Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Gatta MIRASCKA
da un cunto di zio Francesco

 

 

.....continuazione (3)

 

L'altro giorno, la gatta ha ascoltato un’altra volta. Ha alzato la testa ed ha attesato le orecchie, ha appuntito le orecchie: pioveva. E pioveva. Pioveva, una continuazione pioveva. Pioveva più forte degli altri giorni.

Ha chiamato comare gatta Mirascka la volpe.

«Comare! Alzati! Pure oggi tocca a te! Piove e tocca a te un‘altra volta. Piove e devi pascere il pecoruccio! Il pecoruccio vuole essere cacciato! Lo devi cacciare il pecoruccio» 'Ehi! Piove ancora! Ancora a me tocca!

E questo tempo non la fìnisce mai, mai e po’ mai! Mai e po’ mai!

Mò se l’è presa con me questo tempo!’ Ha pensato la volpe.

‘Mò, come l’ha preso il tempo, quest’anno l’ha preso proprio per vizio e piove tutti i giorni! Tutti i giorni piove! Piove e piove.

Lascia fare a lui! Che lui lo sa che fà! Il patto non l‘hò fatto bene! Non l’ho fatto bene il patto! Il patto non ce l’ho fatto proprio bene!

Ebbe’! Ebbe’! Pazienza! Deve scampare. Ua volta la deve finire quest’acqua di piovere.

Quest’acqua la tiene proprio con me! Che le ho fatto che la tiene tanto con me?’ Tolla la volpe aveva torto e si doveva alzare. Non se la poteva prendere con nessuno. E, dolori dolori, lamenti lamenti, comare volpe si è alzata, ha fatto i suoi bisogni, s’è lavata la faccia, s’è preso un boccone, ha preparato il tascapane ed è uscita all’aria.

E’ uscita all’aria e l’ha presa un colpo di acqua e vento, di vento e acqua.

‘Lascia piovere, che non secca niente! Lascia piovere, che fanno i fichi e i funghi! Mò s’è messo a piovere e piove! Ah che vuole piovere pietre!

Ah che vuole piovere come dico io: una volta per sempre! Una volta per sempre!’ Pensava comare Tolla intramentre che entrava in casa a prendere il pastrano.

Comare volpe è entrata e s’è messa il pastrano sulle spalle.

Si è messo il pastrano sulle spalle e s’è arrotolata stretta stretta e ha cacciato il pecoruccio ed è andata, un’altra volta, a pascere.

Piede nel piede, passo nel passo, pedata nella pedata, orma nell’orma, occhi negli occhi, faccia nella faccia, orecchio nell’orecchio, coda nella coda, muso nel muso, gambe nelle gambe il pecoruccio e la volpe sono arrivati al bosco.

E’ andata a pascere con il pecoruccio comare Tolla un’ altra volta nel bosco.

Il pecoruccio ha piegato la testa e si è messo a mangiare. E mangiava e mangiava. Mangiava. Tutto il mondo era bagnato e scorreva, scorreva a lavine e a lavinari, i lavinari portavano le pietre, i lavinani ruzzolavano pure le pietre.

I lampi e i tuoni aprivano il cielo e intremendavano la terra. Lampi e tuoni, tuoni e lampi. I tuonizzi e i lampizzi andavano per l’aria.

A ogni lampo la volpe si segnava. A ogni tuono comare volpe tremava.

Il cuore di comare volpe s’era fatto un frittolo. La volpe s’era tolta pure da sotto la quercia e si era messa sotto uno spuntone di terra, sotto uno sterpone, sotto un radicone e guardava e stava, stava e guardava il pecoruccio che pasceva.

Il pecoruccio mangiava l’erba, strappava l’erba piano piano lento lento. E il pecoruccio guardava solo a terra.

Quando è stato nel mezzogiorno, come negli altri giorni, comare Tolla ha sentito un ruggito, ma un ruggito così forte, ma così forte che il bosco ha tremato, quei pochi uccelli che c’erano se ne sono volati e gli animalucci di terra se ne sono scappati.

E’ arrivato il leone maestoso, tutto pieno di sé, tutto inferocito, tutto nervoso, senza creanza e senza comparenza; tutto grandezza grandezza, con una bocca che vedevi un forno di quelli grandi a una fornata.

Le rospe all’intrasatta hanno finito di cantare e si sono buttate nei fossi e nei fossetti. L’acqua ha finito di piovere all’intrasatta, per incantesimo, una volta. Il vento è caduto tra le foglie. C’era solo silenzio.

Si sentiva solo la pedata del leone, una pedata pesante che sprofondava nella terra e lasciava l’orma. Una pedata ch’era una schiantazione.

Il leone è uscito dal bosco. Un leone pieno, pieno di rabbia, era tutto una rabbia il leone.

Un leone feroce con certe sanne grandi grandi, con una criniera grande grande; aveva una

bocca grande grande, una coda più grande ancora, con un petto grande grande, una ciampa grande grande.

Camminava e sprofondava nella terra in fondo in fondo. Camminava e nemmeno una mosca gli andava attorno. Tant’era che nemmeno un moscerino gli girava attorno, gli dava fastidio. E il leone spalancava la bocca e ruggiva, faceva tremare pure l’aria. Il leone apriva la bocca e cadeva tutto a terra.

Appena ha visto il pecoruccio, sua maestà, il leone, ha mosso la criniera, s’è tolto l’acqua di dosso e gli è andato vicino.

