PINO GENTILE
 - La Città delle scale
 

- Capitolo II -
Storia Moderna della Città

  1. Prima pietra per Biblioteca e Museo provinciali di Potenza
    1879: Nasce la ferrovia Rocchetta - S. Venere - Potenza

  2. Quanti siamo in Basilicata (F. Saverio Nitti)

  3. Nitti ricordato a Roma e a Potenza

  4. Città costruita secondo nessuna regola d'arte (Giovanni Ianora)

  5. Una goffa leggenda dal dardo maligno (Giacomo Racioppi)

  6. La trasformazione edilizia e civile (Sergio De Pilato)
    Risanamento e piano regolatore

  7. L'ospitalità dei lucani e l'influenza dei romani nel dialetto (L. Carlo Rutigliano)

  8. Da provincia a Capoluogo: le trasformazioni nell'ottocento (Alfredo Buccaro)

  9. Visita del Presidente del Consiglio Zanardelli (Il Lucano - 1907)

  10. La città nei piani regolatori nella prima metà del '900 (Alfredo Buccaro)
    Urbanistica e architettura del ventennio fascista

  11. Una "lettura" delle trasformazioni urbane (Antonio Motta - Vincenzo Perretti)

  12. Si è costruito in maniera frenetica e senza alcuna norma (Luciano Mastroberti)

  13. La città visibile (Luciano Mastroberti)

  14. Potenza che non c'è più (Tommaso Pedio)

  15. La città sorgeva sulle rive del Basento (Giuseppe Ricciuti)

Da provincia a capoluogo le trasformazioni nell’ 800

 

 

Le vicende politiche ed amministrative

 

Dopo la prima restaurazione borbonica, che aveva fatto seguito alla sfortunata repubblica napoletana del 1799, con la nomina di Giuseppe Bonaparte a re di Napoli, ebbe inizio il “decennio francese”. Il governo dei napoleonidi apportò all’apparato amministrativo notevoli cambiamenti, primo fra tutti la nuova suddivisione del territorio del Regno. La provincia lucana, con capoluogo a Potenza, fu suddivisa nei tre distretti di Potenza, Matera e Lagonegro (cui si sarebbe aggiunto quello di Melfi nel 1811) a loro volta divisi in circondari, e questi ultimi in comuni; in ogni città o paese il Decurionato sostituì i Pubblici Parlamenti ed il sindaco venne eletto con i voti dei decurioni.

 

La scelta di Potenza quale capoluogo della Basilicata, oltre ad essere motivata dalla più vantaggiosa posizione geografica rispetto a Matera, sembrerebbe innanzitutto connessa al programma di riordino amministrativo delle aree interne del Regno, auspicato già negli ultimi anni del 700 nell’ambito del riformismo borbonico - si veda al riguardo il ruolo svolto a Potenza dal vescovo Andrea Serrao - e fatto proprio nel “Progetto per la formazione delle Intendenze Provinciali” presentato dal Ministro Zurlo nel 1803, ma rimasto inattuato per i noti eventi politici.

 

All’ avvento dei Francesi la concordanza di interessi tra governo e ceto borghese moderato permise la ripresa delle riforme già avviate, a partire dalla rivendicazione dei diritti del pubblico sulle terre usurpate dai feudatari, con la conseguente eversione della feudalità e il trasferimento della proprietà fondiaria e del controllo del territorio nelle mani del ceto medio. In tal senso la borghesia urbana potentina, diversa dal ceto radicale e riformatore che aveva trovato la morte nella repressione del 1799, sarà autentica protagonista, nel corso dell’800, delle scelte in materia di acquisizione e gestione del territorio urbano e suburbano sottratto agli abusi feudali ed ecclesiastici, facendo parte, sin dall’inizio, del Decurionato e del Consiglio d’Intendenza.

