576. Attribuito dalla studiosa Stella Calò a Rinaldo di Taranto, fu datato dal Gulle al 7° decennio del XIII secolo, e se n'è potuto apprezzare l'alto valore soprattutto dopo il restauro effettuato, nel 1984, dalla Soprintendenza per i beni artistici e storici della Basilicata, che ha inteso ricuperare l'immagine antica, alterata da varie dipinture e da microlacune prodotte dai chiodi infissi sulla superficie dipinta. Il restauro ha portato alla luce l'alta qualità del dipinto, evidenziata anche dalla presenza di tracce di dorature e di azzurrite. Per la sua colorazione uniforme, per la rigidezza del disegno e la fissità dello sguardo della vergine Madre, per la collocazione del Bambino benedicente con "due" dita (e non con "tre" alla forma latina), sul braccio sinistro della Madre, proprio secondo ritmi greci, l'affresco è certamente bizantino.
Il tempio è di stile romanico pugliese e conserva all'esterno quasi intatta la sua forma primitiva. L'architettura romanica esprime, nella sua calda e compatta conformazione, l'equilibrio statico di tutta l'opera, concedendo di esprimere agli elementi decorativi, pur nella robustezza della struttura, i riferimenti esaltanti la vita spirituale e le credenze trascendentali.
La porta maggiore, alla sommità di una serie di gradini, è rivolta verso ponente e domina la vallata del Sasso Barisano. In una memoria del 1646, dove Giovanni Battista De Blasis espone il "Discorso antiapologetico contro l'heretico", si trova scritto: "Questa Chiesa è stata con tanto magistero, et arte, edificata, ché d'ogni tempo, quando il sole entra per linea diretta, nelle due parti minori, site verso scirocco, è mezzodì. E nel tempo delle due equinotti, vernale et autunnale, il sole tira per drittura, nel suo tramontare, per la porta maggiore, per linea diretta". In giro sull'architrave, dalla porta maggiore, vi passa un doppio ornato a cordoni, intagliati a reticolo e a tondini con fiori nel mezzo, in forma di emiciclo, che circondano la nicchia con una statua arcaica della Vergine, ai cui lati e un po' più in basso, vi sono le raffigurazioni dei Santi Apostoli Pietro e Paolo; ed ancora più in giù, negli angoli, quelle dei Santi Agapito e Teopista, di data posteriore.
Sovrasta il centro della facciata il gran rosone, raggiato, sorretto da due colonnine sovrapposte, con un Arcangelo collocato nella sommità e, ai lati ed in basso, figure di artigiani. Esso è affiancato da altre 4 colonnine, mentre dallo spiovente della cuspide scendono giù altre 12 colonnine. La facciata poi prospiciente su piazza Duomo ha due porte: la più caratteristica è quella congiunta con l'Episcopio, detta "dei leoni", per le due piccole leonesse scolpite in pietra, accovacciate ai lati della scalinata, aventi tra le branche un bimbo. Salgono nei lati due agili colonnine ben fiancheggianti l'ingresso, con quattro cornici frastagliate dalle pigne sporgenti e con motivi floreali e testine di angeli. Nella lunetta sormontante l'altra porta è in bassorilievo una pregevole raffigurazione, con l'iscrizione "Abraham".
Fra l'una e l'altra porta interessante è una finestrella finissimamente intagliata, riecheggiante la porta dei "leoni" e una iscrizione sepolcrale di un giudice saraceno: "sepulcrum judicis saraceni". Forse si tratta del giudice saraceno di cui si fa memoria in un istrumento di notar Stefano di Matera del 4 agosto 1268, anno 4° di regno di Carlo I d'Angiò, che si conserva nell'archivio della cattedrale.
L'interno, a pianta basilicale, ha subito molte trasformazioni. È a croce latina, e misura m 54 di lunghezza, m 18 di larghezza, e m 23 di altezza. Si snoda a tre navate, divise da ampie arcate a tutto sesto, sostenute da 10 colonne tufacee, parzialmente disposte sino a fingerne il granito dei fusti, di circa 6 m di altezza, sormontate da capitelli in pietra di bellissima fattura, differenti l'uno dall'altro. L'aula mediana, molto alta, a capriata, illuminata soffusamente da 10 finestre già bifore, correnti su tutta la lunghezza delle pareti perimetrali, finiva, quasi adagiandosi, sul presbiterio, su cui vi erano il coro e la cattedra. Oggi la navata centrale ha il soffitto istoriato, dipinto dal calabrese Battista Santoro nella metà dell'Ottocento. Sono raffigurati al centro il quadro della visita di Maria ad Elisabetta; a capo, verso il presbiterio, l'apparizione della Croce di Cristo a S. Eustachio; ed in fondo l'estasi di S. Giovanni da Matera.
Il pavimento fu disegnato dal materano fra Angelico Calabrese sul finire del secolo XIX.
L'abside alta e profonda, con l'altare basilicale, si apriva verso est: mentre poi, al di dietro, aveva la sacrestia, cui si accedeva da varie porte, di cui l'ultima a noi rimasta è quella del campanile.
La torre campanaria, alta 52 metri, è sormontata da una piramide quadrangolare. Si compone di quattro piani: i primi due con bifore, il terzo con breve balconata e l'ultimo con monofora che termina a cuspide piramidale. Vi sono collocate sette campane, intonate all'accordo del mi bemolle.