Il leone è andato vicino al pecoruccio e già se lo sentiva tra i denti; il pecoruccio innocente innocente mangiava l’erba a testa bassa.

Quando ha visto il leone tanto imponente, tanto affamato la povera volpe s’è fatta un pizzico, piccola piccola s’è fatta. La volpe voleva sprofondare, voleva che lo spuntone di terra doveva crollare e la doveva uccidere. La volpe voleva scomparire dalla faccia della terra senza misericordia, senza remissione dei peccati e pensava.

‘Povero pecoruccio! Povero pecoruccio! Povero pecoruccio mio!

Povero pecoruccio mio! Che male hai fatto!

Questo, il leone, non è come il lupo, non è come il porcospino!

Chi ti deve salvare?

Dimmelo tu, chi ti deve salvare?

Chi ti deve salvare dalle brame di questo animalone?

Oh povero pecoruccio! Oh povero pecoruccio mio!

Chi lo doveva dire che dovevi fare questa fine?

Chi te lo doveva dire?

Povero pecoruccio, povero pecoruccio mio!

Ne abbiamo dato pedate, n’abbianuo preso acqua, povero pecoruccio mio.

Ti abbianuo guardato come il grano al sole!

E mò è venuto lui, criniera grande!

Oh povero pecoruccio, oh povero pecoruccio mio!

Ti vedo e non ti vedo in quelle sanne!

Ti vedo e ti piango in quelle sanne!

Oh povero pecoruccio, oh povero pecoruccio mio!

Povero pecoruccio mio! Che male hai fatto?’ Tremante tremante comare volpe s’è incoraggiata, s’è fatta coraggio e s’è avvicinata al leone.

Tolla la furba, la volpe, s’è fatta coraggio, si è inginocchiata, si è levato il cappello e faceva.

«Buongiorno maestà! Maestà, buongiorno! Buongiorno muaestà!

Pure voi andate girando con questo tempo? Con questo cattivo tempo!

Voi che siete il re degli animali e potreste stare a riparo!

Oggi è una brulla giornata! E’ una giornata disgraziata!

Oggi è una brutta giornata e non si dovrebbe andare in giro!»

Il leone non l’ha nemmeno fatta finire di parlare, le ha spezzato la parola nella bocca, l’ha fatto restare la parola in bocca.

«Ma che maestà e maestà! Che maestà! Ma che tempo e tempo! Che tempo! Ma che brutta giornata e brutta giornata!» Ha spalancato la bocca il leone, assai assai, ma proprio assai, ci entrava il mondo sano sano, e ha detto, affamato, bagnato e infreddolito.

«Io non ti vedo per la fame! Non ti vedo per la fame.!

Per la fame non ti vedo! Tengo una fame che mangerei il mondo!»

E s’è fermato un poco e, po’, ha ripreso. «Ti faccio salva la vita, ma il pecoruccio me lo devo mangiare!

Il pecoruccio me lo devo mangiare! Me lo devo mangiare.

Ci devo fare un solo boccone! Un solo boccone ci devo fare!»

La volpe ha sentito quelle parole e ha fatto, ha detto, come le altre volte, pure al leone, a sua maestà il leone.

«Con tutto il piacere! Con tutto il piacere! Con tutto il piacere, maestà! Maestà, con tuitto il piacere!

Come vostra maestà vuole! Come vostra maestà dice! Come vostra maestà comanda!»

Ha detto la volpe che si era piegata di faccia a terra, si era proprio strafacciata davanti al leone, tanto che s’era piegata.

«Compare mio! Mangiatevelo!

Maestà mangialevelo.’ Mangiatevelo! Sua maestà vuole così e sia così, sia così! Sia fatta la vostra volontà! La vostra volontà è legge! Il vostro desiderio è comando!» Faceva la volpe che s’era spezzata la schiena a forza di piegarsi.

«Però vi devo avvisare di un fatto, un fatto ve lo devo dire, prima tempo, io.

Vi devo avvisare di un fatto che, po’, non ve la dovete prendere con me!

Il pecoruccio non è mio!» «E di chi è il pecoruccio? Chi è il padrone del pecoruccio? Che mi mangio pure a lui!»

Ha detto il leone che non riusciva a stare fermo per la fame, si mangiava l’aria a bocconi, a bocconate, la faceva bocconi bocconi.

«Il pecoruccio è di comare gatta Mirascka! Lei è la padrona! La padrona è lei! E gatta Mirascka ha sette palmi e mezzo di mustaccio! Selle palmi e mezzo di mustaccio! Tiene sette palmi e mezzo di mustaccio! E mi ha detto pure il particolare, che dove vi trova, vi deve sbranare!

Senza compassione vi deve sbranare!

Vi deve fare pezzo pezzo!

E il pezzo più grande dev’essere l’orecchio. L ‘orecchio deve essere il pezzo più grande!» Il leone, quando ha sentito quelle parole, è rimasto sbalordito, si è inferocito ancora di più. «Come? Ma come! Come può essere? Può essere mai? Non può mai essere! Non può mai essere, mai e po’ mai! Non può essere che un animale tiene il mustaccio più grande del mio!»

Ha detto il leone con tutto il petto in fuori. «C’è un animale più forte di me? Un animale più forte di me? Più forte di me! C’è un animale che mi manca di rispetto!» Ha preso il mustaccio il leone, l’ha steso bene bene, l’ha lisciato, l’ha allungato, ha allargato il palmo delle mani e l’ha misurato con le dita. E’ rimasto stupefatto, il mustaccio non l’aveva sette palmi e mezzo.