 

Il regno di Gioacchino Murat, ancorché per molti aspetti felice, fu purtroppo segnato, per quanto concerne la Basilicata dal dilagare del brigantaggio, favorito dalla povertà e dalla configurazione del paesaggio, boscoso ed impervio: la repressione del fenomeno comportò un incremento delle spese dell’amministrazione provinciale e conseguenti aggravi fiscali; nel frattempo, però, un notevole miglioramento in questo ambito fu apportato attraverso le leggi contro la feudalità, venendo abolite le antiche servitù baronali. Un’ altra importante iniziativa del Murat fu l’ istituzione, nel 1809, del cosiddetto “catasto provvisorio”, consistente nel rilevamento descrittivo, in vista di una successiva graficizzazione, dei dati sulla consistenza immobiliare nei comuni del Regno: gli “Stati di sezioni” relativi al patrimonio edilizio potentino, redatti entro il 1813, rappresentano una fonte documentaria di notevole interesse per la storia del tessuto abitativo.

 

Al ritorno di Ferdinando di Borbone sul trono napoletano, nel 1815, i Potentini nominarono una delegazione che si sarebbe recata a Napoli per presentare gli omaggi al re. I successivi eventi politici nella città sono logicamente legati a quelli napoletani: echi dei moti rivoluzionari del ‘21 si sentirono anche a Potenza, dove si era formato un partito liberale e nel ‘32 si istituì un piccolo nucleo di affiliati alla Giovine Italia. Questo fu il motivo principale per cui Ferdinando Il, nel 1846, fu spinto a visitare, tra le altre province del Regno, la Basilicata: la visita del sovrano a Potenza fu, peraltro, uno sprone per alcune opere di abbellimento della città.

 

I punti fondamentali della Costituzione promulgata nel febbraio 1848 furono la creazione della Guardia Nazionale e l’approvazione della legge elettorale, in base a cui la Lucania avrebbe avuto tredici rappresentanti: cinque a Potenza, due a Matera, tre a Melfi e tre a Lagonegro. Ma la Costituzione tardò ad essere applicata, suscitando la rivolta napoletana del 15 maggio, giorno di apertura del Parlamento: Potenza non insorse, ma vi si riunirono i rappresentanti liberali delle province di Basilicata, Terra d’Otranto, Bari, Capitanata e Molise: repressa la rivolta nella capitale furono spenti poco dopo anche i focolai periferici venendo processati e giustiziati i simpatizzanti rivoluzionari potentini.

 

Nel corso dell’ 800 la vita cittadina fu sconvolta da flagelli come il colera - si ricordino l’epidemia del 1837 e quella del ‘54 - e i terremoti, di cui il più rovinoso del secolo fu quello del 16 dicembre 1857, che provocò gravi danni, specie nella zona di Portasalza. L’amministrazione cittadina dovette quindi confrontarsi, anche dopo l’ Unità, con gli effetti di questi eventi, che si andarono a sommare ai non lievi problemi di carattere socio-economico. Nel 1860 lo sbarco dei Mille portò nuovo entusiasmo negli animi dei potentini, che proclamarono un governo cittadino con la Pro-dittatura: il 5 settembre di quell’anno Garibaldi si fermò ad Auletta, dove poté incontrare la deputazione di Potenza, provvedendo alla nomina del governatore della provincia.

 

Le aspettative per i cambiamenti che avrebbe dovuto portare l’Unità d’ Italia furono purtroppo disattese: la povertà nelle campagne non era affatto diminuita, anzi era in continuo aumento, mentre le scelte dei governatori creavano malcontento nella cittadinanza: nell’aprile 1861 una rivolta, che coinvolse buona parte della regione, fu repressa nel sangue.

 

Una delle prime iniziative dell’ Italia unita fu quella di abolire gli ordini monastici ed i capitoli delle chiese collegiate: con legge del 2 febbraio 1862 furono quindi soppressi il monastero di S. Maria del Sepolcro, quello dei cappuccini di S. Antonio La Macchia e il convento delle clarisse di S. Luca, mentre il patrimonio suburbano di S. Gerardo, di S. Michele, della SS. Trinità e di S. Luca, che comprendeva più di metà dell’ agro di Potenza, fu venduto dopo essere stato suddiviso in grandi lotti; ciò fece sì che solo ricchi possidenti potessero acquistarlo, venendosi a concentrare le proprietà nelle mani della nuova borghesia capitalistica. La parte urbana del patrimonio ecclesiastico fu invece più equamente suddivisa, consistendo in piccole case che potevano essere acquistate dalla media e bassa borghesia.

