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IL CUORE NUOVO DI DARIO CORSINI

- Romanzo -

Rachele Zaza Padula
 

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PARTE V

Per fortuna il giorno dopo la situazione parve subito più confortante.
“Ieri l’altro ci ha fatto prendere un bello spavento. Lo sa che è diventato il pensiero fisso del personale ospedaliero. Tutti chiedono di lei. Oggi come si sente?”
“Le dirò che, a parte la spossatezza che si prova dopo una crisi, sono fiducioso; nutro una speranza maggiore e mi sento più forte interiormente. E’ come se il sonno di ieri, quell’assenza, quel vuoto, di cui naturalmente non ricordo nulla, avessero rimosso l’ostacolo che mi impediva di riaprirmi alla vita. La presenza di mia sorella, che ho appena avvertita tra sogno e realtà, mi ha rincuorato. E’ il caso che mi esprima così poiché si parla del mio cuore.”
Nel dire così sorrise divertito. Poi, chiese:
“La signorina Dida ha saputo?”
“Era appena arrivata per farle visita quando lei si è sentito male. E’ rimasta fino a quando l’emergenza si è risolta. Ieri non è venuta come d’accordo, giacché lei aveva bisogno di assoluto riposo. Ha, però, telefonato per informarsi. Anche il signor Tommaso è rimasto qui tutto il tempo dell’emergenza.”
Con le sue parole Gabriella lo aveva riportato alla sua angoscia: Tommaso e Dida, il passato e un presente, in cui nuove sensazioni, mai conosciute prima, lo incuriosivano, lo allettavano, ma insieme lo impaurivano.
Ricordò il profondo rammarico provato a seguito dell’incontro con Rosy e Consalvo. I giorni e le ore del disonore lo avevano assalito. Era costernato all’idea che mai li avrebbe cancellati dalla mente; sempre sarebbero riapparsi e avrebbero vanificato qualsiasi tentativo di felicità futura.
Era piombato nel buio del non essere, giacché non riusciva più a sapere chi era veramente e cosa voleva.
Soffriva anche nel vedere Tommaso in preda ad un cruccio sottile di fronte alle cure che Dida gli prestava con la sua assurda dedizione.
Tommaso, intanto, si chiedeva com’era possibile che Dida non si fosse accorta che tra lui e Dario…Non si sentiva tranquillo, anche se alla luce delle sue conoscenze scientifiche, guidato dalla sua intelligenza ed anche dal buonsenso, riteneva infondato il timore che potesse avvenire ciò che temeva, cioè che Dario si innamorasse di una donna e che potesse annullare la loro intesa e rinnegare quanto c’era stato tra loro.
Dario più volte aveva deciso di parlare a Dida; di confessarle la sua diversità.
Gli capitava, poi, vedendola così dolcemente premurosa, di non avere il coraggio di deluderla. Gli sembrava opportuno che lo scoprisse lei; non poteva distruggere una illusione che ella andava tessendo dopo la tragica morte del suo promesso sposo. Quella, cioè, che il suo amato continuasse a vivere in lui. Anzi, si era accorto che più passavano i giorni e più identificava il suo Marcello con lui.
“Oh! ecco la signorina Dida. Io vado. Gli altri pazienti mi aspettano”, disse Gabriella.
Il nome di Dida lo sconvolse nel fisico e nella mente. Avvertì un sentimento profondissimo, un dolce trasporto. Al vederla, il cuore cominciò a battere tanto fortemente che egli temette di sentirsi di nuovo male.
Era pallida; sul volto portava tutti i segni della terribile esperienza vissuta due giorni prima. Entrò nella stanza e poggiò sul comodino i giornali che egli era solito leggere. Senza parlare gli si sedette accanto e portò la mano destra di Dario libera dagli aghi sulla sua guancia. Era un gesto d’intesa.
Dario provò un calore intenso che si diffuse per tutto il corpo, procurandogli un senso di benessere, di liberazione. Si sentiva indifeso di fronte alle reazioni che gli suscitava la presenza di Dida. Le avrebbe parlato, le avrebbe detto come stavano le cose.
“Che gioia vederti! Sei diventata indispensabile per la mia guarigione. Tu alimenti di gioia i miei pensieri e riempi le mie giornate, così lunghe da passare in questo ospedale dove vivo, ormai, da più mesi. Ascolta…”
“Sono mortificata di disturbarvi, ma il primario deve visitare il nostro paziente. Signorina Dida, per cortesia, si accomodi fuori.”
Così aveva detto Gabriella entrando nella camera dopo aver bussato.
Dida, già nel corridoio, vide il gruppetto di medici capeggiati dal professor Ferri recarsi da Dario. Dopo un po’ li vide uscire e si accostò a loro per sapere. Era tanto impaurita di ascoltare una brutta notizia che non riuscì a parlare e si limitò a scuotere la testa in segno di domanda.
“Mia cara, sta meglio. E’, però, necessario che non si affatichi e non provi forti emozioni. La crisi è stata causata da qualcosa che lo ha fatto assai agitare. L’unica cosa spiacevole è che essa ha annullato quasi del tutto i progressi che il paziente aveva giorno dopo giorno realizzato. Questo significa che le dimissioni, che sembravano possibili a breve, devono di conseguenza slittare. Dovrà trattenersi con noi ancora per un po’.”
Dida entrò in camera e vide che Dario aveva gli occhi socchiusi.Gli si sedette accanto e cominciò a sfogliare il “ Corriere della Sera”, leggendo a voce alta i titoli degli articoli perché Dario gli indicasse quale voleva ascoltare.

