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I RITI ALBANESI IN BASILICATA
RETHNES E NUSAZIT


I riti degli eredi di Scanderberg sopravvivono in Basilicata. A Maschito i Rethnes, i Nusazit a San Costantino Albanese. La tradizione conserva l'antico fascino. Gli Skipetari vennero a trapiantarsi nelle regioni meridionali dopo l'eroica resistenza ai turchi invasori. Nei paesi lucani le etnie albanofone parlano ancora la lingua d'origine.

Quando Scanderberg arrivò in terra italiana per dare una mano a Re Ferrante di Napoli contro i Baroni in rivolta, si portò dietro un popolo in fuga dinanzi ai Turchi invasori.
Usanze, costumi, lingua albanesi mettevano piede nelle regioni meridionali, una cultura diversa veniva a trapiantarsi, più di cinque secoli fa anche in Lucania. E ancora oggi il micromondo albanese sopravvive in magico isolamento con la sua lingua e le sue tradizioni. E fra queste, belle e straordinarie, le feste.
L'ultimo sabato di aprile sono di scena i Rethnes a Maschito.
La parola è albanese, e significa cavalcata degli angeli.
Quasi tutti i bambini e le bambine del paese vestono abitini bianchi o colorati a simboleggiare l'innocenza degli angeli e la castità delle madonne. Quando il fuochista spara il primo botto, i Rethnes si avviano all'entrata del paese e di qui, allo sparo del secondo botto, iniziano la cavalcata preceduti dalla banda e seguiti dai più anziani che intonano canti di devozione alla Madonna.
Una volta, fino a qualche tempo fa, tutti i bambini montavano cavalli e muli, ora sostituiti da motocarrozette e macchine agricole. La fervida immaginazione dei maschitani arricchisce di significati simbolici i Rethnes, rievocando dalle memorie non tanto lontane le figure dei pastori delle transumanze che nei loro spostamenti invocavano la figura di San Michele Arcangelo. Il Santo, con la sua spada fiammante doveva proteggerli dal diavolo delle tentazioni e dai predoni e banditi. Nella processione, infatti, non mancano bambini vestiti di rosso come il cappuccetto delle favole.
La cavalcata procede lentamente fino alla secolare chiesa del Caroseno dinanzi alla quale i Rethnes fanno in tondo i rituali tre giri di devozione cantando e pregando.
Qui il parroco, al termine della cavalcata, impartisce la benedizione. Il pellegrinaggio è compiuto, l'appuntamento è al prossimo ultimo sabato di aprile dell'anno venturo, quando questi e altri bambini torneranno a vestire gli stessi abitini votivi di San Michele Arcangelo per invocare la grazia alla Madonna dell'Incoronata. E sui bianchi abitini di velo rimetteranno, come sempre, i pochi oggetti preziosi delle mamme, collanine e anelli, braccialetti d'oro, orecchini, la scarsa ricchezza nuziale che la dignitosa povertà delle famiglie contadine tira fuori dai cassetti solo nelle grandi occasioni.
Colore, fantasia, forte vincolo alla tradizione arbereshe animano anche la festa della Madonna della Stella che si celebra a San Costantino Albanese nella seconda domenica di maggio.
Il primo incontro è con i Nusazit, che significa "sposini" o più semplicemente "pupazzi" in cartapesta pronti per essere distrutti dai fuochi pirotecnici.
L'usanza non è albanese, anche se gli albanofoni di questa antica colonia discendente dai Coronei le hanno dato un nome della loro lingua.
Si racconta che a importarne la tradizione, tanto tempo fa, sia stato un emigrato di ritorno dal Massiccio del Pollino.
Comunque sia, quando la sacra immagine della Madonna appare sulla porta della chiesa, i Nusazit iniziano la loro danza di morte e di annientamento. Mossi dalla forza dei botti pirotecnici i pupazzi di cartapesta girano su se stessi e si autodistruggono in mezzo a una nuvola di fumo. Dapprima viene dato fuoco ai due fabbri che sono al centro della scena che si muovono con gesti regolari mentre fanno cadere i martelli sull'incudine, poi al massaro e quindi alla pulzella, nel tipico costume albanese, lo "Stullite". E infine è la volta del truce diavolo, tutto nero e cornuto, bifronte e minaccioso come un Giano emigrato, gira su se stesso mentre se ne va in frantumi pezzo dopo pezzo.
Sul fragore dell'ultimo botto si innesta la marcia della banda che accompagna la Madonna per le vie processionarie di San Costantino Albanese, un piccolo paese di appena 1.200 abitanti a un tiro di schioppo dal maestoso e ancora innevato Massiccio del Pollino, coperto di boschi e foreste fino al greto del Sarmento.
Anche qui, come vuole la tradizione lucana e meridionale, ragazze nubili precedono la sacra effigie portando sul capo piccoli castelletti di candele che chiamano "scigl", per voto o per grazia ricevuta. Sono ragazze ancora senza marito che alla Madonna, col tacito linguaggio del rito, chiedono la grazia e la propiziazione del matrimonio. Il velo bianco che cinge il loro capo parla un linguaggio universale.
Quando nell'ora del Vespro la processione arriva al Santuario sul colle, con mano veloce lo "scigl" viene smontato, le candele verranno depositate in chiesa, sono l'offerta alla Santa Patrona.
Ed ecco, dalle usanze dell'antica terra skipetara emerge anche il Pope avviluppato nel mantello dorato e circondato dai simulacri del rito copto ortodosso.
Pie donne, a seguito della Santa Patrona, intonano per tutta la durata della processione rosari e ave maria in lingua albanese.
Poi l'ultima tappa, la Madonna della Stella viene riportata nella chiesetta in collina, nel silenzio della foresta. E di qui, fino alla prossima festività fra un anno, vigilerà sui suoi devoti.
 


Testo di Domenico Notarangelo
tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1989

 

 

 

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