L’ha rimisurato, ma il mustaccio non era sette palmi e mezzo. S’è stupefatto il leone, s’è spaventato. Il mustaccio, un’altra volta, l’ha allungato, il più possibile, e non era sette palmi e mezzo. Non ce l’aveva sette palmi e mezzo.

«Ah! Per la miseria! Per la miseria! Questo è un diavolo veramente!

E’ veramente una tentazione!

E’ come quelli che non si nominano!»

Ha detto il leone che non stava a rifino per la fame.

«Eh! Compare maestà! Compare maestà! Eh’ Compare maestà! Quest’è la faccenda.

Gatta Mirascka tiene sette palmi e mezzo di mustaccio!

Sette palmi e mezzo di mustaccio!

E’ vi devo avvisare di un‘altra cosa! Un‘altra cosa vi devo dire!

Statevi attento, ma attento attento, ch’è colore di terra! Tiene 1l colore della terra!

Ve la trovate addosso e non ve ne accorgete nemmeno!»

Ha detto la volpe, Tolla la furba.

Il leone è tornato indietro e s’è allontanato dal pecoruccio piano piano, piano piano con la paura che, po’, qualcuno gli saltava addosso.

E il pecoruccio mangiava, il pecoruccio mangiava tranquillo.

«E una volta ch’è così. S’è così. Gatta Mirascka è più forle di me, è più grande di me.» Ha lasciato il pecoruccio pure il leone con la bocca amara, con la bocca vacante e s’è infilato nel bosco.

C'è rimasto male il leone e si guardava attorno intramentre che si allontanava.

Tolla la volpe ha salvato anche quel giorno il pecoruccio. Il pecoruccio, quieto quieto, sino alla sera, ha continuato a mangiare.

Po’, nel vespero comare Tolla ha preso il pecoruccio e l’ha portato al torrente ad abbeverare.

Il pecoruccio ha bevuto e dopo che ha bevuto si sono incamminati.

Si sono incamminati il pecoruccio e la volpe e sono andati gamba nella gamba, muso nel muso, orecchio nell’orecchio, faccia nella faccia, coda nella coda, occhi negli occhi, pedata nella pedata, piede nel piede, passo nel passo, orma nell’orma e sono arrivati a casa.

E’ stato il terzo giorno. Il terzo giorno, la terza volta che TolIa la furba ha salvato il pecoruccio dalle brame degli animali feroci e affamati, ghiel’ha tolto proprio dalle ciampe, proprio dalla bocca, proprio dai denti.

S’è ritirata a casa la volpe strutta e consumata. Tremava pari pari Tolla. Aveva la febbre, vaneggiava, aveva i sudori a freddo a pensare, al solo pensare a quello che aveva passato, che aveva patito; ma non diceva niente a gatta Mirascka.

A gatta Mirascka nemmeno una parola del lupo, nemmeno una parola del leone, nemmeno una parola del porcospino che volevano mangiare il pecoruccio. La volpe non ha raccontato niente di tutto quello che passava, a comare gatta Mirascka.

Si è ritirata la volpe. Ha chiuso il pecoruccio nello stalluccio.

Era intinta, inzuppata d’acqua Tolla; ha stretto il cappello, ha stretto il pastrano, scorrevano, li ha poggiati alla spalliera della sedia, davanti al fuoco, ad asciugare e s’è andata a gettare sopra la pagliera.

Zitta tu e zitta anch’io.

La sera, un’altra volta, la volpe e la gatta hanno mangiato, hanno bevuto e se ne sono andate a dormire.

Il quarto giorno, la quarta mattina, s’è levata ed ha ascoltato la gatta e non pioveva. Una bella spara di sole entrava nella casa e faceva giorno. Illuminava tutta la casa a giorno. Mò, per lo sconforto che doveva andare a pascene, la gatta s’è messa a dormire. S’è fatta gabbare dal sonno gatta Mirascka, non aveva genio per andare a pascere e s’è rimessa a dormire.

La volpe povenina, che era stanca, ha dormito, e ha dormito a sonno pieno, e pure lei s’è fatta gabbare dal sonno.

Il sole saliva e nessuno s’alzava. Il sole saliva nel cielo e Tolla dormiva. Il sole riscaldava e gatta Mirascka dormiva.

Era nella mattinata tardi e ancora non s’era alzata nessuna, né la comare gatta Mirascka né la comare Tolla la volpe.

Non si sentiva nemmeno un rumore, ancora non s’era alzato nessuno.

Quando se l’è vista, s’è svegliata la volpe. La volpe s’è svegliata e ha visto il sole che entrava nella casa.

Un filo di sole sulla fronte, proprio negli occhi che l’accecava, proprio negli occhi. La volpe, comare Tolla, la furba, ha aperto gli occhi e ha visto la comare gatta che dormiva ancora, ha avuto un risentimento, una specie d’ira e ha detto.

«Ah.’ cornare.’ Ah comare mia! T’ha gabbato il sonno?

Ti sei fatta gabbare dal sonno? Ah comare! Hai frutta la furba? E così non si fa, comare! Non si fa così, comare mia! Ti dovevi alzare, comare!

Ti dovevi alzare, cara comare! Dovevi andare a pascere il pecoruccio, comarona mia!

Mò, alzati! devi andare a pascere il pecoruccio! Non piove più!

Cara comare, mi volevi gabbare?» «E mò mi alzo! Mò mi alzo! Mò!»

Ha detto la gatta tra veglia e sonno.