*

Era il giorno di Natale. Un freddo intenso aveva caratterizzato la vigilia ed aveva fatto sì che i pochi fiocchi di neve che volteggiavano nell’aria si cristallizzassero ai vetri delle finestre che apparivano come ricoperti da un bianco merletto. Dario era solo e cercava di guardare fuori attraverso i piccoli spazi che il gelo aveva lasciato scoperti. Era pensoso.
Il pranzo speciale, i finti abeti addobbati e illuminati negli angoli delle corsie, i canti natalizi in lontananza non dissolvevano l’atmosfera di tristezza che gravava su ogni malato nelle varie stanze.
Il futuro per il malato non è un’opzione: è una maledetta brutta storia; è un salto nel buio. Se il male vincerà sulla volontà, tutto all’improvviso svanirà: le scelte, le aspirazioni, gli amori, i castelli in aria, la splendida noiosa quotidianità con le sue ovvie necessità. Le piccole cose, le stagioni, la meraviglia di un cielo azzurro increspato da fili di nuvole bianche o di un bosco di querce poderoso di alberi antichi.
Il dolore comune, però, rigenera la speranza che possa essere sconfitto.
Qualcuno bussò alla porta e lo fece sobbalzare.
Era Dida. Aveva negli occhi il Natale e la stessa sorpresa che è nello sguardo dei bimbi di fronte ai presepi.
“Non posso trattenermi molto perché a casa la mamma ha organizzato il pranzo con tutti i parenti, ma ho sentito il bisogno di passare a salutarti in un giorno così importante. Quanto mi rammarica il fatto che tu sia ancora qui; sono certa, però, che la consolazione è vicina e sarà completa.”
Dario, nel vederla dimenticò le ubbie e i brutti pensieri: una felicità intima lo fece sorridere. Quella ragazza lo aveva davvero stregato!
“La tua visita di colpo ha annullato la mia malinconia. Ho un regalino per te. Ho pregato Donatella di comperarlo. Mi auguro ti piaccia.”
“Sono splendidi. Non dovevi; sono davvero belli. Ti confesso che gli orecchini sono la mia passione, meglio dire la mia debolezza. Senza averli ai lobi degli orecchi mi pare di avere un collo senza significato. Li terrò da conto; in grande considerazione anche per il loro valore. Grazie.”
Nel dire così si avvicinò e lo baciò delicatamente sulla guancia. Dario pensò tra sé che chi li avesse visti in quella affettuosa intimità avrebbe dedotto che erano una coppia di innamorati.
Lo erano? Un’ombra passò nei suoi occhi; ma presto si riprese e disse:
“Ieri è venuta Donatella per farmi gli auguri anche da parte dei miei genitori che, dati i rigori del clima, sono stati impossibilitati a spostarsi da casa. Mi ha portato i tipici dolci natalizi che ogni anno preparano la mamma e le zie. Gustane qualcuno; sarai conquistata dal loro sapore particolare. Sempre che ti piaccia l’aroma della cannella.”
“Sono squisiti. Starei tutto il giorno a farti compagnia, ma devo andare. Non posso mancare di riguardo ai miei. Domani sarò di nuovo da te.”
La seguì con lo sguardo mentre si allontanava in fretta. Indossava un pesante cappotto marrone con un collo di pelliccia screziata, forse di lince, pensò.
Nel momento stesso in cui la vide scomparire desiderò rivederla. Sapeva bene che la promessa di Dida sarebbe stato l’unico conforto in quella giornata che si presentava tediosa e solitaria.
Il mese di gennaio fu davvero faticoso per Dario. Era stanco di rimanere in una quasi totale immobilità nel chiuso della sua stanza dove non gli sembrava che si alternassero il giorno e la notte. Le ore erano scandite dal susseguirsi di rumori soliti e snervanti: il suono stridulo e intermittente dei campanelli, il cigolio delle barelle diverso da quello delle sedie a rotelle più tenue e meno nefasto; le parole spezzate del personale medico, paramedico e dei numerosi visitatori che attraversavano i corridoi. Le voci degli inservienti si udivano all’alba e sconnettevano i sogni di Dario, deludendolo poiché in essi sperava di leggere promesse per il nuovo giorno.
Le sue mattinate erano caratterizzate dalla monotonia delle stesse operazioni: la colazione, la pulizia del corpo, la barba ogni due giorni, il taglio dei capelli ogni quindici giorni; quindi, un’attesa interminabile fino all’ora di pranzo. E, poi, un altro pomeriggio da scontare. Avrebbe dovuto pazientare fino alla prima decade di febbraio sempre che nessuna crisi avesse ritardato le sue dimissioni, così come era capitato l’ultima volta.
Si augurava di uscire al più presto, anche se questa idea lo spaventava. Si chiedeva se sarebbe stato in grado di riconquistare la vita e di riprendere il lavoro.
Si era fatto portare da Tommaso, che lo aveva richiesto allo Studio, il plico delle cause che avrebbe dovuto discutere in aprile.
Fu una saggia decisione; un toccasana, perché le ore trascorrevano con minore noia e abbandono; e la lettura di alcune controversie impediva che la sua mente venisse assalita da mille pensieri.
Talvolta sorrideva al ricordo della prima causa che gli era stata affidata. Una causa di separazione tra due coniugi che, per una tenace ripicca, non accettarono altra soluzione che l’annullamento del loro matrimonio. Essi, nel fare manovra nello spazio antistante la loro abitazione si erano scontrati procurando danni reciproci alle macchine. Nessuno dei due volle ammettere di avere torto e si denunciarono a vicenda. Durante l’iter giudiziario i loro animi si andarono via via sempre più esacerbando fino alla rottura definitiva della loro unione.
Aveva rivisto la signora dopo quasi due anni e le sembrò in ottima forma. Era passata dallo Studio perché aveva bisogno di alcuni documenti. Dario si mise a sua disposizione e chiacchierarono per un po’. Conviveva con un altro uomo ed era felice.
Stava per andare via, quando si soffermò sulla soglia della porta e girandosi disse ammiccando con un sorriso:
“Avvocato, il mio nuovo compagno non guida, anzi odia la macchina. Si serve solo dei mezzi pubblici, di cui conosce alla perfezione gli orari, e accetta qualche volta che io gli dia un passaggio.”