 

Tutto ciò comportò sostanziali modifiche nell’ articolazione stessa dei ceti sociali: ad esempio scomparvero i massari, mentre la classe contadina continuò ad impoverirsi; tale fenomeno, unito alle facilitate comunicazioni con le Americhe e all’ idea di lauti guadagni in quei luoghi, favorì fortemente la crescita dell’emigrazione.

 

Intanto Potenza si andava attrezzando per soddisfare le esigenze di una città moderna, anche grazie alla costruzione di nuove strade e della ferrovia; quest’ultima, nel gennaio 1881, permise al re Umberto I, con la regina Margherita e il principe Amedeo, di giungere in visita in città: come era già avvenuto in occasione dell’arrivo di Ferdinando II, fu dato impulso anche stavolta ad una serie di lavori di ristrutturazione ed abbellimento della città. Alla fine del secolo l’ambiente urbano aveva ormai acquisito i caratteri tipici della cittadina borghese, che si conserveranno in buona parte fino alle trasformazioni del secondo dopoguerra.

 

 

 

 

Condizioni sociali e scelte urbanistiche in età preunitaria

 

Al momento della elevazione a capoluogo, Potenza era già uno dei principali centri urbani della Basilicata, ma questa scelta, esaltandone la collocazione geografica baricentrica nella nuova provincia, conferì alla città un ruolo direzionale che non aveva mai avuto, introducendo così il tema centrale della sua storia urbanistica in età preunitaria: la trasformazione da grosso insediamento contadino in moderno centro amministrativo.

La città, ad eccezione del borgo di Portasalza era ancora contenuta nel perimetro delle antiche mura, con un tessuto estremamente compatto: nella piccola piazza del Sedile si concentravano le funzioni fondamentali della vita collettiva: i pubblici parlamenti, il mercato settimanale, le feste popolari e religiose. Erano praticamente assenti infrastrutture a rete, dagli impianti idrici ai condotti fognari, alla pubblica illuminazione. Per effetto del nuovo ruolo, il vecchio centro urbano si trovò sottoposto ad una pressione crescente, che finì ben presto per metterlo in crisi. L’incremento della popolazione, la necessità di ospitare nuove istituzioni, gli accresciuti volumi di traffico veicolare, l’espansione del commercio determinarono altrettante “emergenze” da fronteggiare, prime tra tutte quelle abitativa e igienico-sanitaria.

 

Allo stesso tempo, un nuovo sguardo impietoso cadde sulla struttura urbana e sulle forme di uso dello spazio pubblico ereditate dal passato, percepite ormai come segni di arretratezza: fu subito chiara la volontà delle nuove classi dirigenti, in particolare degli intendenti, di adeguare la città ad un modello di capitale rappresentato dai più evoluti capoluoghi del Regno. Ciò comportava la trasformazione dell’impianto urbano ancora medievale di Potenza nell’ ottica del funzionalismo neoclassico, con l’apertura di strade ampie e rettilinee, piazze regolari specializzate, edifici pubblici e moderne reti infrastrutturali, oltre ad una nuova interpretazione, in chiave borghese, dello spazio pubblico come spazio astratto di classificazione funzionale e sociale, non più "comune" estensione dell’ambiente domestico, scenario della produzione collettiva, come erano stati, un tempo, i larghi e le quintane.

 

Se da un lato, quindi, le scelte di politica urbanistica operate a Potenza in età preunitaria furono volte a dotare la città di nuovi spazi ed impianti pubblici o a stimolare la riqualificazione dell’edilizia privata, dall’altro, soprattutto mediante i regolamenti di polizia urbana, si cercò di eliminare vecchie forme di promiscuità, allontanando ad esempio dai luoghi più rappresentativi presenze ed usi tradizionali legati all’economia e ai modi di vita della popolazione contadina.

