5. Abusi feudali ed
erosioni di terra
I naturali vivevano in uno stato di grande povertà e sfruttamento a causa
non solo del fitto eccessivo e delle tasse da corrispondere al
feudatario, ma anche per l'esosità del Governatore e del suo
Luogotenente che commettevano atti d'abuso di potere, ingiustizie e
estorsioni di ogni genere, generando uno stato di tensione e di accuse
reciproche, così come risulta dagli Atti Pubblici stipulati dai notai su
denuncia dei cittadini e in presenza di due testimoni. Il 9 maggio del
1680 venne denunciato il Luogotenente Francesco Sassano che, fin dal
1673, svolgendo la mansione di esattore delle collette destinate al
Monte dei Poveri della Chiesa di Sant'Antonio, grazie anche alla
connivenza dei rappresentanti dell'Università, venne accusato di avere
depositato presso il Banco di Santo Spirito di Napoli metà delle
collette destinate ai poveri che ammontavano a circa 25 ducati, e di
avere messo l'altra metà a disposizione del Monte dei Poveri per darla
ad annuo censo solo a persone solvibili (43). Durante il periodo della
sua luogotenenza, inoltre, essendo giunto in paese Giovanni Vignola
proveniente dai luoghi infetti di Bari non aveva voluto che fossero
applicate tutte le cautele disposte dal potere centrale. Per questa
inadempienza il Sig. Antonio Mascolo, deputato per la salute pubblica
per la Provincia di Basilicata, presente in paese con dieci armigeri,
fece imprigionare il Sindaco, Don Nicolò Adone, gli Eletti, Francesco
Antonio Allegretto e Giovanni Filitto e lo stesso Luogotenente,
Francesco Sassano. Questi dopo la scarcerazione affermò pubblicamente
che per ottenere la scarcerazione aveva dato una somma al Sig. Mascolo,
e che di ciò aveva informato anche il Governatore Zampaglione, a questi
aveva chiesto d'intervenire affinché i tre rappresentanti
dell'Università gli corrispondessero il danaro versato. Gli interpellati
si rifiutarono di aderire a tale richiesta sostenendo che quanto era
accaduto era da imputarsi al Luogotenente e di essere sicuri che lo
stesso non aveva dato nulla al sig. Mascolo.
Il Governatore per sostenere le pretese del Sassano fece arrestare
nuovamente Nicolò Adone, Francesco Antonio Allegretto e Giovanni
Filitto; questi, per evitare di essere ancora malmenati, minacciati,
oltraggiati e trattenuti in carcere, preferirono aderire alla richiesta
del Sassano (44). Per tali fatti e altri illeciti finanziari lo stesso
Luogotenente nel 1694 in un pubblico Parlamento fu denunciato dal
Sindaco, Domenico di Grazia e dagli Eletti, Mario Filitto e Francesco
Antonio Allegretto, quali rappresentanti dell'Università, che chiesero
agli eredi Sassano la restituzione delle somme indebitamente sottratte.
In seguito con la mediazione del Magnifico Luogotenente Pietro Guarino
si giunse ad una transazione: la famiglia Sassano cedette, come
risarcimento all'Università, una casa di tre stanze, sita nel rione
Porta di detta Terra, a sua volta l'Università rinunziò ad ogni altra
rivendicazione (45).
Alla Reale Corte di Napoli pervennero molte denunzie riguardanti i soprusi
perpetrati nei primi anni del 1700 dal Governatore, Pietro Cancillari,
che durante il suo incarico aveva estorto, oppresso, condannato a pene
eccessive i vassalli giungendo ad incarcerare anche donne innocenti.
L'accusato si difese addossando tutte le colpe all'ex Luogotenente
Gregorio Beneventi; per suffragare la sua buona amministrazione presentò
diversi attestati di buon governo rilasciati dagli abitanti di Anzi. Il
sig. Beneventi dichiarò che tali documenti erano stati estorti ai
cittadini con minacce e chiarì ulteriormente la sua posizione in un Atto
Pubblico (46); in esso affermò che il Cancillari, assunta la carica di
Governatore, gli aveva ordinato di consegnargli tutte le querele, penali
e civili ritenendolo non dotato della necessaria energia per espletare
le sue mansioni; affidò l'incarico ad Angelantonio Grieco minacciandolo
di farlo incarcerare se non avesse usato grande severità nei confronti
dei vassalli.