*

“Ascoltami, Dario, io penso sia un bene che tu trascorra la tua convalescenza a Sulmona, da noi. I primi mesi dopo l’operazione sono i più insidiosi. Anche tuo padre lo vuole.”
“Mamma, mi dimetteranno tra dieci giorni, al massimo quindici, quindi, ho tutto il tempo per prendere una decisione. Intanto, vi ringrazio.”
La madre gli rimboccò le coperte e andò via. Gli promise che sarebbe tornata appena le fosse stato possibile.
Dario pensò che forse era la soluzione ideale andare nella casa paterna una volta dimesso. Si sarebbe trattenuto fino a quando, riacquistate le forze, avrebbe ripreso a lavorare.
Non si sentiva di tornare a casa di Tommaso, nei riguardi del quale avvertiva un disagio profondo; gli sembrava di tradirlo ogni qualvolta pensava a Dida.
Lontano da entrambi avrebbe potuto chiarire a se stesso ciò che voleva veramente; ciò che era diventato. Il suo male e l’operazione l’avevano cambiato; era certo che egli non si riconosceva più. Tra le pareti della casa paterna; nel silenzio, senza sollecitazioni, avrebbe tentato di decifrare gli strani segnali che lo sorprendevano.
Non sapeva bene se compiacersi o temerli. L’affetto che provava per Dida era amore? Al vederla, sentiva sempre più forte un desiderio di abbracciarla e ciò gli procurava una pulsione fortissima, anche a livello sessuale. Questo lo spaventava più di ogni altra esperienza. Talvolta, mentre era quasi rapito dall’immagine di Dida, compariva nei suoi pensieri Tommaso, così vigoroso e sicuro di sé; ed allora cadeva in una avvilente prostrazione. Il suo destino era proprio quello di rendere infelice se stesso e ogni persona che gli era vicina.
In maniera ossessiva si chiedeva se era mai possibile che il cuore che gli avevano trapiantato, il cuore di Marcello, avesse conservato le emozioni, i sentimenti, le passioni. Che, quindi, potesse influenzare le sue scelte, o addirittura, determinarle.
Talvolta, più ottimisticamente pensava di essere prigioniero in una spirale di congetture e, una volta guarito, sarebbe tornato tutto come prima.
Tutto quanto gli stava succedendo, forse, altro non era che il frutto di una forte suggestione, inevitabile in chi sa di avere un cuore non suo.
Era necessario parlare a Dida; dirgli di sé; del suo scabroso passato e del ruolo di Tommaso nella sua vita.
“Una visita per lei, signor Corsini”,gli disse l’infermiere che era entrato nella camera per cambiargli la flebo.
Era il titolare dello studio legale presso il quale lavorava. Un uomo alto e poderoso che aveva la voce roca dovuta al fumo delle sigarette. Ne aveva sempre una tra le labbra e non era raro che la cenere cadesse sul panciotto. Sul labbro inferiore si era formato un piccolo incavo rotondo che corrispondeva alla circonferenza di una sigaretta.
“La vedo bene, Dario. Se non fosse privo di logica direi che l’operazione le ha giovato. Ha un’espressione diversa, meno dimessa; prima era come se dovesse farsi perdonare di esistere. Non vediamo l’ora che torni da noi.”
“Avvocato Lanfranchi, la ringrazio per quanto ha detto e per il sostegno che mi ha dato durante questi lunghi mesi di degenza. Anch’io desidero tornare al lavoro, ma, secondo il giudizio dei medici, dovranno passare almeno due mesi prima che questo possa accadere. Sempre che tutto proceda come ora. Dopo l’ultima crisi in cui il mio cuore nuovo s’è fermato, le cure rispondono al meglio e le dimissioni sono previste tra dieci, al massimo quindici giorni.”
“Bene, bene, questa notizia mi conforta. Mi ha colpito la sua espressione” il mio cuore nuovo “; essa mi fa pensare che considera il cuore trapiantato estraneo a sé; avulso; staccato dal suo organismo. Se posso esprimere il mio parere, ella dovrebbe sentirlo d’ora in poi come suo; dimentichi la sua esperienza dolorosa; lo assimili nel suo ritmo vitale, anche a livello di pensiero, e lo accetti come un dono estremo.”
Dario non commentò, ma sapeva che non avrebbe dimenticato il consiglio dell’avvocato Lanfranchi. Volle, però, cambiare discorso e precisò:
“Dopo le dimissioni, ho deciso di recarmi presso i miei per un breve periodo di convalescenza, durante il quale mi auguro di ricomporre la mia esistenza.”
“ Mi pare un’ottima soluzione. Ma ora è tempo che la saluti e la lasci riposare. Le ribadisco che io e tutti i colleghi la aspettiamo. Qualora dovesse aver bisogno di noi, siamo a sua disposizione.”
Gli strinse la mano ed uscì dalla stanza.
La visita dell’avvocato Lanfranchi lo riportò all’atmosfera febbrile che regnava nello Studio: ricordava il piacere che provava nello scoprire un cavillo giuridico capace di sovvertire l’impostazione di un dibattimento; le discussioni accese; le arringhe avvincenti e l’impegno continuo che spesso si protraeva fino a tarda ora.

