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PIETRAPERTOSA: FRANCESCO TORRACA

tratto da "LA BASILICATA NEL MONDO" 1924 /1927

 

 

A chi non è noto il nome di Francesco Torraca?

E a chi mai non è palese la sua fama?

Ma è un figio della Basilicata e questo forse non tutti sanno, e questo si vuoi dire in una rivista, che porta nel mondo la voce della più desolata regione d’Italia, e si vuoi dire agli italiani di Basilicata, che amino la loro terra e ricordino le sue sventure e le sue grandezze, che vivano almeno un pò ditali memorie e, se mai, se ne riconfortino e si credano però idealmente e spiritualmente congiunti all’anima e al suolo della loro regione e della Patria.

Francesco Torraca, dunque, è nato il 18 febbraio 1853 a Pietrapertosa, un paese inaccessibile,
tal ch’ogni vista ne

sarebbe schiva,

Un paese alto nelle sue rocce ben 1050 metri, a cui si accede ancora per via mulattiera, e da dove poi finalmente si gode una vista immensa e purissima.

E di là, quando l'Italia era ancora nel tormento della sua unificazione politica e spirituale, nel maggio 1869, l’oscuro giovinetto, pieno lo sguardo del paesaggio che dall’alta casa paterna gli si squadernava vario ed infinito, e piena la mente di letture varie pur esse e vaste, sebben disordinate, mosse indi il primo volo al par d’un aquilotto desideroso di nuovi cieli, e corse a Napoli a compire l’adolescenza e a saziare 1’irrequietissimo ingegno.

E quivi, nell’aere balenante di memorie patriottiche e fresco di nuove correnti culturali e letterarie, s’imbatté nella scuola di Luigi Settembrini e di Francesco De Sanctis, all’ insegnamento del quale ultimo fu, per sua confessione, debitore di un svolgimento intellettuale organico e di un assestamento completo delle idee, che prima s’erano informate alla tradizione retorica e mortificante, e fu debitore di quella coscienza sdegnosa “d’ogni ipocrisia e ciarlatanismo ,, e di quel senso del giusto e del reale, che fu d’allora in poi tutt’una cosa con l’esattezza e l'accuratezza del giudizio critico e fu il genio fondamentale, direi, che lo guidò e lo condusse e lo mantenne integro e magnanimo attraverso la multiforme attività data all’amministrazione dello stato, all’insegnamento e, da qualche anno, ai lavori dell’alta camera senatoria. Ma se da questi due grandi, e specialmente dal De Sanctis, e anche dall’esempio del Carducci, che nell’84 lo salutava Valente scrittore critico e nel 93 lo incitava al commento della Divina Commedia, gli venne ispirazione e conforto a così nobile e vasta opera, suo fu l'ingegno disposto a veder chiaro nei documenti e nei testi e suo fu il modo di leggere nelle minuzie senza perdere l’insieme, il nocciolo importante della questione, il punto ideale di riferimento, da cui si possa ricreare o ripresentare l’opera d’arte, o esaminare il componimento e le varie parti di esso in se e in relazione alla vita dell’autore, e alla storia e al tempo in cui esso componimento fu prodotto.

Talché, questa facoltà tutta sua di vagliare, discriminare, contrapporre documenti a documenti, rilevare, concludere storicamente ed esaminare esteticamente, ha fatto di lui un critico originale ed inconfutabile, qual si richiedeva dopo gli indirizzi critici incompleti, disorganici che han tenuto per molto tempo il campo nella cultura italiana; ha fatto cioè di lui un critico storico estetico che insieme col Carducci, col d’Ancona, con lo Zumbini, il D’Ovidio e il Croce ha potenziato, oltre che per la varietà e la quantità, per la profondità, in modo esemplare, la critica letteraria italiana dalla morte di F. De Sanctis ai giorni nostri, e ne ha fatto un Maestro, un animatore, un suscitatore ed un saggio correttore delle esuberanti energie dei giovani scolari, intorno a lui affollantisi pazienti e desiderosi di apprendere.

E che Maestro egli sia può dir solo chi ha avuto il piacere di sedere in quei banchi e di sentire la parola sua or calma, pacata, serena nell’indagine e nell’analisi, or grave, solenne e commossa nella lettura dei grandi poeti e nella rievocazione dei fasti della patria e dei martini della gioventù studiosa, immolatasi liberamente per il riacquisto dell’unità fino ai termini sacri del Quarnaro.

Chi ha vissuto quelle ore di scuola nel pomeriggio napolitano, ricco di sogni e di malie indicibili, non può dimenticare e la Scuola e il Maestro; e, se ha virtù di spirituale coscienza, non può non ispirarsene e farne viatico intellettuale e morale.

Io non posso e non debbo, e non è il luogo adatto questa rivista, fare l’elenco dei molti volumi, né riassumere, sia pur brevemente, il contenuto dei principali di essi; ma dico solo che tra monografie, saggi, rassegne, storie letterarie, rendimenti accademici, letture e discorsi, ad incominciare dal riassunto di cinque conferenze del De Sanctis sul Machiavelli, fatto nel 1869, fino ai Nuovi Studi Danteschi pubblicati nel 1921, il numero dei lavori di quest’uomo infaticabile, ascende a quasi duecento.

Ho nominato gli studi danteschi, e devo anche umilmente soggiungere che nello studio accurato, minuto, completo di molte questioni dantesche, nel commento magnifico, a tutto il poema, nell’illustrazione particolare di qualche canto fatto in Orsanmichele, a Firenze, alla Casa di Dante in Roma, qui in questi studi e nella critica della critica altrui, nella rielaborazione dei vari giudizi e nella sintesi sua e nello sguardo e nell’esame estetico del poema e dell’opera di Dante, splendono di purissimo splendore l’ingegno e l’animo di Francesco Torraca, e rosseggia di inestinguibile fiamma l’amare per le grandi memorie e le nobili tradizioni della patria italiana.

Or quest’uomo di cui ho ritratto un pallido profilo, impostomi oltre che dall’amore all’uomo della mia terra, dal desiderio di un amico che vuol far conoscere la Basilicata a noi stessi; quest'uomo che è stato fatto segno all’affettuosa dimostrazione di discepoli e di ammiratori in varie occasioni, e nel 1911, trentaseiesimo anno del suo insegnamento, e nel 1922 in cui fu fatto senatore del regno, dimostrazioni che si concretano in due raccolte di studi di erudizione e di critica, quest’uomo dico, sia nella gloria che nelle sventure domestiche, da cui è stato due volte gravemente colpito nella vita, che gli auguriamo lunghissima, non si è né esaltato ne abbattuto, mai, come il savio gentil che tutto seppe; ed è rimasto sempre fermo al suo dovere ed ha saputo pianger dentro ed ha solo qualche volta sorriso di compiacenza e di un sorriso rivelatore della bontà e dell’ ingegno vivissimo, agli ammiratori ed agli scolari che gli battevano le mani ed ha sempre guardato all’alto e guarda tuttavia e il  mal cammin dispregia.

Voglioso soltanto del bene altrui e di quello della Patria.

 

PIETRO ROSA
 



tratto da "LA BASILICATA NEL MONDO" 1924 /1927

 


 

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