Altri abusi furono commessi dai successivi Governatori che, oltre ad
esercitare il potere in maniera vessatoria e indiscriminata, per
nascondere la cattiva gestione non registravano le somme versate dagli
Erari di Trivigno separandole dalle rendite derivanti dal feudo di Anzi.
Nel 1747 (47) la Principessa Elisabetta Vandeynen Carafa sollecitò gli
Erari che erano stati in carica dal 1717 al 1724 ( Giuseppe Coppola,
Giovanni Angelo Sassano, Nicola Ragho, Paolo Guarino, Angelantonio
Beneventi, Giovanni Luca Prejte) a versare le somme riscosse negli anni
del loro incarico. Questi asserirono di averle sempre corrisposte ai
Governatori Filippo Pomarici e Antonio Tramontano; dichiararono che per
i due feudi nón c'erano contabilità separate, ciò accadeva anche per gli
Erari; malgrado questa precisazione furono costretti a versare
nuovamente il dovuto.
Il Governatore Tramontano non mancò di tartassare anche l'Erario Pomponio
Orga facendolo risultare debitore di 11 ducati; il fratello di questi,
don Paolo Orga si recò ad Anzi per dirimere la questione, ma il
Governatore presentando tutta una serie di conti, palesemente falsi,
fece salire il debito a 236 ducati. Pretese che tale somma fosse pagata
dall'Erario in carica, Francesco di Sarlo e questi per recuperarla
avrebbe dovuto rivolgersi al sacerdote Orga (48).
Un altro grave sopruso si verificò l'1 agosto 1741 allorché il
Governatore, Domenico Pertusillo, fece incarcerare il fornaio Antonio de
Sagoda. Una folla minacciosa si raccolse dinanzi alla Corte Marchesale
chiedendo che fosse permesso al fornaio di sfornare il pane; nonostante
autorevoli interventi il Governatore non acconsentì perché, a suo dire,
contro il fornaio c'era un mandato d'arresto. Ritenendo il sacerdote Don
Cesare Sant'Angelo il fomentatore della rivolta ordinò all'armigero di
arrestarlo e di sparare sulla folla, ma il fucile s'inceppò solo così fu
evitata una strage. La popolazione e il Clero, strettisi intorno al
sacerdote, riuscirono a farlo rifugiare in casa. Il Governatore deciso a
imporsi in ogni modo, il 16 dello stesso mese avendo visto don Cesare
fermo dinanzi alla Chiesa, in attesa della processione di San Rocco,
uscì dalla Casa Marchesale con la guardia, Francesco Passarella e altri
tre armati che, puntando alla gola del sacerdote la spada, dopo averlo
malmenanato e ingiuriato lo rinchiusero in carcere, contravvenendo alla
legge che prevedeva l'intervento solo del Vicario Foraneo e del Vescovo
se un sacerdote avesse commesso un reato. I cittadini erano indignati
contro il Governatore anche perché nella disputa sorta tra il cognato,
Cantore Don Nicola Volini e gli altri rappresentanti del Clero per
l'esazione delle rendite delle terre della Chiesa, non esercitò il
potere con equità e misura, ma cercò di proteggere il suo congiunto
(49). Il Governatore Pertusillo, incurante del malumore presente in
paese, continuò a esercita à sua autorità; quando doveva rendere conto
del suo operato fuggi nottetempo da Trivigno. Il 9 febbraio 1744 i
rappresentanti dell'Università (Gregorio Beneventi, Giuseppe Allegretti,
Egidio Jemundo e Tommaso Beneventi, Giudice ad contractus) lo
denunziarono e fecero presente che nel periodo in cui Pertusillo era
stato a Trivigno (1 agosto 1741- giugno 1742), non aveva convocato i
pubblici parlamenti (50).