*

Tommaso entrò nella camera e vide che Dario era solo e stava leggendo un giornale. Aveva una bella cera.
“Mi compiaccio; da quando ti sei ricoverato, è la prima volta in cui trovo il tuo aspetto rassicurante. Penso proprio che la tua brutta esperienza stia per finire. Sei davvero guarito e presto l’operazione e tutto il resto saranno solo un brutto ricordo. Puoi ricominciare a pensare al futuro, al lavoro.”
“Caro, caro Tommaso, come avrei fatto senza di te? Siediti accanto al letto e ascoltami. Non devi correre: è bene che nel mio caso si sia cauti nell’entusiasmarsi.Certamente sto meglio, e quello che più conforta è che mi sento meglio; ma non bisogna dimenticare che sarò per lungo tempo sotto controllo medico e che dovrò continuare la cura antirigetto e quella disintossicante fino a che non sarò fuori pericolo; forse mai. Comunque il peggio è passato.”
“Sei il solito pessimista. Considera gli aspetti positivi della condizione in cui ti trovi, non quelli negativi. Sono venuto da te perché ho bisogno di sapere come pensi che dovremo organizzarci quando uscirai. E’ tempo che affrontiamo questo discorso e non mi sembra vero che…”
“Già l’ultima volta in cui ci siamo visti, volevo dirti che dietro accorato invito dei miei genitori ho deciso di tornare nella casa paterna per la convalescenza, che è tutto sommato il periodo più delicato. Mi farà bene ritrovare ricordi e atmosfere della mia adolescenza, anche quelli più dolorosi. Ricostruire quella parte del mio passato che volutamente ho rimosso, per avere finalmente la forza di esorcizzarla. Oltre a ciò, desidero ricucire il rapporto con i miei; ho scoperto di avere una struggente necessità del loro affetto, della loro comprensione, della loro condivisione. Infine, e questa forse è la ragione predominante della mia decisione, ho bisogno di rimanere solo con me stesso per scoprire se dopo la tremenda esperienza in ospedale in me è cambiato qualcosa e, se è così, capire se il cambiamento è di poco conto o importante tanto da condizionare le mie scelte future.”
Tommaso provò una sensazione dolorosa di impotenza, che gli fece contrarre la bocca in una smorfia. Durante i suoi lunghi e frequenti viaggi da Roma a Milano per raggiungere Dario, si era chiesto, specie negli ultimi tempi se le cose tra loro sarebbero tornate come prima. E sempre un senso di timore gli aveva impedito di darsi una risposta. Preferiva invece pensare ad altro, convincendosi che la risoluzione sarebbe arrivata naturalmente, portata dal corso degli avvenimenti, senza tante congetture.
Con un tremolio nella voce disse:
“Avevo intuito che non volessi venire a Roma…da me. Da quando le tue dimissioni non sono state più una lontana eventualità, ma una realtà più che mai vicina, non hai nemmeno una volta parlato del viaggio di ritorno e della ripresa delle nostre consuetudini. Del resto è giusto che sia così. E’ una buona idea che ti trattenga per un po’ dai tuoi; hai bisogno di ricostruire la tua identità. Da parte mia voglio che tu sappia che quello che c’è stato tra noi ed i sentimenti che provo per te non devono in alcun modo impedirti di sentirti libero. E’ sensato che ti isoli per capire cosa ti manca di più e se c’è qualcosa di nuovo nei tuoi slanci e nelle tue aspettative. Sei cambiato, sì, sei davvero cambiato.”
“Non essere precipitoso nel giudizio. Sono successe tante cose. E’ come se la strada della mia vita si fosse interrotta e di fronte a me ci fossero diramazioni e sentieri sconosciuti. Ho una grande confusione in testa e nel cuore. A me pare che tu dimentichi che questo cuore, che è connesso ormai alle mie vene e alle mie arterie, non è mio … non è mio.”
Tommaso s’accorse che Dario stava per crollare ed allora pensò di smorzare la tensione che si stava creando e disse:
“Che sarà mai? Ti hanno trapiantato un muscolo che ti ha salvato la vita. Tutto qui. Basta: cambiamo discorso.
Dal momento che andrai dai tuoi, io accetto la proposta fattami dal mio ‘capo’ di recarmi per alcuni mesi in Brasile. L’idea mi ha subito conquistato, ma volevo sentire te. E’ chiaro che non avrei assolutamente preso in considerazione l’evenienza di allontanarmi qualora tu avessi deciso di tornare a Roma.”
“Solleva anche me il saperti impegnato in un paese affascinante come il Brasile.
Non so darti certezze perché non ne ho per me stesso: è tutto così nebuloso, provvisorio. Mi sembra di essere sospeso, senza radici, senza un punto di appoggio. Siamo persone con un destino che non ci fa sconti o facilitazioni; sta a noi abbatterci e affondare o essere forti e affrontare il mare in tempesta. Quando partirai?”
“Dovrò essere in Brasile tra una settimana: credo proprio che partirò tra tre o quattro giorni al massimo. Dobbiamo salutarci, perché mi mancherà il tempo per venire di nuovo. Stasera arriverò a Roma sul tardi e non mi rimarrà che cenare e dormire. Da domani comincerò ad organizzare la partenza: bagagli, prenotazioni, carte e, principalmente, dovrò chiedere al ‘capo’ quali saranno le mie mansioni. Appena possibile ti farò avere il mio indirizzo e il mio numero telefonico. Non voglio rimanere un solo giorno senza tue notizie.”
Tommaso non disse altro. Ognuno dei due provava un sottile disappunto; un turbamento inconsueto, quasi un disinganno. Il loro era un addio?
“Spedirò nella tua casa di Sulmona le cassette ed i cd; la nostra musica ti aiuterà molto.”
Tommaso gli strinse forte la mano, lo baciò sulla fronte e uscì senza voltarsi indietro.
