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POLICORO - mare natura archeologia
Nicola Buccolo

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Il feudo in cambio di una guarigione

Dal 1300 al 1600, il feudo di Policoro, in piena decadenza, diviene proprietà della famiglia Sanseverino, con passaggi tra i vari discendenti. Un principe di quella famiglia, nel 1600, per ottenere la guarigione di un figlio da una grave malattia, donò il feudo ai Gesuiti, che lo tennero per lungo tempo, trasformando il castello in monastero.

lI 21 novembre 1772 i Gesuiti furono espulsi dal Regno delle due Sicilie dal re Ferdinando IV di Borbone. Tutti i loro beni, compreso il feudo “disabitato” di Policoro, furono incamerati dal Regio Fisco.

Il feudo di Policoro venne venduto all’asta ed acquistato dalla nobildonna Maria Grimaldi, principessa di Gerace.

Alla fine di aprile del 1799, nei giorni 29 e 30, nell’ex monastero di Policoro, trasformato di nuovo in castello, soggiornò il cardinale Ruffo, ospite della principessa di Gerace, mentre era in giro con la sua soldataglia per domare la rivolta contro l’assolutismo borbonico; nel maggio del 1806 pernottò nel castello il re Giuseppe Bonaparte durante il suo viaggio da Reggio Calabria a Napoli.

 

I Berlingieri proprietari del feudo di Policoro

Fino al 1810 il feudo di Policoro appartiene ancora alla famiglia dei principi di Gerace. Nel gennaio del 1833 il re Ferdinando il di Borbone fu ospite nel castello di Policoro del conte Montesantangelo, un probabile erede dei principi di Gerace, succedutosi nella proprietà del feudo, che risulterà di proprietà del conte Nicola Serra tra il 1868 e il 1870.

Il 2 maggio 1893 il feudo di Policoro è acquistato dal barone Luigi Berlingieri di Crotone con atto del notaio Ruo di Napoli, al prezzo di lire 3.400.000. Il barone Berlingieri diviene proprietario del feudo, di tutti gli animali esistenti nella tenuta, dell’arredamento del castello, delle attrezzature dei locali e dei magazzini, dell’industria di liquirizia funzionante in località “Concio".

 

Il castello baronale

Il castello baronale nasce nell’anno 1000, come casale fortificato, modificandosi ed ampliandosi nei secoli successivi. L’edificio è posto su un’altura, da cui si domina la piana sottostante fino alla marina. Presenta attualmente, nelle sue linee generali, la struttura della seconda metà del XVII secolo, quando la “casa” gesuitica fu trasformata in residenza nobiliare. Il palazzo ha conservato, nel suo impianto, l’originaria struttura monastica.

E’ attualmente a due piani, ma da una stampa del XVIII secolo è raffigurato ad un piano, con campanile uscente dalla linea dei tetti ed una torre quadra sovrastante l’intero edificio, munita, agli angoli superiori, di quattro torrette.

Della torre quadra è rimasta attualmente sola la parte inferiore che emerge dalla linea dei tetti del secondo piano, aggiunta verso la fine del 1700 o l’inizio del 1800, quando il castello ha assunto definitivamente l’attuale struttura.

Un grande portone sormontato dallo stemma della famiglia Berlingieri immette in una vasta corte interna, rettangolare, da cui si accede ai locali di servizio del piano terra ed alla scalinata che conduce al piano superiore.

 

Il castello, memoria storica del paese

Sulla sinistra del castello vi è la settecentesca cappella con annessa canonica.

Lungo il pendio i “casalini” che costituivano gli alloggi unifamiliari dei dipendenti della grande azienda feudale.

Di recente il castello è stato dichiarato di interesse particolarmente importante con decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali.

Il castello “rappresenta un notevole documento della storia del paese e un ottimo esempio di architettura locale. Imponente e massiccio nella struttura, il prospetto laterale sinistro è movimentato da ali avanzate rispetto al corpo centrale e collegato da locali di servizio su cui poggiano le due arcate di un loggiatino. Un portale settecentesco, profilato da lesene e volute finemente scolpite in pietra con l’arma nobiliare in chiave, costituisce l’elemento vivacizzante del fronte principale”.

 

Personaggi illustri ospitati nel castello

Oltre ai personaggi storici, già menzionati, il castello ha ospitato, in tempi più recenti, altre personalità illustri, tra i quali il principe Guglielmo Baden nel gennaio 1868, gli statisti Emilio Visconti-Venosta e Silvio Spaventa nella primavera del 1876, il filosofo Francesco Fiorentino nel marzo 1878, l’ammiraglio inglese Seymur nella primavera del 1893 ed il 23 settembre 1902 Giuseppe Zanardelli, il primo Presidente del Consiglio dei Ministri ad aver visitato la Basilicata.