Si accede dalla porta sita in fondo alla navata di sinistra, con un sistema di scala a chioccia, in ferro.
L'infiusso barocco nei secoli XVIII e XIX ha dato a questo monumento una sfarzosa e leggiadra indoratura, che defrauda lo sguardo del visitatore della sua originaria bellezza. Fu mons. Francesco Zunica nel 1776 a fare ricoprire di un velo di oro a mordente il rivestimento di cornici e di stucchi realizzato agli inizi di quel secolo; mentre poi, per interessamento dei canonici, tra il 1862 ed il 1865, l'intera indoratura fu ripresa con oro zecchino.
In giro per le navate si possono ammirare con l'altare della Bruna e quello di S. Giovanni da Matera, l'altare di S. Anna, con una pregevole tela del frate Francesco da Martina (1633), costruito per volontà del cardinale Gian Domenico Spinola, già arcivescovo di Matera; la cappella del Santissimo Sacramento, di costruzione posteriore; la cappelletta dell'Annunziata di Giulio Persio, figlio di Altobello, della fine del '500: esemplare di arte rinascimentale, con voltina a cassettoni, avente al centro il gruppo dell'Annunciazione in pietra, con ai lati le statue dei Santi Rocco e Caterina di Alessandria, mentre nella lunetta sovrastante è collocata un'arcaica deposizione dalle forme poco rifinite.
Si giunge così nel braccio dove, in fondo, spicca l'artistico presepe in pietra dura, opera dello scultore materano Altobello Persio, nato a Montescaglioso, e del Sannazzaro di Alessano in Puglia. Esso primeggia tra i presepi napoletani e siciliani, ed è datato al 1534. Per la sapiente e compatta disposizione, e per la robusta modellatura delle figure, che richiamano volti e persone dei Sassi di Matera, comunemente è ritenuto, nel suo genere, "una tra le opere più considerevoli degli artisti meridionali del secolo XVI" (cfr. E. Contino, Guida Turistica di Matera, Matera, Edizioni Montemurro).
Nell'ambulacro che porta al presepe, sulla destra, c'è l'altare di S. Gaetano Thiene, cui è dedicata anche la tela opera del pittore Rosa, della scuola napoletana (1652). Di Altobello Persio è anche il dossale di un altare che era situato in fondo alla navata di sinistra, con in alto la Madonna ed i Santi, mentre in basso corre una fascia con bassorilievi rappresentanti Gesù tra gli Apostoli.
Si giunge così al coro dei canonici. Oggi esso è collocato nel vano posteriore dell'altare maggiore. E di noce massiccio, costruito da Giovanni Tantino di Ariano Irpino, terminato nell'anno 1453, sotto l'episcopato dell'arcivescovo Marino. È un rifinito lavoro d'intaglio, di altissimo pregio, spartito in 60 stalli, 35 per il piano superiore e 25 per quello inferiore, con una serie di pannelli lavorati in figure di bovi e di cavalli alati, di pavoni e di aquile, di cani che s'azzuffano, di cervi e di conigli, e poi ancora in figure di Madonne, di anacoreti incappucciati e barbuti, con un'abbondanza di fiori di ogni specie e forma. Meritatamente attira l'attenzione del visitatore una sbozzata figura di Madonna con il Bambino, incorniciata, collocata a sinistra dello stallo decanale, e che nella sua tipica espressione sigla tutto il lavoro artigianale con una efficacia sorprendente.
Anche l'iscrizione a caratteri onciali, intarsiati sulla faccia dell'ultimo pannello di sinistra, rivela l'accuratezza e la precisione del lavoro. "Giovanni di Ariano di cognome Tantino con arte ha costruito questo egregio Coro nell'anno del Signore 1453": ne dà notizia l'istrumento, redatto di mano del notaio Nicolò Staso di Matera, nel quale si notifica, in data 18 maggio 1451, che il procuratore del capitolo, legittimamente costituito, anche a nome dell'arcivescovo di Matera e di tutti i cittadini, espresse comune volontà di costruire "de novo" un coro artistico e molto bello. E detto, anche, che per tale costruzione sarebbero state impiegate le somme raccolte dalle pie oblazioni dei fedeli, dall'elargizione dell'università di Matera, e dalla vendita di terre appartenenti a capitolari. Nel 1729, quando il coro fu trasferito nell'attuale abside, è stato arricchito di altri stalli.
La grande pala dell'altare maggiore rappresenta la Vergine Santa, tra un volo di angeli, nel mentre presenta al popolo il Bambino, in atto di benedire. In primo piano sono impiantati gli Apostoli Pietro e Paolo fiancheggiati da S. Giovanni Battista e da S. Giovanni Evangelista, mentre dietro vi sono i santi mitrati Donato e Biagio, e giù, in atto di venerazione, un sacerdote in cotta, che rappresenta il canonico Sanità, offerente. L'opera per l'euritmica disposizione delle figure, per la loro intensa espressiva vitalità e la sapiente fusione dei colori, deve essere di Fabrizio Santafè, e non di altri, ai quali si sono riferiti, nel tempo, questo o quell'altro autore.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999"

Autore: Testo di FRANCO CONESE

 

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