Nel camminare ostentava sicurezza, ma dentro si sentiva morire. Aveva perduto Dario, la persona a lui più cara, cui aveva rivolto fin dall’adolescenza la sua ammirazione, il suo affetto: una passione irrazionale. Lo aveva perduto nel momento in cui il cuore di un altro era stato trapiantato in lui: un cuore ancora palpitante d’amore per una deliziosa fanciulla che con tenacia, contro ogni umana rassegnazione, non aveva accettato la morte del suo giovane amante.
Vedendola al capezzale di Dario spiare con apprensione ogni mossa, ogni gesto; cogliere il suo respiro quasi fosse anche per lei fonte di vita, aveva capito di avere una antagonista tanto più pericolosa quanto meno definito era il posto che occupava o che avrebbe potuto occupare. Un’avversaria da cui temeva che si sarebbe lasciato sopraffare.
Lo avrebbe sconfitto senza ricorrere a competizioni estreme, ma con la sua dolcezza, con l’incanto del suo sorriso, con la fragilità della sua persona e con l’infinita tristezza che si leggeva nel fondo dei suoi occhi. La lotta era impari perché a lui non sarebbe stato concesso misurarsi con la disarmante normalità: non avrebbe avuto consensi. Aveva sperato che Dario non rimanesse affascinato da quella presenza, ma la sua malattia, l’operazione che lo aveva lasciato tanto sfibrato, quel cuore nuovo che aveva vinto con il suo palpito qualsiasi difesa, forse…
Tommaso, preso da una forte prostrazione, dovette sedersi su una poltroncina nella sala d’attesa.
“Signore, signore si è seduto sul mio libro di fiabe”, gli disse una bimba bionda con un vestitino azzurrocielo.
“Che sbadato, scusami!” Nel rispondere si alzò confuso e restituì il libricino alla piccola che scappò via.
Quella visione lo distolse dal suo malumore e lo dispose ad un cauto ottimismo.
Dario aveva soltanto bisogno di tornare dai suoi per riprendere il ritmo della quotidianità interrotto dalla lunghissima ed estenuante degenza in ospedale. In seguito, il loro rapporto avrebbe ripreso la sua intensità ed essi, di nuovo complici, avrebbero continuato a condividere ore e giorni: alcuni esaltanti, altri più pacati, ma non per questo meno intensi. C’erano, talvolta, spazi cupi in cui ognuno forse pensava alla sua esistenza impropria, dimezzata, privata, esclusa ed allora si chiudevano in un silenzio rispettoso che li univa in un dolore rancoroso.
Non riusciva ad accettare la sua vita senza Dario; senza la sua intelligenza; il suo acume e la sua ironia.
S’avviò lentamente verso l’uscita.
Doveva ripartire subito per Roma. Il domani poteva attendere.
Dario, intanto, rimasto solo, sentì dentro di sé un vuoto, una sensazione di impotenza. Un accoramento che lo debilitava. Non riusciva a sopportare un altro distacco.
Nella sua vita ogni cosa era destinata a fallire, a finire: con la sua famiglia, con i suoi amici e adesso con Tommaso che lo aveva salvato dal peggio di esperienze degradanti.
Nella sua mente era tutto vago, incompleto. Si interrogava spesso su quale parte avrebbero avuto la volontà e l’intelletto e quale, invece, la natura e l’istinto nel chiarire il suo destino.
Purtroppo, era capitato che quando sembrava si fosse determinata una situazione stabile, confortante, interveniva l’imprevedibile perché tutto si lacerasse ed egli dovesse ricominciare a cercare, a capire. Sarebbe stato meglio che la sua vita si fosse conclusa con l’ultimo attacco di cuore.
Per ricominciare bisognava legare i fili spezzati e sperare che anche per lui ci sarebbe stato un futuro sereno.
Gli venne in mente una tempesta di vento che improvvisa colse lui e il nonno nella campagna di un loro parente. Dalle querce cadevano foglie, rami, ghiande che rotolavano e fermandosi formavano mucchietti qua e là. Non c’era scampo per i castori, i ghiri e i gufi, che tremanti si nascondevano nelle cavità dei tronchi e del terreno. Una pioggia improvvisa e sferzante fece per incanto cessare il vento e nel bosco dominò un clima di attesa. Il temporale avrebbe ripreso la sua violenza o gradatamente si sarebbe smorzata la sua furia? Dopo un po’ tornò il sole e le ultime gocce mandarono lampi nell’aria.
Bruno, il fisioterapista, entrò dopo aver bussato, e, con un’allegria insolita, disse a Dario:
“Dobbiamo fare i nostri esercizi riabilitativi. Oggi c’è una piacevole novità: l’accompagnerò a fare un giro nei corridoi. Nulla più lo vieta: E’ tempo che esca dalla sua camera. E’ contento?”
Fu come tornare da un luogo lontano, da un’atmosfera indefinita e rientrare nella vita. Con sollievo constatò che nel ricordo il temporale era cessato ed era tornato il sereno.
Era certamente di buon auspicio.
Rispose a fatica a Bruno, ma fu ben felice di apprendere che sarebbe uscito dalla sua stanza.
“Bruno, grazie della sua pazienza. Mi affido completamente a lei e alla sua esperienza.”
Prima di varcare la soglia si soffermò a guardarsi allo specchio.
Com’era sciupato! Gli occhi erano spenti, inespressivi e il viso era tanto smagrito che gli zigomi affioravano appuntiti.
Bruno lo distrasse abbottonandogli la vestaglia.
“Presto si riprenderà e dimenticherà quanto ha sofferto. Il miglioramento sarà prodigioso e potrà riprendere le sue abitudini.”
“Ho accettato l’invito dei miei di trascorrere da loro i primi mesi di convalescenza. Poi, si vedrà.”
“ Allora, le cose andranno subito a posto. Mi dia il braccio e cammini con calma. Non abbia timore, si appoggi a me.”
Le gambe gli tremavano, ma era così grande la gioia di trovarsi in corsia tra la gente, i medici, i pazienti, i visitatori, che superò ogni esitazione e incertezza.
Dopo un po’ chiese a Bruno di riaccompagnarlo in camera.Voleva distendersi sul letto. Aveva bisogno di riposo.
Il cuore gli batteva forte in petto, oltre il solito: le emozioni della giornata erano state tante e intense.

