Chiesa di
Santa Maria del Sepolcro
Dai Templari ai
Francescani
La Chiesa di S. Maria del
Sepolcro, documento d'arte catalana
Negli ultimi decenni del sec. XV, dunque, l’antica chiesetta del S. Sepolcro,
divenuta poi S. Maria del (S.) Sepolcro, lascia il posto ad una chiesa più
grande e artisticamente più bella (nobilior la definisce il Wadding) le cui
movenze architettoniche si richiamano al gotico catalano, tipica espressione del
provinciale artistico in voga, nell’Italia meridionale, sino alla metà del sec.
XV: da Napoli a Palermo, da Fondi a Capua, a Carinola e a Roccamonfina, da
Angri, a Nocera e a Teggiano, da Morano Calabro a Cosenza.
In Basilicata, questo tardo goticismo, come al solito per gli altri fenomeni
culturali e artistici, giunge con qualche decennio di ritardo lasciando però,
tracce notevoli sia nell’architettura civile che in quella religiosa.
Dalla badia di Banzi a S. Antonio di Tricarico, dall’ex palazzo comunale di Tito
all’ex palazzo Goffredo di Potenza, attuale sede del Conservatorio Musicale, dal
portale della chiesa di S. Antonio di Rivello al portale del convento di S.
Antonio di Tito, per fare solo qualche esempio.
Il centro lucano più importante e significativo del gotico-catalano resta
certamente Potenza con lo stupendo complesso di S. Francesco e la chiesa di S.
Maria del Sepolcro di cui ci stiamo occupando.
Sarebbe vano ricercare in Ispagna, nota il Pane, l’esatta origine di questo
stile e, in particolare, di quell’arco ribassato che si sviluppa in una figura
rettangolare. In realtà, esso non è visibile nemmeno in Catalogna e perciò è da
riconoscersi piuttosto come il risultato di un incontro fra la estrema
tradizione gotica, angioina-durezzesca, e quella toscana, specie senese.
Il gotico-catalano dunque, è creazione del tutto locale, meridionale. Oltre
all’arco ribassato, questo stile presenta come caratteristiche il pilastrino
composito od ottagonale, la finestra rettangolare quadripartita, il portale
dall’arco ribassato o a tutto sesto, riquadrato all’esterno da una cornice
semplice o ricurva a bastone oppure sotto un arco più ampio che poggia su
mensole à doccia.
Nell’architettura religiosa, poi, preferisce la monofora trilobata, l’abside dai
leggeri costoloni rampanti che, mentre ne solcano con grazia la calotta,
costituiscono un mirabile ardimento statico. L’arco maggiore, in genere, alle
basi e nei capitelli, conserva elementi floreali o zoomorfi mentre la navata,
moderatamente slanciata in alto, è divisa in campate con volta a crociera
ogivale.
Nelle chiese francescane intonate a questo stile, sorte per lo più in aperta
campagna, la facciata presenta un pronao a tettoia spiovente con tre archi
mentre, nella parte superiore, arretrata, si ammira un oculo, come nel santuario
della Madonna dei Làttani a Roccamonfina o una monofora trilobata, come nella
Chiesa di S. Bernardino a Morano Calabro.
Quando la chiesa invece, sorge nell’ambito cittadino, essa si presenta senza
pronao per cui acquista molta importanza il portale centrale, come nella chiesa
di S. Francesco in Potenza, ristrutturata in catalano alla fine del ‘400.
La pregevole porta lignea di questa chiesa infatti, ricca di motivi tardogotici,
è incorniciata da uno stupendo portale catalano in pietra il cui arco,
riquadrato da una modanatura rettangolare, è arricchito di intagli floreali.
Centro di irradiazione di questo stile architettonico fu Napoli donde
provenivano le più nobili famiglie del tempo: dai Carafa ai Ruffo, dai
Sanseverino ai Guevara... Essi, nota l’Agnello, nel costruire il loro palazzo e
le chiese dei centri ove risiedevano, non potevano sottrarsi al fascino delle
forme architettoniche allora in voga nella Capitale del Regno .
Architetti e lapicidi catalani, da Napoli sciamarono un po’ dappertutto, nel
meridione, nel sangue la magia della pietra da lavorare sull’istante, capaci di
rendere simile ad un mirabile affresco un portale o una semplice finestra. Si
pensi al portale dall’arco polilobato e incorniciato da un arco esterno più
piccolo con capitelli pensili e alla finestra scandita internamente da due
archetti tribolati con inflessione mediana, nel corpo di fabbrica inserito tra
la chiesa e il campanile di S. Francesco, a Potenza, per l’architettura
religiosa oppure allo stupendo portale dell’ex palazzo Goffredo, sempre a
Potenza, e al grande arco catalano dell’ex palazzo Comunale di Tito, per
l’architettura civile.
Illustre mecenate di questo stile, a Potenza, fu Antonio di Guevara, personaggio
di primo piano a Napoli e nel Regno, come si è visto innanzi. Non gli fu
difficile trovare dei bravi architetti e lapicidi per ristrutturare in
gotico-catalano la chiesa di S. Francesco fondata nel 1274 e la chiesetta rurale
di S. Maria del Sepolcro (già del S. Sepolcro) alla periferia della città di
Potenza.
