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PAOLO EMILIO SAVINO
 

testo tratto dalla "Basilicata nel Mondo" (1924 - 1927)

 


In Maschito, paese dalle belle vigne, vicinissimo alla patria di Orazio, nacque il 16 ottobre del 1839 Paolo Emilio Savino, al quale Fede e Scienza baciarono I a fronte della luce più calda e luminosa, disposandosi, nel suo spirito, in una armonia infinitamente mistica e austera.
Fu secondo dei sette figli del valente medico Teodoro e di Maria Cucci, famiglia d’origine albanese, trapiantata in Italia alla venuta di Giorgio Catriota Scanderbeg, che portò aiuto a Ferrante d’Aragona assediato in Barletta.
Il Savino fu dal padre avviato per tempo ad una squisita educazione.
A soli sei anni, fu messo nel Collegio Nazionale di Foggia, dove primeggiò sempre nelle classi cui appartenne.
A quattordici anni, dispensato dall’età — per non aver raggiunto 1’ età della laurea secondo i regolamenti universitari di quell’epoca — otteneva nella R. Università di Napoli il primo grado di approvazione nella facoltà di Belle Lettere e Filosofia. Uscitone laureato, l’animo suo bramoso di sapere, all’età di venti anni — nel 18 settembre 1858 — otteneva anche una laurea ad honorem in medicina, distinguendosi sempre fra i colleghi, tanto da rendersi emulo il celebre medico Francesco Frusci di Venosa.
Trovandosi d’avere appreso sapientemente il latino e greco, s’inoltrò nelle lingue francese, spagnuola, portoghese, tedesca ed albanese. Negli anni d’indefesso lavoro allo studio, non trascurò il disegno e la musica che aveva incominciato ad apprendere da fanciullo. Il babbo suo che molto l’amava, dovette acquistare un’arpa ed un pianoforte per lui che, diplomato, seppe suonare con estrema valentia. - Fu puro amantissimo del bìlto.
Nel 1859 si sprigionò dall’animo del giovane una frenetica voglia di conoscere l’Italia.
Ma nella sua breve peregrinazione scientifico-letteraria per le migliori città, non trascurò di visitare Università e consultare Biblioteche: arricchita così la mente di nuove e maggiori cognizioni fece ritorno a Napoli.
Il giovane, che in questa città aveva sperato smorzare in parte la passione di viaggiare, ammesso nei migliori salotti di quella nobiltà, ne contraeva un’altra di maggiore forza. Si vuole che, affascinato dalle grazie di una contessina, che, per un tempo non lungo, gli corrispose e, venuta costei meno alla promessa fatta, fece ritorno presso l’adorata mamma che insistentemente lo aveva chiamato presso di sé — Per due anni esercitò nella sua Maschito la professione di medico, in questo modo, essendo a continuo contatto
con la miseria dei concittadini, l’animo suo, pregno di nobili sentimenti, ne rimase grandemente scosso. E lo si vide prestare ad un tempo la sua opera professionale gratuita e soccorrere coi propri mezzi gli infelici che l’attendevano come un angelo consolatore.
Il giovane, che fino allora aveva vissuto tutta una vita di piaceri e di sollazzi, compunto, si confida alla madre, che a soccorrere l’animo del figlio gli ispira la lettura dei Santi.
Il Savino preferisce le opere di S. Alfonso e, seguendo l’esempio del gran dottore della Chiesa, cerca abbandonare il mondo e farsi monaco Teresiano.
Questa fu la vera causa della conversione, non come più tardi si volle far credere. Difatti si racconta che una notte l'immagine di uno scheletro si sia presentata nella sua stanza da letto ad ordinargli nel nome di Dio:
« Abbandona questa via di perdizione e fatti milite del Signore ».
Codesta è leggenda che trovò fede soltanto nel fanatismo del popolino, il quale ancora oggi permane nella propria convinzione.
Il padre, che lo amava, ed avrebbe voluto averlo vicino in aiuto dei suoi tardi anni e dei suoi sacrifici, contrastò questa volta l’espresso desiderio del figliuolo.
Il giovane ubbidì, com’era avvezzo, ma non abbandonò dall’animo l'impulso della grazia in cui sentivasi trasportato.
Ricorreva il centenario di S. Pietro e in questa ricorrenza chiese ed ottenne dai genitori di recarsi a Roma. Qui comincia per il Savino una vita tutta nuova. Giunto nell’Urbe, invia ai genitori una lettera di congedo, piena di amore e di fede, perchè già iscritto missionario nell’ordine di S. Vincenzo de’ Paoli. Compiuto il noviziato e gli studi necessari nel Seminario di Parigi, ne uscì, missionario.
La gente umana, che la parola e l'amore di Gesù non avevano ancora redenta a una civiltà migliore, attrasse magicamente la sua pietà. Essere il seminatore del deserto; parlare di Dio, dell’amore, della civiltà, della fratellanza universale, aprire gli occhi di quelle turbe di ciechi dello spirito alla luce della verità divina. E andò: predicò il Vangelo, come un apostolo della prima era cristiana, nelle Americhe, nelle Indie, nel Giappone, nella Cina, nell’Australia. Convertì, redense, battezzò, in nome di Cristo. Affrontò serenamente, come solo i degni di martirio sanno fare, pericoli e insidie di ogni sorta, fra tribù selvagge, inospitali, aggressive, molte volte antropofaghe della carne dei bianchi.