Neppure da parte dei villani dalla fine del '600 e per tutto il '700 a
Trivigno, come in altri centri della Basilicata, mancarono usurpazioni,
erosioni di terre feudali (51); ciò andava a discapito di tutta la
collettività chiamata dal Governatore a risarcire il danno prodotto. Per
non incorrere nei rigori della Legge i naturali erano costretti,
attraverso gli Atti Pubblici, a denunziare gli illeciti commessi dai
compaesani. Il sacerdote Pietro Sassano e suo fratello furono accusati
di avere nel bosco Torricelle, in località Pataffio, abbattuto alberi,
messo a coltura un mezzetto di terra, costruito un ricovero per i caprai
e un recinto per le capre (52). Fu denunziato anche che molti feudali
per non pagare la gabella sulla farina si recavano di nascosto a
sfarinare in un mulino in tenimento di Vaglio (53).
La Regia Udienza di Matera promosse indagini su tredici naturali di
Trivigno accusati d'invasione di terre, di tumulto e di grave ferimento
del servitore e armigero della Corte Girolamo Cajoppa (54) e
successivamente su altri dodici naturali (55) con l'accusa di avere
invaso le terre del feudo di San Leo, tagliato numerosi alberi
fruttiferi, ucciso alcuni animali e avere violentemente agito contro le
persone coinvolgendo anche il soldato Antonio Cilibrizzi di Anzi, oltre
che minacciato e diffamato il Governatore, Don Giambattista Ferretti.
Dopo tali disordini per chiarire la sua posizione ed evitare ingiuste
accuse Francesco Abbate, in un Atto Pubblico del 22 settembre 1741,
dichiarò che, insieme al suocero Giambattista Allegretti, aveva da tempo
lavorato nel feudo di San Leo due appezzamenti di terra, uno di circa
sette tomoli in contrada Cugno della Menta e l'altro di cinque tomoli in
contrada Santa Maria la rotonda (56). Anche il Tribunale di Napoli, su
richiesta del Principe, inviò a Trivigno tre periti per verificare i
danni provocati non solo da una forte nevicata, ma soprattutto dai
naturali che, come era consuetudine, eludendo la vigilanza dei guardiani
si erano introdotti nel bosco Torricelle per fare legna spezzando molti
rami e sradicando parecchi alberi. La popolazione temeva arresti e
multe; tutto però si risolse nel migliore dei modi in quanto i periti si
limitarono a numerare le piante sradicate e i rami spezzati (57).
|
7. Il Catasto Onciario
L'arrivo di Carlo III di Borbone a Napoli, il 10 maggio 1734, segnò
l'inizio di una fase nuova per il Regno alimentando in tutto il popolo
grandi speranze. Il Re affrontò con urgenza due problemi
indilazionabili: il riordinamento della struttura dello Stato e la
revisione dei rapporti con la Chiesa. Quest'ultimo era molto delicato,
oltre che grave, perché toccava il forte potere del Clero che, a causa
delle esenzioni fiscali e delle immunità personali e giurisdizionali
godute dagli ecclesiastici, aveva di fatto costituito uno Stato nello
Stato. Il Sovrano, coadiuvato dal ministro Bernardo Tannucci e dal
cappellano Celestino Galiani, nel 1741 stipulò con la Santa Sede un
Concordato che gli riconosceva il diritto d'imporre tributi sui beni
della Chiesa, limitare l'immunità degli ecclesiastici ed elevare i
requisiti morali e culturali per l'ordinamento dei Sacerdoti (60).
Carlo III, per quanto riguarda il riordinamento dello Stato, ritenne
indispensabile dare un assetto amministrativo più idoneo e rispondente
alle reali esigenze della popolazione.