Un gruppo di questi artisti catalani che non si copiavano mai ma, con fervida
fantasia, arricchivano di nuovi motivi modelli precedenti o li creavano
addirittura ex novo, vennero dunque a Potenza ove, tenendo presenti nelle linee
essenziali i modelli catalani di Napoli e dintorni, diedero il via ad una
autentica fioritura gotico-catalana.
Dopo tale premessa necessaria per una piena intelligibilità del riuscito
restauro delle due chiese potentine di S. Francesco e di S. Maria del Sepolcro,
è opportuno dare uno sguardo all’abside e alla facciata della chiesa di S. Maria
del Sepolcro così come ci si presentano oggi, dopo il detto restauro.
L’abside di evidente derivazione gotico-catalana, preceduta da una volta a
crociera, ci accoglie con un gesto largo, espresso dal moderato ma caldo ritmo
ascensionale dei costoloni rampanti che si ritrovano in un anello di pietra
raffigurante il monogramma bernardiniano (IHS), chiave di volta di tutto
l’ambiente absidale, illuminato da tre monofore trilobate.
Nella parte superiore dell’abside, il giuoco delle ombre e delle luci originato
dall’alternarsi delle vele e dei costoloni, crea un meraviglioso effetto
scenografico che, in un certo senso, riecheggia quello della Grande Sala dei
Baroni in Castelnuovo di Napoli, opera di Guglielmo Sagrera, il più noto artista
catalano operante a Napoli.
L’arco trionfale la cui chiave conserva l’immagine del Cristo che emerge a metà
busto dal sepolcro «le Christ de Pitié » è sorretto da colonne che, alle basi,
serbano elementi floreali e graziose testine di leoncelli mentre i capitelli
sono ornati di foglie d’acanto su cui poggiano, con grazia, altri leoncelli
genuflessi; ai lati, l’Agnello di Dio con la croce sorretta da una zampa e due
belle corolle di margherite campestri.
La vecchia facciata, prima degli anni ‘30, nella parte superiore, presentava
delle finestre rettangolari simili a quelle di un comune edificio civile. Nel
1934-35, la Soprintendenza ai Monumenti per la Calabria e la Basilicata, con
sede a Reggio Calabria, la ristrutturò quasi radicalmente creando anche un muro
di sostegno a forma di contrafforte sulla intera facciata.
Nella parte inferiore, ai tre archi fu aggiunta un’archeggiatura in pietra
alternata a mattoni mentre la parte centrale venne arricchita da una polifora
con archeggiatura a spigolo vivo e, in alto, nel timpano, fu aperto un oculo con
le tre lettere a traforo: S.M.S. = Santa Maria del Sepolcro.
Il tutto terminava con una mantovana molto pronunciata, sormontata da una grande
corona di spine: al centro, un calice in cui da un’Ostia gocciolava del Sangue.
Definita « anonima e scialba » in quanto priva di nessi architettonici e
storico-artistici con l’abside quattrocentesca e col resto del monumento, in un
restauro degno di tal nome, essa doveva necessariamente lasciare il posto ad una
facciata il più possibile vicina a quella originaria di cui pur rimanevano
elementi sostanziali sia nella parte inferiore che nel portale d’ingresso alla
chiesa che fa da cornice ad una pregevole porta lignea del primo ‘500, ricca di
intagli a motivi floreali entro riquadrature geometriche.
Un altro monumento del genere e di non minore bellezza potrebbe essere addotto a
suffragio della nostra illustrazione e a convalida dei criteri di detto restauro
da alcuni ingiustamente criticato: la chiesa francescana di S. Bernardino, alla
periferia di Morano Calabro, costruita qualche anno prima da maestranze catalane
provenienti da Napoli ivi chiamate dai Sanseverino, signori del luogo.
La facciata di questa chiesa ove si conserva un pregevole polittico di
Bartolomeo Vivarini (1477), nella parte inferiore, presenta un pronao con archi
come quello di S. Maria del Sepolcro mentre, nella parte superiore, arretrata,
al posto dell’oculo ha una monofora trilobata.
Nel restauro dell’interno della chiesa, si è riusciti a rispettare e ad
armonizzare insieme gli elementi architettonici delle varie epoche. Dalla
struttura antecedente al 1488, costituita da una finestrina a doppia strombatura
e da brani di muratura in pietra a faccia vista a quella gotico-catalana
presente nella meravigliosa abside di fine ‘400 e a quella secentesca, nella
navata laterale con cappelloni a volta e, nella navata maggiore ristrutturata,
verso la metà del ‘600, a guisa di ampio salone ove, per la grandiosità e lo
splendore, primeggiano l’altare barocco del Sangue di Cristo e la stupenda
soffitta a cassettoni ottagonali in legno intagliato e dorato.
Nella Guida artistica e turistica della Basilicata, si legge: « Faceva parte
di questa chiesa un’acquasantiera di pietra, composta da una colonna ravvolta da
foglie di acanto, sorretta da leoncelli genuflessi e di un catino che, al centro
della conca, è ornato da tre testine di putti. Ora essa è custodita nella
cappella di S. Lucia a Portasalza ».
Ci auguriamo pertanto che si provveda quanto prima a far ritornare al suo posto
l’acquasantiera quattrocentesca in parola.
testo
tratto da: Chiesa di S.
Maria del Sepolcro "1974"
di P. Daniele Murno O.F.M.
|