 

Il problema della trasformazione della città investiva, dunque, la struttura socio-economica non meno di quella edilizia: la scarsa consapevolezza di tale intreccio rendeva a volte velleitaria la volontà di “miglioramento” espressa dagli amministratori. La contraddizione fra il modello urbanistico adottato e il sostanziale permanere della vecchia compagine sociale, in assenza di una borghesia imprenditoriale capace di promuovere programmi urbanistici su vasta scala, costituisce un nodo centrale nella storia ottocentesca di Potenza: dalla sua mancata soluzione derivano le incertezze di un processo di ristrutturazione urbana innescato da una scelta puramente strategico-amministrativa.

 

Il decennio francese fu il periodo dei grandi progetti infrastrutturali. Le realizzazioni non furono all’altezza delle intenzioni, ma molti interventi portati a termine negli anni successivi vennero avviati o per lo meno individuati proprio in quest’epoca. Con la Restaurazione gli obiettivi furono drasticamente ridimensionati, subentrando una fase di gestione quotidiana della città e delle opere pubbliche quasi sempre priva di una visione unitaria su vasta scala; ma proprio in questo periodo “oscuro” mentre il vecchio centro entrava progressivamente in crisi, cominciarono a configurarsi nuovi equilibri, per effetto di una serie eterogenea di interventi urbanistici, provvedimenti e norme regolamentari.

 

Il periodo che va dal 1842 al 1847, in cui la carica di Intendente fu ricoperta da Francesco Benzo Duca della Verdura, nobile palermitano, rappresenta l’epoca di maggiore consapevolezza della politica urbanistica preunitaria. Sullo sfondo di ogni iniziativa dell’intendente vi fu sempre un progetto complessivo di trasformazione urbana su cui egli riuscì a far convergere un ampio consenso, alla base del quale erano un’idea precisa dei requisiti di un moderno capoluogo e la lucida consapevolezza delle implicazioni economiche e sociali degli interventi in atto. Con il Duca della Verdura, infatti, fu finalmente posta la “questione urbana” nella sua globalità, non più come semplice problema di opere pubbliche e di “polizia urbana”: se il suo progetto rimase sostanzialmente inattuato, alcune linee strategiche in esso contenute guidarono la politica urbanistica degli anni seguenti.

 

Peraltro, nel campo delle opere pubbliche, il Duca della Verdura intervenne anche su iniziative già in corso, imprimendo loro un nuovo impulso e, soprattutto, un’ impostazione radicalista e lungimirante. Negli anni ‘50 si tornò ad una fase di lavoro quotidiano sulla città, ma sulla base delle acquisizioni del decennio precedente: il Consiglio Edilizio, insediatosi nel 1844, e il relativo regolamento approvato nel 1850, furono gli strumenti operativi fondamentali per la gestione degli interventi sul patrimonio edilizio privato, soprattutto dopo il terremoto del 1857.

 

In tutto questo periodo gravi difficoltà finanziarie afflissero il Comune, allungando enormemente i tempi di completamento di alcune importanti opere o impedendo di avviarne altre. Fra amministratori comunali e intendente vi fu in genere unità di intenti, pur con una differenza di prospettiva: gli unì erano più attenti alla piccola gestione ed alla dimensione municipale, l’altro alle esigenze rappresentative e funzionali della città capoluogo.

 

 

 

 

L’edilizia pubblica e le sedi delle nuove istituzioni

 

Potenza, promossa capoluogo di provincia, necessitava di nuove e più adeguate attrezzature, come ad esempio le sedi degli uffici pubblici. L’amministrazione provinciale si servì per questo degli ingegneri del Corpo di Ponti e Strade, istituito per volontà di Gioacchino Murat nel 1808, secondo il modello del già esistente corpo francese.

 

Il primo problema fu l’ubicazione degli uffici dell’Intendenza, simbolo della nuova identità di Potenza; sistemazione peraltro, sin dallo inizio, molto discussa. Si pensò subito di accorpare l’Intendenza con i Tribunali, proponendosi all’uopo l’utilizzo del convento dei francescani o del vecchio palazzo baronale; ma, in merito a quest’ultimo, secondo il parere dell’ingegnere Policarpo Ponticelli non vi si sarebbero potuti riunire entrambi gli uffici, dovendosi utilizzare altri immobili limitrofi e non avendosi in tal modo l’opportunità di un’unica sede pur con enorme profusione di fondi.