Il Presidente Zanardelli, dopo aver attraversato il fiume Agri su un carro trainato da bufali, tenne nel castello di Policoro una riunione con le personalità del Lagonegrese per discutere le necessità e i bisogni delle popolazioni della zona.

 

Il feudo Berlingieri

Intorno aI 1920, il feudo di Policoro, che nel frattempo era passato in eredità dal nonno Luigi al barone Giulio Berlingieri ed era condotto in fitto dalla società Padula e soci di Moliterno (una società molto efficiente che investì nell’azienda cospicui capitali e introdusse per la prima volta nella regione l’uso di moderne macchine agricole), era un feudo di circa 6.000 ettari, dislocato fra il Sinni e l'Agri, il mare ed i terreni della mensa arcivescovile di Anglona e comprendeva 1.600 ettari di bosco, 2.100 di seminativo, 450 di seminativo arborato, 380 di oliveto specializzato con 32.000 piante, 6 ettari di agrumeto, 1.040 di pascolo, 110 di stagno, 288 di incolti sterili e 26 ettari di tare.

All’epoca Policoro era già servito dalla ferrovia. C’era poi una strada, denominata “il tratturo del Re”, percorribile solo d’estate, che attraversava il litorale ionico. Nel 1928 il Consorzio di Bonifica avvierà la costruzione della litoranea ionica S.S. 106 dal Bradano al Sinni.

 

“Una terra così cattiva non l’ho vista...”

“La gente se ne va in America perché non può campare. Se ne devono andare perché, coi terreni, non possono andare avanti, I terreni qua non producono. Ho camminato diverso mondo, ma una terra così cattiva non l’ho vista...”.

Così si esprimeva un contadino di Policoro, prima che fosse debellata la malaria, interrogato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Meridione e la Sicilia.

Siamo tra il 1920 e il 1940. Pochi degli attuali abitanti di Policoro hanno conosciuto quell’epoca in cui povertà, analfabetismo e fatica si mescolavano al fatalismo e alla rassegnazione. Unico segno di quei tempi un castello, qualche rudere e i casalini nella parte bassa del castello.

Il barone Berlingieri, come abbiamo detto, aveva affittato terreni e boschi ad una società di imprenditori, che utilizzava alcune centinaia di salariati fissi, massari, mandriani e braccianti vari, per mandare avanti un’azienda, dove prosperava la liquirizia e che produceva in abbondanza grano, olio e formaggi di vario tipo, tra cui molto rinomate le mozzarelle di bufala.

La società, che conduceva in fitto il feudo, pagava al barone un canone annuo di 7.400 quintali di grano “asciutto, da prelevarsi dal proprietario nel primo e migliore prodotto, metà duro e metà tenero, da immagazzinarsi a cura dei conduttori, rivoltato per il periodo di tempo fino a quando al proprietario farà comodo vendere, restando a carico dei locatari il trasporto allo scalo ferroviario”.

 

Le battute di caccia...

Si trattava di una rendita cospicua, ma il barone, possessore all’epoca di 22.000 ettari di terreno, con un reddito di 60 milioni di lire all’anno, considerava di scarso interesse.

Il barone infatti era condizionato dalla passione per la caccia. Il suo interesse era tutto per il bosco e per la sua fauna e in particolare per il cinghiale, l’animale prediletto per le battute di caccia.

Ogni anno, il barone trascorreva in treno la notte di S. Silvestro per iniziare il nuovo anno nel suo bosco di Policoro, vicino ai suoi cinghiali, nell’attesa del 7 gennaio, giorno di inizio della caccia. Personalità, autorità di ogni genere, alti funzionari, sollecitavano da tutta Italia inviti alle battute di caccia.

Le battute di caccia si svolgevano dalle ore 11 alle ore 15, a giorni alterni, per consentire alla muta di 60 cani di riposarsi. D’estate, i cani venivano inviati a “villeggiare” in Sila, per non far loro soffrire il caldo.

 

... e la passione per i cavalli

Per il periodo che il barone restava a Policoro, da gennaio a marzo, ogni giorno, gli affittuari dovevano inviare al castello un “capretto pulito”, ricotta e rapa selvatica, la cui quantità veniva stabilita di giorno in giorno, a seconda degli ospiti presenti al castello.

All’inizio di aprile il barone ripartiva da Policoro, non assistendo mai alla festa patronale della Madonna del Ponte, che all’epoca si svolgeva nell’Ottava di Pasqua. Prima di partire, però, consegnava sempre la sua offerta agli organizzatori della festa.

Negli altri mesi dell’anno il barone viveva a Milano, spostandosi di tanto in tanto negli ippodromi per assistere alla gare, alle quali partecipavano i cavalli della sua scuderia.

 

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