E s’è alzata la gatta, piano piano, si è vestita, a poco a poco, si è lavata, lenta lenta, s’è messa la mantella senza lena, e ha preso qualcosa da mangiare, senza genio, e l’ha messa nella bisaccia, piano piano, ed è uscita fuori piano. La gatta non aveva nessuna voglia di andare a pascere il pecoruccio, non aveva nessun desiderio di andare per la campagna bagnata, non aveva nessuna fantasia di andare al bosco. E così ha fatto tardi.

Era già tardi e ha detto tra sé e sé, gatta Mirascka.

‘E mò! Dove vado? Mò! E mò, dove dovrei andare? Mò! Per questi maggesi? Mò!

Per questi maggesi a infangarmi i piedi e tutto?

In questi maggesi aJ farmi come un’ora di notte?

Per questi maggesi non ci vado! Se devo andare al bosco è lontano! E se viene un'altra volta a piovere?

E’ meglio che pascio qui attorno. Pascio qua e sto più tranquilla.’ E gatta Mirascka ha pasciuto il pecoruccio attorno alla casa, attorno attorno alla casa.

Ma il povero pecoruccio, attorno attorno alla casa, non s’è riempito la pancia. Attorno attorno, là, c’erano sterpi e sterponi, radiche e radiconi, macchie e macchioni, rovi e spine, canne e canneti e il pecoruccio non si è saziato.

Quel giorno, il quarto giorno, la gatta e il pecoruccio non ci sono andati al bosco. Intratanto che gatta Mirascka pasceva attorno alla casa, per combinazione si sono affrontati il lupo, il porcospino e il leone nel bosco, tutt’e tre nel bosco, e nel bosco si sono messi a ragionare.

Hanno ragionato e dopo tanti ragionamenti è arrivato il lupo e ha detto.

Ha cominciato il lupo spaventato e ha detto. «Mi dovete permettere che vi devo raccontare un fatto.

M’è successo un fatto, un fatto dell’altro mondo!

Un fatto che non ci credete! Un fatto! Così e così. L ‘altro giorno, ... e catatruppete e catatrappete..., nel bosco, ... e catatruppete e catatrappete..., avevo una fame, ... e catatruppete e catatrappete..., ho trovalo una volpe che pasceva un pecoruccio.

Tanto che era bello il pecoruccio, ... e catatruppete e catatrappete..., bello pasciuto! E’ tanto che era bello, ... e catatruppete e catatrappete..., e tanta ch‘era la fame che me lo volevo mangiare!

Me lo volevo mangiare, . . . e catatruppete e catatrappete..., e gli ero quasi addosso quando, catatruppete e catatrappete..., tutt’una volta mi ha detto la volpe, comare Tolla la furba.

‘Vedi che il pecoruccio non e mio. Se te lo vuoi mangiare, mangiatelo. Ma il pecoruccio è di comare gatta Mirascka con sette palmi e mezzo di mustaccio. Lei è la padrona. La padrona è lei!’ E io, io mi sono impaurito. E io ho avuto paura di questo animale con sette palmi e mezzo di mustaccio e non ho mangiato il pecoruccio. L‘ho lasciato.

L ‘ho lasciato pascere, con la fame che avevo e l’ho lasciala pascere.»

«Che! Che! Tu dici questo?

E’ che devo dire io! Io che devo dire?» Ha detto il porcospino incaponito, amareggiato, che ancora faceva la bava per l’amarezza.

«Questo m’è successo a me! Pure io ho affrontato la volpe con il pecoruccio che pasceva.

E compari miei! ... Avevo una fame, una fame che mi torcevo da solo!

Per la schiantata della fame cadevo! Andavo perendo per la schiantata della fame!» E s’è messo a raccontare pure il porcospino. «Così e così. Me ne andavo, ... catatruppete e catatrappete..., ho visto nel bosco il pecoruccio solo solo, ... catatruppete e catatrappete..., l’avevo quasi tra i denti, ... catatruppete e catatrappete..., la volpe m’ha detto che è a colore di terra e dove mi trovava, mi squartava, catatruppete e catatrappete... L’altro giorno m’è successo!

Proprio l ‘altro giorno, m‘è successo! Le stesse parole, compare mio!

Le stesse parole!

Proprio le stesse parole, compari miei! M’ha detto la volpe.»

E’ arrivato il leone con tutte quelle imponenze sue, con tutte le sue grandezze.

«Ma che state dicendo, voi!

A me ... A me è passato l’altro giorno! Qua! ... Proprio qua! ... Proprio dove siamo!

E avevo una fame che moriva e me lo volevo mangiare.

E mi ha detto quella schiantata di volpe. ‘Così e così. ... Catatruppete e catatrappete... mangiatelo!

Maestà mangiatelo, mangiatelo! Catatruppete e catatrappete... ma gatta Mirascka tiene sette palmi e mezzo di mustaccio!’ Catauruppete e catatrappete... mi sono misurato il mustaccio e mi sono spaventato. E che animale è questo? Che animalone è? Chi sa quanto deve essere grande questo animale!

Quanto deve essere grande per avere sette palmi e mezzo di mustaccio!

E ho lascialo il pecoruccio. L ‘avevo già sotto la ciampa il pecoruccio, ma dopo quelle parole non me la sono sentita, dopo quelle minacce non me la sono sentita.»

E intramentre che ragionavano hanno visto il pecoruccio che andava verso il torrente ad abbeverarsi da solo.