Per quarant’anni, infaticabilmente, non lasciò mai le missioni e non le avrebbe sino alla morte lasciate, se la febbre gialla, da cui fu colpito nelle lande e nelle giungle dell’India, sconfinatamente colme del barrito degli elefanti, dell’urlo degli sciacalli e del grido delle tribù guerriere, non lo avesse costretto a tornare in Italia.
Quivi, poverissimo, ed estenuato nelle forze del corpo, quantunque potenti fossero sempre in lui le energie del pensiero e dello spirito, si rifugiò a vivere nell’orfanotrofio Cervone Vernieri, in Campagna di Eboli, assumendone il titolo e l’incarico di direttore spirituale. — Costantemente, ostinatamente, santamente, rifiutò le più insigni prelature, per vivere nello studio, nella preghiera, nella penitenza, nella macerazione. E in Campagna di Eboli morì, in odore di santità, il 27 di aprile del 1915. « Explevit tempora multa ».
Sulla casa, nella quale Paolo Emilio Savino nacque, Maschito si appresta a murare — in ricordo perenne di Lui — una bellissima lapide. E bene fa il paese natale ad onorario: perch’Egli non solo è un grande benemerito della civiltà , ma è anche uno dei più eletti e felici tipi rappresentativi della stirpe lucana, la quale, sul fondo della sua anima, infrenabilmente mistica e ascetica — non per nulla le nostre montagne sono tanto alte verso il cielo ! — innesta le più solide e quadrate virtù costruttive, sia nel mondo ideale dei pensiero che nel campo pratico dell’azione, sia nella tenacia delle creazioni rudi, materiali, che nella capacità di perfezionare, affinare ed elevare lo spirito, sino a Dio.
Come Francesco di Assisi, il Santo, che la Povertà « di di in dì amò più fortemente » è il tipo, che con più perfezione caratterizza e anima la dolce e verde terra di Umbria, così Paolo Emilio Savino potrebbe essere il santo della gente lucana. Egli fa pensare a Vincenzo de’ Paoli, il fondatore dell’ordine dei Lazzaristi, per il suo amore verso la infanzia derelitta: a San Carlo Borromeo, per la sua prodigalità filantropica; a Paolo di Tarso, per la sua fede ardente, fattiva, apostolica, per la sua predicazione infiammata, per la sua coltura, per il suo talento.
La versatilità e l’eclettismo dell’ingegno di Paolo Emilio Savino e della sua vastlssima e solidissima dottrina, letteraria e scientifica, storica e filosofica, politica e religiosa, è dimostrata dalla varietà delle sue pubblicazioni.
Menzioniamo, anzitutto, un suo poderoso libro di apologia cristiana, tradotto in molte lingue: La Fede e l’Incredulità davanti al tribunale della Scienza, nel quale si rivela il segreto profondo del suo spirito vigile e sereno, tutto inteso nello sforzo, veramente fecondo di benefizio alla umanità, di conciliare le due grandi leve, spesso contrastanti, dello spirito e del pensiero umano : la Fede e la Scienza. E poi: Lettere politiche al Re, al Senato, al Parlamento; Magnetismo, ipnotismo e spiritismo; Che cosa è l’Inferno?; La guerra balcanica e la guerra libica; Il modernismo; La quistione romana, libro, che va attentamente segnalato, perchè in esso come in tutta la sua vita di missionario, attraverso i continenti, Paolo Emilio Savino, pur facendo salve certe prerogative della Sede Apostolica, rivela il suo spirito sinceramente e fervidamente italiano. Abbiamo ancora di lui : Manual del misioner, La religione della Bibbia, Katholicismen och protesthantismen, e molte altre pubblicazioni in varie lingue, perchè Paolo Emilio Savino non è solo un puro e forbito scrittore italiano, ma poligrafo dotto, maestrevole, spesso elegante, sempre espertissimo conoscitore della tecnica, della finezza, delle armonie delle lingue, nelle quali scrive. Fu grande polemista e poliglotta castigato, avvincente.
Molte delle sue opere sono rimaste inedite. L’ immensa operosità della sua vita, tutta spesa nella nobile fatica di pensare e creare il bene, non gli permise di ordinarle, rivederle, organizzarle, pubblicarle tutte.
A questa pubblicazione postuma, noi speriamo che provvederanno il fratello di Lui, il colto e ottimo signor Settimio Savino, e il di lui nipote professore Teodoro. Noi gliene rivolgiamo monito e incoraggiamento. Non perchè qualche cosa manchi o rimanga incompiuta nella figura dell’Insigne Lucano, loro congiunto, che — in questo nostro tempo delle piccole gloriole carpite — sta sopra una altezza ideale, costruita con i quarant’anni di apostolato civile e cristiano, ma perchè siamo convinti che quelle pagine inedite di Paolo Emilio Savino molto bene potranno ancora fare alla nostra sempre più nevropatica e sempre più psicopatica società contemporanea.
Ogni pensiero di Lui rivela una traccia del Signore.
Pensando della sua azione benefica, meditando sui suoi libri, si può dire, veramente : Egli ha sempre operato secondo il bene.

ACHILLE STANISA
 

 

testo tratto dalla "Basilicata nel Mondo" (1924 - 1927)

 

 

 

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