*

Dida decise di rincasare: non si sarebbe recata in ospedale. Neppure il giorno prima era andata. Una spossatezza interiore e una conseguente mancanza di volontà le impedivano qualsiasi slancio o decisione, anche la più semplice. Sul lavoro si sforzava di apparire quella di sempre, attenta e scrupolosa.
Qualcosa, invece, la turbava; si sentiva priva di energia, di riferimenti; era come se non sapesse cosa fare e dove andare. Tutto le appariva inutile e privo di significato: la sveglia al mattino, la corsa in macchina per arrivare puntuale in pasticceria; quindi, il cammino inverso per tornare a casa.
La mamma, nel vederla così esausta, le disse:
“Dida, hai una brutta cera. Sono due giorni che mi preoccupi. C’è qualcosa di nuovo che io non so. Forse sei stanca o, soltanto, è necessario che ti distragga. Se vuoi, possiamo raggiungere per qualche giorno zia Carolina in montagna. Sarebbe felice di averci con lei. Ne parlavo col babbo che si è messo subito a disposizione.”
Dida non rispose e si lasciò andare sulla sedia posta vicino alla porta di casa.
La mamma accorse allarmata.
“Non stai bene. Non stai bene. Parla, ti scongiuro, non tenermi sulle spine. Hai bisogno di aiuto; non posso più ignorare la tua sofferenza; voglio con tutte le mie forze tentare di farti superare le prove dolorose che la vita ti ha riservato”.
“Mamma, capisco la tua ansia, ma ti prego, non così. Per nulla al mondo vorrei procurarti tanto dispiacere. Non ho scelto io gli avvenimenti che hanno sconvolto la nostra tranquillità. Ti dirò tutto, ma non subito.”
Nel dire questo si alzò e andò in camera sua. L’afflizione dei suoi le faceva sentire ancor più il peso del suo cruccio. Era necessario che reagisse confidandosi con la madre. Certamente il suo appoggio le avrebbe giovato.
Indossò la vestaglietta e si recò in sala da pranzo. La madre aveva preparato il bollito con gli spinaci di cui era ghiotta. In cuor suo fu grata delle sue attenzioni e cominciò a mangiare; ma dopo un po’ dovè fermarsi: un nodo in gola le impediva di proseguire.
“Mamma, è che Dario ha deciso di partire appena sarà dimesso; e questo avverrà tra qualche giorno. I genitori vogliono che vada da loro per il periodo della convalescenza.
Ma io come farò a staccarmi dal cuore di Marcello? Non potrò più vederlo battere. Quando sono in ospedale, guardo il monitor e mi sembra che mi parli; è un modo per sentirlo ancora accanto a me. Sulmona è così lontana.”
“Dida cara, quanto mi dici non mi sorprende; era inevitabile che accadesse.
Invece di rammaricarti, dovresti compiacerti che Dario sia sulla via della guarigione. Questo ti consoli e ti faccia tornare alle tue cose; ai tuoi interessi; alla tua vita.”
“Quale vita? Senza Marcello non ho più speranze né desideri. Mi ero aggrappata al suo cuore ed ora resto sola del tutto. Lo so che agli occhi degli altri sembra una stranezza la mia; un rifiuto ostinato della realtà.
E, poi, proprio ora in cui cominciavo ad apprezzare Dario, la sua dolcezza e la sua umanità.
A lui mi unisce un forte legame, nato da una comune tragedia. Noi ci apparteniamo.”
“Dida, quante volte ti ho invitato a non alimentare questi pensieri, almeno a non fartene un’ossessione. Forse a Dario pesa la tua presenza che gli ricorda continuamente il dramma del trapianto; il dramma di avere un cuore non suo.”
“No, non è vero quanto dici. La mia presenza lo ha sempre confortato. Aspettava con gioia che io arrivassi. Ho condiviso con lui momenti di angoscia e di speranza; ho pianto e sorriso con lui tante volte. Anche lui ha bisogno di me.”
“Dida, a me pare che tu non consideri che non è solo un cuore, ma una persona con i suoi slanci, i suoi sentimenti, il suo passato, i suoi ideali.Ogni esistenza umana è complessa: ha regole, incontri, casualità e percorsi propri.”
“Non andrò più da lui, se è questo che vuoi. Ti prometto che non lo rivedrò; non gli augurerò il ritorno ai progetti e al futuro.”
“Ti sbagli. Io voglio che tu accetti serenamente il fatto che egli si allontanerà; che andrà dai suoi, come è giusto che sia. Devi andare da lui, stargli vicino come hai fatto finora e non negargli ogni sorta di accortezza prima che parta. Il vostro è un vincolo particolare e non si spezzerà facilmente per una impuntatura o un capriccio. Durerà nel tempo. Il tuo Marcello gli ha ridato la vita ed egli non lo dimenticherà mai. E non dimenticherà quanto hai sofferto per la perdita del tuo amore e per la sua tragica sorte appesa ad un filo.”
“Grazie, mamma. Il non andare più da Dario, il non salutarlo potrebbero fargli fare le più svariate supposizioni. E, poi, sarebbe sciocco e disumano. Mi ha fatto bene parlare con te.”
Dida non ebbe più dubbi grazie al consiglio della madre: l’indomani si sarebbe recata in ospedale.