Solo solo, piede dopo piede, passo dopo passo, il pecoruccio si è avvicinato all’acqua e ha bevuto, s’è asciugato il muso e se n’è tornato. E po’, pietra dopo pietra, per non lordarsi le unghie, il pecoruccio è tornato, passo passo, la sera a casa con gatta Mirascka che lo guardava da lontano, lo teneva d’occhio da lontano.

Quando il lupo, il porcospino e il leone hanno visto il pecoruccio solo, solo solo, tutti quanti lo volevano pigliare, lo volevano scannare, lo volevano sbranare e se lo volevano mangiare. Po’ si sono ricordati le parole della volpe che aveva detto che gatta Mirascka ‘Non si vedeva, ch‘era a colore di terra, che gli era addosso in un momento’ e non l’hanno preso. Il lupo, il porcospino e il leone si sono messi d’accordo di prendere il pecoruccio il giorno appresso.

Il giorno appresso dovevano aspettare il pecoruccio al torrente e lo dovevano pigliare, lo dovevano uccidere e lo dovevano mangiare. «E sì. Una volta che è così. Vediamo che dobbiamo fare.

Gatta Mirascka non è la padrona di tutto e se cediamo sul pecoruccio ne va del nostro onore, ne va del nostro contegno.

Se si viene a sapere questo fatto, nessuno più ci rispetta, nessuno più tiene timore di noi.» Hanno detto il lupo, il porcospino e il leone. Hanno ragionato.

Così e così. Catatruppete e catatrappete, catatruppete e catatrappete, e catatruppete e catatrappete.

Nessuno si capacitava per l’offesa ricevuta. Tutti si volevano mangiare il pecoruccio. A tutti quanti il pecoruccio era rimasto in gola.

Il lupo, il porcospino e il leone volevano vendicarsi di comare gatta Mirascka e hanno fatto l’astuzia. Hanno fatto l’accordo. Hanno deciso come dovevano fare.

Dopo tante parole hanno deciso come dovevano fare, hanno concertato.

Ha parlato il leone. Allora ha detto il leone. Ha parlato il leone che era il re.

«Re’! Mò, quando va ad abbeverare il pecoruccio al torrente, allora è il momento!

Noi dobbiamo prenderci il pecoruccio, allora è il momento!

Allora il pecoruccio è lontano da gatta Mirascka!

E se noi ci lanciamo tutt‘in una volta, gatta Mirascka con sette palmi e mezzo di mustaccio non ci può fare niente, non ci può fare proprio niente.

Non sa a chi deve correre appresso!»

Ha detto il leone al porcospino e al lupo. «Mò, per non farci vedere, io mi metto in cima a un pioppo, in alto in alto. Mi nascondo nelle frasche del pioppo sulla riva del torrente. Mi metto in cima in cima, sopra al pioppo. Compare lupo! Tu ti metti nella macchia. Ti fai tutt’uno con la macchia, che è ripa ripa il torrente.

E tu! Compare porcospino, ti metti nella corrente dell’acqua. Proprio dentro, ma dentro dentro.

E intramentre che sta bevendo il pecoruccio, il pecoruccio beve e noi gli siamo addosso. Tu salti dall’acqua, esci dall’acqua e lo prendi; compare lupo esce dalla macchia e pure

lo prende; io mi getto dall’alto, da sopra il pioppo, e il pecoruccio non ci può fuggire; non ci può fuggire! Non ci deve fuggire ! Ce lo dobbiamo mangiare il pecoruccio! Però, accorti! Che ha detto comare volpe, che gatta Mirascka è a colore di terra, c’è addosso e non ce ne fa accorgere. Ci dobbiamo stare attenti!

Quella c’è addosso e non ce ne fa nemmeno accorgere.

Ci dobbiamo stare attenti!»

E così il leone, il lupo e il porcospino hanno fatto il patto, hanno stretto il patto così e si sono dati la mano, così veramente si sono accordati, hanno concertato così.

Il giorno appresso, nel vespero, sono andati ad appostarsi vicino al torrente dove il pecoruccio andava ad abbeverarsi, dopo che aveva pasciuto il giorno.

Il  leone s’è appostato sopra il pioppo, in cima in cima al pioppo.

Il  lupo s’è appostato nel chiuso della macchia, dove non lo poteva vedere e sentire nessuno. Il porcospino s’è appostato nella corrente dell’acqua, proprio dentro l’acqua. Intramentre che aspettavano, il leone guardava, stava attento, vedeva tutto. Dalla cima del pioppo si sporgeva a guardare e non veniva nessuno. Guardava e spiava il leone e nessuno compariva. Spiava negli alberi e non vedeva nessuno. Nessuno veniva tra le macchie. Ogni tanto si sporgeva e guardava, ma nella via non c era niente, nella via non veniva nessuno.

Il porcospino, che era nell’acqua, ha aspettato un poco, ha aspettato un altro poco e un altro poco ancora e po’ ha detto al lupo. «Compare, uè compare!

Il pecoruccio lo vedi o non lo vedi? Lo vedi o non lo vedi?

Gatta Mirascka c’è o non c’è?»

Da dentro la macchia il lupo ha sentito il porcospino, ha spiato e ha detto.

«Ma io non vedo niente!

Non vedo proprio niente!

La gatta non si vede e il pecoruccio non si vede!»

Ad un certo momento, al leone, ch’era sopra il pioppo, faceva, da sotto, il lupo, che era nella macchia, avvolto nella macchia.