Il Re durante un breve viaggio compiuto anche in Basilicata nel gennaio
del 1735 rimase profondamente impressionato dalla miseria e
dall'abbandono in cui viveva la popolazione, tanto da promuovere
un'inchiesta. Bernardo Tannucci, segretario di giustizia, nell'aprile
dello stesso anno incaricò Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale
presso la Regia Udienza Provinciale di Matera, di compilare un'esatta
descrizione della Provincia divisa in quattro Ripartimenti: Tursi,
Maratea, Tricarico e Melfi. Si voleva conoscere la posizione e
l'estensione geografica dei singoli paesi, l'effettivo numero degli
abitanti, l'attività prevalente e la produzione di ogni singolo centro,
i relativi movimenti e gli scambi commerciali, i bilanci delle
Università, le entrate dei nobili, dei baroni, dei vescovi, delle badie,
dei conventi, delle parrocchie e del Re.
Il Gaudioso, per raccogliere tutti questi dati, chiese ad ogni Università
di inviare dettagliate relazioni; queste, redatte dal cancelliere e
sottoscritte dal Sindaco e dagli Eletti, gli fornirono le notizie
necessarie per compilare la sua relazione che fu completata entro il
1736. Relativamente a Trivigno si precisava che era posseduto
dall'Ill.ma Principessa di Belvedere, che la Chiesa parrocchiale aveva
una rendita molto modesta e dipendeva dalla Diocesi di Matera e che la
popolazione era di circa 1500 abitanti tutti dediti alla coltivazione
dei campi (61) (v Appendice, I, p. 101).
Carlo III, con il Regio Dispaccio del 4 ottobre 1740 (De forma censuali
sive capitatione) e la Prammatica del 17 marzo 1741, rinnovò il sistema
fiscale per avere una migliore e più equa tassazione. Furono pubblicate
le istruzioni per la compilazione del Catasto Onciario (così detto in
quanto il capitale, la cui rendita veniva tassata, era calcolato in
once, equivalente ciascuna a 6 ducati) (62).
La tassazione non avveniva più per fuoco ma gravava su tutti i cittadini
secondo la loro capacità contributiva in quanto considerati membri
dell'Università, ed anche sui forestieri residenti e non residenti che
avevano in loco dei beni. Si era tassati per il testatico (cioè a
testa), per i beni che si possedevano, e per l'industria (attività
esercitata).
Per il testatico erano gravati da imposta tutti i capifamiglia fino a 60
anni; coloro che esercitavano un'arte manuale dovevano corrispondere la
tassa sul mestiere che si differenziava in base all'attività svolta.
Erano esenti coloro che vivevano di rendita o esercitavano professioni
nobili (notaio, medico, avvocato) in quanto si riteneva che la loro
attività era originata dall'intelletto, considerato una grazia divina.
Le vedove e le vergini non pagavano il testatico, né la tassa
sull'industria e contribuivano solo se la loro rendita superava i 6
ducati. I beni dei rappresentanti del Clero vennero tassati, però per le
acquisizioni anteriori alla data di stipula del Concordato del 1741 e se
il reddito dei loro beni superava il valore del loro patrimonio sacro,
si corrispondeva la metà del dovuto (63).
Il Catasto Onciario della Terra di Trivigno venne redatto in maniera molto
semplice e schematica dai suoi Magistrati deputati, eletti in un
pubblico Parlamento:
Francesco Antonio Beneventi, civile
Nicola di Roma, Notaio
Andrea Allegretti, massaro
Vito di Sarlo, massaro
Angelantonio Stasi, massaro
Rocco Cinefra, massaro
Egidio Jmundo, massaro
Francesco Sarla, massaro
Tommaso Antonio Volino, Capo Eletto
Don Giovanni Abbate, Arciprete
Domenicantonio Sassano, Sindaco
Il Catasto venne firmato da Francesco Antonio Beneventi, secondo le Reali
Istruzioni della Regia Camera della Sommaria e pubblicato il 15 ottobre
1753 (64).
Nell'Onciario vennero registrate tutte le persone, compresi gli
ecclesiastici e i forestieri anche non residenti.