*

Dario si era chiesto come mai Dida non fosse andata a trovarlo. Era sicuro che nel loro ultimo incontro non le aveva detto o fatto nulla che avesse potuto spiacerle o avesse potuto offenderla. Forse era ammalata o il lavoro la teneva impegnata più del solito. Il suo rammarico cresceva col passare delle ore e spiava il movimento della corsia attraverso i vetri della bassa finestra della sua camera.
Trascorsero così tre giorni e la speranza di rivederla si affievoliva sempre più.
Dida era diventata importante per lui. Una esperienza estrema di vita e di morte li univa; e, poi, era nata tra loro una complicità che li rendeva indispensabili l’uno all’altra, quasi che la loro sopravvivenza dipendesse dal vedersi; dal seguire le vicende che caratterizzavano le loro giornate. Era anche possibile che fosse così solo per lui e che lei, invece, si fosse stancata di assisterlo durante la lunga e penosa convalescenza.
Comunque, era impensabile che il loro incontro non avesse un seguito; doveva esserci una ragione che giustificava la sua assenza.
Una sottile malinconia si era impossessata di lui. Gli mancava il suo sorriso.
Cos’era diventata per lui? Provava per lei un sentimento profondo o soltanto curiosità? Rappresentava un’inevitabile conseguenza del suo trapianto o una nuova realtà?
Non sapeva darsi risposte, né sapeva azzardare conclusioni. I suoi moti d’animo erano contrastanti ed aveva anche una grande confusione tra i suoi pensieri.
Riusciva a comprendere che Dida volesse essere presente i primi giorni che erano seguiti al trapianto, ma non capiva cosa l’avesse spinta a continuare a stargli vicina così a lungo e con tanta dedizione. La sua presenza costante, interessata; le sue attenzioni così spontanee; i suoi discorsi e i suoi silenzi così naturali lo avevano conquistato.
“Siamo pronti per i nostri esercizi e per la nostra passeggiatina?”
Bruno entrò con una carica vitale insolita. La giornata gli sembrava piena di promesse.
Dario gli fu grato per il suo arrivo. Lo aveva distolto dal tormentarsi.
“Prontissimo. Oggi sono disposto ad eseguire tutto quanto mi viene proposto ed ho anche voglia di starmene un po’ più a lungo a curiosare. Le anticipo che vorrò andare al bar per offrirle qualcosa.”
Dopo la mezz’ora prevista per la fisioterapia, uscirono dalla camera e cominciarono ad inoltrarsi nel lungo corridoio. C’era in esso un andirivieni che entusiasmò Dario. Troppo a lungo era stato isolato nella sua camera.
Dida intravide Dario da lontano e provò un vera gioia. Le sembrava contento e camminava speditamente.
“Dario, che sorpresa! Che piacere vederti in corsia!”
Nel dire questo lo abbracciò. Egli spontaneamente ricambiò l’effusione di Dida, la quale a sua insaputa subì un duro colpo: nello stringere Dario a sé aveva sentito il cuore battergli forte in petto.
Era il cuore di Marcello. Per la prima volta ne risentiva la presenza viva e palpitante dall’ultimo giorno in cui egli le aveva rinnovato la sua proposta d’amore abbracciandola.
Tutto avvenne in un attimo: provò un senso di vertigine e lentamente si accasciò ai piedi di Dario.
Fu immediatamente soccorsa. La adagiarono sul letto. Dario era letteralmente costernato: la vedeva così pallida e delicata e provava affanno e un senso di protezione. Fu allora che capì quanto contava per lui.
La presenza di Dida nella sua vita aveva cancellato tutto il suo passato doloroso. Anche il ricordo di Tommaso andava dissolvendosi. Proprio il giorno prima aveva ricevuto da lui una cartolina di quattro parole” Ti abbraccio. Segue lettera”.
Quando Dida aprì gli occhi, si vide circondata da medici e infermieri.
Il dottor Bianchi le disse:
“Ci ha fatto prendere un vero spavento, cara signorina. Il calo di pressione così repentino è stato causato certamente da una improvvisa emozione; comunque da qualcosa che l’ha turbata profondamente. C’è da aggiungere che di sicuro oggi non ha pranzato ed è bene che prenda subito un buon tè zuccherato e dei biscotti.”