«Uè! Compare! Ma vengono o non vengono? Vengono o non vengono?

il pecoruccio viene? Gatta Mirascka viene?»

«Ma io non vedo niente, uè compare! Non si muove niente!

Non si muove proprio niente, uè compare! Nemmeno una frasca si muove!

Nemmeno) u‘anima di vento!»

Diceva il leone che s’era messo la ciampa sopra gli occhi per il sole.

E dopo un poco il lupo al leone che guardava dal pioppo.

«Uè!... Compare! Ma viene o non viene? Viene o non viene? Il pecoruccio viene o non viene?» «Ma io non vedo niente!

Da lontano si muove qualcosa, ma non lo vedo bene!

Si muove e non si muove! .... Si muove e non si muove!»

Faceva il leone da sopra il pioppo

«Si muove e non si muove! .... Si muove e non si muove!»

al lupo che stava nella macchia.

E’ passato un altro poco di tempo e il lupo ha detto, un’altra volta, al leone.

«Uè!... Compare!

Il pecoruccio viene o non viene? Squartali bene gli occhi, squartali bene! Che quella è a colore di terra!» Ha risposto il leone che guardava lontano lontano sulla punta dei piedi sul ramo del pioppo. «Ma, uè compare!

Lo vedo uno che viene! ... Viene! Lo vedo appena appena!

Solo il pecoruccio viene! ... Solo il pecoruccio vedo, piano piano, che viene mangiando! Viene mangiando piano piano!»

Diceva il leone. «Aprili gli occhi! Uè compare! Squartali bene gli occhi, compare! Avessimo a fare come quelli del cunto! Che quella è a colore di terra! E’ a colore di terra! Uè compare!

Ci dovesse essere addosso e non ce ne fa accorgere, compare!

Compare, guarda bene! Che ci dovessimo ricordare la giornata»

Diceva il lupo che si agitava nella macchia. «E non vedo niente!

Vedo solo il pecoruccio che viene! Piano piano, mangiando mangiando.» Ha detto il leone con gli occhi aperti, spalancati.

Quella, andava pietra pietra che si bagnava, si sporcava i piedi, gatta Mirascka. Andava ombra ombra, andava tronco tronco, ramaglia ramaglia, petraro petraro andava comare gatta Mirascka e il pecoruccio andava mangiando.

Piede intra piede, pietra pietra è arrivata alla corrente dell’acqua, la gatta.

Quando s’è avvicinata all’acqua gatta Mirascka, stava bevendo il pecoruccio.

Com’è arrivata alla corrente dell’acqua, gatta Mirascka ha visto che nell’acqua si muoveva qualcosa come un pesciolino, s’è gettata nell’acqua la gatta per prendere il pesciolino.

Mò, al porcospino, che era dentro la corrente, gli usciva la coda sopra l’acqua.

La coda del porcospino, come un pesciolino, nuotava nell’acqua e gatta Mirascka s’era lanciata a prenderla.

E per la miseria! Il porcospino, quando ha visto che si era lanciata la gatta nell’acqua e stava per prendere la coda nelle unghie, lo scorreggiare, lo scorreggiare per il petraro a scendere, per dentro l’acqua, è andato come il vento ed è sparito.

La gatta, che ha visto all’intrasatta tutta quella sorta di animale che usciva dall’acqua, s’è spaventata ed è fuggita sulla riva del torrente.

E’ fuggita ed è andata nella via della macchia. Nella macchia c’era il lupo.

E’ arrivato il lupo, ha dato un salto per sopra la macchia ed è fuggito, ha saltato la macchia ed è arrivato all’altro versante della macchia, è caduto a terra e s’è azzoppato.

La gatta, poverina, ch’era tanto impaurita, tremava dalla paura, ha visto uscire il lupo, quella sorta di animale, tutt’una volta, dalla macchia, si è spaventata e pure lei è uscita dalla macchia.

‘Mò, non so dove devo scappare per fuggire dal lupo.

Se mi prende il lupo non mi lascia nemmeno gli occhi per piangere.’

Ha pensato Mirascka piena piena di paura.

‘Mò, me ne vado lungo il pioppo e non mi prende più nessuno. Il pioppo mi può salvare, solo il pioppo, mi può salvare!’

Ha detto tra sé e sé la gatta e l’ha fatto. S’è arrampicata al tronco in un lampo.

Il pecoruccio stava lungo la corrente dell’acqua. Lungo la corrente dell’acqua stava il pecoruccio e beveva.

Se n’è andata lungo il pioppo, gatta Mirascka. S’è arrampicata come una furia al pioppo.

Sulla cima del pioppo c’era il leone e ha pensato.

‘Ah! Marumè! Ah! Marumè! Oh! Marurnè! Mò, mi viene a mangiare qua!

Mò, viene proprio qua. Proprio qua mi viene a prendere!’

Ha preso, per sopra il pioppo, il leone, tutto tremante per la paura della gatta, e si è buttato giù, s’è gettato nell’aria, s’è gettato abbasso.

E’ caduto a terra il leone; ha fatto un solo volo a terra, un solo volo.

Nella caduta il leone s’è spallato e s’è messo a correre tutto storto per non farsi prendere da gatta Mirascka. E la gatta, alla cima del pioppo, guardava sbalordita e non credeva. Guardava stupefatta la gatta e tremava.

Le gambe non reggevano. Il cuore batteva come un battaglio di campana nel petto, batteva e suonava. Il cuore, gatta Mirascka, se lo sentiva in gola. La gola era seccata per la paura e non usciva nemmeno un grido.