 

Alfredo Buccaro “La città nella storia d’Italia”- Potenza - Editori Laterza - Bari, 1997

 

 

 

 

Potenza e non Matera

 

Il concetto di Giuseppe Bonaparte di trasportare il capoluogo di Matera a Potenza fu consigliato, scrive sul numero unico de Il Lucano

- 1907 - il Rettore R. de Cesare, più che dalla geografia della provincia, dalla necessità che la capitale fosse meno lontana da Napoli e in posizione naturalmente forte. Potenza non è nel centro della Provincia. Il centro sarebbe stato S. Mauro Forte o Accettura o Stigliano. Ma Potenza aveva maggiore importanza di queste ed era naturalmente più forte, perché più in alto e circondata da monti di oltre mille metri sul mare. Il crudo clima non fu una difficoltà per il re Giuseppe. Nondimeno si guadagnò tutto il Melfese, nonché la lunga zona confinante con Salerno. Da Napoli si andava nel capoluogo in tre giorni, e, più tardi, in due giorni e mezzo, mentre la parte meridionale della provincia seguitò ancora per lunghi anni ad essere divisa dal capoluogo da distanze inverosimili, neppure oggi superate.

 

Io ricordo il mio viaggio a Potenza nel 1865. Partiti una sera di agosto da Salerno, abbiamo viaggiato tutta la notte, e l’indomani ci siamo riposati nella famosa taverna di Auletta, dove moriva di perniciosa un povero contadino, inutilmente soccorso da don Peppino Cicciotti, mio compagno in quel viaggio, ottimo uomo e fratello di Pasquale, allora Sindaco di Potenza, e personaggio principale della città, amico della mia famiglia, e padre di Ettore, col quale ebbi l’onore di uscire dalla Camera dei Deputati, lui di estrema sinistra, ed io di estrema destra, combattuti dalle peggiori plebi elettorali, assoldate ed imbestiate dal governo. Si viaggiò la notte seguente senza chiudere occhio, fra le paure di essere aggrediti ad ogni passo. Se il grande brigantaggio era stato represso, restavano le piccole bande, non meno avide e sanguinarie. Quel viaggio attraverso la campagna abbandonata, e quella taverna di Auletta, così tristemente caratteristica, lo ricordo come se vi fossi stato ieri, e son passati 42 anni da allora.

 

"Il lucano pel centenario di Potenza" - Tipografia Editrice Garramone-Marcheslello - Potenza, 1907

 

 

 

 

Potenza capoluogo della Basilicata

 

Con decreto dell’Imperatore Napoleone il Grande, (30 marzo 1806), Giuseppe Bonaparte, suo fratello, fu nominato re dei reami di Napoli e di Sicilia. L’invasione dei francesi non diede né libertà, né indipendenza, ma apportò il nuovo sistema di pubblica amministrazione, che segnò il principio della moderna civiltà. Per tale ordinamento, Potenza acquistò il posto di città capitale della Provincia. Con la legge organica della nuova circoscrizione, la Provincia fu divisa nei quattro Distretti di Potenza, Melfi, Matera, Lagonegro; i Distretti in Circondari, e questi in Comuni.

 

Prima del 1663 la Città di Potenza era stata per breve tempo già sede del Preside e della Regia Udienza di Basilicata, sotto il Viceré Duca di Medina, il quale istituì la Regia Udienza di Basilicata e vi nominò a Preside D. Carlo Sanseverino Conte di Chiaromonte. Fu fatta come residenza prima Stigliano, poi Tursi, Tolve, Vignola, Potenza, Montepeloso, in ciascuna delle quali Città o Terre, il Preside dimorò ben poco, fino a che, nel 1663, non fu stabilita la Regia Udienza a Matera sotto il Viceré Gaspare. Allorché sotto il re Giuseppe Bonaparte si riformò l’ordinamento amministrativo e giudiziario del Reame, Potenza, invece di Matera, fu prescelta Capitale di Basilicata perché meglio si prestava per la sua situazione ai bisogni di tali riforme, essendo la città quasi nel centro della Provincia.

 

"Il lucano pel centenario di Potenza" - Tipografia Editrice Garramone-Marcheslello - Potenza, 1907

 

 

 

 

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