Una goffa leggenda del dardo maligno
Roma, 16 agosto 1907 - Pare a Lei proprio
bisogno di sfatare, la vecchia leggenda del Potentia Romanorum huc nos
relegavit?, una goffa leggenda di un’erudizione barbegia se fu
pronunziata in buona fede, e se non fu che un epigramma, leggenda dal dardo
maligno.
Un alto magistrato del
vecchio Governo, venuto di mala voglia dai soli di Posillipo alle raffiche
della valle basentina, sfogò il malumore delle aspre giornate, trascorse
male accoccolato sul braciere asfissiante, nell’epigramma archeologico in
questione. Era egli un uomo dotto, perché leggeva ordinariamente Tacito, e
si diceva, a tempo perso, antico discepolo di Mazzocchi. E l’epigramma,
passato, si o no, in titolo di storia.... Clandestina, restò fioretto
archeologico alle schermaglie delle bizze municipali.
Tale l’origine
della leggenda. Ma l’origine del nome?
L’ origine dei paesi è
quella dei germi di tutte le cose: mistero. Quando nacquero e da chi? La
indagine etimologica si affida di portare qualche luce al problema; luce
talvolta di lucciola, talvolta crepuscolare: raggio o guizzo che riflette
talvolta piuttosto una stirpe che un popolo, piuttosto un’era che una
determinata età. L’indagine etimologica è ardita, è insidiosa, è attraente:
è giunta qualche volta a divinazioni meravigliose, talvolta, arrancando, a
fantasmagorie pazze o puerili.
Sono io - mi domando - netto di tal genere di
peccati, di tale erudita pece? Ho il diritto di parlare? Ma è tempo di
comizii! Oggi: e parlo.
E per Potenzia, anziché
una indagine etimologica per la storia delle origini, fu una supposizione
storica la mia. La mantengo ancora.
E' un fatto accertato
della storia, che Roma, per punire le popolazioni del Piceno, pertinacemente
contrastati e forte opponetisi alla assorbente politica conquistatrice di
essa, nonché per isnervare le forze di un popolo, che limitrofo alle
inimichi razze celtiche, tentava alleanze con esse contro Roma, questa
trasferì una parte della popolazione dei Piceni, di forza, dalle antiche
loro sedi alle spiagge dell’Adriatico, nella piaga presso all’ultimo corso
del fiume Silaro o Sele, al limite estrema tra la Campania e la Lucania.
L’ultima delle guerre che piegò i Piceni a Roma
avvenne nell’anno, dalla Città, 486, che risponde all’anno 267 avanti l’era
volgare; e l’esodo violento di una parte del popolo sottomesso fu dello
stesso periodo di tempo, - e vuoi dire nel secolo III innanzi Cristo.
Furono “trecentosessantamila” i Piceni - afferma
Plinio - venuti “in fede di Roma” cioè vinti e amnistiati dalla fatale
città, che unificava gli Italici col plebiscito armato delle legioni.
Amnistiati si, ma puniti, negli ordinamenti civili municipali, nelle
proprietà, nella ripartizione demografica.
I popoli vinti cedevano, come si sa, il terzo del
territorio delle vinte città - taglia di guerra - a Roma vincitrice. Fu,
probabilmente, un numero pari - chi sa? - al terzo del popolo quello che
venne, con la spada alle reni, spinto in quei campi, non certo, anche
allora, molto salubri tra Eboli e Salerno.
E qui giunti i nuovi
immigrati fondarono la città Picentina dal memore nome di una loro
città sull’Adriatico. Ed oggi ancora il piccolo villaggio o gruppo di case
che è detto “S. Antonio di Vicenza” fa testimonio delle antiche origini sue:
e il breve fiume non lontano, che oggi ancora è denominato “il Picentino”
ricorda non pure le origini dell’antica gente, ma forse il confine dalla
Campania.
Alla stessa epoca, una parte, una frazione, un
gruppo di questo popolo immigrato dall’Adriatico, si trasferì, dalla bassa
pianura presso il Silario, nella prossima attigua Lucania. - Eburum, Vulcei,
Ursentum, ‘Atena, Teggianum, Consilinum, Sontia, città lucane popolose,
occupavano già la parte della Lucania, che scarica le acque dei suoi fiumi
nel Tirreno. E i nuovi arrivati non liberi di espandersi per le plaghe già
occupate da queste città dalla valle del Tanagro, risalirono lungo la valle
superiore del Silaro, e, passatoi l’Appennino, vennero alle origini della
fiumana, che scende verso Oriente al mare Jonio.
I primi coloni, presso
il Silario, fondarono una città che, a memoria della patria abbandonata,
dissero Picentia. Ed il ramo di essi, che si venne propagando nelle
terre della Lucania, fondava Potentia, a memoria della loro antica
sede o città di Potentia; Antica città che, caduta al primo
medio evo nelle sue mine presso l’attuale Porto-Recanati, o giù di li, è
rivissuta nel nome di Potenza-Picena
Il fiume Basento, aveva già il suo greco nome di
Casuento, che gli fu dato dalle colonie greche venute sullo Jonio tre secoli
innanzi. I nuovi coloni del Silario non poterono, - se pure ne ebbero il
pensiero, mutare il nome di esso in quello del nativo fiume di Potenza,
dell’adriatico; - o questo nome non attecchì.
Se tali furono le
origini, fu popolo di gente libera, aspra e forte, quantunque vinta dalla
vincitrice del mondo! Fu di stirpe sabino-sannitica di idioma, come i nostri
antenati tutti.
Della prima epoca della città non avanzano
monumenti scritti in bronzo o in marmo; non avanzano, (e non credo che ne
ebbero mai), monete sue proprie. Ma avanzano molti marmi letterati, -
testimonio di culti, di sacerdozii, di famiglie, di civiltà - dell’epoca
della civiltà latina, dopo che Roma comprese e compresse anche questa
pianta, già remoto germoglio delle terre adriatiche, nella nuova grande
patria, nell’unico e grande nome d’Italia.1
Potenza e la sua leggenda
In una epigrafe,
presumibilmente del III secolo a.C., si legge: “Potentia romanorum hic nos
relegavit”(La potenza dei romani ci tiene prigionieri).
1) Giacomo Racioppi - "Il
Lucano" pel Centenario del capoluogo Potenza - Tipografia Editrice Garramone
e Marchesiello - Potenza, 1907 |