I nuclei familiari furono elencati in ordine alfabetico secondo il nome
proprio del capofamiglia di cui si riportavano l'età, la condizione
sociale, il nome, il cognome e l'età della moglie, il nome e l'età dei
figli; se questi erano maschi doveva essere indicata l'attività svolta
nell'ambito familiare, se femmine, dai dieci anni in poi venivano
connotate come virginis in capillis (secondo un'antica usanza
longobarda). Allo stesso modo dovevano essere riportati tutti gli altri
parenti, se presenti nel nucleo familiare. A questo elenco seguiva la
descrizione dei beni immobili, specificando se la casa era di proprietà
oppure in fitto (elencando anche il numero dei vani) con l'indicazione
del rione; per i terreni bisognava indicare il tipo di coltura, la
località e il valore. Dovevano essere dichiarati gli animali posseduti e
quanto per essi si doveva corrispondere al fisco (65).
Da tutti i dati registrati si evince che la popolazione di Trivigno era
all'epoca costituita da:
- 146 nuclei familiari di bracciali che lavoravano in campagna e
possedevano 103 vigne, e spesso solo una misera casa;
- 57 famiglie di massari che avevano beni immobili (la casa), 138 vigne, 2
vignali e 4 orti e 1.528 animali (146 buoi, 92 vacche, 780 tra pecore e
agnelli, 196 tra capre e capretti, 42 somari, 15 muli, 7 giumente, 18
suini).
- tra coloro che esercitavano un mestiere vi erano: 1 mugnaio, 5 calzolai,
1 calzolaio e barbiere, 3 sarti, 1 barbiere, 3 fabbri, 2 scribenti, 1
embriciaio, 3 fabbricatori, 2 mulattieri, 1 custode di bovi, 1 pecoraro,
1 porcaro, e possedevano 9 vigne;
- tra i professionisti erano presenti: 2 notai, 1 speziale di medicina, 1
professore in chirurgia, 1 che viveva civilmente con i proventi delle
sue industrie. Tutti erano proprietari della casa e avevano 75 capi di
bestiame (18 buoi, 5 giovenchi, 6 vacche, 3 muli, 2 giumente, 30 pecore,
10 agnelli, 1 cavallo);
- i sacerdoti erano 29 e i loro beni erano tassati nel modo già indicato;
possedevano la casa e 390 capi di bestiame (28 buoi, 5 vacche, 3
giovenchi, 9 muli, 321 pecore, 24 capre).
Delle 30 vedove e vergini residenti risultava tassata solo Giulia Filitto,
vedova di Donato Stasi, poiché aveva una rendita di 72 ducati.
Gli storpi, gli esposti, gli infermi, i fatui, i lunatici, i decrepiti, i
vecchi, i poveri, anche se esenti da tasse, venivano comunque
registrati.
I forestieri residenti erano 10 e avevano una modesta rendita. Solo due
erano i forestieri non residenti: il Magnifico Giuseppe Bronzini di
Tricarico e Suor Maria Centomani di Potenza tassati per le rendite loro
derivanti dai capitali dati in prestito al 10%.
La chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo e le chiese di Sant'Antonio
di Padova e di San Rocco, pur avendo beni mobili e immobili, non
venivano tassate in quanto l'ammontare delle spese (circa 169 once)
superava la rendita che era di 167 once.
Il Principe di Belvedere Francesco Maria II Carafa, Marchese di Anzi e di
Trivigno possedeva nella terra di Trivigno beni feudali esenti da tasse
e beni burgensatici (privati) che erano tassati: il palazzo che serviva
come abitazione dell'Agente, la taverna, la stalla, il mulino, i forni,
la vigna, il feudo di San Leo confinante con quello di Trivigno ma ben
distinto e separato da esso (come appare dalla stessa fede dei relevi)
era coltivato dagli abitanti di Trivigno.
Dalla contribuzione il feudatario sottraeva le spese o i debiti che si
dividevano in spese naturali (riparazione e manutenzione dei beni
immobili, corrispondenti ad 1/4 del fitto) e spese accidentali, in
adempimento ai Reali ordini e alle Istruzioni della Regia Camera.
L'Università di Trivigno era tassata per fuochi 101 e 1/4 e doveva
corrispondere i seguenti importi:
|