E il pecoruccio, che era rimasto a faccia della corrente dell’acqua, stava e beveva.

Il fatto, ch’è stato?

S’era arricettato il mondo, non c’era più nessuno, tutto quel fuggi fuggi, tutto quello scappa scappa era finito, s’era calmato.

Il fatto è stato che il porcospino è entrato nel bosco, scorreggiando scorreggiando, e si è allontanato; il lupo, con le gambe mezze rotte, se n’è andato ed è scomparso nel bosco; il leone, pure, risentito nella spalla se n’è andato storto storto ed è sparito nel bosco.

E il pecoruccio stava in faccia all’acqua.

La gatta, po’, è scesa. Comare gatta Mirascka è scesa da sopra al pioppo piano piano, piano piano; una volta guardava a una parte e una volta all’altra, una volta guardava sopra e una volta guardava sotto, una volta guardava nell’acqua e una volta nella macchia. Un occhio era in cielo e un altro alla terra.

Alla fine è scesa gatta Mirascka dal tronco ed è andata a prendere il pecoruccio; e come il lampo, come una schioppettata si è ritirata a casa.

Nella giornata stessa, più tardi, intramentre stava facendo notte, si sono uniti, un’altra volta, il leone, il lupo e il porcospino. Hanno detto.

«Oh! Compare! Oh! Compare mio! Oh! Compare mio!»

Il lupo, teneva la gamba alzata e appoggiata al bastone, al porcospino e al leone.

Il porcospino, che si teneva la coda e la leccava per farsi passare il dolore, al leone e al lupo.

Il leone, che si torceva per il risentimento nella spalla e si lamentava, al lupo e al porcospino.

«L ‘avevo passato buono il guaio! Buono l’avevo passato il guaio!

Con gatta Mirascka che tiene sette palmi e mezzo di mustaccio! Ch‘è colore della terra! Che t’è addosso e non le ne fa accorgere! L ‘avevo passalo proprio buono il guaio!» Ha detto il porcospino con la coda tra le gambe.

Il porcospino teneva la coda nelle gambe dalla paura. Aveva la coda graffiata, usciva sangue. «Niente di meno!

Se non fuggiva come il lampo, gatta Mirascka mi avrebbe mangiato!

Ci avrebbe fatto un boccone! S’era lanciata per di dietro! M’aveva preso la coda e non mi lasciava! Per la coda mi aveva preso e non mi lasciava!

S’era attaccata alla coda, non mi lasciava! L’ho saputo solo io la paura! Il tremore che ho preso!

L’ho saputo solo io lo schianto! Solo io l’ho saputo! Solo io!

Quando ho sentito la coda, all’intrasatta, nelle sue unghie!

in quelle unghie che non perdonano! in quelle unghie che non ti fanno dire nemmeno un miserere!

Mi sono sentito perso e sono fuggito! E come sono fuggito!

E se io non me ne fuggiva lungo l’acqua, lungo il torrente mi mangiava nell’acqua.»

«A te, ti mangiava! A te, ti mangiava! A te! E io che dovrei dire?

Che dovrei dire io! Io che dovrei dire? Vedete come mi ha ridotto galla Mirascka! Vedete come mi ha ridotto!»

Ha detto il lupo che trascinava piano piano la ciampa a forza, che a malapena camminava. «E’ io! Io che devo dire?

Gatta Mirascka era venuta nella macchia! Pò era venuta nella macchia! Era venuta a pigliarmi nella macchia! Io stavo che dovevo saltare addosso e quella! Quella mi mangiava nella macchia senza remissione dei peccati!

E chi mi voleva perdonare? Ho dovuto fare un salto sopra la macchia! Ho dovuto saltare la macchia! Un solo salto sopra la macchia l Un salto per fuggire a gatta Mirascka! Sono arrivato all’altra verso della macchia! C’era il limitone tanto grande e tanto profondo e mi sono sentito nelle gambe! E’ mi sono sentito pure nelle gambe!

il dolore che tengo che ve lo dico a fare! Che ve lo dico a fare!»

Ha detto il leone, con tutta la sua imponenza, con tutta la sua arroganza, con tutta la sua superbia.

«E statevi zitti voi! Voi vi lamentate? Statevi zitti! Zitti zitti! Almeno statevi zitti! Lo so solo io e solo il cuore mio!

Lo so solo io quello che ho passato! Solo io lo so e nessuno più! Io stavo tranquillo tranquillo sopra il pioppo, proprio in cima, in cima in cima! E gatta Mirascka si è arrampicata come un lampo! Come una furia!

Come un accidente e mi veniva a prendere! Quando ho visto che s’è arrampicata al pioppo, la gatta, ho detto, ho pensato! Mò, mò, mò òi viene a mangiare qua! Mi viene a sbranare qua!

Se mi prende non ho nessuno scampo!’ Ho preso e mi sono gettato dall’alto, e mi sono rotto tutte le costole!

il costato mi sono rotto! La spalla non me la sento proprio!»

Dopo che il porcospino era fuggito giù per il torrente, dopo che il lupo era fuggito per la macchia e dopo che il leone era fuggito gettandosi dal pioppo, la gatta, comare gatta Mirascka, ha fatto calmare un poco il mondo ed è scesa dal pioppo.

E’ scesa gatta Mirascka dal pioppo, piano piano, piena di paura e di spamento, con la paura del lupo, del porcospino e del leone.

Comare gatta è scesa dal pioppo, ha preso il pecoruccio e si è avviata a casa della volpe, di comare Tolla la furba.

