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Napoli al prof. GIOVANNI NINNI

dalla Basilicata nel Mondo (1924 - 1927)


La commossa parola dell’avv. F. S. Siniscalchi per la città di Venosa

Ad iniziativa del Comune di Napoli è stato collocato nel Cimitero di Poggioreale, nel recinto degli uomini illustri, un riuscito monumento che ricorda il sacrificio e 1’apostolato del nostro non mai abbastanza compianto, prof. Giovanni Ninni, che per oltre dieci anni fu direttore dell’Ospedale dei Pellegrini.

Sulla base, che regge il busto in bronzo dello illustre scomparso, si legge la seguente epigrafe:


GIOVANNI NINNI
CHIRURGO INSIGNE
IN UNO SLANCIO
DEL SUO APOSTOLATO
LASCIÒ LA VITA
IL COMUNE DI NAPOLI
A PERENNE RICORDO
DEL NOBILE SACRIFICIO

1861 - 1922


Per lo scoprimento del monumento con venne, il 25 maggio, a Poggioreale, quanto di meglio abbiano, a Napoli, la scienza medica e l’arte chirurgica. Nella gran folla, in prima fila erano i parenti dello illustre Estinto, fra i quali la vedova inconsolabile signora Giulia Vinci, i fratelli avvocati Felice e Luigi, le sorelle Anna e Matilde, i nipoti ed il cognato signor Palombo.

A nome dei medici-chirurgi e dei liberi docenti parlò il Prof. Falcone; per i medici ospedalieri il prof. Vetere ; per il personale sanitario dell’ospedale dei Pellegrini, il prof. Tritto; per l'Unione Lucana di Napoli, il suo presidente avv.Micheie Maglietta; per la provincia di Basilicata, l’ingegnere Luigi Corleto; per il Comune di Venosa, città natale dell’illustre Estinto, l’avv. F. S. Siniscalchi, del quale siamo lieti di riprodurre le belle ed inspirate parole pronunziate in memoria del concittadino eminente

I concittadini, i congiunti di Giovanni Ninni — egli disse — mi affidano il compito di ringraziarvi, specialmente perché, di là dal tempo e dal succedersi ininterrotto di mille vicende, voi sentite profondamente scolpite nel vostro spirito, forse più che nella stessa mirabile rievocazione fermata dall’artista nel bronzo, la figura dolce e austera di Giovanni Ninni.

Bene ha fatto Napoli a collocarlo tra le immagini degli elettissimi che ne l’arte, nella scienza, nel foro, superarono i confini normali dell’anima e dettero conforto, incitamento, ammonimento alle generazioni che avanzano lungo le immense faticose vie della civiltà. Perché Egli, l’uomo che oggi rivive in tutto l’arco luminoso della sua esistenza e nel trapasso sanguinoso che gli fu esaltazione, bene meritò della terra natia, di Napoli che lo accolse, dell’umanità.

«Della gente lucana egli aveva stampato in ogni suo atto il crudo abito della sincerità, della onestà proba e diritta, della cordialità. Asceta e ribelle insieme, ebbe dalla vita quello soltanto che le donò con amore infaticato si che la morte lo rilevò sulla soglia dell’ospedale, ricco soltanto del camice bianco che era stato per tutto il corso della sua esistenza il saio francescano di ogni atto, di ogni opera di bene.

Anche meritò di Napoli, alla quale ricambiò con tutta una vita di dedizione e col gesto supremo del sacrificio la benefica ospitalità a lui concessa, come a Francesco Frusci, a Luigi La Vista, a tutti i concittadini che nel tempo lo avevano preceduto, sospinti verso le rive della città divina da palpito misterioso di elevazione e di bellezza.

E bene ha meritato dell’umanità, Egli che volle annullare financo sé stesso, in un sacrificio tragico, perché la vita di un uomo morente fosse salva. Ne l’ordine morale di un popolo nulla è forse più alto di questa offerta.

Oggi, in tutte le Città d’Italia, sospesa la lotta, i vivi si comunicano con i morti innalzando a Dio il peso immenso dei caduti.

Giovanni Ninni, nella vigilia remota, in un’Italia lontana e scialba, non dubitò dei destini del popolo nostro raccogliendo nel deserto d’Africa le prime offerte cruente della stirpe anelante al riscatto. Fu combattitore infaticato e chiuse combattendo la sua giornata operosa, portandosi di là tante belle illusioni nostre, tanta pienezza, tanta giovinezza del nostro spirito.

Ma, liberiamoci del rimpianto sterile. Ecco un luogo di pura bellezza che non è morte, ma vita, ma trasfigurazione della vita! Soltanto, come gli antichi uomini d’arme, gettiamo ai piedi di questo sepolcro eroico tutto il tristo fardello delle nostre passioni vili.

Non c’è neppure, come a Rio Bò, un cipresso con sempre una sua stella, sopra cima, una chiara stella dalla luce simile a quella di certe acque marine, gonfie di sole.

Le case sono così poche, che quasi non ce ne sono e sembrerebbero un presepe se fossero un poco più belle e non avessero dietro, breve come la cintura di fuoco di Basiliola, sottile come un taglio, rovente come il deserto, una corona di sterilità, troppo larga per una rondine, alquanto stretta per incoronarne una fata.

Autore: dalla Basilicata nel Mondo (1924 - 1927)

 

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