Dida sorrise e assentì tra la soddisfazione dei presenti. Quell’esile creatura faceva tenerezza e tutti le volevano bene. S’erano abituati alla sua presenza nella camera di Dario e ne apprezzavano la dolcezza e il riserbo.
Dario si tranquillizzò.
Dopo un po’ rimasero soli. Si guardarono negli occhi come se si vedessero per la prima volta e scoprirono il sentimento che li legava. Dario le strinse la mano ed ella gli carezzò i capelli.
Dopo un po’ portarono loro il tè con i biscotti e un buon pezzo di torta al cioccolato. Nel reparto avevano festeggiato il dottor Ferri che compiva sessantacinque anni.
Dida si mise a sedere e insieme gustarono i pasticcini e la torta.
“Sono stato in pensiero per te perché per tre giorni non sei venuta. Temevo fossi ammalata o, cosa che mi faceva maggiormente male, che ti fossi dimenticata di me. Se mi sono salvato, se sono riuscito a superare i tanti rischi che hanno comportato l’intervento e le incognite del rigetto lo devo alla tua presenza.”
Domani verrà mio cognato a prendermi con la macchina. Sono felice di lasciare l’ospedale e di stare per un po’ con i miei con i quali ho interrotto il colloquio anni fa, ma provo anche un gran dispiacere nel dover lasciare te. Oggi ho avuto ulteriore conferma che sei molto importante per me.”
“Anche a me dispiace che tu parta; ma sono convinta che la lontananza farà bene ad entrambi per capire l’intensità e la natura dei nostri sentimenti. Ho bisogno di comprendere se la tua è riconoscenza o altro; se un filo invisibile ti tiene legato a me attraverso il cuore di Marcello o è una corrispondenza di pensieri e sensazioni tue, libere ed autonome. Da parte mia, ho bisogno di sapere se mi sento unita a te dal battito del cuore di Marcello o se la tua persona sta allontanando il ricordo del mio amore perduto. Il tempo ci aiuterà.
Scrivimi e parlami di te: di ciò che eri e ciò che sei ora dopo la grave operazione. Io, a mia volta, ti risponderò rivelandoti di volta in volta i miei stati d’animo.
S’è fatto tardi; è bene che rincasi, altrimenti la mamma si preoccupa.”
“Dopo il malore che hai avuto forse è prudente che qualcuno ti accompagni. So che Bruno finisce il suo turno a momenti; lo pregherò di seguirti con la sua macchina fino a casa tua.”
“Sta’ pure tranquillo: mi sento proprio bene e sono in grado di guidare. Abbi cura di te, piuttosto. Non sopporterei che per la seconda volta il mio cuore si trovasse in pericolo.
“Mio” tra virgolette.”
“Dida, se è destino che le nostre vite, che si sono incontrate così dolorosamente, abbiano insieme un avvenire, io farò del tutto per rendere di nuovo limpidi i tuoi occhi azzurri.
Un non so che ne vela la luce ed è un vero peccato perché sono bellissimi.”
Nel pronunziare queste parole, Dario attirò a sé Dida e provò la sensazione di non potersi staccare da lei. Ma un pensiero lo fermò…doveva essere sicuro di non essere più quello di prima: non avrebbe potuto sopportare di farla soffrire. La liberò dalla stretta dolcemente e le carezzò il viso
Dida, invece, aveva risposto al suo abbraccio con slancio liberatorio; dopo giornate e ore di turbamento, di irrisolutezza, di sperdimento le sembrò di essere arrivata ad un approdo. Aveva bisogno di dimenticare, di affidarsi a qualcuno. Confidava che Dario l’avrebbe accolta nella sua vita.
Prese il cappotto e uscì. S’avviò frettolosamente all’uscita quasi temesse di tornare indietro e di non trovare più il coraggio di andare via.
Dario avvertì subito la sua assenza. Si chiese ansioso se l’avrebbe rivista; se le sarebbe mancato come già ella mancava a lui.
Il suo timore era che la sua nuova dimensione costituisse una fase transitoria e che tutto sarebbe tornato come prima.

 

Parte VI - Segue >>   

 

 

 

 

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