La gatta è tornata e ha chiuso il pecoruccio.

S’è ritirata la sera gatta Mirascka e non ha detto niente alla volpe di quello ch’era successo. Non ha fatto parola del porcospino nell’acqua, del lupo nella macchia, del leone sul pioppo.

Zitta tu e zitta io.

Comare gatta s’è seduta a tavola e intramentre che mangiava ha detto solo.

«Comare.’ Uè comare!

Vedi che dobbiamo vendere il pecoruccio che io me ne devo andare!

Io me ne devo andare! Non ci voglio stare più qua! Qua non ci voglio stare!»

«Ebbe’!... Ebbe’!... Ebbe’!... ll pecoruccio ancora deve fare grande! Il pecoruccio vuole essere ancora pasciuto! Deve fare grande ancora il pecoruccio! Il pecoruccio ancora deve essere pasciuto! Il pecoruccio ancora deve fare grande!» Ha detto la volpe Tolla tra un boccone di pane e un sorso di vino, tra un morso di formaggio e un sorso di vino.

«Io non voglio sapere niente! Lo dobbiamo vendere, immediatamente! Lo dobbiamo portare alla fiera! Immediatamente lo dobbiamo vendere! Lo dobbiamo vendere immediatamente! Quando l‘abbiamo venduto, dobbiamo spartire i soldi e devo ritornare al paese. Io me ne devo tornare al paese! Lo so io che ho passalo e che non ho passato, oggi! Sono viva per miracolo! Per miracolo mi trovo viva!»

«Oh! Comare mia!

E che t’è successo! Comare mia! Che t’è successo!

Dimmelo, che t’è successo!

Che ne possiamo ragionare! Comare mia! Che è il fatto! Comare mia!

Che non ne vuoi nemmeno parlare!» Diceva la volpe intratanto che mangiava. E po’ gatta Mirascka ha contato il fatto . . . catatruppete e catatrappete, e catatruppete e catatrappete... del porcospino ... catatruppete e catatrappete, e catatruppete e catatrappete... del lupo . . . catatruppete e catatrappete, catatruppete e catatrappete... e del leone che l’avevano appostata, che se la volevano mangiare, per filo e per segno, alla comare e la comare l’ha dato ragione.

«E’ va bene! Come vuoi tu!

Aspettiamo a domani, domani è fiera e andiamo a vendere il pecoruccio.

Alla fiera, domani, l’andiamo a vendere.» Ha detto la volpe.

Comare Tolla la volpe non ha detto a comare gatta Mirascka che pure lei aveva incontrato il lupo, il porcospino e il leone, e non ha detto niente che aveva raccontato di gatta Mirascka cose strabilianti, cose stupefacenti e cose dell’altro mondo: che gatta Mirascka aveva sette palmi e mezzo di mustaccio, ch’era a colore di terra, che gli era addosso senza che la potevano vedere.

E così le due comari, la volpe e la gatta, hanno mangiato quel poco che c’era, hanno bevuto e sono andate a dormire.

E nella nottata hanno dormito a sonno pieno, hanno dormito placide e tranquille, l’una vicina all’altra nella pagliera.

La mattina dopo era fiera, una bella fiera grande con tanti animali, con tanti pastori, con tanti mercanti, con tanti sensali.

La mattina, ben presto, gatta Mirascka s’è svegliata con il gallo, ha svegliato comare volpe, Tolla la furba, e si sono alzate, si sono lavate, hanno fatto i bisogni loro, hanno mangiato pane e formaggio, hanno cacciato il pecoruccio e si sono avviate alla fiera.

Si sono avviate alla fiera una appresso all’altra, una dietro l’altra, una avanti l’altra, una a fianco dell’altra e sono andate alla fiera con il pecoruccio che camminava, camminava camminava, e sono andate.

Sono andate alla fiera a vendere il pecoruccio. Il pecoruccio l’hanno venduto. L’hanno venduto dieci soldi.

I soldi se li spartiti. Sono andati cinque soldi per ciascuna e ognuna se n’è andata per conto suo.

E così è stato il fatto di comare gatta Mirascka che aveva sette palmi e mezzo di mustaccio, che era a colore di terra, che ti era addosso e non te ne faceva accorgere.

E così è stato il fatto di gatta Mirascka che ha fatto impaurire certi animali più grandi e più forti di lei con i fatti che aveva detto la volpe, Tolla la furba.

Il  lupo, che, dicono, è tanto malamente, è tanto affamato, è tanto malvagio, è tanto solarino, si è messo paura ed ha saltato la macchia; ed è fuggito nelle stramacchie.

Il    porcospino, che, dicono, è tanto arrogante, è tanto aspro, è tanto scontroso, è tanto amaro, s’è infugato lungo il torrente; e pure è sparito acqua acqua.

Il leone, che, dicono, è tanto forte, è tanto coraggioso, è tanto potente, è tanto grande, si è gettato dall’albero e un altro poco ci trovava ricetto; e pure lui è fuggito bosco bosco. Sono fuggiti tutti quanti davanti a gatta Mirascka che ha sette palmi e mezzo di mustaccio, che è colore di terra, che ci è addosso senza farsene accorgere.

Il lupo, il porcospino e il leone si sono impauriti perché la volpe ha raccontato una cosa per un’altra di comare gatta Mirascka, con sette palmi e mezzo di mustaccio, ch’è colore di terra e che dove ci trova ci lascia straziati e morti.
 

 

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